La parrocchia di San Giovanni Battista di Santa Severina nel Cinquecento

Santa Severina (KR), la chiesa di San Giovanni Battista.

La chiesa era situata sulla parte più antica, più elevata e salubre della città, vicina ai luoghi importanti e rappresentativi, cioè alla cattedrale, al palazzo arcivescovile, alle case della corte e alla piazza detta “il Campo”. Nella seconda metà del Cinquecento nel suo ambito parrocchiale ci sono le case palaziate della classe dominante, composta dai nobili e dagli ecclesiastici, ed i nuovi istituti del potere religioso post tridentino.

Al tempo della visita del vicario Giovanni Tommaso Cerasia, la chiesa parrocchiale è già congiunta all’edificio della cattedrale e dipende per la cura dalla mensa arcivescovile. Il 15 maggio 1559, iniziando la visita alla metropolitana, il vicario, dopo aver visitato la cappella di Santa Anastasia e la cappella Magna, dall’interno della cattedrale, entrò nella chiesa di San Giovanni Battista, “quae est prope et coniunctim cum metropolitana ecc.a”, nella quale trovò il fonte battesimale ben chiuso con un coperchio di legno. Apertolo, vide che era fabbricato con pietre di diversi colori e ben conservato. Dentro vi era una grande quantità di acqua. Come i sacri canoni ordinavano, egli impose che, entro sei mesi, fosse fatto un altro fonte di sasso.

Alcuni giorni dopo, il 18 maggio 1559, il vicario iniziò la visita ai luoghi religiosi sotto la sua giurisdizione esterni alla cattedrale, ed entrò nella chiesa parrocchiale, che era presso e congiunta alla cattedrale. La chiesa era “mensale”, era servita dall’arciprete della cattedrale donno Petro Gallo, ed aveva come rettore il Reverendo D. Nicola Carrafa, che era anche cappellano della cappella di Santo Andrea di jus patronato dei conti di Santa Severina, situata nella cattedrale.

Al suo interno trovò l’altare maggiore consacrato e sopra una icone decente con l’immagine della Vergine Maria, e dei Santi Giovanni Battista e Giovanni Evangelista. La chiesa possedeva un panno nero per coprimento, un calice d’argento con patena, un altro calice di peltro con la sua patena, corporali, due vestimenti con le loro casule, una nera e una rossa, due candelabri di ottone, un tintinnabolo grande, quattro cuscini, trentuno tra tovaglie e mandili, sei coprimenti, una lampada davanti all’altare, dieci amitti, una vecchia croce di ottone, alcune casule per corporali di cipresso, una arca, e due orcioli di creta.

Le sue rendite provenivano da due gabelle, una in località “Corazzo” e l’altra a “Lo Piro Citrino”. Aveva anche altre terre, una casa nella stessa parrocchia, due vigne nella “Valle delo Giardino”, ed esigeva censi annui per ducati quattro e le decime dei parrocchiani.

Descrivendo l’edificio il vicario affermò che la chiesa era “ad lamiam” con alcune colonne di marmo, e vi era la fonte battesimale che aveva già visitato. Vi erano anche un certo vaso grande di marmo “concavalum” presso la fonte ed alcune sepolture. Al campanile pendevano due campane e c’era un crocifisso di legno. Il vicario ordinò, sotto pena di scomunica, di indorare entro due mesi il calice e di comperare un messale.

Santa Severina (KR), chiesa di San Giovanni Battista. Affresco raffigurante il Battista inginocchiato in un paesaggio naturale con lo sguardo rivolto al cielo, mentre tiene nella sua mano destra l’acqua per battezzare Gesù Cristo.

Proseguendo la visita alla chiesa, egli giunse all’altare dedicato alla Santa Croce. Lo trovò fabbricato e coperto da un telame vetusto. L’altare era di iuspatronato della famiglia Protopapa ed aveva alcuni vestimenti, tra i quali tre tovaglie, un vestimento completo, un campanello grande ed un calice di peltro. Ne era rettore il R.do Nicola Carrafa e nel passato possedeva due case, che prima erano state di Antonello Protopapa. Esse erano situate in parrocchia di Santa Maria La Grande e confinavano con le case di Salvatore Yaseo e la via pubblica. Il vicario ordinò di riprendere le case e di meglio conservare i beni. Quindi ai Protospatari, titolari dell’altare, ordinò di presentare entro sei giorni il titolo di concessione altrimenti l’altare sarebbe divenuto mensale.

Si diresse quindi all’altare dedicato a Santa Maria della Concezione. Qui trovò un altare non consacrato con l’immagine della Beatissima Vergine, del quale era rettore il già detto Nicola Carrafa, e vi serviva l’arciprete donno Petro Gallo. L’altare era dotato di una casa alla Grecìa nell’ambito della cappella di Santo Stefano. Il vicario affermò che l’altare era mensale, e che se qualcuno vi avesse avuto qualche diritto, avrebbe dovuto dimostrarlo entro otto giorni. In quanto alla casa, essa era stata lasciata con la condizione di celebrare una messa alla settimana. Perciò ammonì l’arciprete a notificare al suo principale, sotto pena di scomunica, di far celebrare la messa. A riguardo degli indumenti dell’altare, essi erano in comune con quelli della parrocchiale.

Seguì la visita all’altare dedicato a Santa Maria de Nive, dove il vicario trovò un altare non consacrato, un altare portatile, tre tovaglie, un indumento completo, un coprimento di cotone, e un messale. Il rettore Jo. Antonio Tilesi disse che l’altare possedeva quattro tomolate di terra a Ferrato e venti tomolate a Santo Mauro. Intervenne Don Battista Tramonte, il quale affermò che Delfino Tilesi, prima di morire, lo aveva incaricato di dire una messa alla settimana in detto altare.

Il vicario ordinò di rifare entro un mese, pena la scomunica, le sepolture e la porta. Rivolgendosi poi ad Jo. Antonio Tilesi, disse che se avesse da far valere qualche diritto contro qualcuno, lo avrebbe dovuto dimostrare entro il termine. Il Tilesi allora mostrò una certa concessione dell’altare, che però non fu ammessa, in quanto apparve fatta in forma non legittima. Il vicario gli ribadì di dimostrare il titolo e la concessione dell’altare entro il termine prefissato, altrimenti esso sarebbe divenuto della camera arcivescovile.[i]

Santa Severina (KR), la chiesa di San Giovanni Battista.

I cappellani

All’inizio del Cinquecento la chiesa parrocchiale di San Giovanni Battista è già congiunta alla cattedrale. La nomina del parroco è dapprima di pertinenza papale, poi già al tempo di Giulio Sertorio, dell’arcivescovo della città.

Il 20 luglio 1539 Dionisio, figlio del fu Bartolomeo de Molariis de Cento, rettore della cappella nella chiesa parrocchiale S. Giovanni Battista, situata e fondata nella chiesa “seu iuxta ecclesiam metropolitanam S. Severinae”, rassegna la cappella nelle mani del papa Paolo III per mezzo del suo procuratore, il clerico romano don Antonio Massa de galesio, in favore di don Leonardo Saccho, prete di Santa Severina, riservandosi una pensione di annui ducati 10 sulle rendite della chiesa parrocchiale di S. Nicola de plateis della terra di Mesuraca, che lo stesso Sacho ha ottenuto.[ii]

Un altro breve papale in data 24 novembre 1539, conferma la consessione. Infatti, Leonardo Sacco, prete di S. Severina, provvede la cappella nella chiesa di “S. Io. Baptistae sita et fundata in ecclesia iuxta metropolitanam ecclesiam S. Severinae”, vacante per libera cessione di Dionisio de Molariis de Cento, il quale si riserva un’annua pensione di 10 ducati sulle rendite della chiesa parrocchiale di S. Nicola de Platea, della quale è rettore Leonardo Sacco.[iii]

Il 27 marzo 1557 il papa Paolo IV concede a Hectore Brancati la chiesa parrocchiale di San Giovanni Battista, vacante per remissione di Salvatore Fracsius.[iv] Il 5 ottobre seguente è convalidato il passaggio.[v] In seguito la chiesa parrocchiale diviene “mensale”, cioè il parroco è nominato dall’arcivescovo di Santa Severina.

Il 13 agosto 1572, per atto del notaio Marcello Santoro, il reverendo Donno Stefano Truscio, parroco e cappellano della cappella di San Giovanni Battista, poichè non ha potuto e non ha la possibilità “ob eius senectutem et invaliditatem suae personae”, di avere cura diligente delle anime e servire la cappella, decide di rendere e cederla nelle mani ed in potere dell’arcivescovo di Santa Severina, il cardinale Giulio Antonio Santoro, e propriamente al suo procuratore e vicario generale, il R.do Gio. Antonio Grignetta, affinché sia nominato un migliore cappellano, che serva la detta cappella. Sono presenti l’arciprete Petro Gallo, l’arcidiacono Francesco Modio, il cantore Vincenzo Padula, D. Jo. Bernardino Infosino, e altri.[vi]

Non passa molto tempo che la cappella è assegnata a Gio. Battista Tramonte. È dello stesso anno la “Professio fidei presbiteri Bapt.ae Tramontis parrocchialis Ecclesiae S.ti Joannis Bap.tae Civitatis Sanctae Severinae in anno 1572”.[vii] Un Breve di Clemente VIII che, in data 8 agosto 1601, dava licenza all’arcivescovo di Santa Severina Alfonso Pisani di conferire alcuni canonicati della sua chiesa, ci informa che il canonico Gio. Battista Tramonte, per divenire nel 1572 parroco della chiesa di San Giovanni Battista, aveva dovuto lasciare il canonicato di S. Nicola di Armirò.[viii] Ancora nel 1586, “dietro la chiesa cathedrale vi è una parrochia nominata San Gio. batt.a, dela quale ne è curato D. Gio. batt.a gramonte”.[ix] Il 24 ottobre 1588 il cappellano Battista Tramonte è presente alla stipula dei capitoli matrimoniali tra Marcello Barracco e Hieronima Modio.[x] Il Reverendo Gio. Battista Tramonte fa ancora parte del capitolo nel 1592.

Santa Severina (KR), plastico della chiesa di San Giovanni Battista esposto nel locale Museo Diocesano di Arte Sacra.

Parrocchiani di rilievo

Come si può notare dai censi pagati alla mensa arcivescovile nel 1548, il luogo in cui sorgeva la chiesa di San Giovanni Battista era abitato da nobili, da benestanti e da ecclesiastici. Tra questi figurano i Sacho (“M.r Janmacteo Sacho”, “Lareda de m.r Joanfilippo Sacho”, “M.r Joanfrancisco Sacho”), gli Infosino (“Lo vene.le clerico Antonino Infosino”, “M.r Joanmartino Infosino”, “Lareda de Joanbactista Infosino”, “M.r Gandolfo Infosino”), i Falanga (“Lareda de Bartulo Falanga”, “Lareda de Jaimo Falanga”, “M.r Joancola Falanga”, “Bactista Falanga”, “Donna Gisocta Falanga”), gli Iaquinta (“lereda de notari dionise Jaquinta”, “Lareda de Joanello Jaquinta”), gli Strati (“Lereda de Fran.co Strati”, “Luca Strati”), i Cerenzia (“Donno Jacobo de Cerenzia”, “Rosa Cerenzia”), i Milea (“Marino Milea”), i Condopoli (“Minico Condopoli”), i Susanna (“Lareda de m.r Vinzalao Susanna”), i De Leo (“Sina de Leo”), i De Frangiolino (“Joanna de Frangiolino”), i De Luca (“M.r Angilo de Luca”), i De Modio (“M.r Petruccio de lo Modio”), i Cosentino (“M.r Petro Consentino”), i De Gaudio (“Lareda de mastro Antonino de Gaudio”), gli Scurò (“Donno Anselmo Scuro”), i Bonaiuto (“M.r Carlo Bonaiuto”), i Francho (“M.r Bellisario de Francho”), i Vice Domino (“M.r Rafaele Vice Domino”) ed i Pagano (“Filippo Pagano”).[xi]

Vi erano numerose case palaziate spesso “cum gisterna”, cortile, stalla, casaleno e orto. Durante la seconda metà del Cinquecento alcune furono ampliate con nuove costruzioni, o inglobando le case terranee ed i casalini vicini. L’ambito parrocchiale era attraversato dalla strada pubblica detta di Santa Maria la Magna, sulla quale si innestavano le “vinelle”, ed era limitata, da una parte, dalle “ripas”, che prendevano il nome dalle case palaziate, e dagli edifici religiosi costruiti lungo il ciglio della timpa: la chiesa di “Sancta Catarina”, “le Volte di Angelo de Luca”, “le case di Ioannes Petrus Bonaiutus”, il seminario, ecc. Dall’altra parte vi era l’ambito parrocchiale di Santa Maria La Magna e, dalla parte opposta, “Il Campo”.

Santa Severina (KR), la chiesa di San Giovanni Battista (foto di Pasquale Lo Petrone).

La cattedrale

Nella seconda metà del Cinquecento la cattedrale si allarga ed aumentano anche le proprietà delle dignità e dei canonici. I casalini lasciano il posto ai nuovi edifici che si ampliano racchiudendo le nuove proprietà. Se durante i primi decenni del Cinquecento non si nota un particolare interessamento per lo stato della cattedrale, le cose mutarono dopo il Concilio di Trento. Ne sono primi segni le tre nuove cappelle, edificate nell’ala sinistra. La prima dedicata al SS.mo Sacramento fu edificata dalla confraternita omonima tra il 1558 ed il 1564.[xii] Le altre due al tempo del presulato di Giulio Antonio Santoro, detto “il Cardinale di Santa Severina” (1566-1573): una della famiglia Infosino, dedicata al SS.mo Salvatore, e fondata e dotata nel 1568,[xiii] e l’altra di San Leone Confessore, dotata ed istituita dallo stesso arcivescovo, a ricordo del vescovato soppresso di S. Leone (1571).[xiv] Egli fece custodire tutte le reliquie in un reliquario, che fu posto in una sacrestia, o tesoro, che fece costruire a sue spese per mettere al sicuro le numerose cose preziose della chiesa. Per salvaguardare i beni ed i diritti ecclesiastici, istituì l’archivio, contiguo alla chiesa e al palazzo vescovile.[xv]

All’inizio dell’arcivescovato di Alfonso Pisani (1587-1623), la cattedrale ha il campanile con quattro campane “bellissime”, due grandi e due piccole, il coro, un grande organo, un alto crocifisso in mezzo alla chiesa, un pulpito per predicare e, nella parte sinistra, c’è la nuova fonte battesimale in marmo con una conca di rame. Essa è fornita di moltissimi arredi, suppellettili ed oggetti sacri: tra questi il braccio tutto d’argento di Santa Anastasia, due bacoli, due d’argento ed uno d’avorio, un tabernacolo con croce ed un incensiere con navetta d’argento, numerose croci e crocette d’argento, due calici d’argento, di cui uno indorato, cinque anelli, di cui uno d’oro con uno smeraldo, una collana di velluto nero guarnita di perle, un pettorale e poi mitre, sandali, corporali, dalmatiche, piviali, baldacchini, pianete, cuscini, candelieri, messali, ecc.

La principale reliquia era il braccio di Santa Anastasia, “con la carne, nerve, pelle, et piccoli peli”. Vi erano anche “quattro mitre pretiose, et una di tela d’oro, et dui di tela bianca sempia … dui bacoli pastorali, uno d’avorio, et uno d’argento inorato … sei croci, quattro d’argento et una d’avorio et uno di cristallo con crocifisso d’oro”.[xvi] Poiché nella metropolitana non c’era altra reliquia che il braccio di S. Anastasia Romana, il papa Paolo V, nel 1613, concesse al vescovo di poter estrarre alcune sacre reliquie da Roma per portarle nella sua diocesi.[xvii]

In essa vi sono numerose cappelle, tra le quali quelle di San Leone, della Beata Vergine e del SS.mo Sacramento. Ma l’edificio è di “mezzana grandezza, di forma antiqua et assai impedito d’ale, et cappelle”. L’arcivescovo cerca dapprima di “sgombrarli” e di rendere l’edificio sacro in forma migliore e più moderna, “ma perché s’è conosciuto che la detta chiesa non può ricevere riparatione per esser le mura piccole, vecchie et fabricate di creta, sta tuttavia con animo di riedificarla dalli fondamenti”. Per un miglior decoro il Pisani la fornisce di due sacrestie. In una vi sono custoditi un reliquiario munito “d’inferriate et catenacci”, posto sopra un altare, e vari oggetti sacri, tra i quali molte vecchie piccole mitre di tela, a testimonianza che anticamente i canonici erano mitrati. Nell’altra, fatta decorare da un valente pittore, “con una bellissima intempiatura lavorata delicatamente e dipinta con tutti i misteri della passione e con l’immagine dell’Ultima Cena, sono conservati i paramenti di uso quotidiano degli ecclesiastici.

Durante il suo lungo arcivescovato la cattedrale fu quasi completamente rifatta, con nuove fabbriche e più ampia. Con scrupolosità ed ingente spesa e “con pensiero e diligenza grande”, egli vi attese fino agli ultimi anni della sua vita, quando fu costruita la cupola maggiore.[xviii] Risale a questi anni la supplica del mastro Nardo Cozza, il quale, il 20 ottobre 1619, così si rivolgeva al Pisani: “M.ro Nardo Cozza humil.te servo di V.s Ill.ma et R.ma supp.do le fa intendere, come ha perso molti ferri et instrum.ti necessarissimi al compimento della chiesa di V. S. Ill.ma. Però la supplica resti ser.ta ord.re che si faccino le solite monitioni di scomunica contro chiunque gli havesse rubato, ò ritenuti l’infra.tti instrumenti cioè una mazza di valore di 32 car.ni, uno prisaro di 17 car.ni, quattro manipoli di quattro car.ni l’una, et quattro scalpelli di un tarì l’uno et oltre à questo un paro di calzette di saietta negra et altri stigli, e robbe che non recorda”.[xix]

Fu sepolto nella cappella di Santa Maria degli Angeli, da lui stesso, assieme al fratello Giulio Cesare, costruita e dotata nel 1611, come recita l’epigrafe nella cappella di S. Maria degli Angeli: “SACELLUM HOC DEIPARAE VIRGINI DICATUM ALPHONSUS PISANUS ARCHIEPISCOPUS S. SEVERINAE, ET IULIUS CAESAR FRATRES PRO SE, SUISQUE HAEREDIBUS CONSTRUCTIONE, ET DOTATIONE IN JUS PATRONATUS EREXERUNT ANNO DOMINI MDCXI”.[xx]

Una bozza di relazione scritta alla fine del suo presulato, così descrive la cattedrale: “La chiesa arcivescovile metropolitana sotto l’invocatione di Santa Anastasia Romana Vergine e Martire de mezzana grandezza, la quale perche era di forma antiqua, et assai impedita d’ale e cappelle è stata da Mons. Ill.mo Alfonso Pisani Arciv.o d’essa ridotta a miglior forma moderna con dieci archi lavorati di pietra di Policastro, e delle Castella, con due ale intempiate con quattro fenestre lavorate di pietre bianche di Policastro per ciascheduna ala, et con una cupola che si sta facendo in forma … e con tre cappelle di pietre de Cimigliano di diversi colori, et con pietre di grade antico, brecciatella di Spagna, e marmori di Carrara et altre pietre mischie. L’una a man sinistra per suo Juspatronato sotto il titolo di Santa Maria delli Angeli con un quadro di prezzo, quale d.o Mons. Alfonso e Giulio Cesare Pisani suo fratello hanno dotata et ornata di proprio. L’altra a man destra di S. Leone … e l’altra à man sinistra di S. Anastasia Romana Vergine e Martire con quadro dell’istessa Santa Anastasia di prezzo.”

Santa Severina (KR), cattedrale e palazzo arcivescovile.

I palazzi dell’arcivescovo

Si sa che il Cardinale di Santa Severina, l’arcivescovo Giulio Antonio Santoro (1566-1572), costruì contiguo al palazzo, l’archivio della chiesa, dove egli fece conservare, non solo i documenti riguardanti la mensa arcivescovile, ma anche quelli delle chiese e luoghi pii sotto la sua giurisdizione, che aveva recuperato “con gran fatica, e dispendio”. Il palazzo al tempo del suo successore, l’arcivescovo Francesco Antonio Santoro (1573-1586), minacciava rovina, così il predetto arcivescovo tentò di munirlo “di speroni e ripari”.[xxi] Sappiamo che i lavori procedevano ancora prima del suo trasferimento alla diocesi di Matera, avvenuta nel luglio 1586. Nel maggio di quell’anno il chierico coniugato Joannes Vutturaniti era impegnato nella costruzione del vescovato, infatti affermava: “questa matina carriyando io petra con lo mio somaro da Giulio Crocco della miseria alle fabriche dell’arciv(scova)to come fui alla Gisterna del campo”.

Da testimonianze rilasciate in Napoli da alcuni abitanti di Santa Severina nel giugno 1586, essendo la sede arcivescovile vacante, per trasferimento dell’arcivescovo Francesco Antonio Santoro alla chiesa di Acerenza, siamo informati sullo stato della costruzione. I testimoni sono concordi nell’affermare che “L’habitatione di detta cathedrale di S. Severina è antiqua, però è comoda e Mons. Arcivesc(ov)o il S.r Francisco Antonio Santoro l’ha molto ampliata et accomodata, di modo che è beniss(im)a habitatione per l’arcivesc.o”, ed ancora che, pur essendo antica, “è competente per quelli paesi, e per l’arcivescovo che per tempo ci habita”.[xxii]

Da una relazione dell’arcivescovo Alfonso Pisano di pochi anni dopo, sappiamo che Francesco Antonio Santoro, dopo aver iniziato l’opera di restauro dell’antico palazzo arcivescovile, si rese conto che, nonostante gli interventi di miglioramento, l’opera non risultava soddisfacente ed adeguata. Perciò decise di iniziare un nuovo palazzo accanto al vecchio. Quando il Santoro lascerà la città la costruzione non era stata ancora completata. Essa sarà proseguita dall’arcivescovo successore Alfonso Pisano (1587-1623), il quale, nel 1589, affermava che ormai, l’opera era giunta quasi a buon fine, e che egli vi aveva già impiegato una grande somma di denaro.[xxiii] Il Pisani che al suo arrivo, aveva trovato “l’habitatione dell’arcivescovo se bene antiqua non di meno comoda”, nei primi anni di presulato porta a compimento vicino alla chiesa il nuovo palazzo.

All’inizio del Seicento il nuovo palazzo era stato completato ed abbellito, e per far ciò l’arcivescovo aveva dovuto sborsare di suo “molta spesa”, non solo per la costruzione, ma “massime all’intempieture, et in far depingere alcune camere di esso di alcune historie del testamento nuovo et vecchio”.[xxiv] Il Pisani, infatti, aveva dovuto riparare il palazzo vecchio e completare quello nuovo progettato dal suo predecessore: “Il Palazzo vecchio che minacciava roina è stato riparato da Mons.r R.mo Alfonso Pisani, dal quale n’è stato fatto un altro novo al canto al vecchio designato p.a dalla b.m. di Mons. Fran.co Ant.o Santoro et da d.o Mons. Pisani finito con aggionta di due altre camere et una loggetta con belliss.a prospettiva.” Il palazzo arcivescovile attorniava la chiesa con i suoi cortili e le sue sale molto ampie e decorose. Esso conteneva l’archivio dove erano conservati i contratti e le scritture riguardanti la chiesa e la mensa arcivescovile e gli atti riguardanti i luoghi religiosi della diocesi.[xxv]

Santa Severina (KR), ingresso del palazzo arcivescovile, oggi sede del Museo Diocesano.

Il seminario

Come si legge in una relazione dell’arcivescovo Alfonso Pisani,[xxvi] il seminario fu eretto al tempo del Cardinale di Santa Severina Giulio Antonio Santoro (1566-1572), “qual vi comprò un palazzo vicino alla chiesa arcivescovale e l’accrebbe di fabrica” e lo dotò con una rendita annua di circa 140 ducati, provenienti da alcuni benefici.

Nel luglio 1571 il seminario è già costituito e si comprano delle costruzioni vicine per ingrandirlo. Il 28 luglio di quell’anno ne erano procuratori Donno Battista de Adamo e Donno Gio. Infosino, i quali acquistarono per il prezzo di ducati 50, dal nobile Mario Infosino, alcune case terranee “cum gisterna et casalenum”, in parrocchia di San Giovanni Battista, vicino alle case del seminario.[xxvii] Pochi anni dopo l’edificio, contiguo alla cattedrale, risulta “claustrato” ed amministrato da un rettore, mentre in esso possono starci “da quattordici a sedici scolari”, i quali sono istruiti da maestri nelle lettere greche e latine e nella musica e canto.[xxviii] All’insediamento dell’arcivescovo Alfonso Pisano (1587-1623), l’edificio accoglie 28 chierici, provenienti dalla città e dai paesi della diocesi; ognuno con un proprio letto.

Santa Severina (KR), scorcio del seminario visto attraverso l’arco che lo mette in comunicazione con il palazzo arcivescovile.

Le botteghe dell’arcivescovo

Da un atto notarile apprendiamo che, prima della metà del Cinquecento, in Santa Severina vi erano alcune botteghe situate in località La Piazza ed altre vicino alla cattedrale. Quest’ultime appartenenti all’arcivescovo, erano situate in parrocchia di San Giovanni Battista ed erano state costruite sul suolo di proprietà della chiesa.

Il 29 settembre 1544, presso il notaio di Santa Severina Matteo Cirigiorgio, il Reverendo D. Jacobo Rippa, per parte ed agente in nome dell’arcivescovo di Santa Severina Julio Sertorio, affermava che la chiesa arcivescovile possedeva “multas suas apotecas fabricatas et aedificatas sumptibus et denariis ipsius archiep.lis ecc.ae sitas et pos.tas intus dictam Civitatem in parrochia S.ti Jo.is bap.tae iux.a vias publicas ex duobus lateribus et jux.a dictam archiep.lem ecc.am et alios fines”. Tra queste, una si trovava “jux.a domum parvam terranam dictae archiep.lis ecc.ae quae habet januam suam p(ro)p(ri)am versus magnum cortilem dictae archiep.lis ecc.ae et jux.a domum ipsius Jo.is Phi.o (Sacco) via pu.ca mediante”, nel grande cortile della chiesa arcivescovile, confinante con la casa del nobile Philippo Sacco. La bottega sarà concessa in enfiteusi al Sacco con un contratto “de viginti novem annis in viginti novem annos ad renovandum”, dietro il pagamento di annui carlini 12 di argento da pagarsi nel mese di agosto. Quest’ultima come le altre, erano state costruite sul suolo che apparteneva alla chiesa arcivescovile.[xxix]

Di questa bottega troviamo traccia nelle entrate della mensa arcivescovile degli anni seguenti. Nei censi del 1548 si trova che “Lareda de m.s Joanfilippo sacho per la potiga nova”, paga un ducato ed un tari;[xxx] nel periodo 1555/1558 paga il censo Jo. Ber.o Sacco. In seguito, la bottega è trasformata in casa e nel 1564/1565, Jo. Bernardino Sacco paga un censo per la casa dove abita vicino alle case di Nicola Sacco.[xxxi]

Santa Severina (KR), ala del palazzo arcivescovile realizzata da Alfonso Pisano (1587-1623) e portone del seminario.

Le case di Gio. Pietro Bonaiuto

Tra i censi di Santa Anastasia riguardanti il periodo che va dal 1550[xxxii] al 1558,[xxxiii] è annotato che messer Gio. Cola Sfalanga, abitante in San Giovanni Battista, possedeva un ortale situato davanti alla chiesa di San Nicola. In seguito, l’ortale passò di proprietà e, nei censi del 1564, esso appartiene al messere Gio Pietro Bonaiuto, che abita in parrocchia di San Giovanni Battista vicino alla timpa.[xxxiv]

Nell’elenco dei censi della mensa arcivescovile del 1576, l’ortale confina con le case dello stesso Bonaiuto, la chiesa di San Nicola e la casa di donno Pietro de Gaudio;[xxxv] quest’ultimo aveva acquisito la casa per una permuta fatta l’anno prima con i coniugi Francesco Guarino e Faustina de Marrayeno.[xxxvi] Dagli stessi documenti si ricava che il Bonaiuto possedeva, sempre nella stessa parrocchia, oltre all’ortale, anche due case terranee che erano appartenute allo stesso Gio. Cola Sfalanga. Il 2 dicembre 1574, per atto del notaio Marcello Santoro, il magnifico Ioannes Petro Bonaiuto affitta al mag.co Victorio de Orangia de Abrigliano, tutte le sue case “cum stalla”, situate in parrocchia di San Giovanni Battista, “jux.a domos m.ci Joannis Bap.tae Scorò jux.a ecc.am S.ti Nic(ola)i viam publicam et ripas dictarum domorum”, eccetto solamente due camere dalla parte destra del cortile con l’orto che conserva per suo uso. L’affitto ha la durata di due anni ed inizia dal giorno di Natale a ragione di ducati 30 annui.[xxxvii] Ritroviamo l’abitazione e l’orto del Bonaiuto in parrocchia di San Giovanni Battista, vicino alla chiesa di San Nicola, nella platea della mensa arcivescovile del 1576: “Jo Petro Bonaiuto possiede una casa terranea jux.a la casa di Micheli Jaquinto stritto mediante la via pu.ca convicinale e la casa di donno Jo. Petro de Gaudio fo de lo barberi … l’ortale jux.a le case di esso m.co jo. Petro la ecc.a di s.to Nicola et la casa di detto donno Jo. Petro de Gaudio.”[xxxviii]

Un atto notarile successivo ci informa che, anni prima, il Bonaiuto aveva affittato parte delle sue case al conte di Santa Severina Andrea Carrafa, interessandosi al loro restauro. Il 12 maggio 1582, il nobile Gio. Pietro Bonaiuto, in presenza di Vespasiano Marsano, procuratore del conte di Santa Severina Vespasiano Carrafa, dichiarava che, in passato, il fu conte di Santa Severina Andrea Carrafa (1556-1564), figlio ed erede di Galeotto e padre di Vespasiano, “posset et valeat habitare” alcune sue case dentro la città di Santa Severina, situate “jux.a domos m.ci J.nis Vincentii Scorò et alias domos ipsius m.ci Joannis Petri (Bonaiuti) et viam publicam”. Per poterle migliorare per uso di abitazione, le due parti avevano convenuto che lo stesso Gio. Petro Bonaiuto si interessasse al restauro, ricevendo dalle mani di Vespasiano Carrafa, attuale conte, ducati 100, più altri 100 sopra dette case, dagli eredi del fu Victorio de Orangia, che lo stesso conte promise pagare.

Volendole migliorare per uso ed abitazione del conte, il Bonaiuto vi spese la somma di trecentoventiquattro ducati e grana quindici, così ripartiti: “In p.s per compra delle legname et chiodi docati sessanta doi. Per giornate delli mastri docati septanta quattro et carlini quattro e mezo. Per giornate de manipoli docati octanta tari uno et grana dece. Pagato alli victorali per portatura de acqua calce rena docati cinquanta doi et uno tari. Per calce comperata docati trenta et uno tari. Per acqua docati octo et uno tari. Per rena docati nove. Per petra docati sette et tari tre”. Il Bonaiuto dichiarava che, di questa somma, ducati 24 e grana 15, lo stesso Marsano li rilasciò al Bonaiuto, forse per i suoi servizi, o forse per errore nel calcolo della spesa per aggiustare le case, contro la volontà dello stesso Bonaiuto. Dichiarava inoltre che le case furono migliorate con denaro del conte Vespasiano.[xxxix]

Sempre in questi anni Vincenzo Migale costruì a sue spese una casa ed un casalino sul suolo del Bonaiuto ed accanto alle sue case. Il 17 gennaio 1589 Gio. Petro Bonaiuto fa testamento. Tra i capitoli vi è: “Item dico dovere donare a m.s domenico de orangia patre del q.o victorio de orangia docati cento … li quali ha promesso pagharli l’Ill.mo S.r Vesp.o Carrafa conte di S. S.na, et voglio che li her.di mei si faccino conto con detto Ill.mo S.r conte delle spese fatte non necessarie alle case che hanno fabricato et quello che detto S.r ha speso legname her. mei li voglino paghare o si accomodino detto S.r conte per le case come meglio potranno fare … Lascio ad vinc.o mighale la casa et casalino dove habita al presente vicino le case mie et le case di michele Iaq.ta le quali case si l’ha fatto esso a sue spese voglio che non li sia dato fastidio. Lascio ad Rosa Panevino per servizi receputi da lei da trenta anni incirca la presente camera con la camera seguente intro Santa Severina et p.pe intro l’hortale iux.a la via pu.ca et l’altre camere mie”.[xl]

Morto Gio. Pietro Boniuto ereditò le case Celio Longo. Il 16 marzo1589 Celio Longo, figlio della fu Elisabetta Bonaiuto ed erede del nonno Gio. Pietro Bonaiuto, possiede “una cam(a)ra dove stava detto Jo. Petro vicino la timpa. Unaltra camara contigua. Una continenza di case grande vicino la p.ta cam(a)ra con cortiglio gisterna grande, loggie et altri appartamenti li quali li tene l’Ill.mo S.r Conte di S(an)ta S(everi)na”.[xli]

Santa Severina (KR), la chiesa di San Giovanni Battista (da archeomedia.net).

Le case dell’arcidiacono Gio. Francesco Modio

Le case della casata dei Modio (o del Moyo) erano formate dall’insieme delle abitazioni dei diversi appartenenti alla famiglia. Esse erano situate in parrocchia di San Giovanni Battista ed erano vicino alle case della Corte. L’arcidiacono Gio. Francesco Modio aveva ereditato le sue case dal padre Petruczo. Queste confinavano, via mediante, con le case dei Caponsacca e si affacciavano sul Campo. Durante il periodo in cui furono abitate dall’arcidiacono furono ampliate.

La prima notizia sull’esistenza delle case di Petruczo Modio proviene da un lascito al capitolo. Il 6 dicembre 1534 moriva “brigita de bruno”, lasciando una casa al capitolo; questa era situata nella parrocchia di San Giovanni Battista, e confinava con la casa del messere Petruccio del Moyo, la casa di Paulo Cosentino e la “vinella dereto”.[xlii] Sappiamo che nel 1563, l’arcidiacono aveva già avuto dal padre come dote spirituale, una parte delle case paterne e le aveva ampliate, acquisendo dal capitolo una casa confinante. Nella platea del capitolo del 1580, troviamo che: “Il R.do Gio. Francesco Modio arcidiacono tiene una casa terrana jux.a la casa di Margarita Defina, e le case di Mad.a Gesimina Caponsacca e li casalini di M.s Luca Antonio Modio rende al capitolo anno quolibet carlini quattro”.[xliii] La casa era appartenuta a “Viatrice delo Priolo” che la aveva data al capitolo. Quest’ultimo in data 29 agosto 1563, la aveva poi concessa all’arcidiacono per il censo perpetuo di carlini quattro.[xliv]

Sempre in questi anni il fratello dell’arcidiacono, il dottore nei due diritti Hettore Modio, acquista una casa confinante con quella dell’arcidiacono, dalla nipote di Margarita de Leo. Nella platea del SS.mo Sacramento del 1566, troviamo: “Have de censo sup.a la casa de margarita de leo (morta) quale casa et confine la casa de paulo cosentino et donno Gio. fran.co del moyo alla parrocchia di S.to Gio. Batt.a et rende anno colibet carlini sette (0 – 3 – 10) se possede per il S.or Hettorre Modio U.J.D. per vendita fattali dalla nepote de margarita”.[xlv] In seguito l’arcidiacono, forte della sua posizione, acquisì altri edifici, tanto da formare un insieme composto da una casa palaziata, da una casa terrana e da due casalini.

Il 24 settembre 1584, con atto del notaio Marcello Santoro, l’arcidiacono donò tutti i suoi beni ai fratelli Renaldo e Hectore Modio. Tra questi vi è “una casa palaziata con tre solari et una camara contigua et con cortiglio et membri inferiori dove al presente habita sita e posta intro detta città nella cappella di S(an)to Jo. bb.a confine le case dela Corte via m(edian)te le case foro de la q. m.ca Aur.a Capisacca le case foro del q. m.co Petruzzo delo Moio suo P(at)re muro coniucto et altri confini, quale case forno donate ad esso S.r Arcid(iacon)o dal detto q.o suo P(at)re anticipatam(en)te per promoversi ad or(di)ne sac(acerdotal)e come appare per pu(bli)ci Instr(umen)ti … Item uno casalino confine dette case et confine le dette case dela Corte vinella mediante con la casa di Cater(in)a Carnopoli. Item uno casalino posto intro detta parrochia confine la casa dove habita Marg(ari)ta de Leo ch’è del S.mo Sacramento, le case de l’heredi del q.o m.co Lucant(oni)o de Moio, la casa di D. Jo. Petro Gaudio et altri confini franche et libere sine onere. Item una casa terrana confine le case di detta mag.ca Aur.a ut s.a muro coniuncto a la casa detta Mag.ta ut s.a per rendita al R.do Cap.lo di S. S.na annui car.ni tre. Item uno casalino posto intro detta Parrochia muro coniuncto con la casa di Caterina Letteri confine la casa dove al presente habita lo R.do Arciprete Mer(curi)o Grutteria vinella med(ian)te et rende alla mensa arcivescovale uno car. no l’anno”.[xlvi] In seguito, parte delle case dei Modio passarono in potere di Marcello Barracco.

Il 24 ottobre1588 Polisena Susanna, vedova di Lucantonio Modio, ed i figli Gio. Battista, Gio. Petro, e Giulio Cesare, dotano la figlia e sorella Geronima, che va sposa a Marcello Barracco di Cosenza. Tra le doti vi è “una continentia di case palaciate dove al presente habitano essi S.ri dotanti consistentino in cinque membri dentro la Città p.ta de S.ta S.na a la parrocchia di S.to Jo. bap.ta iux.a le case dela q.o Aur.a Caposacca et lo campo pu.co”. Le case sono stimate ed apprezzate per 170 ducati.[xlvii]

Santa Severina (KR), l’area circostante la chiesa di San Giovanni Battista (indicata dalla freccia).

Le case degli Infosino

Mario Infosino possedeva una casa palaziata e due case terranee “cum gisterna et casalenum”. Le case erano vicine alle case del seminario e alle case di Laura Infosino, moglie di Gio. Vincenzo Infosino, in località “sopra la scalilla”. Anche Alessandro Infosino e la madre Antonella Trombatore, vedova di Joanne Martino Infosino, possedevano delle case vicino alle case di Julia Infosino e del fratello Horatio, vicino alle “ripas et ecclesiam Santae Mariae”.

26 settembre 1570. Mario Infosino possiede “domos duas terraneas sitas et positas intus Civitatem p.tam in parrocchia S.ti Jo.is Bap.tae loco dicto sop.a la scalilla iux.a domum palatiatam ipsius m.ci Marii, domum Jo.is Petri Carusii vinella med.te viam pu.cam et alios fines”.[xlviii] 28 luglio 1571. Il m.co Mario Infosino possiede alcune case terranee “cum gisterna et casalenum”, in parrocchia di San Giovanni Battista, vicino alle case del seminario. Le vende ai procuratori del seminario Donno Battista de Adamo e Donno Gio. Infosino per ducati 50.[xlix] 26 gennaio 1577. Le case del fu Mario Infosino in parrocchia di San Giovanni Battista, “iux.a domos m.cae Laurae Infosinae”, moglie di Gio. Vincenzo Infosino.[l] 21 novembre 1576. La casa del m.co Alessandro Infosino in parrocchia di San Giovanni Battista, “jux.a domum m.ci francisci rasis jux.a alias domos ipsius m.ci Alex.i”.[li] 15 aprile 1577. Già nel 1570 Alessandro Infosino e la madre Antonella Trombatore, possedevano delle case in parrocchia di San Giovanni Battista, “jux.a domos m.ce Julie Infosino et m.ci Horatii sui fratris jux.a ripas et ecc.am S.te M.e ac viam pu.cam”.[lii]

Le case della famiglia Jaquinta

La casa del mastro Giovanni Jaquinta confinava con la casa di Giovanni Millesimo. Raymo, figlio ed erede di Giovanni Millesimo, lascia la casa al capitolo, il quale la scambia con una casa dei Jaquinta che si trova alla piazza. Giovanni Jaquinta amplia così la sua abitazione che è situata “supra lo palazo de lo archiepiscopato”.

Il 3 maggio 1504 Giovanni Millesimo fa testamento, designando eredi i figli Francesco e Raymo. Lascia alla moglie Palma la casa terranea situata in parrocchia di San Giovanni Battista, “iuxta domum Iohannis Iaquintae, Francisci Iaquintae, viam publicam et alios fines”, dove il Millesimo attualmente abita.[liii] “In mense junii XIIII Ind. (1541) passo de questa p.nte vita donno raimo M(illesim)o et lasso una sua casa franca allo Cap.o quale casa e in la parrochia de S.to Joanni bb. confine la casa di mastro Joanni Jaquinta quale casa e supra lo palazo de lo archiep.to. La sup.ta casa fo scambiata per lo Reverendo Cap.lo con mastro joanni iaquinta per uno palazio alla piaza”.

Santa Severina (KR), salendo alla piazza detta “il Campo” (da voloscontato.it).

Altre case

La casa palaziata portata in dote da Crucetta de Scigliano al marito Salvatore Grandello, che confina con la casa di Andrea de Ragona, è venduta al Ragona che amplia così la sua abitazione. 12 novembre 1570. Crucetta de Scigliano sposa Salvatore Grandello di Cutro, portandogli in dote una casa palaziata in parrocchia di S. Giovanni Battista, “jux.a la casa di cola strati et andrea de raghona e la via pu.ca”.[liv] 14 gennaio 1572. I coniugi Salvatore Grandello e Crucetta Scigliano, possiedono una casa palaziata in parrocchia di San Giovanni Battista, che cedono per ducati 13 ad Andrea de Ragona. La casa palaziata è posta “iux.a domos ipsius Andreae domum her. Stasi et viam pu.cam”.[lv]

Le case di Anselmo Scorò. 11 marzo 1571. Donno Anselmo Scorò possiede la “domum sitam in parrocchia S.ti Jo. bap.tae jux.a domum aliam ipsius Io. Anselmi jux.a domum Jo.bap.tae de piris viam mediantem”.[lvi]

Le case di Angelo de Luca. 10 ottobre 1573. Il Reverendo Anibale Infantino possiede una casa palaziata in parrocchia di San Giovanni Battista, “jux.a domum quae fuit q.o Angeli de Luca jux.a casalenum heredi delo Genuse vinellam pu.cam et al.s fines”. La vende per ducati 36 al magister Mario Caivano.[lvii] Nello stesso giorno il Caivano dona la casa al figlio Gaspare, in modo che possa più facilmente accedere ai gradi ed agli ordini sacerdotali e possa vivere più comodamente.[lviii] 3 febbraio 1575. I coniugi Francesco Guarino e Faustina de Marrayeno, possiedono una casa terranea dentro la città in parrocchia di S. Giovanni Battista, “iux.a hortale m.ci Joannis Petri Bonaiuti rupes dele Volte di Angelo de Luca et ipsius domus ac alios fines et viam pu.cam”. La permutano con un terreno che appartiene a donno Petro de Gaudio.[lix]

La casa palaziata dei Dormiglioso. 10 novembre 1573. I fratelli Antonio e Francesco Dormigliuso possiedono una casa palaziata “intus dictam Civitatem in parrocchia S. Joannis Bap.tae iux.a domum ipsius Julio (Strati) ripas S.tae Caterinae”. La vendono a Julio Strati per ducati 20.[lx] I due fratelli, figli ed eredi di Gio. Dormigliuso, poiché possiedono in comune una casa palaziata in parrocchia di San Giovanni Battista, “jux.a domum m.ci Her. fran.ci Vici D.ni viam pu.cam”. Nello stesso giorno Francesco Domigliuso vende al fratello per ducati 23, la sua metà della casa.[lxi]

La casa dei Falanga. 25 febbraio 1575. Donna Hieronima Falanga possiede un casalino in parrocchia di San Giovanni Battista, che vende per ducati 6 ad Altilia Macri. Il casalino è “jux.a domum ipsius Altiliae et domum Trinitatis S.mae et viam pu.cam”.[lxii] 27 giugno 1582. Donna Silva de Sfalanga dota la figlia Galerana Archimanno che va sposa a Hyppolito Poeri. Tra le doti vi è “una casa palaciata consistente in una sala et una camara posta alla cappella di S.to J.ni Batt.a intro S.ta Sev.na jux.a la casa dell’her. di Jo. dom.co jaquinta la via pu.ca e li casilini di essa Silva et via pu.ca”.[lxiii]

La “Scalilla”

1548, 1550, 1555-58, 1564.[lxiv] “sucto la Scalilla” si trova la casa di messer Girolamo de Sindico (S.to Angelo). Sempre sotto la Scalilla nel periodo 1564-54, si trova la casa di messer Gio Vincenzo del Sindico.[lxv] 26 settembre 1570. Mario Infosino possiede “domos duas terraneas sitas et positas intus Civitatem p.tam in parrocchia S.ti Jo.is Bap.tae loco dicto sop(r)a la scalilla iux.a domum palatiatam ipsius m.ci Marii, domum Jo.is Petri Carusii vinella med.te viam pu.cam et alios fines”.[lxvi]

Note

[i] AASS, Fondo Arcivescovile, cartella 16B.

[ii] Russo F., Regesto, IV, 18097.

[iii] Russo F., Regesto, IV, 18141.

[iv] Russo F., Regesto, IV, 20491.

[v] Russo F., Regesto IV, 20534

[vi] AASS, Fondo Arcivescovile, protocollo Santoro M., vol. III, ff. 118v-119.

[vii] AASS, Fondo Arcivescovile, volume 2A.

[viii] Russo F., Regsto, V, 25721.

[ix] Visitatio ap.lica Sanctae Severinae, 1586.

[x] AASS, Fondo Arcivescovile, protocollo Santoro M., vol. XI, f. 48.

[xi] AASS, Fondo Arcivescovile, volume 3A.

[xii] Il primo giugno 1564 i confrati si riuniscono dentro la metropolitana “p.prie in cappella nova constructa per Sanctissimo Sacramento”. AASS, Fondo Capitolare, cartella 1D.

[xiii] Le cappelle di patronato della Metropolitana, in Siberene, Cronaca del Passato per le Diocesi di Santaseverina – Crotone – Cariati, a cura di G. B. Scalise, 1999, p. 180.

[xiv] Pesavento A., La cattedrale scomparsa di S. Leone “graecus”, in La Provincia KR n. 16, 1998.

[xv] ASV, Rel. Lim. S. Severina., 1589.

[xvi] ASV, Rel. Lim. S. Severina., 1603.

[xvii] ASV, Secr. Brev. 490, ff. 23-24.

[xviii] ASV, Rel. Lim. S. Severina., 1621.

[xix] AASS, Fondo Capitolare, cartella 3D fasc. 1.

[xx] Ughelli F., Italia Sacra, IX, 489.

[xxi] Relatione dello stato della chiesa metropolitana di Santa Severina, 1589.

[xxii] ASV, Visitatio Ap.lica – Sanctae Severinae, 1586, SCC Visit. Ap. 90.

[xxiii] ASV, Rel. Lim. S. Severina., 1589.

[xxiv] ASV, Rel. Lim. S. Severina., 1603.

[xxv] Pesavento A., Il palazzo arcivescovile e il seminario di Santa Severina, www.archiviostoricocrotone.it

[xxvi] ASV, Rel. Lim. S. Severina., 1589.

[xxvii] AASS, Fondo Arcivescovile, protocollo Santoro M., vol. II, ff. 106-107.

[xxviii] ASV, Rel. Lim. S. Severina., 1589.

[xxix] AASS, Fondo Arcivescovile, volume 2A.

[xxx] AASS, Fondo Arcivescovile, volume 3A, f. 65v.

[xxxi] AASS, Fondo Arcivescovile, volume 5A, f. 50v.

[xxxii] AASS, Fondo Arcivescovile, volume 3A, f. 93.

[xxxiii] AASS, Fondo Arcivescovile, volume 4A, f. 36v.

[xxxiv] AASS, Fondo Arcivescovile, volume 3A, f. 84v.

[xxxv] AASS, Fondo Arcivescovile, cartella 13B.

[xxxvi] AASS, Fondo Arcivescovile, protocollo Santoro M., vol. V, ff. 87v-88.

[xxxvii] AASS, Fondo Arcivescovile, protocollo Santoro M., vol. V, f. 30.

[xxxviii] AASS, Fondo Arcivescovile, cartella 13B.

[xxxix] AASS, Fondo Arcivescovile, protocollo Santoro M., vol. IX, ff. 103-104.

[xl] AASS, Fondo Arcivescovile, protocollo Santoro M., vol. XI, f. 68.

[xli] AASS, Fondo Arcivescovile, protocollo Santoro M., vol. XI, ff. 82-84.

[xlii] AASS, Fondo Capitolare, cartella 1D, f. 10v.

[xliii] AASS, Fondo Capitolare, cartella 1D fasc. 6.

[xliv] AASS, Fondo Capitolare, cartella 1D, f. 92v.

[xlv] AASS, Fondo Capitolare, cartella 1D fasc. 3.

[xlvi] AASS, Fondo Arcivescovile, protocollo Santoro M., vol. X, f. 22.

[xlvii] AASS, Fondo Arcivescovile, protocollo Santoro M., vol. XI, f. 45.

[xlviii] AASS, Fondo Arcivescovile, protocollo Santoro M., vol. II, f. 18.

[xlix] AASS, Fondo Arcivescovile, protocollo Santoro M., vol. II, ff. 106-107.

[l] AASS, Fondo Arcivescovile, protocollo Santoro M., vol. VI, f. 142.

[li] AASS, Fondo Arcivescovile, protocollo Santoro M., vol. VI, f. 77.

[lii] AASS, Fondo Arcivescovile, protocollo Santoro M., vol. VI, f. 216.

[liii] AASS, Fondo Pergamenaceo, pergamena 79.

[liv] AASS, Fondo Arcivescovile, protocollo Santoro M., vol. II, f. 24.

[lv] AASS, Fondo Arcivescovile, protocollo Santoro M., vol. III, f. 55.

[lvi] AASS, Fondo Arcivescovile, protocollo Santoro M., vol. II, f. 60.

[lvii] AASS, Fondo Arcivescovile, protocollo Santoro M., vol. IV, f. 20.

[lviii] AASS, Fondo Arcivescovile, protocollo Santoro M., vol. IV, f. 21.

[lix] AASS, Fondo Arcivescovile, protocollo Santoro M., vol. V, ff. 87v-88.

[lx] AASS, Fondo Arcivescovile, protocollo Santoro M., vol. IV, f. 31.

[lxi] AASS, Fondo Arcivescovile, protocollo Santoro M., vol. IV, f. 32.

[lxii] AASS, Fondo Arcivescovile, protocollo Santoro M., vol. V, f. 89.

[lxiii] AASS, Fondo Arcivescovile, protocollo Santoro M., vol. IX, f. 122.

[lxiv] AASS, Fondo Arcivescovile, volume 3A, ff. 52v (1548), 83v (1550), 173v (1564). Ibidem, volume 4A, f. 2v (1555-58).

[lxv] AASS, Fondo Arcivescovile, volume 5A, f. 44v.

[lxvi] AASS, Fondo Arcivescovile, protocollo Santoro M., vol. II, f. 18.


Creato il 4 Marzo 2015. Ultima modifica: 10 Aprile 2023.

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