Il porto di Crotone dal Medioevo al Settecento
L’origine della città di Crotone è legata alla sua posizione geografica e alla natura del luogo. Unico rifugio naturale dopo quello di Taranto sulla costa ionica, era punto di attracco per le imbarcazioni, che nell’antichità costeggiavano il Mediterraneo, e luogo di imbarco dei prodotti dei paesi interni e della Sila: “(I Crotoniati) avendo dei rifugi estivi e un piccolo luogo di approdo, unico nella zona, guadagnarono grandi ricchezze, per nessun’altra causa, se non per la opportunità del sito; il quale non è degno di essere paragonato al porto e alla posizione di Taranto”.[i]
Con la decadenza della città greca e con il restringersi dell’abitato in periodo romano sulla collina dell’acropoli, presero vigore gli approdi ai due lati del promontorio della rocca romana. Controllato da una guarnigione militare, il porto fu luogo di passaggio per le imbarcazioni, che dalla Grecia per il golfo di Taranto, si dirigevano in Sicilia.
Per tale motivo la rocca di Crotone mantenne un ruolo importante anche durante il periodo bizantino: nel 547 “Belisario, dunque, si affrettò ad andare subito a Taranto. Qui la costa s’incurva in una grande insenatura a forma di falce e nella rientranza della terra si estende il mare, costituendo un amplissimo golfo. La lunghezza totale dell’insenatura, seguendo il contorno della costa, è di mille stadi, e alle due estremità dell’imboccatura del golfo giacciono due città: Crotone sulla parte occidentale, e Taranto su quella orientale, mentre quasi al centro del golfo si trova la città di Turi. Belisario, sorpreso da una violenta tempesta e contrastato dal vento, mentre il mare agitato non permetteva alle navi di procedere oltre, dovette ancorare la flotta nel porto di Crotone.[ii]
L’importanza della città per la posizione del suo porto è documentata anche durante il periodo normanno svevo. Alla metà del Dodicesimo secolo il geografo arabo Edrisi così descrive la città ed il porto di “q.ṭrûnî (Cotrone), che altri dicono q.ṭrûnah, città antichissima, [anzi] primitiva e bella, dieci miglia. Ha mura difendevoli e porto ampio dove si getta l’ancora al sicuro.”[iii]
Il nuovo porto
Durante il periodo svevo Crotone, detta anche Cotrona, è una città demaniale e commerciale importante specie per l’estrazione di vettovaglie. L’imperatore Federico II oltre a prestare particolare cura ai castelli, fece costruire due porti uno sul Tirreno a “Bivona” e l’altro sull’Ionio a “Cotrona”.
Nell’ordinamento dei nuovi porti “ad extrahenda victualia” del 5 ottobre 1239, troviamo il nome del custode e del notaio del nuovo porto di Crotone: “In Cotrona novus portus / Custos Nicolaus Barbatus de Cotrona / Notarius Bencivinius de Cotrona”. Sempre nello stesso mese a sicurezza della città nominava castellano del castrum di Crotone Petro Rufo. Segue l’anno dopo, il 3 maggio 1240, un ordine dell’imperatore a Johannes Cioffus di vigilare sul nuovo porto: “Mandata ad Johannem Cioffum magistrum camerarium a porta Roseti usque Farum ut novos portus in Cotrona et Bivona statutos et alios jurisdictionis ejus bene custodiat …”.[iv]
Nel 1259 il re Manfredi conferma ai Veneziani un contratto commerciale e lo estende anche a Ragusa e Zara, colonie veneziane.[v] Il commercio è soprattutto attivato da Amalfitani, Pisani, Genovesi, Fiorentini e Veneziani, che imbarcano legname della Sila e generi alimentari.
In questi anni il portolano medievale noto come “Compasso da navegare”, la cui compilazione risale al gennaio 1296 (codice Hamilton 396), così descrive il porto di Crotone: “Del golfo de squillaci al capo de Castelle Ix mil(lara) per greco ver lo levante. Del capo de Castelle al capo de le Colomne x mil(lara) entre greco e tramo(n)tana. Del capo de le Colonne a Cotrone x mil(lara) p (er) tramontana. Cotrone è bo(m) porto p(er) tucti ve(n)ti, ma non è bono p(er) greco. L’intrata enno porto: venite da mecco di, va propo del castello de Cotrone iij prodesi e va entro <entro> che sie entre lo castello de Cotrone, (et) en quello loco sorgi, che sopre lo castello de Cotrone à Ia secca de xij palmi, (et) è lontano del castello vj prodesi, (et) è en mare al castello p(er) greco. E se volete entrare da tramontana, va iij prodesi appresso de la terra. De Cotrone a la lena de Lechia xxv mil(lara) p(er) lo greco ver la tramontana. De lo capo de Lechia a Rossano xI mil(lara) p(er) maest(r)o. De Strongolino, ch’è sopre la Lechia, va fora en mare ij mil(lara), che tucto è secco. En lo capo de la Lechia podete sorgere se venite co(n) fortuna de sirocco e d’ostria. E questa lena de Lechia è l’intrata del golfo de Taranto.”[vi]
Commercio granario
Punto strategico di approdo per le galee della flotta angioina in movimento tra la Puglia e la Sicilia, il “portus”, ovvero “plagiam Cutronensem”,[vii] e la “maritimam Cutroni”,[viii] estesa da “Simerum” fino alla “Portam Roseti”, risultano affidati alla custodia dei regi portolani,[ix] e difesi contro i pirati dalle regie galee, cui era affidata la vigilanza di tutto il tratto di mare compreso tra “S. Flaviano” (Giulianova) e il fiume Tronto, fino a Crotone.[x]
Durante il periodo angioino Crotone è uno dei luoghi più importanti di imbarco dei cereali. Nel 1270 si comanda affinche le cinque “barcas” trasportanti vettovaglie, partite dai porti di Bari e di Brindisi, arrestate a Crotone dai portolani, in quanto sprovviste delle patenti per l’estrazione del cereale, fossero liberate e fosse loro concesso di navigare fino a Messina, in base alla licenza del secreto di Puglia.[xi]
Numerosi sono anche i provvedimenti a favore della città e dei commercianti che attraccano al porto. Nel 1269 è concesso al milite Giovanni de Rocca, che possiede massarie in Crotone e Stilo, il permesso di estrarre vettovaglie da Alichia, Crotone e Stilo e di portarle a Rocca Nichiforo, per alimentare sé e la sua familia.[xii] É dello stesso anno una concessione di estrazione di vettovaglie a favore di Gualterio Guercio de Cutrono.[xiii] Sempre dal porto di Crotone partono i viveri per sostenere l’esercito dei Cristiani che stanno assediando Tunisi.[xiv]
I pirati, comunque, costituiscono sempre una presenza incombente che minaccia i traffici. Il 30 gennaio 1335, re Roberto si rivolge al doge e al comune di Venezia, affichè sia fatta giustizia e siano risarciti i danni patiti dai suoi sudditi, tra cui Mastro Michele di Catone da Messina regio consigliere, che stando nell’aprile 1331 in Cotrone con una barca armata contro i nemici del re, era stato assalito e danneggiato da Bertuccio Rivillo, Giovanni Alberti e Marino Tagliapietra comandanti di navi venete.[xv]
Il 6 maggio 1331, in Crotone, Manfredo Giudice, Stefano di Giudice e il notaio Gregorio Papapato, assieme ad alcuni testimoni di Crotone: “Folco, Roberto Buchiniger, Nicolò Maurello, Alamanno Verzinotto e Bongiovanni Descullo”, si recano sulla “nave armata” di Marino Tagliapietra di Venezia per constatare la restituzione di un “legno” precedentemente catturato che, a seguito della contesa insorta fra alcuni Veneziani e certi uomini di Castellamare, Reggio e Nicotera, si faceva nelle mani di Artamo da Palermo, per timore delle ritorsioni.[xvi]
Oltre alla presenza dei Veneziani è forte anche quella dei Ragusei, pur sottoposti all’espulsione dal regno. Il 27 giugno 1331, il Gran Consiglio di Ragusa decide di consentire ai Ragusei di fittare le loro navi ad Angelo di Crotone, procuratore di Gultiero VI di Brienne, conte di Lecce e duca d’Atene, per l’impresa che si allestisce contro i Catalani d’Atene e d’Acaya.[xvii] Le schermaglie commerciali che coinvolgono l’attività portuale della città, sono evidenziate anche nel marzo del 1362, quando Andronico Ineoti ambasciatore dell’imperatore di Costantinopoli, presentatosi al doge chiede “che sia proibita l’introduzione nell’impero dei vini di Cotrone e di Turpia e altri”.[xviii]
Non mancano notizie di naufragi dovuti alle tempeste. Il 18 marzo 1366 il papa Urbano V da Avignone, pregava la regina Giovanna I di riconsegnare ai mercanti di Narbona i panni sequestrati e custoditi nella città di Crotone, dopo che una tempesta di mare aveva fatto naufragare le loro galee.[xix]
Verso la fine del secolo (1397), registriamo il “Salvus Conductus p(ro) galleis mariti(mi)bus Cot.onum”, dato ai Genovesi “apud p(re)fatam civit.tem n(ost)ram cot.oni” da “Nicolaus Ruffus de Calabria Marchio Cotroni dei gr(ati)a Comites Catanzarii baronie Alteville d(omi)n(i)s”, per la loro assistenza e protezione nei porti del suo territorio, dove potranno a loro piacimento vendere e comprare qualunque merce.[xx]
Nel Quattrocento
Nei primi anni del sec. XV esistevano a Crotone il consolato veneziano e il fondaco del sale.[xxi] Durante il periodo aragonese la vita commerciale della città è vivace. Dal suo porto parte il grano destinato agli accampamenti aragonesi durante la campagna di Piombino: “Ad offrire il grano fu Giacomo della Volta crotonese” (1451).[xxii]
Frequente è la presenza dei Ragusei, che acquistano grano e vendono schiavi.[xxiii] Nel 1455 questo tipo di attività è fiorente e si istituisce a Crotone il consolato raguseo, che è competente per tutta la Calabria.[xxiv] Durante il periodo aragonese il porto di Crotone è il maggiore centro commerciale della Calabria; nel suo porto è segnalata la presenza di mercanti genovesi, napoletani, pugliesi, veneziani, fiorentini, ragusini, catalani, ecc.
Nel 1452 è presente il mercante genovese Gregorio Botzo. Mercanti napoletani e pugliesi, come Leone di Taranto e Gesualdo di Napoli, venivano a commerciare in ferro, legname, cereali, legumi e prodotti armentizi, ottenendo ampie esenzioni da parte del re. Vi sono anche Veneziani come Michele Pampino, le cui navi scaricano ferro e acciaio. Il Pampino sarà iniquamente carcerato dal capitano della città. Sempre nel 1452 approda la nave del venditore di ferro Cristofaro de Levantis di Genova. Nel 1455 vi troviamo a trafficare Giovanni di Neri Collessio, detto il Greco di Firenze, che ottiene il permesso di estrarre 200 salme di frumento esenti da qualsiasi diritto doganale e sempre nello stesso anno, i Veneziani Antonio Valerio e Leonardo Giovanni hanno il primo il magazzino del ferro, che commercia con tutta la Calabria, il secondo esporta 200 tratte di grano.[xxv]
Dopo il divieto di re Ferrante del 1477 di esportare il grano dal regno, la destinazione prevalente del commercio è verso Napoli, da dove ripartiva per altre località. La nuova legislazione annonaria infatti, prevedeva che non potessero essere concesse licenze di esportazione se prima non si era assicurato l’approvvigionamento della capitale.[xxvi]
Il molo, la marina e il porto di Terczana
Il molo ed il porto di Terzana erano situati uno da una parte e l’altro dall’altra del promontorio. Durante i lavori di fortificazione della città e del castello negli anni 1485-1486 sono imbarcate pietre al Capo delle Colonne. La maggior parte della pietra è scaricata al molo della città e nella marina e porto di Terczana.
8 maggio 1485 Cola Morano di Crotone vende al commissario della fabbrica della città di Crotone 33 carrate di pietra “supra lo molo dela Cita”;[xxvii] 8 giugno 1485 Victorio Bagloni riceve dal commissario ducati 10 e mezzo per carrate 300 di pietra che ha portato con la sua barca “dali colonnj et discaricata allo molo dela p.ta cita”;[xxviii] 10 giugno Victorio Bagloni riceve dal commissario tari uno e grana tre per il lavoro dei suoi garzoni i quali “carryiaro petra dala marina di S.ta panayia alla frabrica”;[xxix] Il 20 giugno il patrone di barca Cola Greco è pagato per aver condotto pietra allo molo. L’undici luglio Il nobile Victorino Bagloni riceve ducati 12 per 12 barcate di pietra venduta e portata parte al molo e parte al porto de terczana;[xxx] Il 20 luglio è pagato Victorino Bagloni per aver portato con la sua barca pietra che è stata scaricata “parte allo molo et parte allo porto di tersana”.
Il 30 ottobre si pagano i carreri che con i loro carri hanno portato la pietra “dala marina dicta de terczana dentro lo rebellino”;[xxxi] Il primo novembre Riccardo Malerba di Crotone riceve ducati 9 e grana 10 per aver condotto e fatto condurre 13 barcate di pietra “con lo suo grippo seu bergantino alla marina di terczana”;[xxxii] Il 7 gennaio 1486 il patrone di barca Luca Iunco riceve ducati 29 e tari 2 per le pietre portate in più partite con la sua barca al molo di Crotone;[xxxiii] Il 7 gennaio 1486 il nobile Victorino Bagloni riceve ducati 10 per aver condotto con la sua barca barcate 8 di pietra al molo della città.[xxxiv]
Durante i lavori al castello, il 27 marzo 1485 i carreri conducono pietra “dalo molo alla calcara delo castello”;[xxxv] L’undici luglio Ricardo Malerba di Crotone riceve da Marco deli Pira, commissario della fabbrica del castello di Crotone, tari 14 per il pagamento di 4 barcate di pietra “discarricata al porto di terczana et quella conducta de dicta marina alla frabica”.[xxxvi]
Dal porto di Terczana al molo
Nel Cinquecento a causa del pericolo turco il porto di Terczana fu abbandonato. Il nuovo sistema difensivo chiuse la città con alte mura, lasciando solamente due porte, la principale, detta di Terra, che si apriva verso la campagna, e l’altra detta di Mare o del soccorso, sempre chiusa, che si apriva sul mare in casi eccezionali. Fu emarginato l’antico quartiere della Pescheria, che gravitava sul porto di Terczana, e fu spostata tutta l’attività marinara al molo, protetto e sorvegliato dal castello con i suoi cannoni piazzati sul bastione Santa Maria.
Turri S.ta Maria, Turri Muza e Turri Casicavallo
All’inizio del Cinquecento la parte del castello che dominava il molo era costituita dalla torre Santa Maria, che era unita da una cortina alla torre Muza, che a sua volta era unita da una cortina alla torre Casicavallo.
La “turri Muza”, che era situata al centro tra le due torri, era la più avanzata verso la marina. Con la costruzione delle nuove fortificazioni della città e del castello al tempo di Carlo V, fu deciso la costruzione di un nuovo spontone del castello, più avanzato e dominante il molo. Esso fu situato tra la torre Santa Maria e la Torre Muza. Così una relazione sui lavori di costruzione del nuovo spontone del castello descrive la sua posizione in relazione al molo.
“Notamento dele mesure se piglieranno delo cavamento se fara allo spontone delo castello per conto delo staglio dato ad m.ro Joanne de Marsica.
Addi 2° februarij 1545
La turri muza che la havera de coprire la cortina che tera verso la turri delo castello detta S.ta Maria sie p.l. 6 de largheza et c.e 3 de longheza scompensata che e frabbica vechia lalteza de ditta torre fino allo pedamento dela cortina sie c. 3 et p.l 3 la quale e frabbica vecchia se intendera per la corti et se havera de levar dela opera se fara per detto m.ro quando se mesurera, che sonno …
Se havera de far bono a ditto m.ro p.l. 4 de alteza et p.l. 2 de largheza sie lo sup.to scampensato per venir equale alla ditta mesura de c. 3 et p.l. dela largheza et longheza perche sera di bisogno faresi per ditto mastro che sonno …
Adi XIII° ditto
Li contraforti dela cortina tera verso lo casicavallo lo cavamento de quelli sono c. 3 e pl. 5 fino alla pianeza delo muro vecchio, il quale sie livello de ditti cavamenti.
Adi XXIII° ditti
Una parte de cavamento de ret.o lo muro vecchio dela cortina quali abisogna per venir adirittura della cortina quali tera alla turri detta S.ta Maria affaccianti allo molo et lo critazo delo castello adirittura delo signo delo angulo maiore delo spontoni verso lo molo e de alteza de pl.15 fino allo livello de ditto signo, quali signo sie formato cussi allo angulo seu cantonera de ditto spontoni verso lo molo de largheza sie pl. …”.[xxxvii]
Marina, porto e molo
Durante i lavori di costruzione delle fortificazioni della città e del castello sono più volte citati il porto, il molo e la marina. Per facilitare lo scarico della pietra portata via mare dalle barche si costruisce nel novembre 1542 anche “uno ponti alla marina per possireno discarricare la pet.a le barche allo più vicino dela frabbica”.[xxxviii]
Nel settembre 1542 si pagano i carreri “che hanno carriyato calce/petra delo molo alle ditte calcare/ et dela marina alla fabbrica”.[xxxix] Nel gennaio 1543 si pagano gli “homeni che hanno carriyato petra in le carcare dela marina et molo colle loro persone et bove”.[xl] Il 21 febbraio 1546 si paga “marino de Piero de venecia al presente tene la nave allo porto per lo prezzo de dudici libani”.[xli]
Il 26 ottobre 1546 si paga Jo. Maria de Bernardo “venetiano patroni dela nave che sta allo p.nte in lo porto de Cotroni per lo preccio de pali de ferro venetiani”.[xlii] Il 21 novembre 1546 si pagano i carreri “che hanno fatigato in lo adcostar de la petra delo molo in le calcare”.[xliii] Il 19 dicembre 1546 “Ad far cogler la petra dela marina delo molo dove incannano le petre le barche”.[xliv] Il primo gennaio 1547 si pagano coloro che portano la “petra dela marina del molo alla fabbrica delo spontone delo castello”.[xlv] Il 15 maggio 1550 “anno scavata la petra coperta per la fortuna del mare in la marina delo molo”.[xlvi] Il 17 agosto 1550 si paga Paolo de Francesco di Crotone “per haver portato con sua barca dali Castella in la marina delo molo de cotrone pezi n. 16 de cantoni”.[xlvii]
Spontone e cortina di Terczana detti Villa Franca
Già all’inizio del Cinquecento nelle entrate dell’“erario de Cotrone” del 1516 troviamo che il 30 agosto questi incassò da Birardo Locifero ducati sessanta “per la vendita deli casalini de terczana”.[xlviii]
I “Libri” compilati durante la costruzione delle nuove fortificazioni di Crotone al tempo dell’imperatore Carlo V ci permettono di individuare con precisione il luogo dove era situato il porto di Terczana. Infatti lo spontone Villafranca all’inizio della sua costruzione è chiamato spontone di Terzana e la cortina che lo unisce alla torre Pignalosa, che sarà inglobata nello spontone Marchese, è chiamata dapprima cortina di Terczana, poi Villa Franca.
Nel “Libro secundo dela R.ia frabbica intitulato B” compilato da Pietro Saporta “scrivano de ratione in la R.ia frabbica dela Citta et castello de Cotroni”, si legge che il 16 maggio 1542 i lavori di fortificazione procedono “alla palacciata se fa in terzana intitulata villa franca et allo yettito in ditto loco”. Tra i lavoratori è ricordato “nicolo xioto deyio” che per quattro giorni lavorò “ad piantare li pali dentro mare de ditta palacciata et yettito”.[xlix]
Il 24 luglio 1542 si pagano i “Mastri frabbicatori manipoli et devastatori che hanno fatigato alla cortina de terczana deritto la pignalosa”.[l] Il 13 settembre 1542 i mastri “hanno fatigato al cavamento et pedamento delo spontone ditto de terzana ditto villa franca.[li] Il 25 novembre 1542 i mastri lavorano “alla palacciata de terzana intitulata villa franca” e “allo sponton ditto Villa Franca et cavamento dela cortina de ditto spontone deritto la pignalosa”.[lii]
Alla fine del 1542 procede la costruzione dello spontone Villafranca, che entra nel mare, ed è congiunto alla cortina della Pescheria, che unisce lo spontone Villafranca con lo spontone Petro Nigro. Durante lo scavo del baluardo escono i resti dell’antico porto. Infatti a Terczana si piantano i pali e le tavole dentro il mare e con l’aiuto dei marinai si innalza la palacciata per fare la cassa della nuova costruzione. “Petre et muri antiqui” affiorano di continuo sotto i bayardi degli scavatori. Il 29 ottobre 1542 si chiamano i perratore “per taglare le petri se hanno trovato al cavamento de ditto spontone”.[liii] Il 5 novembre “tagliamonti seu perratore che hanno fatigato in tagliar le petre sono retrovati in lo cavamento et muri antiqui”.[liv] Il 12 novembre 1542 “Tagliamonti seu perratore che hanno taglato le pietre et lo molo antiquo sie retrovato in ditto cavamento … fare rumpire uno pezo de muro antiquo se trovo in ditto cavamento”.[lv] Il 18 novembre 1542 “Tagliamonti seu perratore per taglar le petre in ditto spontone et sderropare le anticagle et rumper le mole antique”[lvi] Il 3 dicembre 1542 “perratore che hanno taglato lo molo antiquo et mura vecchi sono retrovati in la spica delo sponton verso mare”.[lvii]
La marina di San Marco
Nei “Libri” è più volte citato un ingente ritrovamento di pietre nella marina di San Marco, che fa ipotizzare l’esistenza di un antico attracco situato tra il promontorio e la foce dell’Esaro.
Tale ritrovamento è facilitato da una mareggiata avvenuta sul finire del 1545. Per poter facilitare il trasporto della pietra dalla spiaggia alle fortificazioni si costruisce anche uno “schifo”. Il 2 gennaio 1546 si pagano coloro che “hanno fatigato in cavar fora la petra di mare descoperta dela fortuna; Ad cavar fora la petra delo lettu del mare discoperta dela fortuna”.[lviii] Il 3 ottobre 1546 si pagano i mastri de axia “che hanno fatigato a dar principio allo schifo”.[lix] Il 7 novembre 1546 lo “schifo porta arena dela marina di san marco allo spontoni detto petro nigro”.[lx] Nel dicembre 1546 si pagano Matteo Marinachi e compagni “per haver navigato lo schifo ad cogler petra et savurra per lo lettu del mare descoperta dala fortuna”.[lxi] Il 13 febbraio 1547 si paga Jacopo Marino, Modesto Cappanise e Laurenzo de Spina “per haver recolto petra allo letto del mare scoperta dela fortuna”.[lxii] Il 25 maggio 1550 si pagano coloro che “anno scavata la petra coperta per la fortuna del mare in la spiagia”.[lxiii]
Il Molo
Una relazione mette in risalto il ruolo essenzialmente militare, che gli Spagnoli assegnarono alla città ed al suo porto: “… Cotrone è piazza reale posta sul mare, molto ben munita di artiglieria e bastimenti di guerra, con buon presidio di milizia spagnola, che guarda con molta gelosia la città e il castello da essa poco spazio distinto … Trascurando la guardia di qualunque altra città della Calabria nella sicurezza di Cotrone solo ripongono la difesa della provincia tutta”.[lxiv]
Il molo era situato all’interno di un porto naturale, detto anche marina o fossa, formato e limitato da una scogliera naturale, che lo riparava, anche se non adeguatamente, dalle mareggiate. La permanenza in questo porto durante l’autunno e l’inverno, periodo in cui attraccavano numerose navi per caricare il grano, era particolarmente pericolosa a causa del maltempo soprattutto per le burrasche con venti di greco e levante.
Già nel 1536 l’università di Crotone aveva chiesto all’imperatore Carlo V di intervenire per rendere più sicuro il porto “… et tanto più che in tutte le province de la Calabria non e altro reducto et porto si non quello che dicta cita, et con non molta dispesa se farria sicurissimo porto …”.[lxv] Numerose sono le proteste dei patroni delle imbarcazioni che vi devono sostare più a lungo del previsto per il ritardo del carico o perché impediti.
Il 7 aprile 1594 Domitio Calafato di Reggio, patrone della barca Santa Maria Annunziata “al presente surta et existente voita nella marina et porto di questa città, et proprio nel luoco detto lo molo”, protesta per il ritardo della consegna del carico di grano “poiche il tempo è buono et atto a navigare che è maestro et tramontana”.[lxvi]
Il 23 febbraio 1627 Pietro Storace di Sorrento, patrone del vascello La Madonna SS.ma della Lobra e Sant’Antonino, costretto a rimanere nel porto di Crotone da Marcello Barracca, arrendatore del legname per la Regia Corte, protesta in quanto vorrebbe andare in un “porto più securo di questo giache in questo porto periculano e solino periculare facilmente li vascelli per non esser porto totalmente securo cossi come con effetto si vede che li giorni passati vi sono periculati molti et naufragati et in particolare il vascello di patrone Lazaro Caulino che voito naufrago dentro listesso porto giache esso patrone protestante vi si è redotto per forza eligendo minor male che stare in una spiaggia e non perche fosse porto securo”.[lxvii]
Il 20 novembre 1670 il francese Francesco David patrone della tartana La Madonna del Carmine, dichiara che “per esser tempo d’inverno nel qual tempo in questo porto non stanno securi vascelli, ma sottoposti al mare”.[lxviii]
Il 15 dicembre 1671 Bartolomeo Almerina di San Remo Rivera di Genova, patrone della tartana La Madonna della Grazia della portata di tomola 1400 di grani, affermava che “in tempo d’inverno in questo porto li vascelli non stan securi, ma sotto poste à borrascho”.[lxix] Poco giorni dopo il 18 dicembre il patrone Andrea di Scielto della città di Castell’amare di Stabia, patrone della tartana Santa Maria a Pullano, protestava per il pericolo che “la sua tartana si perdesse in questa fossa mentre non stanno vascelli securi per esser la fossa socto posta à borrasche, che in tempo d’inverno se ne son perse più et più”.[lxx]
Il 15 ottobre 1722 il patrone Nicola Amodeo, presente con la sua tartana nel porto di Crotone, ed i suoi marinai Giuseppe Marrengano e Francesco Caputo, tutti di Conca della costa di Amalfi, si recano nel castello e su richiesta ed in presenza del castellano D. Giovanni Ramirez y Arellano, del governatore della città di Crotone e della terra di Papanice D. Narciso Andrade Ramirez y Arellano e del sindaco dei nobili Fabritio Lucifero, dichiarano che il giorno precedente, per trovar riparo da una burrasca di greco e levante, era arrivata al porto la tartana francese San Giuseppe del patrone Giovanni Turnì di Marsiglia “carica di legname, acciari ed altro”. Minacciata “che si allontanasse, et andasse via, altrimente l’haverebbero discacciata col cannone”, la tartana francese tentò di far vela ed uscire dal porto ma poi desistette. Il patrone ed i marinai di Conca “prattici, ed esperti in questo porto di Cotrone, molto ben sanno che con detta traversia, e borasca da Greco e Levante, non si puole uscire da questo porto, senza l’evidente pericolo del naufragio”.[lxxi]
Le secche del porto
Alla fine del Seicento aumenta il commercio, soprattutto granario, e l’area portuale diviene sempre più importante ma anche più insicura a causa delle secche: “… la Città di Cotrone è marittima , mercantile e di vario traffico, ove concorrono molte imbarcationi specialmente per il trasporto de grani di quasi tutte le due Calabrie, e non ha detta Città porto sicuro, ma una rada e spiaggia, e li caricamenti si fanno per lo più d’inverno quando le tempeste sono grandi e replicate … In oltre come che la città di Cotrone nutrisce nel suo ampio territorio molti armenti di vacche e pecore il di cui frutto di latticinij è copioso … sono robbe di negotio, che non vengono per grassa della città ma per industria di particolari o padroni, o compratori. Il simile pure s’intende di grani, orzi, legumi, ed altre robbe, che hanno nome commestibili et si trasportano per traffico o contratto di compra e vendita a fin di lucro; perche, essendo, come si disse la città mercantile, con il concorso de’ convicini paesi del Marchesato e de’ marinai dell’imbarcationi.”[lxxii]
Già alla fine del Seicento sono segnalati naufragi sulle secche del porto. I naufragi sulle secche aumenteranno considerevolmente con il passare del tempo, a causa del continuo ed aumentato insabbiamento per il mutamento climatico e la deforestazione. Tale fenomeno si manifestava con frequenti nubifragi, che favorivano la discesa delle terre cretose dalla collina del castello dominante il porto, e con violente mareggiate, che oltre a portare le acque torbide del Neto, queste si univano in regresso con le sabbie discendenti dalle colline.
Il 5 febbraio 1679 la fregata “San Giovanni Crisostomo” appartenente ad Alessandro Palinuri di Cefalonia e governata dal patrone Filippo Levantino con a bordo i mercanti Dimitri di Miceli, Anastasio di Giovanni, Dimitrio Vodda, Zaffiri Zaccaria, Chirio di Giovanne, Mantio Papa e Anastasio Dimitri, tutti “Greci di Levante”, era costretta a riparare a causa “di maltempo in questo porto e marina di Cotrone et proprio dove si dice il molo”.
La barca era carica di cordami caricati a Corfù ed era diretta a Messina. “Essendosi alzata una tempesta di mare con venti gagliardi di scirocco e levante con pioggia grandissima”, il giorno dopo la barca “veniva sbattuta da detti venti così gagliardi che rottosi due capi con la quale veniva mantenuta diede nelle secche”. Placatasi la burrasca era recuperata la mercanzia tutta bagnata che era portata “in uno magazeno vicino lo molo”. Non fu invece possibile tirare a terra la fregata per accomodarla, in quanto era rimasta piena di acqua nelle secche.[lxxiii]
Alla metà di gennaio 1716 a causa di una burrasca naufraga sulle secche, circa cento passi dal molo del porto di Crotone, la tartana “Sant’Anna” del patrone francese Bartolomeo Augier di S. Opè. Il giorno 20 gennaio i marinai testimoniano che “in detta tartana presentemente vi sono palmi sei e mezo d’acqua intrati in detta tartana dalli buchi nella carina della medesima, quale tartana subito che la borasca di mare la portò alli secchi di terra vicino al molo circa cento passi” era possibile salvarla ma poi “la borasca l’have più aperto di sotto, e fortemente trasuta in detti secchi”.[lxxiv]
I patroni Malchiorre di Laura del Piano di Sorrento e Tommaso Castagnola di Lavagna ed alcuni marinai, dichiarano che la notte del 5 gennaio 1717, “essendosi mosso il vento nelle tramontane e maestri forzato in maniera che fece rivoltura di mare aprò le la levultura del mare sud.o che fece andare sopra li secchi di detto porto la tartana di patron Giovanne Cafiero.[lxxv]
Il 15 aprile 1719 naufraga sulle secche del porto il pinco francese Nostra Signora dell’Assunta del patrone francese Gio. Battista Morando di Marsiglia. Il pinco aveva imbarcato mercanzie “nelle parti di levante” ed era diretto a Genova. Il naufragio avvenne “per una tempesta insorta in mare”, a causa “che erano state tagliate le gumene seu capi con cui stavano legate l’angore” dai marinai del vicino pinco del patrone Leonardo Martino del Piano di Sorrento, perché a causa della tempesta le due imbarcazioni battevano tra loro. Senza più ancoraggio il pinco francese “diede di chiatto nelle secche del porto in maniera che si è sfondato e rotto di sotto essendosi salvata solamente poca robba della mercanzia”.[lxxvi]
Il 4 Dicembre 1719 naufraga per una burrasca sulle secche del porto di Crotone la tartana o navetta “Sant’Antonio di Padua” del patrone Gabriele Cafiero del Piano di Sorrento. Era diretta a Gallipoli e a Taranto per imbarcare grano ed olio.[lxxvii]
Il 18 febbraio 1746 a causa di un temporale di scirocco e levante, la martigana “Il SS.mo Sagramento e Santa Femia” del patrone Berardino di Rose di Gaeta, naufraga nelle secche del porto di Crotone. Il 21 febbraio successivo il capitano Domenico di Massa, il patrone Antonino Cafiero ed il patrone Gasparo Cacace, tutti e tre del Piano di Sorrento, e presenti con i loro bastimenti nel porto di Crotone, attestano, dopo aver attentamente osservato la martigana naufragata, che non si può “ne ricuperare ne accomodare o salvare per essersi rotta di sotto”.[lxxviii]
Il 7 dicembre 1751 arriva al porto di Crotone la nave del capitano svedese Sven Kamp guidata dal pilota fiumano Matteo Micoli. A causa di una “borasca di scirocco e levante, che in questo porto caggiona taversie”, il capitano ed i marinai, come anche gli altri patroni di bastimenti presenti nel porto, abbandonano la nave e si rifugiano nel casino situato presso il molo. Passata la tempesta il capitano svedese comincia a caricare il grano. Il 19 dicembre sopraggiunse un’altra burrasca “con venti gagliardi di mezogiorno e scirocco ed acqua di cielo”, poiché il capitano non aveva “fatto ammajnare gl’alberi e pinnoni”, la nave “diede sopra li secchi e si naufragò”.[lxxix]
I magazzini del molo
Magazzini presso il molo sono segnalati fin dall’inizio del Seicento. Il 23 marzo 1621 il visecreto Gio. Giacomo Mendicino si reca “in marittima Crotonis … et proprie ubi d(icitu)r di questa parte del molo prope horrea”, dove sono conservati alcuni barili di olio che sono stati recuperati dal vascello del patrone genovese Honorato Vicardi, naufragato nei giorni passati nella marittima di Crotone.[lxxx]
Il 19 maggio 1648 “ante li magazeni del molo di d.a Città”, gli ufficiali della dogana e del fondaco di Crotone, il regio credenziere Francesco Pagano, il sostituto regio guardiano Pelio Tiriolo ed il guardiano del porto Antonino Cizza, protestano contro Antonio de Nicola, capitano della nave Santo Andrea. Il patrone sta caricando grano sulla sua nave senza avere le autorizzazioni necessarie, cioè non ha il mandato del luogotenente del regio mastro portolano, non ha dato plegeria e senza il permesso degli ufficiali.[lxxxi]
Dal testamento di Mutio Manfredi sappiamo che “le robbe” che il Manfredi aveva recuperato nel 1672 dal naufragio del vascello del capitano genovese Calcagno, avvenuto nella marina di Crotone, e quelle di un altro naufragio avvenuto nel Capo delli Colonni, erano conservate in magazeni.[lxxxii]
Nel 1673 Giuseppe Lucifero vende tre magazzini situati fuori le mura della città nella marina di S.to Antonio, e confinanti con quelli di Presterà, al barone di Verzino Leonardo Cortese.[lxxxiii]
Nel 1685 naufraga a Capo Colonne una nave carica di grano appartenente al marchese Giuseppe Serra. Il reggente l’ufficio di mastro secreto e mastro portolano di Crotone, Giuseppe Lucifero, si interessa a recuperare il grano ed il sartiame della nave naufragata. Il sartiame è trasportato in città e posto “in un magazeno loco d(ett)o il molo, precedente prima inventario fatto per esso Gioseppe (Lucifero), e detto magazeno serrato con due chiavi. Una restò in potere del detto procuratore (Gio. Battista Boscaino, procuratore del marchese Gioseppe Serra) et l’altra consignata al m.co Dom(eni)co Cirrelli”.[lxxxiv]
Durante il viceregno austriaco, “dentro li mag(aze)ni del molo” sono poste le mercanzie che sono scaricate dalle navi sottoposte a sequestro.[lxxxv] Al molo di frequente attraccano navi provenienti anche da luoghi lontani, le quali spesso sono poste in quarantena, perché c’è il sospetto del contagio. Così il 19 novembre 1712 nel porto seu marina “ubi dicitur li magazeni del molo”, si radunano i sindaci della città con i loro famigli ed altre persone. I sindaci affermano che essendo arrivate al porto tre tartane genovesi, provenienti da levante “da parte sospetta di mal contagioso”, sono state poste in isolamento. Per tale motivo il castellano ha inviato quattro suoi soldati, mentre questo compito secondo i sindaci spettava alle guardie della città.[lxxxvi]
Il magazzino presso il molo diviene col tempo un luogo importante e ne approfitta il patrizio crotonese Annibale Berlingieri, figlio di Cesare Ottaviano e di Luccia Suriano, che all’inizio del Settecento lo acquista all’asta. Nel gennaio 1719 Annibale muore ed il casino assieme agli altri suoi beni dovrebbe passare al primogenito Orazio Nicolò, ma anche questi dopo pochi giorni viene meno e così il tutto perviene al secondogenito Francesco Cesare.
Francesco Cesare Berlingieri restaurò ed ampliò il casino che fu “acconzato in forma di palazzo”. Dopo i lavori fatti eseguire dal Berlingieri, il casino, trasformato in palazzo e situato fuori le mura della città e propriamente dove si dice “il molo, seu porto di questa città confine l’orto detto di milino”, consisteva “in una sala, quattro camere et una cucina con li loro bassi, vignano di fabrica e scala di pietra di fuori”.
Il marchese Francesco Cesare Berlingieri in gravi difficoltà finanziarie, il 22 novembre 1731 per atto del notaio Stefano Lipari, fa una finta vendita in favore del patrizio crotonese Gregorio Ayerbis d’Aragona, concedendo e ipotecando il casino. Il marchese lo fa stimare da alcuni esperti e lo cede per ducati 600 all’Aragona. Il quale dichiarando che al momento non ha denaro disponibile, concorda che salderà entro sei mesi e senza alcun interesse.[lxxxvii] Passati i sei mesi, poiché l’Aragona si trattiene il casino, per i ducati sei cento che deve al Berlingieri, l’Aragona si obbligherà a pagare un annuo censo di ducati 24 al 4% sul capitale, ipotecando tutti i suoi beni e specialmente il casino. Il catasto onciario di Crotone del 1743 accerta che Alfonso Aragona de Ayerbis, figlio di Gregorio Aragona, sacerdote secolare commorante in Napoli, possiede un casino nella marina luogo il molo.[lxxxviii]
Anche il sacerdote secolare Gregorio d’Aragona fa alcuni miglioramenti al casino ma, passati alcuni anni, nell’ottobre 1748, “conoscendo che il tener di vantaggio il medesimo non li torni conto ave estimato, anco a fin di esentarsi dal detto debito di docati seicento”, rivende il casino al marchese di Perrotta Francesco Cesare Berlingieri, che vanta il diritto di prelazione. All’atto della rivendita così è descritto l’immobile: “un casino sito e posto nella marina di questa città loco detto il molo vicino all’orto di Milino consistente in più camere ed loro bassi seu magazeni, scala di pietra, con vignano di fabrica e pozzo avanti detto casino”.[lxxxix]
In questi anni il casino è la sede abituale dei custodi del porto e vi trovavano ricovero i padroni dei bastimenti ed i marinai durante le burrasche. Esso costituisce la struttura più importante nelle vicinanze del molo. Il 10 aprile 1740 i deputati della salute pubblica Fabrizio Suriano e Alfonso Letterio, assieme al notaio Felice Antico, si recano vicino al casino del molo e “de lato in competente distanza e da sotto vento” ascoltano la testimonianza dei marinai del pinco posto in contumacia del patrone Antonio Paulillo di Conca. Essi affermano che hanno perduto il carico perchè inseguiti dai barbareschi.[xc]
Michele La Piccola di Cotrone e Caloggiaro Corrado di Palermo, nel 1752 dichiarano che “da più tempo si attrovan destinati alla custodia del Porto di Cotrone e come tali continuamente assistentino al med(e)mo e propriam(en)te nel casino situato al molo e marina di d(ett)o Porto”.[xci]
La costruzione del nuovo porto
Con l’inizio dei lavori per la costruzione del nuovo porto, durante il regno di Carlo III di Borbone (1753), nel regio magazzino della marina sono riposti il carbone e le tavole che i carbonai e gli uomini di Mesoraca e di Policastro trasportano a Crotone.[xcii]
Le carte dell’epoca segnalano la presenza degli edifici destinati agli stabilimenti regi con magazzini, al corpo di guardia ed al bagno dei forzati.[xciii] Durante il lungo periodo di costruzione, l’opera, soggetta a continui insabbiamenti, si trascina tra frodi ed inganni sotto la direzione dell’ingegnere Gennaro Tirone e di suo nipote, i quali dirigevano i lavori dal casino presso la marina del porto.[xciv]
Durante la costruzione del porto il casino fu dato in locazione ed in seguito la proprietà passò dai Berlingieri ai Suriano. Divenne dapprima di Bernardino Suriano e quindi alla sua morte degli eredi, i quali ne risultano intestatari nel catasto del 1793: gli “Eredi del q.m Bernardino Suriano” locano “un casino nel luogo detto il molo”.[xcv]
Un nuovo casino nel porto
Per un maggior controllo sul traffico navale e per la salvaguardia della salute pubblica, in modo da prevenire il pericolo del contagio, nei primi giorni di dicembre del 1763 il capomastro delle opere del regio porto di Crotone, il napoletano Salvatore Mazza, ed il mastro muratore crotonese Pasquale Iuzzolino, su ordine del segretario della Regia Udienza della Provincia di Calabria Ultra Carlo Minieri, si recarono al porto per individuare il luogo più adatto dove costruire “un casino con sua loggia tutta stacchiata a due reggistri, acciò che senza pericolo della publica salute si possa dare la prattica alli bastimenti che qui capitano e darsi li viveri in contumacia”.
Dopo aver ascoltato anche il parere dell’ingegnere e direttore dell’opere del porto Gennaro Tirone, i due mastri stimarono che il casino dovesse essere costruito “entro mare vicino al molo vecchio, la via dell’osservanza e proprio ove al presente si vedono molti scogli a fil d’acqua maggiormente che in detto luogo vi è fondo a bastanza per poter approdare ogni sorte di battello de predetti bastimenti, fellucche e martiganelle … detto luogo viene ad essere a dirimpetto la bocca del porto ove s’ormeggiano li bastimenti in contumacia e si possono ben custodire e guardare da detto casino”. Il casino doveva essere lungo palmi 34, largo palmi 24 ed alto palmi 16 “con suo astraco e cielo e suoi parapetti”.
Secondo i mastri per potervi accedere dal lido sarà necessario allestire un piccolo ponte in legname e, per poterlo edificare, si dovrà prima costruire un masso di fabbrica con banchine dentro l’acqua, che dovrà servire per il pavimento dello stesso casino. Tale masso dovrà essere lungo palmi 34, largo palmi 24 ed alto dal livello del mare palmi 4. La spesa complessiva fu stimata in circa 398 ducati.[xcvi]
La Chiesa di Santa Maria del Mare
La chiesetta o eremitorio di S. Maria delo Mare sorgeva sopra uno scoglio in mezzo al mare davanti al molo della città. Essa compare già all’inizio del Cinquecento. Un breve di Clemente VII del 27 marzo 1525 provvede Bartolomeo Lucifero, arcidiacono della cattedrale di Crotone, delle chiese senza cura di Beata Maria delo Mare, di Sant’Antonio, della Beata Maria dela Scala e di Sant’Andrea, in diocesi di Crotone, vacanti per rinunzia di Alfredo Severio.[xcvii]
Nell’aprile dell’anno dopo un altro breve inviato al vicario generale del vescovo di Crotone, lo incarica di immettere nel possesso della chiesa di Santa Maria de Mari, presso e fuori mura, il chierico crotonese Cesare de Alexandro, per rinunzia del rettore Bartolomeo Lucifero.[xcviii] Da questi primi documenti si ricava che la chiesa o cappella senza cura di anime, era fondata su un semplice beneficio di collazione pontificia. Spettava cioè al papa nominare il rettore che avrebbe amministrato le rendite provenienti dai beni del beneficio. Così Paolo III il 15 gennaio 1544 invia un breve a Durante de Durantibus, vescovo di Cassano, dandogli la provvigione della chiesa della Beata Maria ad mare che era rimasta vacante per morte del rettore Rolando de Ritiis.[xcix]
In seguito la chiesa unita ad altre farà parte di un insieme di rendite che saranno cedute o comprate, date in pegno o scambiate, passando velocemente da un rettore all’altro, previo l’assenso papale. Nel 1546 l’arcidiacono Camillo Lucifero possiede oltre alla chiesa parrocchiale di S. Maria del Prothospatariis anche il “pacchetto” di benefici semplici di Santa Cecilia, della Beata Maria Annunziata, di Santa Maria del Mare, di Santa Sofia e di San Giacomo.[c] In pochi anni il beneficio di Santa Maria del Mare assieme ad altre rendite religiose passerà dal chierico romano Achille de Mapheis al chierico Francesco Brozzero, che lo cede a Bernardino de Mapheis per poi essere di Luca Angelo de Aloysio, ecc.
La chiesa o cappella è descritta all’inizio del Seicento come situata “super petras intra mare”[ci] e “aquis maris circundata distans a littore passus quatraginta”.[cii] Nel maggio 1612, essendo rimasta vacante di rettore per morte di Iosepho Oliverio, Paolo V la concedeva a Roberto Oliverio. Allora la rendita, di cui godeva, veniva stimata del valore di 24 ducati annui.[ciii]
Alla fine del Seicento la cura era già stata trasferita nella chiesa di San Leonardo ed il beneficio semplice era stato unito a quello di San Leonardo e passato di collazione del vescovo di Crotone. La cappella manteneva tuttavia la sua antica funzione, che era oltre quella della patrona, di assicurare protezione divina alle navi ed ai marinai dai pericoli del mare durante la navigazione, anche quella di assicurare dalle tempeste le imbarcazioni ancorate al porto, fornendo con la sua materiale presenza un sicuro ancoraggio.
Tale sua funzione si ricava chiaramente dalla testimonianza dell’equipaggio della nave del capitano Ignazio di Lauro di Sorrento. La nave partita da Napoli il 7 dicembre 1724 giunge a Crotone il 9 gennaio 1725 dopo un viaggio caratterizzato dal “molto travaglio sofferto di venti contrari e mari tempestosi”.
Dal 12 al 16 gennaio imbarca grano per conto del mercante napoletano Barretta ma il 23 gennaio è ancora ferma al porto infatti “per li tempi che sono stati come presentemente sono tempestosi di greco e levante e scirocco e levante con acque continue di cielo non può partire ma l’hanno fatto correre pericolo di perdersi, non ostante di esser armegiata la nave con sette capi di mare, cinque d’essi con li cinque ancori che tiene, e due legati sopra la cappella sistente in detto porto fra le quali due capi vi era la gumena detta speranza di cantara quattordici e mezzo dove vi legati 14 ergiture per impedirlo qualche danno non però li detti tempi tempestosi sono stati tanti e tali che non ostantino detti ripari li han fatto molto danno in più luoghi come evidentemente apparisce et altri piccoli danni a tutte l’altre gumine et accortosi esso capitano del detto danno per riparare vi ha fatto stendere sopra detta cappella la seconda dove presentemente sta stesa”.[civ] Lo scoglio su cui sorgeva la chiesa, i cui resti erano ancora visibili nella seconda metà del Settecento, fu inglobato nel nuovo porto della città.
Note
[i] Polibio, X, I, 6.
[ii] Procopio, La guerra gotica, VII, 28.
[iii] Amari M. e Schiaparelli C., L’Italia descritta nel “Libro di Re Ruggero” compilato da Edrisi, in Atti della Reale Accademia dei Lincei anno CCLXXIV, 1876-77, serie II – volume VIII, Roma 1883, p. 133.
[iv] Huillard-Breholles J.L.A., Historia, t. V, I, pp. 409, 419; II, pp. 953-954.
[v] Spremic M., Scambi commerciali tra la repubblica slava di Ragusa, i Balcani e la Calabria nel basso Medioevo, in Calabria Sconosciuta, n. 7/8, 1979.
[vi] Debanne A., Lo Compasso de navegare, 2011, pp. 48-49.
[vii] “Di poi affaticata del lungo cammino appresso la spiaggia di Cotrone (“apud plagiam Cutronensem”) si unisce con l’altra armata che venia di Brindisi, e quivi prende nuove vettovaglie, e tutta la gente si riposano alquanto.” Istoria delle Cose di Sicilia di Saba Malaspina, in Del Re G., Cronisti e Scrittori Sincroni Napoletani editi ed inediti 1868, vol II, p. 397.
[viii] “Item quod duodecim galeae Brundusinorum venissent ad maritimam Cutroni ad partes Terrae Jordanae”. Jamsilla N., in Del Re G., Cronisti e Scrittori Sincroni Napoletani editi ed inediti 1868, vol II p. 181.
[ix] “Raynerio Cazolo, Leoni Castaldo, et Riccardo de Griffis de Cutrono, portulanis a Cutrono usque Portam Roseti, provisio pro salario.” Reg. Ang. IV, 1266-1270, p. 106. Minieri Riccio C., Brevi Notizie intorno all’Archivio Angioino di Napoli 1862, p. 75.
30.11.1269. “Re Carlo in questo mese di novembre ordina di custodirsi i porti ed il litorale del Regno, (… omissis …) di Cotrone fino a Simeri e fino alla porta di Roseto a Rainero Cacciolo, a Leone Castaldo ed a Riccardo di Cotrone”. Minieri Riccio C., Alcuni fatti riguardanti Carlo I di Angiò tratti dall’Archivio Angioino di Napoli, 1874, p. 84.
“Bernardus de Griffis de Cutrono, portulanus a Porta Roseti usque Simerim, cum Rainono et Leone Castaldo.” Reg. Ang. IV, 1266-1270, p. 142.
“Similes Raynerio Cacciolo et Leoni Castaldo et Riccardo de Cutrono, statutis super custodia portus et maritime Cutroni usque ad Simerum et Portam Roseti.” Reg. Ang. V, 1266-1272, p. 178.
[x] “Mandatum pro reparatione IV galearum destinandarum ad custodiam maritimarum a S. Flaviano usque Cutronem.” Reg. Ang. VIII, 1271-1272, p. 50.
“Mandat. Secreto Principatus ut IV galeas muniri et armari faciat easque committat Narzoni de Tucciaco, Veceamirato Regni, locumtenenti Philippi patris eius; atque mandat ut dicte galee in termino dato, id est die primo mensis aprilis, navigare possint ad custodiendem et defendendum a piratis maritimas a S. Flaviano usque Cotronem. Dat. Neapoli, XV februarii XV ind.” Reg. Ang. VIII, 1271-1272, pp. 39-40.
“Scriptum est Symoni de Bellovidere viceammirato etc. Licet te viceammiratum a flumine Tronti usque Cutronum et ipsum Cutronum … Datum apud turrim, die XXVI° aprilis. (apud Bellumvidere, XVII° februarii VII° indictionis.) Reg. Ang. XLIII, 1270-1293, p. 170.
“Scriptum est universis hominibus Sancti Flaviani. Quia confisi de fide et legalitate Symonis de Bellovidere dilecti militis, familiaris et fidelis nostris, ipsum viceammiratum per totam maritimam a predicta terra Sancti Flaviani usque Crotonum duximus, usque ad nostro beneplacitum, statuendum, ut officium ipsum in partibus ipsis ad honorem et fidelitatem nostram diligenter et fidelitere debeat exercere fidelitati vestre firmiter et expresse precipimus quatinus eidem Symoni super omnibus que ad ipsius spectant et vos pro serviciis nostris duxerit requirendos devote et efficaciter parere respondere et intendere debeatis ut servicia nostra laudabiliter exequatur et vestra proinde devocio in cospectu nostre celsitudinis meritorum obsequiis comendetur, nos enim penas et banna que ipse imposuerit rata et firma habentes ea a contumacibus et contradictoribus in penam contumacie et temeritatis eorum mandabimus extorqueri. Datum apud turrim, die XVIII° aprelis VI.e indictionis etc. Similes universis hominibus Cutroni.” Reg. Ang. XLIII, 1270-1293, pp. 168-170.
“Si ha notizia che Simone di Belvedere … era Viceammiraglio dal fiume Tronto fino a Crotone, succedendo a Guidone de Foresta.” Reg. Ang. XX, 1277-1279, p. 222.
“… par Symon de Biauvoer, viz amiral de lu flum de Trent jusques au Cutrum …”. Reg. Ang. XXI, 1278-1279, p. 176.
[xi] “Mandat Rex Portulanis Cotroni, ut quinque barcas, a portibus Baroli et Brundisii venientes, victualibus onerantas et in portu Cotroni ab ipsis Portulanis arrestatas quia non ostenderunt patentes licteras Regis de extrahendis victualibus ipsis, liberent, et eis permittant navigare ad Messanam, iuxta licentiam Secreti Apulie, eis de mandato regio concessam. Datum Neapoli, III iunii XIII ind.” Reg. Ang. V, 1266-1272, pp. 75-76.
[xii] “Johanni de Rocca mil. qui habet massarias in Cutrono et Stilo, provisio pro extractione victualium de Alichia, Cutrono et Stilo, deferendorum ad Roccham Nichifori, pro substentatione sua et familie.” Reg. Ang. IV, 1266-1270, p. 102.
[xiii] “Gualterio Guercio de Cutrono, provisio pro extractione victualium.” Reg. Ang. IV, 1266-1270, p. 131.
[xiv] “Scriptum est eidem Secreto (Calabrie). Ex parte Pagani de Alba, Ursonis de Vico et Nicolai Iuvenis de Cutrono … fuit expositum … quod, cum ipsi auctoritate generalis edicti nostri … extraxerint de portu Cutroni quandam victualium quantitatem, ad Christianorum exercitum ante Tunisium deferendam … exhibita … Portulanis … Cutroni … fideiussorum cautione, pervenientibus ipsis in portu Messane, Stratigotus et iudices ipsius terre, audito quod treugis cum Sarracenis initis iam erat dictus exercitus dissolutus, propter quod non oportebat eos ad dictum exercitum se conferre, exponentes eosdem pred. quantitatem victualium in civitate pred. vendendam ibidem pro substentatione felicis nostri adventus exonerare fecerint; unde Nobis … supplicarunt ut absolvi ipsos a fideiussione pred. … mandaremus. Ideoque f. t. … mandamus quatenus, si tibi constiterit ita esse, suppicantes eosdem (et) fideiussores eorum a fideiussione absolvi facias … Dat. Messane, XVI ianuarii.” Reg. Ang. VI, 1270-1271, p. 149.
[xv] Predelli R., I Libri Commemoriali della Republica di Venezia, Regesti, Volume 2, libro III n. 344.
[xvi] “Manfredo giudice, Stefano di giudice Gregorio Papapato notaio, coi testimoni Folco, Roberto Buchiniger, Nicolò Maurello, Alamanno Verzinotto e Bongiovanni Descullo, tutti di Cotrone, attestano: che recatisi dietro invito del nobile Griffo de Roeta da Cotrone, rappresentante Enrico de Longastrena da Reggio, e di Marino Tagliapietra da Venezia sulla nave armata di quest’ultimo, egli (il Tagliapietra) li pregò di constatare la restituzione che faceva a Mano di Artamo da Palermo di un legno catturato da esso dichiarante, in seguito a contesa insorta fra alcuni veneziani e certi uomini di Castellamare, di Reggio e di Nicotera, per timore di essere dagli stessi danneggiato. Fatto in Cotrone. – Atti di Stefano notaio suddetto.” Predelli R., I Libri Commemoriali della Republica di Venezia, Regesti, Volume 2, libro III n. 218.
[xvii] 27.06.1331. “Roberto d’Angiò aveva ordinato che tutti i Ragusei dovessero lasciare il Regno per il 15 luglio; ma alle suppliche del “magnificus vir dominus dux Athenarum et Breni et Lucii comes” – ch’è poi Gultiero VI di Brienne, conte di Lecce e duca d’Atene, il futuro tirranno di Firenze -, il Gran Consiglio di Ragusa decide di consentire ai Ragusei di fittare le loro navi ad un procuratore del duca, Angelo di Crotone, per quell’impresa contro i Catalani d’Atene e d’Acaya, in cui il successo non gli arrise, non ostante la crociata bandita in tal senso dal papa.” Palumbo P. F., Pubblicazioni storiche jugoslave, 1955, p. 239.
[xviii] Predelli R., I Libri Commemoriali della Republica di Venezia, Regesti, Volume 2, libro VI n. 308.
[xix] Russo F., Regesto I, 7787.
[xx] ASGE, fondo Archivio Segreto, in ASMM, www.archividelmediterraneo.org
[xxi] Carabellese F., Le relazioni commerciali fra la Puglia e la Repubblica di Venezia dal X al XV secolo, Trani 1895, p. 95. L’esistenza del fondaco del sale di Crotone è documentata già agli inizi della dominazione angioina: “Mandatum pro fundicis salis Calabrie, vid. Cotroni, Cusentie, Montisleonis, Nicotere, Regii, Tropee et S. Niceti. Dat. Fogie, XIII madii.” Reg. Ang. XI, 1273-1277, p. 220.
[xxii] Sposato P., Attività commerciali calabresi in un registro di lettere di Alfonso I, in «Calabria Nobilissima», VIII, 1954, n. 23.
[xxiii] Spremic M., Scambi commerciali tra la repubblica slava di Ragusa, i Balcani e la Calabria nel basso Medioevo, in Calabria Sconosciuta, n. 7/8, 1979.
[xxiv] Lume L., L’istituzione del consolato raguseo in Crotone, in ASCL, 1968, pp. 79-83.
[xxv] Sposato P., Attività commerciali calabresi in un registro di lettere di Alfonso I, in «Calabria Nobilissima» n. 17, 1952.
[xxvi] Spremic M., Scambi commerciali tra la repubblica slava di Ragusa, i Balcani e la Calabria nel basso Medioevo, in Calabria Sconosciuta, n. 7/8, 1979.
[xxvii] ASN, Dip. Som. Fs. 196, fslo 1, f. 24.
[xxviii] ASN, Dip. Som. Fs. 196, fslo 2, inc. 2, f. 27v.
[xxix] ASN, Dip. Som. Fs. 196, fslo 2, inc. 2, f. 30.
[xxx] ASN, Dip. Som. Fs. 196, fslo 2, inc. 2, f. 33.
[xxxi] ASN, Dip. Som. Fs. 196, fslo 2, inc. 2, f. 39v.
[xxxii] ASN, Dip. Som. Fs. 196, fslo 2, inc. 2, f. 40v.
[xxxiii] ASN, Dip. Som. Fs. 196, fslo 2, inc. 2, f. 43.
[xxxiv] ASN, Dip. Som. Fs. 196, fslo 2, inc. 2, f. 53v.
[xxxv] ASN, Dip. Som. Fs. 196, fslo 2, inc. 3, f. 3v.
[xxxvi] ASN, Dip. Som. Fs. 196, fslo 2, inc. 3, f. 16v.
[xxxvii] ASN, Dip. Som. Fs. 197, F.lo 1, f. 126.
[xxxviii] ASN, Fs. 196, f.lo 5, f. 200v.
[xxxix] ASN, Fs. 196 fslo. 5, f. 149v.
[xl] ASN, Fs. 196, f.lo 5, f. 265.
[xli] ASN, Fs. 197, f.lo 2, f. 69.
[xlii] ASN, Fs. 197, f.lo 2, f. 204.
[xliii] ASN, Fs. 197, f.lo 2, f. 225.
[xliv] ASN, Fs. 197, f.lo 2, f. 242.
[xlv] ASN, Fs. 197, f.lo 2, f. 249.
[xlvi] ASN, Fs. 197 fslo 8, f. 133v.
[xlvii] ASN, Fs. 197 fslo 7, f. 123.
[xlviii] ASN, Erario de Cotrone, Fs. 532/10, f. 1.
[xlix] ASN, Dip. Som. Fs. 196 n. 5, f. 66.
[l] ASN, Dip. Som. Fs. 196 n. 5, f. 111.
[li] ASN, Dip. Som. Fs. 196 n. 5, f. 142.
[lii] ASN, Dip. Som. Fs. 196 n. 5, f. 195.
[liii] ASN, Dip. Som. Fs. 196 n. 5, f. 169.
[liv] ASN, Dip. Som. Fs. 196 n. 5, f. 176.
[lv] ASN, Dip. Som. Fs. 196 n. 5, ff. 180v, 183v.
[lvi] ASN, Dip. Som. Fs. 196 n. 5, f. 188.
[lvii] ASN, Dip. Som. Fs. 196 n. 5, f. 205.
[lviii] ASN, Fs. 197 fslo 2, ff. 39v, 41v.
[lix] ASN, Fs. 197 fslo 2, f. 187.
[lx] ASN, Fs. 197 fslo 2, f. 211.
[lxi] ASN, Fs. 197 fslo 2, f. 241.
[lxii] ASN, Fs. 197 fslo 2, f. 276.
[lxiii] ASN, Fs. 197, f.lo 8, f. 97.
[lxiv] M.s Barb, Vat. 5392, in Mercati G. S., Collectanea byzantina, Dedalo 1970, Vol. II, p. 704.
[lxv] Vaccaro A., Kroton, vol. II.
[lxvi] ASCZ, Busta 49, anno 1594, f. 56.
[lxvii] ASCZ, Busta 118, anno 1627, ff. 10-11.
[lxviii] ASCZ, Busta 253, anno 1670, f. 167.
[lxix] ASCZ, anno 1671, f. 184.
[lxx] ASCZ, anno 1671, f. 186.
[lxxi] ASCZ, Busta 661, anno 1722, ff. 198-199.
[lxxii] AVC, Lettera del Capitolo contro il lavoro festivo, 1691, s.c.
[lxxiii] ASCZ, Busta 334, anno 1679, ff. 31-33.
[lxxiv] ASCZ, Busta 659, anno 1716, ff. 6-7.
[lxxv] ASCZ, Busta 612, anno 1717, ff. 3-6.
[lxxvi] ASCZ, Busta 612, anno 1719, ff. 58-60.
[lxxvii] ASCZ, Busta 612, anno 1719, f. 150; Busta 613, anno 1720, ff. 32-33.
[lxxviii] ASCZ, Busta 912, anno 1746, f. 25.
[lxxix] ASCZ, Busta 855, anno 1752, ff. 8v-9r.
[lxxx] ASCZ, Busta 133, anno 1621, f. 25.
[lxxxi] ASCZ, Busta 133, anno 1648, f. 45.
[lxxxii] ASCZ, anno 1673, f. 1.
[lxxxiii] ASCZ, Busta 1673, f. 91.
[lxxxiv] ASCZ, Busta 336, anno 1692, ff. 92 -93.
[lxxxv] ASCZ, Busta 611, anno 1713, ff. 56-58.
[lxxxvi] ASCZ, Busta 611, anno 1712, f. 178.
[lxxxvii] ASCZ, Busta 614, anno 1731, ff. 53-55.
[lxxxviii] ASN, Catasto Onciario Cotrone, 1743, f. 249.
[lxxxix] ASCZ, Busta 854, anno 1748, ff. 81v-82.
[xc] ASCZ, Busta 854, anno 1740, ff. 32-34.
[xci] ASCZ, Busta 855, anno 1752, f. 9.
[xcii] ASN, Dip. Som. Fs. 521, fs. 1.
[xciii] «Pianta del porto di Cotrone e sue adiacenze», fine secolo XVIII – inizio secolo XIX (in Carmelo G. Severino, Crotone. Da polis a città di Calabria, p. 74).
[xciv] ASCZ, Busta 1666, anno 1781, f. 81.
[xcv] AVC, Catasto Onciario Cotrone, 1793, f. 49.
[xcvi] ASCZ, Busta 915, anno 1763, ff. 97-98.
[xcvii] ASV, Reg. Lat. 1568, ff. 208v-210v (Russo F., Regesto, 16508).
[xcviii] ASV, Reg. Lat. 1489, ff. 37-38v (Russo F., Regesto, 16580).
[xcix] ASV, Reg. Lat. 1752, ff. 35v-39 (Russo F., Regesto, 18732).
[c] ASV, Resignat. III, f. 165. (Russo F., Regesto, 19189).
[ci] ASV, Rel. Lim. Crotonen. 1614, 1617.
[cii] ASV, Rel. Lim. Crotonen. 1631.
[ciii] Russo F., Regesto, 27067.
[civ] ASCZ, Busta 614, anno 1725, f. 8.
Creato il 12 Marzo 2015. Ultima modifica: 11 Agosto 2021.