La forma urbis medievale
Questa ricerca è stata condotta con l’intento di offrire un contributo alla conoscenza degli abitati medievali, un apporto realizzato sulla base di fatti documentati e usando metodologie verificabili. Il Crotonese costituisce a questo scopo un campo d’indagine privilegiato. La presenza della polis greca e di altre realtà antiche, infatti, unita in molti casi alla frequentazione continua dei luoghi, legata alla loro particolare importanza durante il Medioevo, consentono di poter cogliere il loro mutare.
Terre e territori
Gli atti notarili medievali e i privilegi di questo periodo, al pari di quelli che troviamo anche in seguito durante l’età moderna, con il loro linguaggio giuridico, identificano in qualità di “terra”, un abitato la cui popolazione in possesso dei diritti civici (“li citadini”),[i] aveva giurisdizione nell’ambito di un “territorium”, dal quale traeva tutto il sostentamento necessario per la propria esistenza. Anche gli abitati detti semplicemente “casali” possedevano un proprio territorio, sempre comunque appartenente alla giurisdizione di una terra, per la quale tale territorio costituiva un “tenimentum” nelle proprie “pertinentiis” che, quando era confinante, risultava essere nel proprio “districto”.
Questa organizzazione comincia a comparire in Calabria in un ben determinato momento storico. Come documenta un “Brébion” che si fa risalire a “vers 1050”, a quel tempo la metropolia di “Reggio di Calabria” (ʽΡηγίῳ Kαλαβρίας), “che esisteva nei primi del secolo IX”,[ii] deteneva numerosi possedimenti, in varie parti della regione, che non risultavano ancora compresi entro un unico territorio diocesano.[iii] L’avvento del feudalesimo, conseguente alla conquista della Calabria da parte dei Normanni, verso la metà del sec. XII, comportò, invece, che per ogni abitato fosse definito un suo territorio, circoscritto attorno ad esso attraverso un confine continuo, dove la sua popolazione deteneva i propri possedimenti e godeva dei propri diritti.
Una nuova organizzazione che, nel caso degli abitati più antichi, poteva risentire del precedente passato. Come a Isola, per esempio, sede vescovile insignita dal titolo di città (“civitas”), suffraganea della metropolia di Santa Severina, dotata quindi di una propria diocesi, nella quale però, esistevano anche alcuni possedimenti della chiesa vescovile di Crotone e vi godevano gli usi civici i cittadini di quest’ultima città, in quanto Isola era un loro casale.[iv]
Il modello
Alcuni riscontri con quanto leggiamo nei documenti ci sono offerti dalla fotografia aerea che, spesso, in maniera sorprendente, conserva ancora i segni lasciati dagli antichi interventi dell’uomo, in particolare quando si tratta delle mura di un abitato[v] che, al pari dell’esoscheletro di un insetto, hanno costituito per esso un limite invalicabile per molto tempo, segnando le tappe del suo sviluppo in epoche precise.
Nel nostro caso, un lungo studio su base documentaria, condotto nel Crotonese utilizzando questo mezzo, ha permesso di evidenziare l’esistenza di un modello urbano comune a tutti i suoi abitati, rappresentato da un circuito ovale, riconducibile all’impianto medievale di questi centri. Un modello menzionato dalle fonti, come ad esempio, nel caso di Santa Severina “che hà l’aspetto circum circa” di “figura olipse”,[vi] o quello di Catanzaro: “Questa Città è di figura ovale, et allungasi col restringersi dalla parte Montana volta al Settentrione; Ha il circuito di quattro miglia”,[vii] dimostrando di avere origini remote, come evidenziano alcune antiche testimonianze assire ed egizie, dove la città è simboleggiata da un incrocio ortogonale tra due vie circoscritto da una cinta muraria.
Questa stessa rappresentazione compare anche nel Medioevo nel caso di Gerusalemme, di cui troviamo un esempio in un mosaico esistente nella chiesa di S. Giorgio a Madaba in Giordania (sec. VI d.C.), dove la città santa appare dotata di un perimetro murario ovale, in cui si aprono le sue porte, da cui transitano le strade principali dotate di portici che l’attraversano. Un simbolismo riferibile alla funzione protettiva del guscio dell’uovo, che lascia pensare a quella assunta dalla città medievale nei confronti della popolazione urbana, come esprime, ad esempio, la famosa leggenda di Napoli legata alla figura di Virgilio, secondo cui, l’integrità della città e quella del suo castello detto dell’Ovo, in ragione di questo fatto, ovvero della sua antica forma, sarebbero rimaste preservate fino a quando si fosse mantenuto integro un uovo magico, che il poeta aveva riposto nel luogo più remoto del castello.
Antichi e nuovi abitati
Secondo il racconto di Procopio di Cesarea, che ci descrive gli avvenimenti riguardanti la guerra greco-gotica (535-553 d.C.), Bellisario approdò nel porto di Crotone “non trovando ivi alcuna fortificazione”.[viii] A quel tempo, infatti, la città manteneva ancora il suo antico assetto originario, con un’acropoli che costituiva l’unica sua parte difesa da mura, mentre la restante area abitata circostante ne era priva, e bisognerà attendere parecchio prima di poter apprezzare cambiamenti significativi.[ix] I primi possono essere fatti risalire al tempo della campagna di riconquista condotta dallo “stratego di Calabria” Niceforo Foca il Vecchio (885-886),[x] all’indomani della quale, assistiamo ad una riorganizzazione del potere vescovile nel Crotonese, attraverso la creazione di nuove città.
Risale infatti a questo periodo la “Néa tacticà”, o “Diatyposis”, compilata al tempo di Leone VI il Filosofo (886-911), che elenca le metropoli e le diocesi soggette al patriarcato di Costantinopoli, dove, per la prima volta, compare la metropolia di “Santa Severina di Calabria” (Ἁγίᾳ Σευηρινῇ τῆς Kαλαβρίας), con quattro nuovi vescovati suffraganei: Umbriatico (ὁ Eὐρυάτων), Cerenzìa (ὁ ’Aϰερεντίας), Belcastro (ὁ Kαλλιπόλεως) e Isola (ὁ τῶν ’Aησύλων),[xi] fatto che si realizza in coincidenza con l’inizio della fase detta di “Incastellamento” che, in tutta l’Europa medievale, determinò la rifondazione dei centri abitati dell’epoca romana più esposti, in una posizione arroccata più sicura nelle aree interne.[xii]
Segni di questo arroccamento possono essere colti in tutti i casi riguardanti questi vescovati, anche a Isola che, pur essendo una realtà litoranea, fu edificata sopra un rilievo che domina un ampio pianoro, dimostrando un arretramento nell’interno, rispetto alla villa romana che sorgeva presso il mare in località “Antiopoli”,[xiii] dove, secondo i suoi vescovi, era l’antica città (Antipoli = la città di Anteo) mentre, dopo la sua distruzione compiuta dai Saraceni, sarebbe stata trasferita nel luogo attuale.[xiv] A ricordo dell’antico abitato romano rimarrà il toponimo “Civiti”, o “Li Civiti”, che ricorre ancora in documenti del Settecento.[xv]
Accanto alle nuove città di Santa Severina, Umbriatico, e Isola, dove la cattedrale occupa la sommità del luogo dove fu realizzato l’abitato, delimitato da un perimetro murato ovale, a Belcastro, invece, questa posizione dominante è occupata dal castello baronale, mentre la cattedrale si trova presso i limiti del circuito murario. Giustificanno ciò le trasformazioni che determinarono il venir meno della città di “Callipolis” (ὁ Kαλλιπόλεως), documentata verso la fine del IX-inizi del X secolo,[xvi] e la comparsa di quella di “Gynaikokastron” (Castello della Signora), detta poi Belcastro dal 1331, che troviamo per la prima volta in un atto del 1107.[xvii]
Anche se meno apprezzabile, in quanto il suo abitato fu abbandonato poco dopo la metà dell’Ottocento, evidenzia un assetto simile anche Cerenzìa, dove, circa un secolo prima, potevano ancora essere distinte le sue tre emergenze urbane principali: in luogo dominante svettava la cattedrale di San Teodoro, circondata dal suo ampio giardino, mentre, dalla parte opposta, c’era l’area in cui era esistito il castello feudale, di cui però rimaneva soltanto il ricordo nel toponimo. Tra questi due poli urbani si estendeva la “Falarocca”, o “Palarocca” (Paleorocca ?), che costituiva al tempo la parte in cui si concentrava la maggiorparte della popolazione, dove si apriva la porta principale della città.[xviii]
Le nuove cattedrali
Strongoli, toponimo riferito alla forma circolare della città: “Strongylon, quod est mons in girum elatus”,[xix] risulta menzionata per la prima volta da Edrisi, verso la metà del sec. XII (’.st.runǵ.lî).[xx] L’abitato medievale, realizzato dove nel passato era esistita la città romana di Petelia, verso la metà del secolo XI, risultava un casale appartenente alla metropolia di Reggio: “Ptéléa” (Xωρίoν Ἡ Πτελέα),[xxi] mentre, più tardi, la città è elencata tra le diocesi suffraganee della metropolia di Santa Severina nel Provinciale vetus di Albino, che risale alla fine del sec. XII.[xxii]
La sua cattedrale sorge presso il limite delle mura medievali, dove più tardi il vescovo Timoteo Giustiniani (1568-1571) farà erigere una torre per fortificare il suo palazzo, ma che rimase imperfetta e fu completata solo al tempo del vescovo Claudio Vico (1590-1600).[xxiii] Questo assetto che trova confronto anche nel caso di Catanzaro, “rocca di bella costruzione”, anch’essa menzionata per la prima volta da Edrisi,[xxiv] evidenzia quella che possiamo ritenere la posizione occupata dall’antico castellum vescovile che, rispetto all’abitato, doveva “ad stare mezo dentro la città, et mezo fora, sincome se usava anticamente”, come ci descrive nel caso di Napoli, Pierantonio Lettieri verso la metà del Cinquecento, riferendo dei criteri adottati per la realizzazione dei castelli durante i secoli passati.[xxv]
Presso le antiche mura medievali sorgevano anche la cattedrale ed il palazzo vescovile di Crotone. Agli inizi del sec. XII, la città aveva un castello in posizione dominante, rappresentato ancora dal suo “antico Castello”, l’antica “arx” dotata di mura fin dal sec. IV a.C. menzionata da Tito Livio,[xxvi] che, dalla sommità della timpa della Capperrina, raggiungeva quella dell’attuale castello,[xxvii] e un abitato compreso entro un circuito murario posto a munire il suo promontorio, che si sviluppava lungo un perimetro ovale di circa 770 m, racchiudendo un’area di oltre quattro ettari e mezzo. All’esterno delle mura della città, invece, in “Maritima di Cotrone”,[xxviii] area portuale già urbanizzata in età antica, esisteva la parte abitata detta “suburbium Cotroni”,[xxix] poi “sub burgo dite civitatis cutroni” che, dai pressi del fiume Esaro, si estendeva fino alla “Piscaria”.[xxx]
Trova analogie con questo assetto di Crotone quello della città di Cosenza, antica realtà urbana formatasi verso la metà del sec. IV a.C. Anche qui, infatti, troviamo il castello medievale nel luogo in cui doveva sorgere l’antico “castellum” esistente al tempo del tiranno siracusano Dionisio II, come riferisce il racconto di Pompeo Trogo riassunto da Giustino,[xxxi] mentre, presso la confluenza dei fiumi Crati e Busento, a controllo dei due attraversamenti, si evidenzia l’abitato difeso da una cinta muraria di forma ovale.
Fuori da queste mura, invece, in un’area cimiteriale di epoca antica, nel 1222 fu consacrata la cattedrale che, in precedenza, però, la tradizione locale riportata da un manoscritto anonimo del sec. XIX, conservato alla Biblioteca Civica di Cosenza, ricorda dedicata a “San Pancrazio” e individua “nel castello”.[xxxii] Secondo una tradizione popolare, anche la primitiva cattedrale di Crotone non sarebbe stata quella attuale, mentre troviamo nel castello la chiesa di “S. Dionigi Areopagita Sommo Protettore, et defensore della Città di Crotone”.
Terre e castelli
Rispetto alla figura di San Dionisio Aeropagita, primo vescovo e patrono di Crotone, le cui origini rimandano alla prima cristianizzazione della città di provenienza orientale, diverse appaiono, quelle dei santi prescelti come patroni delle città vescovili che, sul finire del sec. IX, furono erette lungo il confine interno del Crotonese. Si tratta di figure care alla cultura guerriera, come San Michele Arcangelo a Belcastro, San Teodoro a Cerenzìa e San Donato a Umbriatico, che esprimono la volontà di queste comunità di confidare nella loro protezione/difesa. Una circostanza evidentemente legata al particolare momento storico in cui queste sorsero, caratterizzato dalla lotta per la riconquista del territorio, condotta dai Bizantini contro i Longobardi e i Saraceni.
Più tardi, invece, la militarizzazione di diversi centri del Crotonese è evidenziata dal fatto che, in alcuni casi, essi compaiono nei documenti con l’appellativo di καστελλίου-castellum, come ad esempio a Cirò (“castellum, quod dicitur Psichro”, 1115), oppure di κάστρου-castrum, come si trova per la stessa Cirò (“castrum Ipsigro”, 1269),[xxxiii] a Umbriatico (“feudi castri Umbriatici”, 1272),[xxxiv] a Melissa, dove il “castrum Melisse” compare fin dai primi documenti prodotti dalla cancelleria angioina,[xxxv] o come troviamo in seguito a Caccuri durante il Trecento (“Squarcius de Riso Castri Caccurii dominus”, 1355),[xxxvi] a Zinga (“terra seu castrum Cingle”, 1444),[xxxvii] o a Cariati.
In quest’ultimo caso, dopo la devastazione di “Cariatum” e la sua distruzione condotta da Roberto il Guiscardo (1059),[xxxviii] la nuova “terra” di Cariati (Kαριάτoυ)[xxxix] fu rifondata presso il mare, e più tardi la troviamo in qualità di “castrum”,[xl] sbarrare l’antica e importante strada romana proveniente da Capua, diretta a Reggio lungo il versante ionico, già menzionata nell’Itinerario Antonino,[xli] e detta ancora “capuana” nella seconda metà del Cinquecento.[xlii]
Questo ruolo militare da cui discende l’appellativo di “castellum”, o dell’omologo “castrum”, indipendentemente che si tratti di città, terre, o casali, più che essere riconducibile all’esistenza di un particolare apparato fortificato, dimostra di riguardare l’ampiezza dei poteri locali dei castellani che, in alcuni casi, si estendevano anche all’abitato. Per questa loro particolare funzione strategica, poi, la connotazione di “castellum”, o di “castrum”, risulta addirittura fissata nel toponimo di alcuni abitati, come a Le Castella (“Castellum ad Mare”, 1276-1277),[xliii] o come a Isola, “Aësylorum” (ὁ τῶν ’Aησύλων),[xliv] o “Asyla” (’Aσυλα),[xlv] che compare in qualità di ϰαστέλλω τῶν ἀσύλων (castello di “Asylorum”) in un atto del 1131,[xlvi] quando, come casale della città di Crotone, era detta “Insulam Cotroni”,[xlvii] mentre “turris et insule de tenimento Cutroni”, si ritrova tra gli atti della cancelleria angioina (1291-1292).[xlviii]
L’esistenza del “castri Insule” (1341),[xlix] ovvero “il Castel della Torre, e l’Isola nelle pertinentie di Cutrone”,[l] o “turisinsula” (1426),[li] è confermata anche in seguito, quando risulta specificato che, nel mentre “la turre delisola” era un casale appartenente alla città di Crotone (1444),[lii] “Insolam” era il tenimento posto nelle pertinenze della “Civitatem Turris Insularum” che, il 10 novembre 1444, re Alfonso de Aragona concesse in feudo al vescovo di Isola Martino.[liii]
Anche nel caso di Policastro e della vicina Roccabernarda, i toponimi ci forniscono una chiara testimonianza riguardo all’assetto di questi due centri e alla loro differente origine. Il primo (ὁ τοῦ Пαλαιοϰάστρου “Palaeocastri”), infatti, è un antico abitato fortificato (kastron),[liv] che compare già tra le diocesi suffraganee di Santa Severina verso la fine della dominazione bizantina,[lv] poi distrutto dal duca Roberto il Guiscardo nel 1065 durante la conquista della regione, quando tutti i suoi abitanti furono fatti deportare dal duca a Nicotera,[lvi] mentre l’esistenza del secondo è documentata per la prima volta da un atto del 1115-1116 (a. m. 6624), in cui è detto καστελλίου Βερνάλδου. Il toponimo Castello di Bernardo che troviamo in questo atto scritto in greco è reso in latino da quello di Rocca di Bernardo, come documentano le annotazioni riferibili al sec. XIII, esistenti sul verso dello stesso documento: “Carta de Rocca Bernardi” e “in tenim(en)tis Roce B(er)nardi”.[lvii]
Queste differenze hanno un chiaro riscontro nei segni che è ancora possibile rintracciare nel tessuto urbano di questi due centri. Mentre a Policastro, come abbiamo osservato nei casi di altri abitati di antica fondazione, il castello (di cui si conserva il toponimo) permarrà sul sito più alto, verosimilmente occupato dalla precedente fortificazione bizantina (kastron), distrutta al tempo del Guiscardo, dove riteniamo dovesse essere insediato il principale popolamento del luogo, l’abitato della nuova χώρας, o terra di Policastro (Παλαιοκάστρου),[lviii] costituita a seguito di questi fatti, si formò più in basso e più distante da questa fortificazione, presso la chiesa di S. Nicola.
Nel caso di Roccabernarda, invece, sorta ex novo durante la fase d’insediamento dei nuovi conquistatori, il sito dove fu realizzata la nuova terra che, per il suo stato munito ed il suo importante ruolo militare, risulta anch’essa chiamata castello, o rocca, come si usava dire a quel tempo, la residenza signorile del feudatario, ovvero il suo castello, fu realizzato immediatamente a ridosso dell’abitato.
La trasformazione degli abitati del Crotonese, conseguente alla introduzione del feudalesimo dopo la conquista normanna, risulta particolarmente evidente attraverso i documenti scritti in greco successivi a questa fase, nei quali troviamo che l’avvento di questi castelli, in quanto residenze dei signori feudali di una terra (χώρας), poste in una posizione dominante sull’abitato loro soggetto, vede il ricorso al termine “asti” per indicare quest’ultimo, secondo quella che era stata già la partizione dell’antica città greca, quando l’acropoli, la città alta sede dell’aristocrazia, coesisteva con un’asti posta più in basso dove abitava la popolazione.
Allargandoci sul territorio calabrese, troviamo così, ad esempio, le espressioni ἄστη Kροτώνης (1112)[lix] e ἄστεως ϰασσάνου (1129),[lx] per indicare le città di Crotone e di Cassano, oppure quelle di ἄστι Nαίου Σασσωνίου (1195)[lxi] e άστεως χώρας Пαλεοκάστρου (1196),[lxii] per indicare la terra di Castrovillari e quella di Policastro (Petilia Policastro). In relazione alla partizione tra terra e castello, e alla loro diversa giurisdizione, troviamo atti stipulati nell’asti (ἄστεως) di San Marco Argentano (1112),[lxiii] oppure nel castello (καστελλήου) della stessa terra (1115),[lxiv] mentre gli ufficiali che dovevano provvedere alla stesura di questi documenti garantendone l’autenticità, in genere, risultano menzionati con riferimento alla loro terra di appartenenza: Leone protopapa dell’asti (ἄστι) di Roccabernada (καστελλίου Βερνάλδου),[lxv] Leone, presbitero e tabulario dell’asti (ἀστέου) diSan Marco Argentano (1135),[lxvi] […], sacerdote e tabulario dell’asti (ἀστέου) diSan Marco Argentano (1194),[lxvii] Leone, notaro e tabulario dell’asti (ἄστι) di Nuova Sassonia (1218),[lxviii] ovvero dell’asti (ἄστυ) di Castrovillari (1222),[lxix] Giovanni, notaro e tabulario dell’asti (ἄστεως) di Castrovillari (1245),[lxx] Solomon, notaro e tabulario imperiale della terra (χώρας) di Castrovillari (1248).[lxxi] Considerando poi la militarizzazione di alcuni insediamenti, a volte, in luogo di questi termini compare quello di “kastron”. Abbiamo così Sergio turmarca del κάστρου di Brahalla, ossia Altomonte (1081),[lxxii] mentre Urso risulta notaro e tabellione del κάστρου di Malvito (1178).[lxxiii]
Abitati aperti e abitati chiusi
Nell’alto Medioevo “le terre murate” rappresentavano gli abitati dove vivevano i “cittadini”, ossia quella parte della popolazione urbana in possesso dei diritti civici, maturati sul luogo, soggetta a tassazione da parte dell’università. Questa comunità cittadina era costituita principalmente dagli ecclesiastici e dalle proprie famiglie, in quanto praticando il rito greco, questi non facevano vita comunitaria e non osservavano il celibato. Il sovrano, infatti, consentiva loro d’insediarsi in un luogo, in quanto riconosceva alla chiesa la cura delle anime dei propri vassalli che costituivano parte integrante del feudo.
La restante popolazione, invece, costituita dai forestieri che, in qualità di “abitanti”, dimoravano in un luogo ma non godevano dei diritti civici, e dalle persone appartenenti alle diverse categorie di servi, si concentrava in appendici create all’esterno del circuito murario delle terre, in “lochi aperti” rappresentati dai borghi [lxxiv] e dai casali,[lxxv] detti anche “rure”,[lxxvi] o ville, dove vivevano, rispettivamente, i “burgensis” e i “rusticus”, questi ultimi detti anche villani (“villanos”),[lxxvii] ossia coloro “qui in villis et casalibus habitat”,[lxxviii] i quali, costituendo ceti subalterni, non erano garantiti da alcuna fortificazione. Vivevano in un borgo aperto, realizzato subito fuori una delle porte della terra, anche gli Ebrei appartenenti alle locali giudecche.
Questa ripartizione della popolazione, da cui discendeva questo genere di segregazione dei ceti urbani, è ben evidenziata ancora alla fine del sec. XIII – inizi del XIV, quando i “Capitula Regni” prevedevano che, in caso di scomunica per il mancato pagamento delle decime dovute per consuetudine alla chiesa, fosse pagata ad essa una pena pecuniaria, commisurata allo status sociale di quanti contravvenivano: “si comes fuerit solvat Curie nostre (uncias) auri viginti quatuor, si baro duodecim, si (simplex miles) sex, si burgensis tres, si rusticus unam, et mediam”,[lxxix] mentre, relativamente alle pene previste per l’esercizio della caccia durante i tempi in cui era inibita, troviamo: “Si baro fuerit vel miles pro qualibet vice solvat Curie pro pena … auri … uncias … XXIII. Si burgensis … auri … uncias … XVI. Si vero (villanu)s … auri … uncias … VIII.”[lxxx]
Risalgono, invece, a testimonianze dell’età moderna, alcune notizie circa l’esistenza di borghi in alcune terre del Crotonese, formatisi anche durante i periodi precedenti. Come, ad esempio, a Isola dove troviamo che, su una parte delle terre vescovili dette il “corso di Santa Barbara”, esistente “circa episcopatum” e compresa tra i due valloni “Magna Vena” e “Vena Vadi Lupi” (che si univano presso il “Palatium de Judeis”),[lxxxi] fu edificato il “Borgo” dove abitava la maggior parte della popolazione. Qui, per aver avuto il permesso di costruire le loro abitazioni, i cittadini pagavano al vescovo lo “jus soli”, dapprima una gallina all’anno e poi, in seguito, un censo annuale, mentre il barone, nella prima metà del Cinquecento, ne abbatterà una parte per costruire le mura della sua città fortificata.[lxxxii]
Una situazione analoga a quella di Belcastro dove sappiamo che, anticamente, la cattedrale era situata in mezzo alla città, ma poi gran parte della popolazione aveva abbandonato l’antico abitato, formando un borgo nelle sue vicinanze, così, all’inizio del Seicento, essa si ritrovava ai margini dello spazio urbano.[lxxxiii]
Anche nella terra di Verzino verso la fine del Cinquecento, è documentata l’esistenza di un “burgo”,[lxxxiv] fuori le mura subito all’esterno della porta Marina, nel luogo dove nel Settecento sarà realizzato il palazzo ducale,[lxxxv] come troviamo a Cropani dove, appena fuori la porta principale della terra, che costituiva il suo antico nucleo, fu formata la piazza e prese forma un “burgo”,[lxxxvi] come riferisce il Fiore alla fine del Seicento: “Così addunque abitandosi, si di dentro, si di fuori, vi furono all’intorno piantate molte case, le quali col tempo cresciute in mediocre abitazione, per più difesa venne cinta di mura; e niente meno coll’andar degli anni, correndovi à gara la gente, trattavi dalla fertilita del terreno, si allargò di fuori, oltre dal recinto delle mura.”[lxxxvii]
Questo tipo di sviluppo dell’abitato si rintraccia anche a Roccabernarda nella prima metà del Cinquecento, dove più in basso rispetto alla terra ed al suo castello, in un primo momento fu realizzato un ampliamento della cinta muraria che andò a circoscrivere le case della “valle”, mentre poi, all’esterno di questa, si formò il “burgo”.
Agli inizi del Cinquecento, in occasione dei lavori di costruzione delle nuove mura, progettate per difendere la terra dalla parte rivolta verso la campagna, un “burgo” fu realizzato anche a Le Castella, dove s’insediò con le proprie famiglie, la numerosa manodopera accorsa per lavorare alla realizzazione di queste opere. Al tempo in cui fu fatta la numerazione dei fuochi del 1532, però, queste nuove fortificazioni non erano state ancora completate, come ci segnalano alcune annotazioni contenute nel relativo documento, compilato dai funzionari regi incaricati di numerare la popolazione, dove troviamo che quanti abitavano “in burgo”, asserivano di starci solamente di giorno, ma di pernottare “intus terram” per paura delle incursioni dei Turchi.[lxxxviii]
Essendo un luogo aperto non difeso dalle mura ma delimitato da un “fosso”, il baiulo di Le Castella dovendo avere cura della salute pubblica, vigilava affinché nessun gregge di animali, entrasse “intus burgum ditte terre Castellorum”,[lxxxix] mentre lo stesso baiulo aveva il compito di dirimere le controversie che insorgevano tra le persone, in merito all’uso delle vie, delle abitazioni, ecc. in tutto l’abitato, ossia “intus terram seu burgum ditte terra castellorum”.[xc]
La motta
Nel periodo basso medievale, il particolare ruolo fiscale di alcuni abitati, relativo alla presenza di una torre dove si esercitavano tali funzioni, è evidenziato dal termine “mocta”, che li qualifica in questo senso. È il caso di certi casali della città di Santa Severina, come quello originariamente chiamato Rocca S. Petro de Camastro[xci] che però, agli inizi della dominazione angioina, non si trovava più nel tenimento di quella città e che, dopo essere stato spopolato, ritroviamo nella seconda metà del Trecento, in qualità di terra, con il nuovo nome di Rocca di Neto (“Rochaneti”, 1378).[xcii] Successivamente, il suo stato munito a cui si riferisce l’appellativo “Rocca”, risulta confermato dal nuovo toponimo di “Mocte Neti” (1451).[xciii]
Durante tutto il Medioevo anche Cutro fu un casale di Santa Severina,[xciv]ed appartenne a questa città fino a quando, nel 1551, il conte Galeotto Carrafa, pieno di debiti, vendette a Ferrante Carrafa, duca di Nocera, “la motta seu casale di Cutri” assieme ad altri feudi.[xcv] In questo caso, nel luogo dove sorgeva l’abitato medievale e permane attualmente il toponimo “Casale”, troviamo successivamente la chiesa di Santa Caterina con la sua torre campanaria, evoluzione dell’antica torre del casale che compare poco dopo la metà del Cinquecento, quando sotto di essa, nella piazza, si riunivano gli erari del duca per mettere all’asta l’affitto dei beni feudali.[xcvi]
Pure S. Mauro, detto anche “S. Mauro de Caraba”,[xcvii] casale[xcviii] della città di Santa Severina, assieme a Cutro, S. Giovanni Monaco, Torlocio, San Leone, Scandale, e Santo Stefano,[xcix] in alcuni atti della cancelleria aragonese risulta in qualità di motta.[c] Un privilegio dato in Crotone il 9 novembre del 1437, ad esempio, distingue tra la motta di S. Mauro e i casali di S. Giovanni Monaco e di Santo Stefano. In questo documento si riferisce che il feudo detto “de s(an)cto stephano”, era sito e posto “in Civi.tem s(an)cte severine, mocta s(an)cti mauri de Caraba Casali s(an)cti jho(ann)is monacho et eorum tenimentis et territoriis”, e ne faceva parte “ipsum casale s(an)cti stephani cum vassallis et vassallorum juribus que de corpore dicti feudi sunt”.[ci]
In altri documenti di questo periodo, invece, troviamo S. Mauro identificato semplicemente in qualità di casale (“in pertinentiis et districtu casalis sancti mauri”),[cii] mentre risulta sia casale che motta in un atto dell’otto gennaio 1445. Si tratta del documento con cui il sovrano nominò “johanni dela via de n(ost)ra thesauraria”, “Castellanum turris seu fortelliciis casalis n(ost)ri sancti mauri de provincia Calabrie cum sociis seu servientibus quattuor quinque ad custodiam dicti castri”, e contestualmente “Capitaneum dicti casalis sancti mauri eiusque pertinenciarum et distreptus ad iusticiam et ad guerram cum plena meri mixtique imperii gladii p(otes)tate nec non gagiis consuetis et debitis”.
In questo documento dove troviamo il conferimento alla stessa persona di questi due differenti uffici, cioè la castellania e la capitania di S. Mauro, entrambi riguardanti “dicto casali seu moctam”, ovvero “dicte mocte seu casalis”, risulta evidente la distinzione tra il detto “casale seu moctam et ipsius turrium seu fortellicium”,[ciii] ossia la distinzione tra l’abitato e la torre (detta anche castrum) affidata al suo castellano/capitano, come ricorre anche successivamente.
Il 20 gennaio 1449, da Napoli, re Alfonso d’Aragona ordinava a Gabriele Cardone di pagare gli stipendi, dovuti e maturati, a “Petro de Boca de Faro cons. maiori rabosterio regio et quattuor sociis pro custodia castellania Turris et casalis de Sancto Mauro in pert. Sanctae Severinae”,[civ] mentre il primo settembre dell’anno dopo, dal castello di Torre del Greco, nominava “Reynaldo de boccadefaro”, fratello del precedente ormai morto, governatore della città di Santa Severina “eiusque Castrorum Casalium et districtus potissimum quidem casalis Sancti Mauri cum eius Turri seu fortellicio”.[cv]
Le funzioni fiscali esercitate da questa torre ed i frequenti soprusi perpetrati da coloro ai quali era affidata, emergono nelle richieste dell’università di Santa Severina al re Ferdinando. Da Castro Novo nella città di Napoli, il 25 febbraio 1466, il sovrano accoglieva che “chi è capitano non possa esser castellano e cossi si intenda la torre di S. Mauro vostra M.tà le debbia tenere per vostro mero dominio, e la torre pred.a concedere ad ip.a città la debia destruere attento non … utilita nulla, si non spesa, et a la città bastia et disfact.ne.”[cvi]
Le gravose funzioni fiscali assolte dalle torri esistenti in importanti luoghi di passo, come quello di “Turris Tachine”, detto anche “Motta di Tacina”, casale “Antiquo”[cvii] della terra di Le Castella, e da quello della terra di “Mocte Cropani”, sono evidenziate nei capitoli concessi all’universita e agli uomini della città di Catanzaro, dati “in Castro novo Civitate n(ost)re Neapolis” il 15 luglio 1445, dove si evidenzia la condotta del milite Alfonso de Vargas, nominato “Castellanum turris nostre tacine de provincia Calabrie ultra”, nel gennaio di quell’anno,[cviii] riunendo anche l’ufficio di governatore di Le Castella e della baronia di Barbaro, in cui si evidenziava che, il detto castellano, tra le altre cose, usando la violenza e a mano armata, aveva costretto i Catanzaresi a pagare “ad passagia Turris Tachine et Mocte Cropani”.[cix] A riguardo di ciò, il sovrano concedeva: “Che non paghino i Catanzaresi al Marchese d’Arena Ius di passaggio, ne al Governadore di Cropani, delle Castelle, e della Motta di Tacina.”[cx]
Il 21 giugno 1447, in Tivoli, re Alfonso d’Aragona concedeva al suo paggio “Gabrielis curialis” di Sorrento, la “Turrim Tachine” sita e posta “in provincia ulterioris Calabrie”,[cxi] mentre il 18 novembre 1471, re Ferdinando I disponeva affinchè “l’esazione de’ passi fatta si fosse a dovere”. Detto ordine, tra gli altri, fu notificato a “Gulielmo de Monacis per lo passo della Torre tacina”, “per aversi la notizia di quei passi, che fuor di ragione esigevansi”.[cxii] Nel novembre 1487, per pagare le genti d’arme e provvedere alla sicurezza e difesa del regno, il re rivendette “turrim Tacinae et casale cum castro seu fortellitio”, ed altre terre vicine, a Paolo Siscar, conte di Ayello.[cxiii]
Nell’assetto urbano della vicina terra di Mesoraca possiamo evidenziare altri elementi che contribuiscono a definire ulteriormente una motta. Anche in questo caso, infatti, il ruolo militare di questo abitato è posto in evidenza dal fatto, che esso compare in qualità di “castrum” sin dalla metà del sec. XIII,[cxiv] mentre risalgono agli inizi della dominazione aragonese, le prime notizie che documentano l’esistenza di una “mocta”, o “castello”, della “terra” di Mesoraca.
Nella conferma dei capitoli concessa da re Alfonso d’Aragona alla terra di Mesoraca il 20 novembre 1444, troviamo che, fino a quel tempo, il nobile “lodovico de phichechiis” aveva ricoperto l’incarico sia di capitano di Mesoraca, che quello di capitano “ad guerra” nella loro “mocta de castello”,[cxv] mentre sappiamo che, successivamente, il 22 Agosto 1447, lo stesso re nominò Adesio de Comite di Lipari “Castellanum Castri seu fortellicii terre nostre Mesurache”, con i “sociis et servientibus necessariis” in tempo di pace e in tempo di guerra, assegnandogli annualmente in tempo di pace 12 once, da percepire sulle entrate e sui diritti delle gabelle delle terre di Gimigliano e Tiriolo.[cxvi] Le differenze tra l’ufficio di capitania della terra di Mesoraca e quello della sua castellania, emergono chiaramente in un atto della cancelleria aragonese dell’aprile 1452, quando sappiamo che, lo stesso “nobilem Adesium de Comitem de Liparo” li ricopriva entrambi, risultando “capitaneus et castellanus dicte terre Mesurace”.[cxvii]
Queste differenze di giurisdizione evidenziate dai documenti, trovano riscontro anche osservando i luoghi dove questi poteri si evidenziano nello spazio urbano. Emerge infatti che a Mesoraca, il luogo detto “la motta”, toponimo legato alla presenza del castello che, con le sue fortificazioni costituiva la struttura militare affidata al castellano, si differenziava nettamente rispetto al luogo detto “casale”, toponimo che cominciamo a trovare dalla meta del Trecento, in relazione al titolo della chiesa matrice di “Sancti Nicolai de casale Mesurace”,[cxviii] in questo caso utilizzato solo per identificare l’abitato murato della “terra”, dove il capitano, o governatore, di nomina regia ed il mastrogiurato eletto dalla cittadinanza, esercitavano le loro funzioni. In particolare, agli ordini del mastrogiurato rispondevano i “terrazzani” armati a spese dell’università, che vigilavano le porte e le mura della terra in tempo di pace, mentre, in caso di conflitto, tali funzioni erano svolte da un capitano a guerra di nomina regia, che assumeva il comando di tutte le forze presenti, compreso quelle di un eventuale presidio.
I nuovi casali
Altre informazioni importanti riguardo la struttura medievale degli abitati del Crotonese, ci provengono dalla fondazione di alcuni casali, che i coloni albanesi realizzarono durante il Cinquecento, dimostrando di continuare ad adottare gli antichi usi e gli antichi principi, che i loro predecessori avevano seguito durante l’epoca precedente. In queste occasioni, infatti, la popolazione fatta giungere dai feudatari del luogo, cui necessitava forza lavoro, inizialmente s’insediò sul territorio in maniera provvisoria, alloggiando in ripari temporanei, anche in luoghi diversi da quello che poi avrebbe visto la realizzazione del casale.
Successivamente, intervenuto un accordo tra i nuovi coloni ed il feudatario attraverso la stipula di appositi capitoli, e ottenuto l’assenso regio, l’edificazione dell’abitato, costituito dall’insieme delle case del “casale”, fu realizzato sulle terre dello stesso feudatario che, in qualità di padrone del luogo, ricevette da tutti coloro che ottenevano un suolo edificabile, il pagamento perpetuo del suo diritto: lo jus soli, come abbiamo già visto nel caso dei borghi.
Durante il Medioevo, erano stati principalmente i grandi signori ecclesiastici: vescovi ed abbati, ad impegnarsi nel dissodamento del territorio, richiamando su di esso i nuovi coloni e creando nuovi centri abitati. Come i vescovi di Umbriatico che, durante il Medioevo, possedevano i casali di Santa Marina, San Nicola de Alto e Marathia,[cxix] o come i vescovi di Isola che, prima dal duca Ruggero e poi dal re Ruggero II, ottennero ampi privilegi sia a favore della loro chiesa, che per quanti giunsero a popolare la loro città ed i nuovi casali di Massanova e di S. Pietro in Tripani, fondati sulle terre vescovili al limitare della foresta, o Bosco di Isola.[cxx]
Anche gli abbati erano stati particolarmente impegnati in questa direzione. Nel settembre del 1222 Anselmo de Iustingen, marescalco imperiale e conte di Catanzaro, per la salvezza della propria anima e di quella dei suoi parenti, tra le altre donazioni, concedeva all’abbazia di Sant’Angelo de Frigillo, presso Mesoraca, la “potestatem construendi casale per tenimento vestrum ubicumque volueritis”, radunandovi gli “homines quos habetis in Musuraca” e quelli che fossero venuti in seguito, esonerando tutti da “omnibus angariis et exactionibus, datis vel collectis”.[cxxi]
Questa attività da parte degli abbati continuerà ancora durante la prima metà del Cinquecento, come dimostra il caso del casale di S. Giovanni in Fiore fondato nel 1530,[cxxii] dove l’impronta ovale lasciata da questo nuovo abitato, si evidenzia nelle vicinanze dell’antica abbazia, alla cui esistenza fa riferimento l’attuale toponomastica (via Cortiglio, via Vallone), che discende dalla presenza dell’abitato e del fosso che lo delimitava. L’impianto ovale di questi abitati aperti, analogo a quella delle terre murate, è documentato nel caso di Andali, casale albanese detto Villa Aragona, fondato al tempo del duca di Montalto Antonio d’Aragona, feudatario di Belcastro dal 1553 al 1574, dove il luogo detto “dietro la Chiesa” è menzionato “in circumferentiis” del casale,[cxxiii] ed è riscontrabile anche in altri casi.
Cotronei, casale della terra di Policastro, al tempo di Federico II appartenuto all’abbazia di S. Maria la Nova,[cxxiv] verso la metà del Quattrocento si trovava ormai spopolato, in quanto tutta la sua popolazione era andata ad abitare nella vicina Policastro.[cxxv] In un inventario del 1520, attraverso cui il conte Andrea Carrafa, allora feudatario di Policastro, fu reintegrato nei propri possedimenti, leggiamo che, “In primis”, il conte rientrò in possesso del feudo di Cotronei, con lo “ius solis” dovutogli dai “Graecos, et aliis Vassallorum”,[cxxvi] circostanza che ci permette di evidenziare come, lo stanziamento dei coloni albanesi, giunti assieme ad “altri” vassalli a ripopolare il casale, non si realizzò dove quest’ultimo era esistito durante il Medioevo, ma in un luogo diverso appartenente al conte che, in ragione di ciò, per il suolo concesso ai nuovi venuti, in maniera da poter erigere le proprie case, riceveva il pagamento di un censo annuale. Luogo oggi identificabile presso l’attuale chiesa di S. Nicola, segnato dall’impronta ovale lasciata da questo abitato.
Ben evidente risulta anche l’ovale che segnava i limiti del casale di Altilia, presso Santa Severina, fondato entro i confini del territorio e presso l’abbazia di Santa Maria di Altilia, con Greci, Albanesi e Schiavoni, al tempo in cui Tiberio Barracco fu commendatario dell’abbazia, tra il 1582 ed il 1589. Anche in questo caso, avendo edificato le loro abitazioni sul suolo appartenente al feudatario, all’atto della stipula dei capitoli di fondazione del casale, i nuovi coloni s’impegnarono nei sui confronti a pagargli lo jus soli: “Item promettono per ciascheduno casalino de loro habitationi carlini due et una gallina anno quolibet. Placet.” Suoli edificabili su cui avrebbero costruito le loro case che, volendo, in futuro avrebbero potuto anche “vendere, alienare et permutare a loro arbitrio a chi loro piacerà”, non prima comunque, però, di aver ricevuto licenza dal feudatario.[cxxvii]
Note
[i] ACA, Cancillería, Reg. 2903, f. 176.
[ii] Russo F., La Metropolia di S. Severina, in Scritti Storici Calabresi C.A.M., Napoli 1957, p. 44. Basilii Notitia, in Gelzer H., Georgii Cypri Descriptio Orbis Romani, Lipsia 1890, p. 27.
[iii] Guillou A., Le Brébion del la Métropole Byzantine de Règion, Biblioteca Apostolica Vaticana 1974.
[iv] Nel caso dell’antica città di Rossano, troviamo: “Che essa Università di Longobucco possedeva il suo territorio indiviso coll’Università di Rossano, (…) dentro il suddetto Territorio di Longobucco esistono le tre Terre nominate di Crescia [sic, ma Crosia], Caloveto, e Cropalati.” Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume I, Napoli 1862, pp. 141-143.
[v] Raymond Chevallier, Panorama delle Applicazioni della Fotografia Aerea, in “Problemi di Metodo Storico” a cura di Fernand Braudel, Antologia di Saggi dalle Annales E.S.C., Editori Laterza 1982.
[vi] Un apprezzo della città di Santa Severina, in Siberene, Cronaca del Passato per le Diocesi di Santaseverina – Crotone – Cariati, Scalise G. B. (a cura di), 1999, p. 99 sgg.
[vii] D’Amato V., Memorie Historiche di Catanzaro, 1670 p. 8.
[viii] “Belisario adunque aveva a cuore di andare diritto a Taranto. (…) Il corso di questo littorale si estende per mille stadi; e da ambe le parti là dove sbocca il mare son situate due città, delle quali l’una, Crotone, ad occidente, Taranto l’altra, ad oriente, verso il centro del littorale trovasi Thurii. Sorta ivi una tempesta ed il vento che spirava avverso impedendo coi grandi marosi alle navi di procedere oltre, approdarono nel porto di Crotone. Belisario, non trovando ivi alcuna fortificazione, né avendo modo di procacciare la vettovaglia pei soldati, si tenne egli e la moglie coi fanti colà per potervi chiamare a sé ed ordinare l’esercito di Giovanni. Ma tutta la cavalleria ordinò che s’inoltrasse e ponesse il campo presso all’entrata di quella regione, dandole a capi l’ibero Faza e la lancia spezzata Barbatione; poiché pensava che così avrebbero essi potuto coi loro cavalli facilmente provvedersi di vettovaglie e nelle angustie del luogo respingere i nemici.” Comparetti D., La Guerra Gotica di Procopio di Cesarea, voll. 3, Roma 1895, 1896, 1898, in Fonti per la Storia d’Italia pubblicate dall’Istituto Storico Italiano, vol. II, pp. 379-380.
Anche successivamente, quando Procopio descrive le vicende riguardanti “l’assedio” del presidio bizantino della città, è da ritenersi che quest’ultimo fosse localizzato nell’acropoli. “Quei di Crotone ed i soldati di quel presidio comandati da Palladio, strettamente assediati dai Goti e travagliati dalla mancanza di vettovaglie, più volte di nascosto dei nemici spediron messi in Sicilia, dichiarando a quei duci dell’esercito romano, e singolarmente ad Artabane, che se non li soccorressero al più presto essi, ben loro malgrado, non tarderebbero ad arrendersi colla città ai nemici; ma niuno andò di là in loro soccorso. E l’inverno venne al termine ed il decimosettimo anno si compieva di questa guerra di cui Procopio scrisse la storia. XXVI. L’imperatore, avendo appresi i fatti di Crotone, spedi messi in Grecia con ordine che le truppe di presidio alle Termopili navigassero al più presto verso l’Italia e recassero con ogni potere soccorso agli assediati in Crotone. E coloro tanto eseguirono. Salpati sollecitamente e incontrato vento propizio improvvisamente approdarono al porto di Crotone. Al subitaneo apparir della flotta i barbari, messi in grande spavento, subito tumultuariamente sciolser l’assedio; e quali di essi si rifugiò con navi nel porto di Taranto, quali marciando a piedi ripararono al monte Scilleo.” Ibidem, vol. III, pp. 199-200.
[ix] In merito a ciò ci offre esempio Lacinium in località Capo Colonna di Crotone che, abbandonato prima del Medioevo, non evidenzia alcun elemento riferibile a questo periodo, ma solo i resti compresi nel quadrilatero del castrum romano.
[x] “Stefano fallisce un colpo sopra Amantea, tenuta dai musulmani; e Basilio manda in sua vece Niceforo Foca, creato stratego di Calabria; il quale ultima il riacquisto, prendendo Amantea e Santa Severina.” Moscato G.B., Cronaca dei Musulmani in Calabria, 1902, rist. 1963 p. 21.
[xi] “MH. Tῇ Ἁγίᾳ Σευηρινῇ τῆς Kαλαβρίας. ὁ Eὐρυάτων, ὁ ’Aϰερεντίας, ὁ Kαλλιπόλεως, [ὁ] τῶν ’Aησύλων.”. Gelzer H., Georgii Cypri Descriptio Orbis Romani, Lipsia 1890, p. 82.
[xii] Piccinato L., Urbanistica Medievale, 1993, p. 10.
[xiii] Antiopuli, o Antiopoli, compare tra i terreni confiscati a Giovanni Pou al tempo della “Congiura dei Baroni” ed amministrati dalla regia corte. Nell’annata 1486/1487 era in fitto a diversi coloni di Isola, che pagavano il terraggio in grano e orzo all’amministratore Antonio de Jacobo de Florentia. ASN, “Cunto dele intrati de la cita de lisola, le castelle e de tacina …”, Dip. Som. Fs. 552, f.lo 1, 1487, ff. 4-6.
[xiv] Così si esprime il vescovo Antonio Celli: “Urbs Insula in Ulteriori Calabria sita est … Vetus Urbs, quae posita erat prope maris littus puri quidem erat, ac salubri coeli, verum a Saracenis olim diruta, nunc paludibus aliquot interiacens duo passuum millia abest a mari …”. ASV, Rel. Lim. Insula. 1644.
[xv] Il 28 ottobre 1736 naufraga nella marina di Manna nel luogo detto “Li Civiti” la barca di P. Bartolomeo Blasi di Taranto. ASCZ, Busta 840, anno 1738, f. 5.
[xvi] Gelzer H., Georgii Cypri Descriptio Orbis Romani, Lipsia 1890, p. 82. Parthey G., Hieroclis Synecdemus et Notitiae Graecae Episcopatuum, 1866, p. 126. Russo F., La Metropolia di S. Severina, in Scritti Storici Calabresi C.A.M., Napoli 1957.
[xvii] De Biasi G., San Nicola dell’Alto, Falco Ed. 2018, pp. 44 sgg.
[xviii] ASN, Regia Camera della Sommaria, Catasti Onciari, Busta 6964, Cerenzia 1753.
[xix] ASV, Rel. Lim. Strongulen., 1640.
[xx] “Da Simeri [sic, ma Santa Severina] pure ad ’.sṭ.r.nǵ.lî (Strongoli) ventun miglio. / E da Strongoli a Cotrone ventiquattro miglia. / Tra Strongoli e il mare sei miglia. / Inoltre da Strongoli ad ’.brîâtiqû (Umbriatico) undici miglia.” Amari M. e Schiaparelli C., L’Italia descritta nel “Libro di Re Ruggero” compilato da Edrisi, in Atti della Reale Accademia dei Lincei anno CCLXXIV, 1876-77, serie II – volume VIII, Roma 1883, p. 112.
[xxi] Guillou André, Le Brébion de la Métropole Byzantine de Région (vers 1050), Biblioteca Apostolica Vaticana, 1974, pp. 54-55, 62, 183-184 e 188.
[xxii] “Metropolis Sancte Severine hos habet suffraganeos episcopos: Hembriacensem, Stroniensem, Genecocastrensem, Cotroniensem, Gerentinum”. Fabre M. P., Le Liber Censuum de l’Eglise Romaine, V, Parigi 1889, p. 104.
[xxiii] ASV, Rel. Lim. Strongulen, 1594.
[xxiv] “… Da Stilo a qaṭanṣâr (Catanzaro), rocca di bella costruzione, dodici miglia. Da questa, per ponente, a śant fîmîah (Sant’Eufemia), città sul mare della quale già abbiamo prima d’ora tenuto parola, dodici miglia. Tutte queste città appartengono al territorio di Calabria. … Da Simeri poi a qaṭanṣâr (Catanzaro) quindici miglia. …”. Amari M. e Schiapparelli C., L’Italia descritta nel “Libro di Re Ruggero”compilato da Edrisi, in Atti della Reale Accademia dei Lincei anno CCLXXIV, 1876-77, serie II – volume VIII, Roma 1883, pp. 111-112.
[xxv] Nella sua descrizione della posizione della porta Capuana di Napoli, in rapporto a quella di Castel Capuano, il Lettieri, affermava: “dove era la porta anticha de Capuana; quale steva sopra lo fosso de detto Castello corrispondente nella sua mittà et lo soprad. Castello veneva ad stare mezo dentro la città, et mezo fora, sincome se usava anticamente;” Lettieri P. A., Discorso dottissimo del Magnifico Ms. Pierro Antonio de’ Lechtiero cittadino, et Tabulario Napolitano circa l’antica pianta, et ampliatione dela Città di Nap. …, in Giustiniani L., Dizionario Geografico-Ragionato del Regno di Napoli, tomo VI, Napoli 1803, p. 384.
[xxvi] “Sed arx Crotonis, una parte imminens mari, altera vergente in agrum, situ tantum naturali quondam munita, postea et muro cincta est qua per aversas rupes ab Dionysio Siciliae tyranno per dolum fuerat capta.” Livio, Ab Urbe Condita, lib. XXIV, 3, 8.
[xxvii] “Per tornare al detto castello, e sapere quanto grande era, dall’istesse parole di detto Livio, dicendo, che da una parte soprastava al mare, e dall’altra parte alla campagna, chiaramente ci dimostra, che quello, ch’oggi è castello, che soprastà al mare, era unito con quello, che si chiamava Cavaliero, che soprastava alla campagna e tanto era grande l’antico castello, anzi prima, che detto luoco chiamato il Cavaliero, che li moderni haveano fatto, come un forte dentro la città, pochi anni sono si deroccasse, vi si vedeva una bellissima cisterna, e molti altri edifici, e muri sotterranei, che sino al castello di hoggi si stendevano …”. Nola Molise G. B., Cronica dell’Antichissima e Nobilissima città di Crotone e della Magna Grecia, 1649, p. 47.
[xxviii] Mazzoleni J., Le Pergamene dell’Archivio della R. Camera della Sommaria e la loro Importanza per la Storia delle Puglie (1267-1458), in Japigia IX, 3 (1938), p. 284.
[xxix] La chiesa di “sanctae Euphemiae” esistente nel feudo di Apriglianello, “quae est sita iuxta suburbium Cotroni cum pertinentiis suis” (1202). Pometti F., Carte delle abbazie di S. Maria di Corazzo e di S. Giuliano di Rocca Fallucca in Calabria, in Studi e documenti di Storia e diritto, anno XXII, 1901, p. 284. Un atto del dicembre 1233 (a.m 6742), mette in evidenza che alcune abitazioni appartenenti a questo sobborgo, erano poste alla destra del corso del fiume Esaro, adibito a porto canale, nel luogo detto San Pantaleone. Trinchera F., Syllabus Graecarum membranarum, 1865, pp. 400-402 n. CCLXXXIX. Tra i beni concessi dal re Carlo II d’Angiò all’arcivescovo di Santa Severina Rogerio l’11 aprile 1293, troviamo: “habeat in perpetuum culturas quae dicuntur de puteo ante Cotronum prope valonem Ysari ex una parte et suburbium Cotroni ac montem de bliga ex altera et prope terram Carbonari. Item terra quae dicitur de Apotheca ex alia parte Ysari.” AASS, Fondo Arcivescovile, volume 84A, f. 39v.
[xxx] ACA, Cancillería, Reg. 2904, f. 240.
[xxxi] “Itaque fatigatus querelis sociorum Dionysius, Siciliae tyrannus, sexcentos Afros ad conpescendos eos miserat; quorum castellum proditum sibi per Bruttiam mulierem expugnaverunt ibique civitatem concurrentibus ad opinionem novae urbis pastoribus statuerunt Bruttiosque se ex nomine mulieris vocaverunt.” Giustino, XXIII, 1, 11-12.
[xxxii] Terzi F., Cosenza, Medioevo e Rinascimento, 2014, p. 170 nota 60 e p. 81 nota n. 27.
[xxxiii] “Girardo de Albi militi, cui concessimus castrum Ipsigro, provisio pro bonis proditorum dicti castri ei concessorum”, 1269. Reg. Ang. IV, 1266-1270, p. 43. Minieri Riccio C., Brevi Notizie intorno all’Archivio Angioino di Napoli 1862, p. 49. 1269-1270. “Girardo de Albi, mil. et fam., concessio castri Ipsigri, de Iusticeriatu Vallis Gratis, excepto casali Crepacore, pro resignatione ab eo facta Curie de terra Briatici et Tigarii.” Reg. Ang. III, 1269-1270, p. 201.
[xxxiv] “Mandatum de reintegratione membrorum feudi castri Malisse, concessi Odoardo de Rubecuria mil., et feudi castri Umbriatici, concessi Lodoyco de Montibus mil. Straticoto Messane.” Reg. Ang. IX, 1272-1273, p. 271-272.
[xxxv] “Similis pro Joanni dicto Pluvier mil., cui concessimus castrum Melisse” (1269). Reg. Ang. IV, 1266-1270, p. 43. Minieri Riccio C., Brevi Notizie intorno all’Archivio Angioino di Napoli, 1862, p. 49. “Johanni dicto Pluviers de Trosillis mil., cui concessimus terram Gerentie in Valle Gratis in excambium castri Melisse” provisio pro possessione.” (1269). Reg. Ang. IV, 1266-1270, p. 104. Minieri Riccio C., Brevi Notizie cit., p. 74. “Johannes Pluvier mil. dominus terre Melisse” (1269). Reg. Ang. IV, 1266-1270, p. 1 “Ioanni de Plovier, mil. Concessio castri Melisse, pro resignatione ab eo facta Curie terre Cerentie, excepto casali Crepacore” (1269-1270). Reg. Ang. III, 1269-1270, p. 201. “Ade Morier, Marescallo Regni Sicilie et in Sicilia Vicario Generali, donat castrum Melisse de Iustitiaratu Vallis Gratis” (1270-1271). Reg. Ang. VI, 1270-1271 p. 153. “… Castrum Melisse assignetur Odoardo de Rubecuria mil. cui concessum erat, et quedam alie terre assignentur Galterio Appardo, mil.” (1271). Reg. Ang. VIII, 1271-1272, p. 61. “Mandatum de reintegratione membrorum feudi castri Malisse, concessi Odoardo de Rubecuria mil., et feudi castri Umbriatici, concessi Lodoyco de Montibus mil. Straticoto Messane” (1272). Reg. Ang. IX, 1272-1273, pp. 271-272.
[xxxvi] Maone P., Caccuri Monastica e Feudale, 1969, p. 16. De Leo P. (a cura di), Documenti Florensi, 2001, pp. 183, 186.
[xxxvii] ACA, Cancillería, Reg. 2909, ff. 102-103.
[xxxviii] MLIX. “… Robertus … / ad Calabros rediit. Cariati protinus urbem / obsidet, hac capta reliquas ut terreat urbes./ Interea papae Nicholai forte secundi / comperit adventum; dimittitur obsidione/ plurima pars equitum, comitatur pars minor illum.” Partito da Cariati, dove lasciò la maggior parte del suo esercito, Roberto si recò a Melfi dove incontrò il papa. Concluso il concilio, con un numeroso esercito, Roberto scese nuovamente in Calabria e riprese l’assedio di Cariati: “Romam papa redit, cum magno dux equitatu / obsessum repetit Cariatum, quo sibi fida / maxima pars equittum dimissa remanserat ante. / Gens Cariatensis, duce perturbata reverso, / non obstare valens, illi se dedit et urbem.” Guillaume de Pouille, La geste de Robert Guiscard, ed. M. Mathieu, Palermo 1961, II, pp. 152-154.
[xxxix] Gennaio 1126. Guglielmo Morino dona a Ruggero, Categumeno di Santa Maria di Camigliano, il monastero di San Basile in territorio di Cariati (διακρατείσμασιν Kαριάτoυ), con i suoi beni, villani e diritti. Guillou A., Les Actes Grecs des Fonds Aldobrandini et Miraglia XI-XIII s., Biblioteca Apostolica Vaticana 2009, pp. 24-27).
[xl] 27 dicembre 1439, Acerra. Si fa menzione di un atto di procura dato il 26 novembre 1439 “apud Castrum Cariati in quadam aula vulgariter nuncupata la camera de Sancta Anna”, “locum solitum habitacionis illustris et ex.tis d(om)ine d(om)ine Cubelle Ruffe de Calabria”. ACA, Cancillería, Reg. 2941, ff. 3v-4v. 1440: “Incipit a flumine Trionta, et vadit per magnam stradam seu viam publicam, quae de Castro nostro civitatis Cariati itur in civitate Rosciani”. Rosis L., Cenno Storico della Città di Rossano e delle sue Nobili Famiglie, Napoli 1838, p. 355. 11 ottobre 1446, in Castelnuovo a Napoli. Si fa menzione di un atto dato “in n(ost)ro Castro Civitatis Carriati” il 5 gennaio 1446, IX indizione. ACA, Cancillería, Reg. 2908, ff. 176-177v.
[xli] Parthey G. e Pinder M., Itinerarium Antonini Augusti et Hierosolymitanum, 1848, pp. 52-53.
[xlii] ASCZ, Not. Consulo B., Busta 9, f. 306.
[xliii] Reg. Ang. XVII (1275-1277), pp. 57-58.
[xliv] Parthey G., Hieroclis Synecdemus et Notitiae Graecae Episcopatuum, 1866, p. 222.
[xlv] Parthey G., Hieroclis Synecdemus et Notitiae Graecae Episcopatuum, 1866, p. 294.
[xlvi] Trinchera F., Syllabus Graecarum membranarum, 1865, p. 146.
[xlvii] “Insulam Crotoni” (1071). Goffredo Malaterra, De Rebus Gestis Rogerii Comitis, in Muratori L. A., Rerum Italicarum Scriptores, Zanichelli N. Bologna s.d., tomo V, p. 52. “Insula Cutronensi” (1233). De Leo P. (a cura di), Documenti Florensi, 2001, pp. 123-130. “insulam Cotroni” (1252). De Leo P. cit., pp. 143-145.
[xlviii] “Andree de Pratis, militis, exequtoria concessionis custodie turris et insule de tenimento Cutroni nec non palatii et defense Alichie, amoto Ioanne de Genua, milite.” Reg. Ang. XXXVIII (1291-1292), p. 55.
[xlix] 19 giugno 1341. “Catherina de Melzeria, domina castri Insule et Crapelle”, in Calabria ed in Capitanata, “plurimum paupertate gravatur”; onde il Re la dispensa per due anni dal pagamento delò tributo feudale.” Caggese R., Roberto d’Angiò e i suoi tempi Volume I, 1922, p. 241 nota n. 2.
[l] “Alessandro oltre d’haver posseduto per parte di Catarina Marceria il Castel della Torre, e l’Isola nelle pertinentie di Cutrone, Comprò da Simone Monitio un Feudo presso Lampusa.” Campanile F., L’armi Ovvero Insegne Dè Nobili, 1610 p. 280.
[li] Il casale di “turisinsula” risulta tra i possedimenti confermati da papa Martino V al “nobilis vir Nicolaus Ruffus Marchio Cotronis” l’11 luglio 1426. ASV, Reg. Vat. Vol. 355, ff. 287-288.
[lii] “Capitoli graciose concessi per per la sacra Regia ma.ta alla universita et homini dela Citate de Cotroni. In primis che la dicta Cita de Cotroni et soy casali unacum Crepacore et la turre delisola quali so membri dela dita Cita siano tenuti sempre imperpetuum in demanio et che de nullo tempo siano concessi in baronia ne in Capitania et Castellania et quando fussi lo contrario loro sia licito auc(torita)te propria etiam armata manu piglareli et reducereli in demanio etiam et disfareli § placet Regie magestati.” Capitoli concessi alla città di “Cutroni” dati “in castris n(ost)ris felicibus prope Civitatem n(ost)ram Cutroni” l’otto dicembre 1444 VIII indizione. ACA, Cancillería, Reg. 2904, f. 214.
[liii] 10 novembre 1444, dal suo accampamento sul fiume Neto presso Strongoli, re Alfonso d’Aragona concede in feudo a Martino vescovo di Isola, il tenimento detto “Insolam”, sito e posto nelle pertinenze della “Civitatem Turris Insularum quod confinant cum mari ex una parte ex alia cum tenimento Carbonarie ex altera cum tenimento Castellorum et alia cum vallone sicco maxenove et cum aliis confinibus”. ACA, Cancillería, Reg. 2904, ff. 244-244v.
[liv] Russo F., La Metropolia di S. Severina, in Scritti Storici Calabresi, C.A.M., Napoli 1957, pp. 52-54.
[lv] Parthey G., Hieroclis Synecdemus et Notitiae Graecae Episcopatuum, 1866, p. 126. Russo F., La Metropolia di S. Severina, in Scritti Storici Calabresi, C.A.M., Napoli 1957, pp. 43 e sgg.
[lvi] Goffredo Malaterra, De Rebus Gestis Rogerii Comitis, in Muratori L. A., Rerum Italicarum Scriptores, Zanichelli N. Bologna s.d., tomo V parte I, p. 47.
[lvii] Guillou A., Les Actes Grecs des Fonds Aldobrandini et Miraglia XI-XIII s., Biblioteca Apostolica Vaticana 2009, p. 154-157.
[lviii] Guillou A., Les Actes Grecs des Fonds Aldobrandini et Miraglia XI-XIII s., Biblioteca Apostolica Vaticana 2009, pp. 51-53; 60-62; 63-65; 66-70. Pratesi A., Carte Latine di Abbazie Calabresi provenienti dall’Archivio Aldobrandini, Biblioteca Apostolica Vaticana, 1958, pp. 348-350; 354-356. De Leo P. (a cura di), Documenti Florensi, 2001, pp. 146-147; 152-154.
[lix] Guillou A., Les Actes Grecs des Fonds Aldobrandini et Miraglia XI-XIII s., Biblioteca Apostolica Vaticana 2009, p. 143.
[lx] “Nella anno VIM. DC. XXXVIII INDIZIONE VIII, io Giovanni umilissimo prete di Aorato divenni protopapa del castello di Cassano (ίωάννης ὲλάχιστος πρεσβύτερος ὁ τοῦ ἀοράτου προτοπαπα ἄστεως ϰασσάνου) nel mese di settembre, il dì quattro, feria IV.” Cozza-Luzi G., Documenti per Servire alla Storia di Sicilia pubblicati a cura della Società Siciliana per la Storia Patria, Quarta Serie, Volume II, Palermo 1890, pp. 87-88.
[lxi] Guillou A., Les Actes Grecs des Fonds Aldobrandini et Miraglia XI-XIII s., Biblioteca Apostolica Vaticana 2009, p. 32.
[lxii] Guillou A., Les Actes Grecs des Fonds Aldobrandini et Miraglia XI-XIII s., Biblioteca Apostolica Vaticana 2009, p. 66-70.
[lxiii] Guillou A., Les Actes Grecs des Fonds Aldobrandini et Miraglia XI-XIII s., Biblioteca Apostolica Vaticana 2009, p. 147.
[lxiv] Guillou A., Les Actes Grecs des Fonds Aldobrandini et Miraglia XI-XIII s., Biblioteca Apostolica Vaticana 2009, p. 153.
[lxv] Guillou A., Les Actes Grecs des Fonds Aldobrandini et Miraglia XI-XIII s., Biblioteca Apostolica Vaticana 2009, p. 157.
[lxvi] Guillou A., Les Actes Grecs des Fonds Aldobrandini et Miraglia XI-XIII s., Biblioteca Apostolica Vaticana 2009, p. 196.
[lxvii] Guillou A., Les Actes Grecs des Fonds Aldobrandini et Miraglia XI-XIII s., Biblioteca Apostolica Vaticana 2009, p. 221.
[lxviii] Guillou A., Les Actes Grecs des Fonds Aldobrandini et Miraglia XI-XIII s., Biblioteca Apostolica Vaticana 2009, p. 243.
[lxix] Guillou A., Les Actes Grecs des Fonds Aldobrandini et Miraglia XI-XIII s., Biblioteca Apostolica Vaticana 2009, p. 247.
[lxx] Guillou A., Les Actes Grecs des Fonds Aldobrandini et Miraglia XI-XIII s., Biblioteca Apostolica Vaticana 2009, p. 251.
[lxxi] Guillou A., Les Actes Grecs des Fonds Aldobrandini et Miraglia XI-XIII s., Biblioteca Apostolica Vaticana 2009, p. 255.
[lxxii] Guillou A., Les Actes Grecs des Fonds Aldobrandini et Miraglia XI-XIII s., Biblioteca Apostolica Vaticana 2009, p. 235.
[lxxiii] Guillou A., Les Actes Grecs des Fonds Aldobrandini et Miraglia XI-XIII s., Biblioteca Apostolica Vaticana 2009, p. 214.
[lxxiv] Agli inizi del Quattrocento il borgo dei Revocati, come gli altri “burgi civitatis Cosentie”, posti fuori le mura e privi di difese, furono distrutti durante la devastazione della città condotta da Antonuccio dei Camponeschi di Aquila, così i Cosentini supplicarono il re Luigi III d’Angiò che, tra l’altro, fosse loro concesso di ricostruire, ampliare e dotare di mura i “burga” cittadini: “dicte civitatis Cosentie diruta est maxima pars murorum et qualiter dictus Antonucius destruxit Civitatem eandem, et est civibus diminuita e destructa sunt burga”. “Item quod burgi civitatis Cosentie possint ampliari, murari et sub clausure et fortificazione poni, ac fortificare pro securitate Civitatis Cosentie et habitantium ibidem.” Cancro M., Privilegii et Capitoli della Citta de Cosenza et soi Casali, concessi dalli Serenissimi Re de questo Regno de Napoli confirmati et di nuovo concessi per la Maiesta Cesarea et la Serenissima Maieta del Re Philippo Nuostro Signore, Napoli 1557, ff. 12v-13 e 17v. http://notes9.senato.it
[lxxv] “Et per che li Albanesi, Greci, et Schiavoni quali habitano per li burghi, Casali, et lochi aperti del regno fanno multi furti et arrobi V.S.I. proveda, che tutti intrino ad habitare dentro le terre murate, et per nullo tempo possano habitare fora de esse terre. PLACET Illustrissimo Domino.” Cancro M., Privilegii et Capitoli della Citta de Cosenza et soi Casali, concessi dalli Serenissimi Re de questo Regno de Napoli confirmati et di nuovo concessi per la Maiesta Cesarea et la Serenissima Maieta del Re Philippo Nuostro Signore, Napoli 1557, p. 84v.
[lxxvi] ASCZ, Notaio Durande G. D., Busta n. 35, f. 463.
[lxxvii] Il 30 settembre 1067 (?), papa Alessandro II prendeva il monastero di Santa Maria della Matina sotto la protezione pontificia, concedendo che “… adesse liberum ab omni episcopali dominatione vel iudicio ut nullus archiepiscopus vel episcopus habeat aliquam deliberationem vel aliquam potestatem in vestro monasterio vel in villa sive burgo vestri monasterii neque super clericos neque super laicos; scilicet ea libertate donamus vobis burgum sive villam vestri monasterii ut tu ac congregationis tue fratres populum huius ville, clericos sive laicos, vice nostra regere et eorum errata corrigere procuretis ibique sacerdotes catholicos atque idoneos constituatis qui eorum animabus invigilent …”. Pratesi A., Carte Latine di Abbazie Calabresi provenienti dall’Archivio Aldobrandini, Biblioteca Apostolica Vaticana 1958, pp. 13-16. “… et mediatatem casalis Apriliani cum omnibus militibus, burgensibus et aliis hominibus franchis et villanis in eis morantibus et cum omnibus pertinentiis, appendiciis et juribus suis” (1231). Huillard-Bréholles J. L. A., Historia Diplomatica Friderici Secundi, Parigi 1852, Tomo III pp. 257-259; Fiore G., Della Calabria Illustrata, I, 1699, p. 277.
[lxxviii] Constitutiones Regum Regni Utriusque Siciliae, Napoli 1786, Lib. II, tit. 32, p. 143.
[lxxix] Reg. Ang. XXXI (1306-1307), p. 13.
[lxxx] Reg. Ang. XXXI (1306-1307), p. 71.
[lxxxi] AVC, Privilegio dello Sacro Episcopato della città dell’Isula, in Processo grosso di fogli cinq.cento settanta due della lite, che Mons. Ill.mo Caracciolo ha col S.r Duca di Nocera per il Vescovato, ff. 418-419.
[lxxxii] In un atto di concordia del 1588, tra il vescovo di Isola Annibale Caracciolo ed il barone Gaspare Ricca, intorno ad alcune liti riguardanti questo “Borgo”, si afferma: “che il Vescovo pretendeva fondatamente, che fin le Case di dentro il recinto della Città si fossero redditizie alla chiesa, come edificate dentro al Corso, detto S. Barbara, antico patrimonio di questo vescovato”. AVC, Ragioni addotte, e scritte in forma di Lettere da Monsignor Francesco De Marini vescovo di Isola al signor Duca di Montesardo sopra le nuove controversie intorno al Borgo della Città predetta. s.d., pp. 4 e sgg.
[lxxxiii] Nelle relazioni dei vescovi di Belcastro spesso troviamo riferimenti alla città antica, che era situata sulla rupe al cospetto del mare. Il 17 agosto 1641 il vescovo Francesco di Napoli descrivendo lo stato della chiesa cattedrale, riferisce che “Ipsa Ecc.a primis temporibus in media Urbe sita erat nunc autem Civitas adeo diruta est ut extra Civitatem omnino posita esse cernitur”. ASV, Rel. Lim. Bellicastren., 1641. Situazione che descrivono anche il vescovo Carlo Gargano nel marzo 1677, ed il vescovo Emblaviti nel 1699. “… egregiis munimentis vallavit, modo temporis canitiae moeniis diruta taliter redacta est, ut vix illa dignoscit quaeat … super quibusdam montibus sita, vallibusque circunsecta, insalubris vero aeris octocentum circiter incolas continet … Ecc.a Cathd.lis sub titulo S. Michaelis Archangeli antiquitus intus Civitatem sita erat modo autem ob desolationem extra reperitur …”. ASV, Rel. Lim. Bellicastren., 1677. “Palatium, et Ecclesia Cathedralis est constructa prope antiquam Arcem, tunc enim temporis erat in medio exuberabat enim super decem mille domibus … in hoc castro … in antiqua scala adsunt arma Domus Caraccioli mixta, et in saxo incisi flores” … “Magnum circuitum Urbis denotant ossa arida, et congeries lapidum, dirutique aedificiis moles cum insigni positura Castri devastati ictu et vi arietis à Baronibus sub spe thesauri, ita quod ibi tantum remansit ecclesia pervetusta Sancti Thomae Aquinatis … E cospectu arcis in supremo Civitatis, vasta adest turris teres immense altitudinis ad hoc inhabitabilis.” ASV, Rel. Lim. Bellicastren., 1699.
[lxxxiv] 3 febbraio 1593. “domum unam terraneam sitam et positam in dicta t(er)ra vertinarum et proprie in loco dicto lo burgo juxta domum her.m q(uondam) Nardi gauterii : viam pp.cam et alios fines”. ASCZ, Notaio Consulo B., busta 9, ff. 261v-262.
[lxxxv] “Il Palazzo Ducale sito nel luogo d.o il Borgo, in isola, consist.e in più, e diversi membri con stalla, rimessa, cantina, magazeni, seu granai, q.ali tutti servivano per prop.o commodo di d.o Ill(ust)re D. Nicolò fu Duca di Verzino. Altro Palazzo consist.e in una cam.a, ed un magazeno contiguo al sop.a d.o, che anche serviva per prop.o commodo.” ASN, Regia Camera della Sommaria, Patrimonio, Catasti onciari, Busta 7011, f. 930.
[lxxxvi] Cropani, 23 settembre 1586. Il magnifico Ioanne Bartolo Cappellano possiede la “Domum palatiatam seu magazenum positum in burgo dittae terrae in loco ditto la piacza iusta domum ipsius mag.co Ioannis Bartoli et domum heredum q.dam cesaris capp.i”. ASCZ, Not. Giovine P., Busta 43 f. 34v. Cropani, 17 aprile 1584. Il clerico Laurentio de Nicotera vende a Vincenzo Maczaccaro un censo di ducati cinque sopra le sue case “sitis et positis in burgo dittae terrae iusta domum her.m Cesaris Capp.ni vias p.cas ex duobus lateribus dittas la piacza”. Ibidem, f. 3. Cropani, 8 gennaio 1584. Il notaio Rafaele Placido di Cropani e la moglie donna Leandra Galati, vendono a Tomaso Valentino le “domibus sitis et positis in burgo dittae terrae in loco ditto Santo Ioanne iusta domum mag.ri federici delaro va domum attoriae de pulella viam publicam”. Ibidem, f. 6. Cropani, 25 settembre 1586. Il mag.co Ioanne Alfonso Cosentino possiede “vinea … prope burgum loco ditto Santo Ioanne iusta vineam thomae pinelli”. Ibidem, f. 35. Cropani, 4 agosto 1587. Francesco Jordano e Filippo de Biamonte possiedono una “vineam vitatam arboratam arboribus sicomorum posita in burgo dictae terrae loco dicto allo serrone seu ad santo Io(ann)e prope burgum dictae terrae a parte superiori iusta vineam m.ci jois hieronimi bruni vineam.m.ci cesaris cassani terrenum seu hortum jois alfonsi de lo russo”. Ibidem, f. 48v.
[lxxxvii] Fiore G., Della Calabria Illustrata, I, p. 212.
[lxxxviii] ASN, R. C. Somm., Numerazione dei Fuochi n. 133.
[lxxxix] “item Baiulus p.tus exigere potest penam tareni unius pecuniae pro quolibe tocco seu gregie porcorum et quarum vis bestiarum armentitiarum intrante intus burgum ditte terre Castellorum videlicet: a fosso citra per qualibet viam.” AVC, Reintegra dei feudi del conte di Santa Severina Andrea Carrafa, 1518, doc. senza collocazione, f. 17v.
[xc] “item baiulus habet jus portulaniae q. consistit in videndis quibuscumque differentiis viarum casalenorum, scalarum et similium que differentiae videri non possunt nisi per dittum portulanum et quohes …que accesserit ad videndum aliquam differentiam ad istantiam alicuius intus terram seu burgum ditte terra castellorum exigit carlenos quinque ab illo a quo vacatus fuerit si vero accesserit ex.a dittam terram seu burgum p.tum per distantias duorum miliarum seu ultra exigit docatum unum.” AVC, Reintegra dei feudi del conte di Santa Severina Andrea Carrafa, 1518, doc. senza collocazione, f. senza num.
[xci] “Rocca de Camastro” (1222). De Leo P. (a cura di), Documenti Florensi 2001, pp. 99-101 e 102-103. “iuxta flumen Neti subtus Roccam S. Petri de Cremasto” (1246). Ughelli F., Italia Sacra, IX, 517-520. “Instrumentum donationis factae per Tangredum quondam Peregrini de Taranto fratri Orlando abbati Florensi unius casaleni in civitate S. Severinae, in parochia S. Nicolai de Latinis, tumulatarum terrarum in casali S. Petri de Camastro tenimenti eiusdem civitatis, anno 1256.” De Leo P. (a cura di), Documenti Florensi 2001, p. XXXVI.
[xcii] “Rocca Sancti Petri de Camastro pro unciis duodecim. Ad presens vocatur Rochaneti” (1378). Biblioteca comunale di Bitonto, Fondo Rogadeo, Ms. A 23 p. 110 (secondo ASNA, ex Reg. ang. 373, f. 93v).
[xciii] “civitatis Cerencie et Mocte Neti” (1451). Fonti Aragonesi, II, p. 81.
[xciv] Cutro (Κούτρον) tenimento (διακρατήσει) di Santa Severina (1223-1224). Guillou A., Les Actes Grecs des Fonds Aldobrandini et Miraglia XI-XIII s., Biblioteca Apostolica Vaticana, 2009, pp. 81-84. “in tenimento Sancte Severine locum qui dicitur Cutri” (1225). Pratesi A., Carte Latine di Abbazie Calabresi provenienti dall’Archivio Aldobrandini, 1958, pp. 340-342. “in casale Cutri” (1240). Pratesi A., Carte Latine cit., pp. 399-403. “Notatur Francisco de Aversa familiari concessio casalis Cutri de pertinentia Sancte Severine in Calabria” (1293-1294). Reg. Ang. XLVI, 1276-1294, p. 175. “cum Cutri s(an)cti Johannis de monacho papanichifori Cromiti Apriliani mabrocoli misicelli lachani Crepacoris massanove et turisinsula Casalibus” (1426). ASV, Reg. Vat. Vol. 355, ff. 287-288. “Item supplica la dicta universitate chi como contene per lo privilegio in sigillo de auro pendente che si per oblivione dela ma.te v(ost)ra predicta distrayssino seperasseno delo demanio la dicta Cittate de Sancta Severina cum soy casali como ey cutro Sancto Iohanni Monacho et Sancto Mauro Turlucio Sancto Leo Scandale Sancto Stephano li quali licet non habitano ca so sfatti et depopulati in tuto” (1444). ACA, Cancillería, Reg. 2903, ff. 179. Il feudo “de balduyno consistente in Civitate et tenimento catanzarii Castellorum maris Casalis Cutri Tacine et casalis s(an)cti florii” (1445). ACA, Cancillería, Reg. 2909, ff. 115v-116. “in civitate sanctae severinae cum casalibus cutri, et sancti joannis Minagho” (1525). ASN, Regia Camera della Sommaria, Materia Feudale, Relevi – Inventario, Vol. 346, fascicolo 32, f. 354.
[xcv] ASN, Refute dei Quinternoni, vol. 207, ff. 78-122.
[xcvi] L’otto giugno 1578, nella terra di Cutro, gli erari del feudatario mettono all’asta l’affitto dei mulini della Canosa “subtus turrim dicte terre”. ASCZ, Busta 12, anno 1578, f. 181.
[xcvii] “S. Mauro di Caraba” compare nell’“Elenco delle terre appartenenti al Giustizierato di Val di Crati e Terra Giordana” (1275-1276). Reg. Ang. XIII (1275-1277), p. 267. “s(an)cti mauri de Caraba” (1426). ASV, Reg. Vat. Vol. 355, ff. 287-288. Tra i testimoni compare il presbiter Thomas de Caroleis de Sancto Mauro de Caraba. AASS, Fondo Pergamenaceo, Pergamena 4.
[xcviii] “casali Sancti Mauri” (1223). De Leo P. (a cura), Documenti florensi 2001, pp. 119-112. “in casale Sancti Mauri” (1240). Pratesi A., Carte Latine di Abbazie Calabresi provenienti dall’Archivio Aldobrandini, 1958, pp. 399-403. “in casale Sancti Mauri” (1248). De Leo P., cit., pp. 138-140.
[xcix] “… la dicta Cittate de Sancta Severina cum soy casali como ey cutro Sancto Iohanni Monacho et Sancto Mauro Turlucio Sancto Leo Scandale Sancto Stephano li quali licet non habitano ca so sfatti et depopulati in tuto” (1444). ACA, Cancillería, Reg. 2903, f. 179.
[c] 23 gennaio 1445: “mocte sancti mauri Casalium cutri et sancti johannis monacho”. ACA, Cancillería, Reg. 2906, ff. 140v-141.
[ci] ACA, Cancillería, Reg. 2904, ff. 204v-206.
[cii] 19 novembre 1444 (ACA, Cancillería, Reg. 2907, ff. 18v-19v). 23 novembre 1444 (ACA, Cancillería, Reg. 2907, ff. 20v-21).
[ciii] ACA, Cancillería, Reg. 2907, ff. 76-77.
[civ] Fonti Aragonesi, I, p. 73.
[cv] ACA, Cancillería, Reg. 2915, ff. 2v-4.
[cvi] Un prezioso documento del secolo XV, in Siberene, Cronaca del Passato per le Diocesi di Santaseverina – Crotone – Cariati, Scalise G. B. (a cura di), 1999, p. 167.
[cvii] “Inprimis La dicta universita et ho(min)i delle Castella peteno ala s. v. m. che la d(i)cta t(er)ra deli castella et Tacina lo casale suo Antiquo sempre et in perpetuum sia in demanio de la ma.ta v(ost)ra Et che non li possa donare la ma.ta v. ad nullo barone non conte non marchese ne ad altro signore excepto como e dicto de supra che sempre sia in demanio Et in caso che la ma.ta v. lle donasse ipsi boni ho(min)i non fossero tenuti allo homagio § placet Regie ma.ta retenere eos semper in demanio.” Conferma data il 4 gennaio 1445 “in castris n(ost)ris felicibus Contra castrum civitatis n(ost)re Cutroni”, dei capitoli della “Terrae Castellorum” dati “in castris n(ost)ris felicibus contra castrum civitatis n(ost)re cutroni” il 27 dicembre 1444. ACA, Cancillería, Reg. 2907, f. 36.
[cviii] Il 2 gennaio 1445, dall’accampamento regio contro il castello di Crotone, re Alfonso d’Aragona nominava il nobile “Alfonso de Vargas militi Armorum conductori”, “Castellanum turris nostre tacine de provincia Calabrie ultra”, con i diritti di erbaggio e di passo e con l’obbligo di ripararla e fortificarla. ACA, Cancillería, Reg. 2907, ff. 66v-67v.
[cix] ACA, Cancillería, Reg. 2908, ff. 67-67v.
[cx] D’Amato V., Memorie Historiche di Catanzaro, 1670, p. 103.
[cxi] ACA, Cancillería, Reg. 2912, ff. 56-57.
[cxii] Grimaldi G., Istoria delle Leggi e Magistrati del Regno di Napoli continuata da Ginesio Grimaldi, tomo 5, 1767, pp. 232-233.
[cxiii] Fonti Aragonesi, II, p. 53. AVC, Processo grosso di fogli cinq.cento settanta due della lite, che Mons. Ill.mo Caracciolo ha col S.r Duca di Nocera per il Vescovato, ff. 68-76v.
[cxiv] 7 ottobre 1254. Petro Ruffo de Calabria, comiti Catanzarii. Quum ipse se ecclesiae brachiis totaliter commiserit, personam eius cum uxore, scil. comitissa Catanzari, nepotibus et consanguineis et affinibus, et bona eorum sub sua et Sedis Apostolicae tutela suscipit; concessiones insuper et donationes tam de comitatu Catanzarii quam de castro Mesuratae et de feudo Rendae a quondam Friderico et Conrado eius nato eidem Petro Ruffo factas, ratas habet. Ea illi de novo concedit, ita quod eidem, de quibus Fulcunem, eius nepotem, Papa ipsius nomine investivit, ab Ecclesia immediate dependant.” Russo F., Regesto I, 873.
7 ottobre 1254. “nimmt den zum gehorsam gegen die kirche zurückgekehrten Petrus Ruffus de Calabria, grafen von Catanzaro, seine frau und alle seine neffen und verwandten mit ihren gütern unter seinen schutz; bestätigt ihm auf seine bitte die ihm von dem ehemaligen kaiser und von Conrad verliehene grafschaft Catanzaro, das castrum Mesurace und das lehn Rende und belehnt ihn und seine erben von neuem mit denselben als unmittelbaren lehen der kirche, für welche sein neffe Fulco in seinem namen die investitur empfangen hat und, wenn die kirche ein allgemeines aufgebot zur vertheidigung des königreichs erlässt, acht ritter auf 40 tage zur verwendung in Calabrien und Sicilien zu stellen sind. M. G. Ep. pont. 3,296.” Böhmer J. F., Regesta Imperii V, 2.3 ed. Ficker 1892, p. 1402 n. 8824 (dal Sito www.regesta-imperii.de).
“1. 1254. Bolla transuntata dove Papa Innocentio Quarto investisce Pietro / Ruffo nel Contato di Catanzaro Mesuraca e Feudo di Renda, come devoluto / alla Sede Ap(osto)lica con tutto il Regno, e fatta Copia Auth(enti)ca nel 1322 per ordi / ne di Gio : Ruffo Conte di Catanzaro successore del med.mo Conte Pietro.” Dal sito www.ruffodicalabria.it
[cxv] “Item considerato che lo nobile lodovico de phichechiis loro capit.o fo ad istantia fine mo et in mocta de castello Capit.o ad guerra le haveno ben tractati supplicano che loro sia facto uno securo conducto che ipsi cum loro famiglia roba et boni possano andare une vogliano senza inpaczo § placet Regie maie.ti.” “Confirmatio Capitulorum Terre Mesurache” data “in n(ost)ris felicibus castris apud Civitatem sancte severine” il 20 novembre 1444. ACA, Cancillería, Reg. 2904, f. 189v.
[cxvi] ACA, Cancillería, Reg. 2912, ff. 101v-102r.
[cxvii] Fonti Aragonesi II, p. CXXII e pp. 122-125.
[cxviii] Caridi G., Ricerche sul Monastero di S. Angelo de Frigillo e il suo Territorio, in “Archivio Storico per la Sicilia Orientale”, LXXVII (1981), pp. 345-383. Caridi G., Agricoltura e Pastorizia in Calabria, 1989, pp. 78-80. Brasacchio G., Storia Economica della Calabria, pp. 342-343.
[cxix] Ughelli F., Italia Sacra, IX, 1662, 527.
[cxx] AVC, Privilegio dello Sacro Episcopato della città dell’Isula, in Processo grosso di fogli cinq.cento settanta due della lite, che Mons. Ill.mo Caracciolo ha col S.r Duca di Nocera per il Vescovato, ff. 420-420v.
[cxxi] Pratesi A., Carte Latine di Abbazie Calabresi provenienti dall’Archivio Aldobrandini, 1958, pp. 309-312.
[cxxii] “Privileg. Caroli V Imperat. concessionis construendi et aedificandi Casale in territor. Abbatiae. In anno 1530.” Siberene Cronaca del Passato per le Diocesi di Santaseverina – Crotone – Cariati, a cura di Scalise G. B., p. 232.
[cxxiii] 22 ottobre 1642, Belcastro. Davanti al notaro compaiono Paolo Apa del casale di Andali, attualmente abitante nel casale di Zingarie, da una parte, e dall’altra Petro Dara del casale di Andali. L’Apa possiede “in circumferentiis” del casale di Andali, luogo detto “dietro la Chiesa”, una vigna che vende per 12 ducati al Dara. ASCZ, Not. Francesco Mazzaccaro, anno 1642, ff. 196-197.
[cxxiv] Reg. Ang. IX (1272-1273), p. 271.
[cxxv] Tra i capitoli concessi alla “universitatis et ho(mi)num t(er)re Pulicastri”, dati “in castris nostris felicibus prope Roccam b(erna)rdam” il 17 novembre 1444, VIII indizione, quest’ultima affermava che “ab antiquissimo”, possedeva “uno Casale no(mi)ne li cot.oney lo quale ene disfacto et tucta la gente ene dent.o la d(ic)ta terra”. ACA, Cancillería, Reg. 2904, f. 185.
[cxxvi] Mannarino F. A., “Cronica della Celebre ed Antica Petilia detta oggi Policastro” (1721-23).
[cxxvii] “Item supplicano si degni farli immunità a capitolo che volendo fabricare case, o piantare vigni in d.o territorio che quelle possano vendere, alienare et permutare a loro arbitrio a chi loro piacerà. Placet habita prius licentia.” ASCZ, Copia di Platea antica con i pesi de’ vassalli, in Miscellanea Monastero di S. Maria di Altilia (1579-1782), fasc. 529, 659, B. 8.
Creato il 24 Ottobre 2024. Ultima modifica: 25 Ottobre 2024.