L’origine di Petronà
L’origine dell’abitato di Petronà è legata alle vicende del convento domenicano di Mesoraca. Fondato nel 1490 per volontà dei cittadini sotto il titolo di Santa Caterina,[i] alla fine del Cinquecento è annoverato tra i tre conventi domenicani esistenti in diocesi di Santa Severina.[ii] Nell’ottobre del 1652 risulta nell’elenco dei piccoli conventi che devono essere chiusi, in quanto non ha i requisiti richiesti dalla Costituzione di Innocenzo X.[iii] Soppresso il convento, rimase la chiesa con annessa una confraternita laicale.[iv]
In seguito, i cittadini e l’università di Mesoraca fornirono i mezzi per riaprire il convento. Questo avvenne dopo un periodo di funeste annate, caratterizzato dall’epidemia del 1671/1672 e dalla sterile annata 1673, che avevano ridotto la popolazione a solo 1832 abitanti. Seguirono i raccolti rovinati dalla siccità e dalle cavallette dal 1678 al 1680.
Per poter costituire una dotazione al convento, tale da poter mantenere i sei frati, come previsto dalla bolla papale, nel 1681 l’università di Mesoraca inviava una supplica al viceré per la convalida della cessione della difesa denominata “Pietronà”: “Il sindaco et eletti della terra di Mesuraca in Prov. di Cal. Ultra humilmente rappresentano a V. E. come in virtu della bolla pontificia fu soppresso nell’anni passati un convento de Padri Domenicani posto in detta terra sotto il titolo di S.ta Catarina Verg. Mart. Il tutto per l’insufficienza dell’entrate e perché la cittadinanza di essa terra con la soppressione di d.o convento sì è vista priva dell’aggiuti spirituali e temporali have costituito in particolare diverse annue rendite al detto convento reintegrando quali non essendo sufficienti per la manutentione dei Padri stabiliti in detta bolla. L’universita di detta terra e suoi cittadini previo publico regimine l’have assagnato una Difesa nominata Pietronà, la quale è di puoco frutto alla detta università e suoi cittadini e di qualche commodo al detto convento reintegrando”.
Tale donazione, secondo l’università, era urgente per implorare il perdono divino in quanto “hoggi se ne scendono contrari gl’effetti la onde il S. Iddio giustamente sdegnato per li nostri peccati e misfatti c’ha mandato tanti castighi e flagelli”. La supplica poteva inoltre contare sull’assenso dell’arcivescovo di Santa Severina Carlo Berlingieri, il quale acconsentiva il ritorno dei padri domenicani nella chiesa di Santa Caterina di Mesoraca.[v]
Questa fu accolta e perciò, fu stipulato un atto col quale i frati si impegnavano ad insegnare gratuitamente le scienze ai giovani cittadini, e ad restituire la difesa nel caso che non fosse stato mantenuto tale obbligo, o che avessero cessato di abitare in quel convento.[vi] I confini della difesa saranno così descritti: “confinava con il fiume Potamo nel luogo detto Macchia della Pipita, con il vallone delle Differenze o passo dell’Accucchiaturu, con il vallone detto Cilona, vicino la fontana detta del Sambuco, con l’aia detta delle Differenze, con la gabella detta il Panchicello, con la gabella detta Nunziatella ed Acqua Vona, con la via pubblica, con il fiume Vasari, con il torrente Calcarula, con la difesa di Manulata, con la strada che da Petronà portava alle montagne, con la difesa di Giove, con le sorgenti del fiume Potamo e di nuovo con il passo della Pipita.”[vii]
Formazione dell’abitato
Lo stesso arcivescovo nella relazione dell’ottobre 1685 affermava che nella sua diocesi vi erano cinque “oppida” (Rocca Bernarda, Cutro, Policastro, Mesoraca e Rocca di Neto), due “castra” (San Mauro e Altilia) e cinque “pagi” (Scandale, Cotronei, Reyetta, Marcedusa e Petronà), aggiungendo che il villaggio di Petronà era stato da poco abitato, e che non aveva ancora una sua chiesa arcipretale.[viii]
All’inizio del Settecento il Mannarino nella sua “Cronica”, fa un breve cenno al “feudo de’ Padri Domenicani chiamato la difesa di Petronà (che) in atto si sta populando”.[ix] Pochi anni dopo, il villaggio, anche se piccolo, è già formato con alcune abitazioni ed una piccola cappella. L’arcivescovo Nicolò Pisanelli nel 1725, così lo descrive: “Nelle vicinanze di questi villaggi (Arietta e Marcedusa ndr) recentemente è sorto un piccolissimo villaggio, dove si sono riunite ad abitare alcune famiglie, che in tutto assommano a 123 abitanti. Parte abitano in tuguri e parte in case rustiche. Provvisoriamente è stata edificata, anche se non completamente, una sacra edicola per la comodità della plebe. La cui cura per le funzioni sacre è stata assegnata ad un economo, da me scelto. In seguito, a seconda di come si evolverà la situazione, agirò di proposito.”
Il Pisanelli faceva poi presente che vi erano nel convento di S. Domenico di Mesoraca cinque religiosi, che godevano di rendite più che sufficienti. Infatti, dopo la soppressione, il convento era stato reintegrato, sia da alcuni cittadini che avevano offerto delle terre, sia dall’università, che aveva dato una continenza di terre di rendita elevata. Quest’ultima donazione, tuttavia, era gravata dalla condizione, che tra i religiosi stabili nel convento ce ne fosse sempre uno idoneo ad istruire nelle arti liberali i giovani del luogo. Qualora ciò non fosse avvenuto, era compito dell’ordinario di sopprimerlo e di restituire all’università la difesa. Poiché questa condizione era stata violata, più volte i cittadini e l’università di Mesoraca si erano rivolti all’arcivescovo, facendo presente di essere stati imbrogliati, in quanto i domenicani non rispettavano quanto concordato. Infatti, non vi era stato quasi mai nel convento, un religioso destinato per educare i giovani del luogo, perciò l’università premeva per sopprimere il convento e l’arcivescovo era indeciso sul da farsi.[x]
Gli abitanti
Popolarono il luogo braccianti e massari dei paesi vicini, i quali, dapprima presero in fitto e coltivarono le terre dei domenicani e, in seguito, ne ottennero parte in enfiteusi. Ciò avvenne poco prima della metà del Settecento, quando i domenicani, per paura di dover ritornare le terre all’università, e colpiti sia dalle tasse che dall’incertezza dei raccolti, decisero che era meglio non amministrare più direttamente la difesa, ritenendo più proficuo e più sicuro darla in enfiteusi ai coloni del luogo.
In tale modo l’università di Mesoraca si sarebbe trovata a fronteggiare i numerosi coloni di Petronà, che, di fatto, erano divenuti dei piccoli proprietari, mentre, nello stesso tempo, i domenicani avrebbero potuto contare su una rendita annua sicura e certa, anche se minore, che il contratto enfiteutico assicurava.
Per effetto di tali atti il villaggio che, in precedenza, era stato abitato per la maggior parte, da una popolazione migrante, che si spostava a seconda del ciclo agrario e pastorale, cominciò a consolidarsi. I numerosi coloni, che avevano stipulato il contratto di enfiteusi, poterono essere sicuri di un possesso duraturo, e divennero ad ogni effetto dei proprietari di piccoli fondi, con la possibilità di migliorarli e valorizzarli con colture durature. La formazione di una piccola proprietà permise la permanenza in luogo di numerose famiglie, che formarono un ceto locale stabile.[xi]
La chiesa parrocchiale
Anche per tali motivi col passare del tempo, il villaggio aumentò di popolazione. Situato in territorio di Mesoraca, era soggetto per il secolare ai feudatari di Mesoraca, mentre per lo spirituale faceva parte della diocesi di Santa Severina. Dai 123 abitanti segnalati nel 1725, nel 1744 essi erano aumentati a 143; nel 1756 erano circa 300.
L’arcivescovo di Santa Severina Carmine Nicola Falcone (1743-1759) nella relazione del dicembre 1744, ci informa che gli abitanti del villaggio di Petronà, situato all’interno della difesa omonima appartenente al monastero dei domenicani di Mesoraca, abitavano ancora parte in tuguri e parte in case rustiche. Vi era un unico sacerdote ed era stata completata l’edicola sacra per la comodità del popolo. La cura delle anime e l’amministrazione dei sacramenti erano affidate ad un economo di nomina arcivescovile: “His in contermino Territorio teniuissimus accedit Vicus Petronà nuncupatus, paucis coclectitiis inhabitatus Families, Capitum 143 partim tuguria, partim angrestas domus incolantes cum unico Sacerdote, aedificata interim Sacra Aedicula ad commodum Plebis, cuius curae in Sacramentorum administratione incumbit Oeconomus ab Archiaepiscopo destinatus, donec aliter consulatur.”[xii]
Alcuni anni dopo, così lo stesso arcivescovo descriverà il villaggio: “Tra i paesi della diocesi è compreso il villaggio comunemente chiamato Petronà nelle pertinenze della terra di Mesoraca, popolato da pochissimi abitanti, provenienti dai luoghi vicini, che non superano il numero di trecento. Qui non era presente alcun sacerdote, nessuno che avesse cura delle anime, a causa della poca quantità di decime, nessuno che lo sostituisse, poteva contare su uno stipendio sicuro. perciò nelle cose spirituali dipendeva dall’arciprete del villaggio di Arietta, distante da Petronà circa tre miglia, il quale ogni domenica e nei giorni festivi surrogava il sacerdote che doveva celebrare nella piccola edicola colà costruita. Non c’era nella chiesa il tabernacolo con le specie eucaristiche per gli infermi; quando c’era necessità di ciò bisognava chiamare un sacerdote da Arietta ed aspettare uno o due giorni, che il sacro fosse portato qui o in una borsa o, qui arrivato, fosse fatta una funzione divina, per la consacrazione delle particole, da portare agli infermi. Perciò succedeva, che a volte gli ammalati morivano senza aver ricevuto il viatico. Per quanto riguardava la fonte battesimale bisognava portare i neonati alla chiesa di Arietta, per poterli battezzare. Per tale motivo accadeva che, intrapreso il viaggio, sia per l’eccessivo freddo in inverno, sia per il forte calore d’estate, a volte i piccoli, invece di ricevere il salutare lavacro, morissero. Per ovviare a questa situazione e pensare alla salute delle anime, fu mia cura, che rinnovata dapprima la chiesa e portata in forma più grande, fosse munita sia del ciborio con il pane eucaristico, per coloro che stavano per morire, sia del battistero per battezzare gli infanti.”[xiii]
Nel catasto onciario di Mesoraca del 1746
Nei giorni 30 e 31 ottobre 1744, in Mesoraca, i deputati Giuseppe Andali, Francesco Domenico Lamanna, Gio. Battista Simone, Giuseppe Cortese, Marco Antonio Pollizzi e Antonio Matarise, incaricati di formare il catasto, dichiaravano di aver appurato “de facie ad faciem, parte consiesente” le 24 famiglie di Petronà.
Esse abitavano in un villaggio composto da sedici pagliari e da sette piccole casette, situato all’interno della “Difesa” dei domenicani, difesa stimata di circa mille e duecento tomolate, confinante con il territorio di Belcastro e la difesa dell’Arietta. Nell’occasione come “forastieri abitanti nella Difesa di Petronà tenimento di Misuraca”, trascurando gli infanti ed i bambini, erano stati censiti 62 abitanti, 20 donne e 42 uomini.
I cognomi più rappresentati erano i Talarico (9); seguono i Moraca (4), gli Scalzo ed i Gentile (3), i Falbo, i Colosimo, i Pascuzzo ed i Vecello (2), quindi i Bianco, i Taverna, i Gualtiero, i Grande e i Pierri (1). Tra questi figuravano quattordici massari, venticinque bracciali ed un custode di armenti. I massari possedevano tutti gli animali, cioè trentasette “bovi aratorii”, sei vacche, duecento pecore e undici “somare”. Nessun animale era censito appartenente ai braccianti. Tutte le famiglie in quanto forestiere, dovevano pagare annualmente il “Jus abitationis” di carlini quindici (un ducato due tarì e dieci grana).
Il dominio dei domenicani di Mesoraca sulla difesa e sui suoi abitanti era particolarmente opprimente. Il “Catasto” evidenzia, che essi esigevano numerosi censi bollari, enfiteutici e alcuni canoni; buona parte di questi provenivano dagli abitanti della difesa di Petronà. I Petronesi dediti soprattutto alla coltura dei campi ed al pascolo degli armenti, erano soggetti a pagare annualmente censi e canoni per il luogo dove costruire l’abitazione, per i terreni avuti in concessione enfiteutica, il Jus del bestiame, ed i terratici in grano, germano e orzo, sui terreni avuti in affitto. Essi, inoltre, prendevano in fitto e custodivano pecore e capre dei domenicani e dei possidenti di Mesoraca.
“Forastieri abitanti nella Difesa di Petronà tenimento di Mesoraca
- Domenico Falbo Massaro di anni 51. Santo Figlio Bracciale di anni 17. Antonio Figlio Bracciale di anni 15. Tomaso Figlio di anni 13. Jus abitationis 1.2.10. Possiede Bovi aratorii n.o quattro, stabilita le rendita D.ti sedici, sono on. 26=40. Più possiede una Somara, stabilita la rendita Carlini dodeci, sono on. 2=0. Once 28:40.
- Antonio Moraca Bracciale di anni 15. Luna Colosimo Madre Vidova di anni 48. Palma Sorella in Capillis di anni 21. Agata Figlia in Capillis di anni 12. Marta Sorella in Capillis di anni 9. Jus abitationis 1.2.10. Abita in un Pagliaro.
- Fortunato Bianco Massaro di anni 41. Rosario Figlio Bracciale di anni 14. Jus abitationis 1.2.10. Abita in un Pagliaro. Possiede due Bovi aratorii. Stabilita la rendita D.ti otto, sono on. 13=20.
- Gerolamo Scalzo Massaro di anni 64. Antonio Figlio Bracciale di anni 24. Bruno Figlio Bracciale di anni 18. Giuseppe Figlio Bracciale di anni 14. Jus abitationis 1.2.10. Abita in una piccola casetta in d.a Difesa, e paga ai R.di P.P. Domenicani annui Carlini sei. Possiede un Bove aratorio stabilita la rendita D.ti quattro sono on. 6=40. Più possiede una Somara, stabilita la rendita Carlini dodeci sono 2=0. Once 8=40.
- Giuseppe Talarico Massaro di anni 18. Giovanna Vicello Matre Vidova di anni 43. Jus abitationis 1.2.10. Abita in una piccola casetta in d.a Difesa. Possiede tre Bovi aratorii, stabilita la rendita D.ti dodeci, sono once 20=0. Più possiede una Vacca di corpo, stabilita la rendita Carlini dieci, sono once 1:40. Più possiede una Somara, stabilita la rendita Carlini dodeci sono once 2=0. Once 23:40
- Gerolamo Talarico Massaro di anni 45. Rosa Gentile Moglie di anni 35. Francesco Figlio Bracciale di anni 17. Lucrezia Figlia in Capillis di anni 15. Anna Figlia in Capillis di anni 14. Maria Figlia in Capillis di anni 12. Santa Figlia in Capillis di anni 10. Palma Figlia di anni 8. Jus abitationis 1.2.10. Abita in un Pagliaro in d.a Difesa. Possiede quattro Bovi aratorii stabilita la rendita D.ti Sedici , sono once 26=0. Più possiede una Somara, stabilita la rendita in Carlini dodici, sono once 2=0. Once 28=0.
- Nicola Talarico Massaro di anni 52. Francesco Figlio Bracciale di anni 18. Vincenzo Figlio di anni 14. Maria Figlia in Capillis di anni 15. Jus abitationis 1.2.10. Abita in una Casetta sita in d.a Difesa. Possiede tre Bovi aratorii, stabilita la rendita D.ti Dodeci, sono once 20=0. Più possiede una Vacca di corpo. Stabilita la rendita Carlini Dieci, sono once 1:40. Più possiede due Scrufe, stabilita la rendita Carlini venti sono Once 3:20. Once 26
- Santo Talarico Massaro di anni 66. Isabella Taverna Moglie di anni 56. Filippo Figlio Bracciale di anni 31. Giacomo Figlio Bracciale di anni 23. Jus abitationis 1. Possiede una Casa dove abita in detta Difesa. Possiede quattro Bovi aratorii Stabilita la rendita D.ti Sedici sono once 26=40. Possiede una Vacca di corpo Stabilita la rendita Carlini diece, sono once 1:40. Più possiede pecore numero duecento, stabilita la rendita D.ti sedici sono once 26=40. Più possiede una Somara, stabilita la rendita Carlini dodeci sono once 2:0. Once 59
- Salvatore Moraca Massaro di anni 65. Lucrezia Gualtiero Moglie di anni 45. Jus abitationis 1.2.10. Abita in una casetta in detta Difesa.Possiede Bovi aratorii numero quattro, stabilita la rendita D.ti sedici, sono once 26:40. Più possiede una vacca di corpo Stabilita la rendita Carlini dieci, sono once 1:40. Più possiede una somara stabilita la rendita Carlini Dodeci sono once 2:0. Once 31:20.
- Saverio Talarico Massaro di anni 54. Santa Moraca Moglie di anni 60. Antonino Figlio Bracciale di anni 26. Michel’angelo Figlio Bracciale di anni 22. Agostino figlio Bracciale di anni 19. Andrea figlio Bracciale di anni 14. Francesca Figlia in Capillis di anni 24. Jus abitationis 1.2.10. Abita in una casetta sita in detta Difesa. Possiede tre Bovi aratorii stabilita la rendita D.ti dodeci sono once 20:0. Più possiede due Vacche di corpo stabilita la rendita Carlini venti sono once 3:20. Più possiede una Somara stabilita la rendita Carlini Dodeci sono once 2:0. Once 25:20
- Tomaso Pascuzzo Massaro di anni 16. Isabella Gentile Madre di anni 45. Beatrice Sorella in Capillis di anni 21. Jus abitationis 1.2.10. Abita in un Pagliaro in d.a Difesa. Possiede uno Bove aratorio stabilita la rendita D.ti quattro sono once 6=40. Più possiede una Somara stabilita la rendita Carlini Dodeci sono once 2:0. Once 8:40
- Bonaventura Talarico Bracciale di anni 18. Angiola Scalzo Madre di anni Vedova di anni 66. Jus abitationis 1.2.10. Abita in un Pagliaro in detta Difesa.
- Sigismondo Talarico Padre onusto di dodeci figli. Abita in una casa in detta Difesa di Petronà.
- Vincenzo Talarico Massaro di anni 34. Jus abitationis 1.2.10. Abita in un Pagliaro in detta Difesa. Possiede un paro di Bovi aratorii. Stabilita la rendita D.ti otto sono once 13=20. Più possiede una Somara stabilita la rendita Carlini Dodeci sono once 2:0. Once 15:20
- Vincenzo Talarico Massaro di anni 42. Felice Fratello Massaro di anni 39. Jus abitationis 1.2.10. Abita in un Pagliaro in detta Difesa. Possiede quattro Bovi aratorii stabilita la rendita D.ti sedici. Once 26:40. Più due somare, stabilita la rendita Carlini venti quattro sono once 4=0. Once 30=40
- Salvatore Gentile Massaro di anni 35. Giacinto Fratello Bracciale di anni 30. Jus abitationis 1.2.10. Abita in un Pagliaro in detta Difesa. Possiede un Bove aratorio stabilita la rendi D.ti quattro sono once 6:20. Più possiede una Somara stabilita la rendita Carlini Dodeci sono once 2:0. Once 8:20
- Natale Vecello Bracciale di anni 36. Gio. Batt.a Figlio Bracciale di anni 17. Jus abitationis 1.2.10. Abita in un Pagliaro in detta Difesa. Possiede una Somara stabilita la rendita Carlini Dodeci sono once 2:0
- Giovanni Grande Custode di Armenti di anni 46. Jus abitationis 1.2.10. Abita in un Pagliaro in detta Difesa.
- Francesco Scalzo Bracciale di anni 28. Palma Muraca Moglie di anni 30. Jus abitationis 1.2.10. Abita in un Pagliaro in detta Difesa.
- Tomaso Pignieri Bracciale di anni 40. Jus abitationis 1.2.10. Abita in un Pagliaro in detta Difesa.
- Gio. Battista Falbo Bracciale di anni 57. Jus abitationis 1.2.10. Abita in un Pagliaro in detta Difesa.
- Domenico Pierri Bracciale di anni 46. Jus abitationis 1.2.10. Abita in un Pagliaro in detta Difesa. Possiede un Bove aratorio stabilita la rendi D.ti quattro sono once 6:20
- Domenico Pascuzzo Bracciale di anni 62. Jus abitationis 1.2.10. Abita in un Pagliaro in detta Difesa. Possiede una Somara stabilita la rendita Carlini Dodeci sono once 2:0.
- Bruno Colosimo Bracciale di anni 35. Jus abitationis 1.2.10. Abita in un Pagliaro in detta Difesa.”[xiv]
Verso una maggiore autonomia
Al tempo dell’arcivescovo Antonio Ganini (1763-1795) non vi era ancora in paese un sacerdote residente, che esercitasse la cura di quei parrocchiani in modo continuo. Il nuovo arcivescovo, infatti, troverà che Petronà aveva 400 abitanti ed era retto ancora dall’arciprete di Arietta. Situato sopra un monte, era non molto distante dal villaggio di Arietta, al quale ecclesiasticamente era unito, anche se lo superava di molto come popolazione; infatti, Arietta contava solo 143 abitanti.
Nel 1765 aveva un’unica chiesa sotto il titolo di San Pietro Apostolo, che era retta dallo stesso arciprete di Arietta, il quale in quell’anno era l’arciprete curato D. Antonio Venere.[xv] Questi nei sei mesi estivi risiedeva a Petronà, e nei sei mesi rimanenti ad Arietta. Nei mesi in cui era assente da uno dei luoghi sotto la sua giurisdizione, il sacro era amministrato da un vicario curato o da un economo. Allora nell’unica chiesa era conservata la SS. Eucarestia e vi erano la fonte battesimale e i sacri oli, nello stesso modo di come si trovavano nella chiesa di Arietta. Non era più necessario, come avveniva in passato, trasferirli da uno all’altro luogo, con grave pericolo per la salute delle anime. Nella chiesa di Arietta c’erano tre altari: il maggiore era provvisto del necessario dall’arciprete, mentre gli altri due erano mantenuti dalle elemosine degli abitanti devoti.[xvi]
Nel 1783 Petronà conta 656 abitanti. Scosso dal terremoto, “la chiesa e le fabbriche (furono) gravemente lesionate”,[xvii] anche se “non caddero edifici e non morì alcuno”.[xviii] Sul finire del secolo la chiesa fu riparata. I lavori durarono due anni. Furono eseguiti con il contributo e con l’aiuto materiale della popolazione, ed era arciprete Domenico Paoletti, come ricorda l’epigrafe datata 1799 posta all’ingresso dell’edificio.[xix]
Allora il villaggio contava 874 abitanti e continuava ad essere feudo di casa Altemps, come lo era stato alla sua origine.[xx] La chiesa subì altri danni dal terremoto del 1832. Il sindaco ancora alla metà dell’Ottocento, sollecitava la riparazione della chiesa parrocchiale. Cosa che avvenne in quegli anni, come si rileva da due brevi di Pio IX. Il 4 settembre 1857 il papa, accogliendo la supplica di Felice Tallarico, concedeva che l’altare dedicato a S. Pietro Apostolo, nella chiesa parrocchiale di Petronà, fosse privilegiato ogni giorno per un settennio.[xxi] Poco dopo, il 18 dicembre dello stesso anno, veniva accolta anche la supplica del vice arciprete Serafino Rizzuti, e concesso lo stesso privilegio all’altare di S. Andrea Apostolo.[xxii]
Note
[i] Fiore G. Della Calabria Illustrata, II, p. 294.
[ii] “Quanto a quelle di regolari in la detta città (S. Severina ndr) vi sono dui conventi, uno del ordine di predicatori, l’altro conventuale di San fran.co; Alla rocca bernalda vi è un convento di S.to fran.co di Paula, à Misuraca dui conventi uno di predicatori, e l’altro di Capuccini, et unaltro fora misuraca di Zocculanti, In policastro fora della terra, vi è lo convento di Zoccolanti, in cutri vi è un convento di predicatori, alla rocca di neto vi è un convento di S.to Agostino.” ASV, Visitatio aplica Sanctae Severinae 1586, S. Congr. Concilii Visit. Ap. 90.
[iii] Russo F., Regesto, VII, 36845.
[iv] “Praeter supradittas tres ecclesias parochiales sunt in ditta terra aliae decem ecclesiae, quarum tribus SS.mae Annunciationis, Purificationis B. Mariae Virg. Et Sanctae Catarinae Virg. et Mart., sunt annexae tres confraternitates laicales”. ASV, Rel. Lim. S. Severina., 1675.
[v] ASN, Provv. Caut. Vol. 245, f. 193 (1681).
[vi] A causa del terremoto del 1783 il monastero fu soppresso ed il comune di Mesoraca, in seguito, rivendicò il possesso della difesa Petronà. Bollettino delle sentenze n. 192, 30 giugno 1810, p. 1473.
[vii] Spinelli F., Le origini di Filippa, Crotone 1997, pp. 50-51.
[viii] ASV, Rel. Lim. S. Severina., 1685.
[ix] Mannarino F. A., Cronica della celebre ed antica Petelia detta oggi Policastro, manoscritto, 1721-23, f. 100v.
[x] ASV, Rel. Lim. S. Severina., 1725.
[xi] Nel 1746 la difesa di Petronà venne concessa in enfiteusi dai domenicani e 32 coloni che abitavano la località. Spinelli F., Le origini di Filippa, Crotone 1997, p. 52.
[xii] ASV, Rel. Lim. S. Severina., 1744.
[xiii] ASV, Rel. Lim. S. Severina., 1756.
[xiv] ASN, Cam. Som. Fs. 6980, ff. 208-219.
[xv] Morto Bartolomeo Scalzi, era stato nominato dapprima Gio. Battista Talarico e poi, nel febbraio 1761, era subentrato nella chiesa parrocchiale ed arcipretale di Arietta e di Petronà, Antonio Venneri. Russo F., Regesto, XII, 64295, 64326, 64814.
[xvi] ASV, Rel. Lim. S. Severina., 1765.
[xvii] Vivenzio G., Istoria de’ Tremuoti avvenuti nella Provincia della Calabria ulteriore, e nella Città di Messina nell’anno 1783 e di quanto nella Calabria fu fatto per lo suo risorgimento fino al 1787 preceduta da una Teoria, ed Istoria Generale de’ Tremuoti, 2 voll. Napoli 1788, p. 325.
[xviii] De Leone A., Giornale, e notizie de’ tremuoti accaduti l’anno 1783, Napoli 1783, p. 134.
[xix] Scalzi F., Petronà, Soveria Mannelli 1981, p. 52.
[xx] Alfano, G. M. Istorica descrizione del Regno di Napoli diviso in 12 province. Napoli 1795, p. 108.
[xxi] Russo F., Regesto, XIV, 78549.
[xxii] Russo F., Regesto, XIV, 78645.
Creato il 21 Febbraio 2015. Ultima modifica: 20 Gennaio 2023.
Complimenti per le notizie
Interessante la descrizione /molto affascinante la sua storia
Grazie per la Sua attenzione. Pino Rende