Il Casale di Arietta in diocesi di Santa Severina
Arietta, come il vicino casale di Marcedusa, era situato in territorio di Mesoraca ed in diocesi di Santa Severina. Esso non compare nella tassazione dei fuochi del 1565, né nelle tasse per le strade di quell’anno. A quel tempo, tuttavia, il casale esisteva già, come evidenzia il sinodo diocesano di Santa Anastasia celebrato il 14 maggio 1564, al tempo dell’arcivescovo di Santa Severina Gio. Battista Ursino. Infatti, tra coloro che dovevano presenziare, troviamo il “Rector seu capp.nus casalis deli rayecta”, il quale doveva versare un censo di una libra di cera.
“La Rayetta” è anche presente nel “Libro de tutte le intrate de lo arcivescovado de S.ta Anastasia” del 1566, dove è annotato: “Lo jus mortuor. deli troyani et de la rayetta e deli cutronei si rescote ad misoraca”.
Fondato probabilmente verso la metà del Cinquecento per mettere a coltura le terre del feudo, quando era feudatario di Mesoraca Troiano Spinelli, inizia ad apparire nei documenti redatti al tempo del figlio di Troiano, il feudatario di Mesoraca Giovan Battista Spinelli. Nell’elenco delle rendite feudali presentate dal feudatario nel dicembre 1567, dopo la morte del padre Troiano, compaiono infatti i due casali “de la Riecta et Troyani”, i cui abitanti era obbligati a pagare il “pagliaratico”.[i] Alcuni anni dopo “Riyetta” è uno dei luoghi della diocesi, nei quali l’arcivescovo di Santa Severina gode del diritto di decima e di altri privilegi.[ii]
Il rettore ed il cappellano del casale devono ogni anno versare nel mese di maggio due libre di cera ed un tari. In questi anni alla sua chiesa “de lu salvature” (1576) è preposto un arciprete. L’undici maggio 1578 l’arciprete del casale della Reietta D. Minico Brizzi (assieme all’arciprete deli Troiani Francesco Apa) è presente nel sinodo di Santa Anastasia. Nel sinodo del maggio successivo dovrebbe comparire ed assolvere un censo di tre carlini. Al suo posto si presenta l’arciprete di Mesoraca, che lo scusa e versa per lui (“R.dus Archipresbiter de la Riyetta cum censu car. trium com.t et sol.t D. 0.1.10”). Ritroviamo “donno minico Britti cappellano delo casale dela Riyetta” in un atto del 27 aprile 1584 riguardante la fiera di Santa Anastasia.
Spopolamento e ripopolamento del casale
Il casale “La Rietta” è presente nel “Conto del R.o thesoriere” per la guardia delle torri dell’anno 1579/1580, quando è tassato per 4 fuochi, ed il 16 settembre 1580 Troyano Prospero versa un tari e grana 8 1/3.[iii]
Durante gli anni in cui fu arcivescovo di Santa Severina Francesco Antonio Santoro (1573-1586) il casale spopolò. Questo risulta da una annotazione successiva al tempo del nuovo arcivescovo Alfonso Pisani: “La campana sta in potere de mon.s Ill.mo de S.ta Severina per che quando sciatto ditto casale la fece portar mons. de matera in dicto palaczo”.
L’abbandono del casale durò poco come evidenzia un “Inventario dele robe de laclesia de lo sarvator delo casale dela riyetta”, compilato nel dicembre del 1588. L’inventario oltre ad elencare le poche cose presenti nell’unica chiesa del casale, alcune dono dell’arcivescovo di Santa Severina Francesco Antonio Santoro (“In primis quatro tovagle che stano sopra laltaro. In alja uno vestimento fornito. Item duj cosini. Item uno avanti altare morisco. Item uno calice de depicto quale e stato ammiso da lo Ill.mo et R.mo Mons.r de matera. Item uno missale. Item uno battisteri. Item due para de candileri uno paro grandi et uno piccoli. Uno boffetto. Item uno altaretto. Item uno campanello. Item uno paro de corporali. Item Una cruce de ligno. Item una pacicella. Item una lanterna. Item uno vaso de rame de spana quale ci sta lo hoglo santo infermoso et grisma delo santo battismo. Item uno paro de ursolilli de crita”), ci fornisce i nomi della trentina dei “parrochiani braczali”, che avevano dato nuova vita al casale e che dovevano versare 10 grana annue a testa per il mantenimento della chiesa, che allora non poteva contare per il suo mantenimento su alcuna altra rendita ed era ancora senza campana: “In primis sarvatore chirillo, Cola lo stunco, vincenso labate, mattio laguglia, joanne cavallo, francisco carvonello, lonardo barberi, geronimo macri, martino lechiane, joanne antoni parise, francisco toscano, ambrosi spano, sabbato de lia, battista macza, joanni petra santa, micheli siciliano, joseppe de sacco, germo tuvilino, paulo comito, guarillo de lia, jacopo de lia, meriano barberi, yofrida labate, marcellino bruno, nardo martico, paulo lo stunco, vincenso lo stunco, petro joanne macza, pempio spina, jo petro de lia.”
L’arcivescovo Alfonso Pisani lo descrive alla fine del Cinquecento come un piccolo casale del Marchesato di Mesoraca abitato da cento anime con una chiesa col suo cappellano, che è mantenuto dalle decime e dalle elemosine degli abitanti.[iv]
Il casale nel Seicento
All’inizio del Seicento provvede alla chiesa parrocchiale Gio. Tommaso Spano ed alla sua morte, alla fine di ottobre 1607, subentra Gio. Domenico Castello.[v] In una numerazione dei fuochi del 1604, “Larietta” è tassata per 38 fuochi.[vi]
È del 1625 una “Nota di tutte l’anime che si ritrovano nel casale della Raietta, della chiesa matrice et titolo di quella, delli servitii et pesi che ci sono et anco delle entrade delle confraternite, delli preti, cl(eri)ci, cl(eri)ci selvaggi, et commissarii di feste fatta da me D. Nicodemo Femia di Mesoraca capp(ella)no di detto casale per ordine dell’Ill.mo Mons.re Arciv.o di S.ta Severina hoggi 13 di Giugno 1625. In primis tutte l’anime che sono in detto casale ascendono al numero di 257, cioè 162 persone adulte di confessione et comunione et 95 figlioli di diece o dudici anni à basso. 2° Semo tre sacerdoti cinque cl(eri)ci in minoribus uno cl(eri)co selvaggio et uno commissario di feste. 3° Non vi è più d’una chiesa, et è matrice il titolo della quale è il SS.mo Salvatore et è arcipreiterato, nella quale anco ci è il SS.mo Sacramento sotto il cui titolo vi è una confraternita. I confrati della quale si vestono l’habbiti bianchi quando si fanno le processioni et quando si và al morto, et ogni terza domenica del mese si fa la processione accompagnando il SS.mo Sacramento intorno la chiesa dopo la messa. 4° Detta chiesa non tiene entrade di stabili ma il cappellano di quella vive solamente di decime, cioè a raggione di un t(umul).o di grano per ciascheduno paro di bovi, un tari per famiglia da quelli che non hanno bovi, et un carlino dalle vedove et in questo presente anno non vi sono in tutto detto casale più di sedici para di bovi et li denari delli bracciali non ascendeno à d(oca)ti sette in quanto al seminato si fa in detto casale non ne ho possuto haver certezza tanto perché non mi si dice la verità quanto che e diligenza da farsi da massari. 5° In detta chiesa anco non vi è altro peso che quello della cura dell’anime ordinarie quale viene osservato dal suo cappellano come si ricerca et anco ci è un legato di d(oca)ti quattro e mezzo l’anno con obligo al cappellano di dirsi una messa la settimana et anco ci è una vignola che à pena se ne può percipere otto carlini l’anno con peso di dire tante messe quanto se ne percipe d’affitto quando si trova d’affittare. 6° Detta confraternita non tiene entrada alcuna ma con l’elemosine si fanno compra di cera oglio et ogni altro necessario. 7° In detto casale non vi sono ne monasteri ne monache vizzoche ne oblati ne ospedali ne congregationi ne organi”.
Il cappellano del casale Gio. Vincenzo Brizzi, obbedendo ad una richiesta dell’arcivescovo Fausto Caffarelli, l’otto aprile 1628 così descrive la situazione religiosa del casale: “Nella Raietta non si trova altra chiesa, nè confraternita, ne luoco pio, solo che la chiesa matrice sotto il vocabolo del S.mo Salvatore la quale tiene uno solo altare, nel quale risiede, et sta collocata la custodia del S.mo Salvatore. In quanto all’altare detto maggiore per il vocabolo del S.mo Salvatore tiene peso di una edomada lasciata dal q.m Minico Dardano. E più una vigna lasciata dal q.m Jacono d’Elia, che si affitta a carlini diece l’anno. E più una casa che risiede il cappellano lasciò il q.m Cristino Cartuso che il d.to cappellano ne serva una edomada. E più carlini cinque di censo paga Giulia Olivita, e questo e quanto possiede la d.ta chiesa et l’altare del S.mo Salvatore, et vanno in benefitio con detti pesi del cappellano. Esigendosi anco le decime di uno tumulo di grano per paricchio et per bracciale uno tari, che ogni cosa non arriva a docati vinti, che detto cappellano si campa miseramente. Il S.mo Sacramento l’ha eretto una confraternita da quando si fondò il casale et ogni anno vi si crea un procuratore a voci et quello finito l’anno dona il conto, et insino adesso non vi è nessuno significato ò significatomi tiene detta confraternita. Tiene detta confraternita l’infratte entrate: In p.s carlini vinti annui lasciati dal q.m Vincenzo Costanpho sopra certi celsi di Fabritio Jentile et l’herede di Gio. Vinc.o Carbonello. E più possiede un horto con fico che ne percipe carlini cinque l’anno. E più possiede questo è il primo anno una vigna lasciata dal q.m Gio. Mazza et Petritia d’Arcuri sua moglie, ne percipe docati tre circa. E più detta cappella have da ricevere da Marco Lo Russo pro una vice tantum docati sei lasciati dalla q.m Portia lo Stunpho sua moglie che se ne obligo l’anno passato a tempo del comissario della fabrica et si pagheranno ad agosto pro.mo venturo. E solito l’anno il Procuratore per complimento di comprar oglio et cera per detta cappella domandar elemosina nella scungna del grano, che ne sole fare quattro o cinque tt.a l’anno et questi se ne vanno in beneficio di questa cappella, che piùttosto mancano, che avanzano, ansi sta scarsa et mala acconcia di vestimenti et altre cose necessarie”.
Al tempo dell’arcivescovo Fausto Caffarelli nel sinodo di S. Anastasia del 28 maggio 1634 l’arciprete di Ryetta versa tre carlini come cattedratico.[vii] In quegli anni il De Urso lo descrive come situato “sotto il tanto celebre monte di Giove”, ove si trovano le miniere dell’oro.[viii]
La visita dell’Arcivescovo Francesco Falabella
Poco prima del tramonto del 5 settembre 1660, l’arcivescovo di Santa Severina Francesco Falabella con il suo seguito lasciava il casale di Marcedusa e sul far della sera giungeva al casale di Reietta, dove fu accolto dal clero radunato davanti alla chiesa intitolata allo SS.mo Salvatore.
Entrato nella chiesa, si inginocchiò davanti all’unico altare, dove si trattenne pregando a lungo. Recitata la benedizione dei morti, ricevette l’obbedienza dai chierici Giuseppe Caputo, Francesco Mazza e Francesco Visciglia e dal chierico coniugato Giovanni Domenico Pigneti. L’arcivescovo visitò il SS.mo Sacramento, che era in una pisside d’argento dorata internamente ed era conservata in una custodia lignea dipinta ed alquanto vecchia. Nello stesso luogo trovò anche un’altra pisside pure d’argento ma più piccola, nella quale si conservavano alcune particole consacrate, quando la maggiore si portava per il viatico agli infermi. Sopra l’altare c’era un’icona con l’immagine del Salvatore ed altri santi dipinta su una tela vecchia con due cornici lignee alquanto vetuste. Dopo aver ordinato di riparare il muro del gradino dell’altare, che era poco stabile, il Falabella proseguì la sua visita esaminando le suppellettili sacre e per primo il calice tutto d’argento con patena, che ordinò di indorare internamente. Poi passò in rassegna le tre casule, due di seta di vari colori ed una bianca, il messale, il pluviale di seta, il baldacchino di colore rosso ecc. Visitò quindi la fonte battesimale, posta nella parte sinistra della chiesa, e gli oli sacri.
Il rettore della chiesa era D. Hiacinto Plutino, il quale era assente, in quanto ammalato, e da circa due anni si era ritirato in Mesoraca. Comparvero invece il sindaco del casale Bartolo Caputo e Domenico Crediadio, i quali dichiararono che, perdurando l’infermità e l’assenza del parroco, gli abitanti del casale non potevano ricevere i sacramenti della confessione, della comunione e dell’estrema unzione. L’arcivescovo ordinò allora di notificare subito al Plutino di ritornare entro otto giorni alla sua residenza, oppure di rinunciare all’incarico nelle sue mani. Nel frattempo, si provveda di un economo, esaminato ed approvato dall’arcivescovo. Le rendite della chiesa, tra certe ed incerte, ascendevano a circa cinquanta ducati annui. L’edificio aveva il pavimento ben disposto e formato con mattoni cotti di creta mentre il tetto aveva un soffitto dipinto. L’arcivescovo visitò poi la fonte battesimale che era posta dalla parte sinistra della chiesa, trovò il tabernacolo pieno di polvere ed i vasi dove erano conservati gli oli sacri in disordine perciò multò il rettore con la pena di 50 libbre di cera bianca lavorata.
Verso il Settecento
Sul finire del Seicento il villaggio di Arietta, casale di Mesoraca, ha una sola chiesa arcipretale curata sotto il titolo del SS. Salvatore. La cura delle anime è esercitata dall’arciprete parroco, che gode di una comoda prebenda arcipretale di circa trenta ducati annui; dapprima da Gio. Paolo Biondi, nativo di Mesoraca, e poi sul finire del secolo da Gio. Domenico Pedace. Gli abitanti sono circa 500 e ci sono solo due sacerdoti. Secondo l’arcivescovo Muzio Suriano nel 1675 Arietta ha 361 abitanti e nel 1678 circa 450.[ix]
La situazione religiosa rimarrà inalterata per tutta la prima metà del Settecento, mentre la popolazione a seconda della convenienza verrà data in aumento o in diminuzione. Tassata per 41 fuochi nel 1669, nel 1732 ne sono censiti 55,[x] mentre gli arcivescovi di Santa Severina nel 1675 segnalano 361 abitanti e nel 1735 solo 268.
Le relazioni degli arcivescovi nel 1725 danno 278 abitanti, con un arciprete, due sacerdoti ed una confraternita di laici; nel 1735, 268 abitanti con l’arciprete, due sacerdoti e tre clerici; 341 abitanti nel 1744, con l’arciprete, due sacerdoti e quattro chierici.[xi] Alla fine del Settecento aveva 207 abitanti, nel 1823 gli abitanti erano aumentati a 218. Le anime nel 1862 si erano ridotte a 125.
Così lo descriverà alcuni anni dopo l’arcivescovo Antonio Ganini: “Arietta ha 143 abitanti e due preti. Vi è un’unica chiesa matrice, che è retta da un arciprete curato, che è il reverendo D. Antonio Venere L’arciprete curato del casale di Arietta e Villa di Petronà,[xii] il quale amministra la cura delle anime nell’altare maggiore sotto il titolo del SS. Salvatore, nel quale è conservata anche la SS. Eucarestia. Ci sono nella chiesa altri cinque altari o cappelle (del Venerabile, del Purgatorio, del SS.mo Rosario, di S. Antonio, dell’Immacolata), che sono retti dallo stesso arciprete, il quale li provvede del necessario e sopporta gli oneri delle messe. Fa eccezione l’altare della Beata Vergine Maria dei Sette Dolori, nel quale è eretta la confraternita di laici sotto lo stesso titolo. Esso è retto assieme all’altare per il temporale da un procuratore eletto dai confratelli e per lo spirituale dallo stesso arciprete, o dal suo vicario curato.”[xiii]
Le rendite della chiesa arcipretale erano composte soprattutto da una quindicina di piccoli terreni e vignali situati in territorio di Petronà, alberati di querce, olivi, castagni e gelsi neri. Al frutto delle ghiande, delle castagne e delle poche olive (“negli anni di carica donano docati novanta circa, ma nell’anni di scarica appena arriva a docati 60”), sono da aggiungere alcuni piccoli censi bollari ed una casa matta o pagliara.[xiv]
Da comune a frazione
Comune autonomo del circondario di Catanzaro durante il Decennio francese e nella prima metà dell’Ottocento (1825), in seguito divenne villaggio e poi frazione del comune di Petronà (1862). Essendo la maggior parte dei terreni coltivati in territorio di Petronà, i suoi abitanti furono sottoposti ai capitoli sottoscritti all’atto della fondazione di quel casale con il proprietario della difesa, che era il convento domenicano di Mesoraca. La condizione di povertà e di abbandono della chiesa del casale, amministrata da economi curati (Antonio Perri, Talarico, Sosto Commodoro), traspare da una supplica inviata dai suoi abitanti all’arcivescovo di Santa Severina Annibale Raffaele Montalcini (1848-1861), nella quale si legge:
“A Sua Eccellenza Riverend.a Monsignore Arcivescovo di S. Severina.
Eccellenza.
Li qui sotto scritti e sotto croci signati cittadini di questo villagio di Arietta luogo di questa Arcidiocesi divotamente le rappresentano che vedendosi nello stato di totale abbandonamento per gli atti di Religione che volendo non possono ne per la chiesa materiale ne per la formale esercitare, si vedono costretti a ricorrere alla religiosità di V.ra E.za Riv.nda onde cercasse i mezzi per darsi loro una qualunque piccolissima chiesa ove riunire si possono per gli atti di religione, e darli un sacerdote che giornalmente possa derigere le loro coscienze ed istruirli nei doveri di cristiano. E’ vero che abbiamo una chiesa ma questa è cadente come ocularmente osservò il vostro Delegato nella Santa Visita e vedendo questo lo stato di d(ett)a chiesa disse parlarne di proposito alla E.za V.ra R.a e proporvi come darsi riparo ad una imminente rovina di d(ett)a chiesa.
Intanto non avendo veduto niuna providenza vedendo il pericolo di cadere la copertura e suffitta sull’altare ove era il SS. Sagramento si è pensato a scoprire parte che imminentemente minacciava rovina ed il SS.mo Sagramento si è passato in altro altare della chiesa che può essere soggetto allo stesso importunio, quindi la preghiamo a provedere più presto.
2° Il sacerdote che li ha destinato per somministrarli gli aiuti spirituali viene le Domeniche e feste ed appena celebrata la S. Messa si ritira in Petronà e non occorre a verun bisogno loro spirituale. Per la qual cosa supplicano l’E.za V.ra R.ma che ci destinasse un sacerdote che fissasse tra esso noi la sua dimora e perchè il Delegato per la Visita ci assicurò non averlo l’E.za V.ra potuto ritrovare così ci facciamo animosi a supplicare l’E.za V.ra R.ma affinchè si benignasse ammettere all’alunno gratis un nostro concittadino chiamato Tommaso Scalzi di Pietro Paolo dell’età di 17 o 18 anni che da più anni a vestito l’abito chiericale ed in Mesoraca ha atteso allo studio delle lettere e servito quella chiesa il quale può avere dal Padre istituito il sagro patrimonio e questo ordinarsi a titolo della chiesa di Arietta ove tiene casa e fondi così potranno avere un sacerdote che perennemente possa dimorare in questo villaggio.
Arietta 28 dicembre 1855.”
Tra i 36 firmatari della supplica ben 32 sono “idioti” cioè analfabeti. Giuseppe Scalzi eletto, Tommaso Talarico, Giuseppe Torchia, Giuseppe Grimaldi. Idioti: Giuseppe Elia, Raffaele Elia, Michele Francesco Morelli, Tomaso Amoroso, Germano Amoroso, Tomaso Lazzaro, Saverio Gatto, Carlo Lamanna, Vincenzo Elia, Antonio Barone, Saverio Grimaldi, Achille Vacca, Pietro Amoroso, Pasquale lo Stunzo, Carmine lo Stunzo, Nicola Chiodo, Carmine Levato, Pietro Paolo Sircone, Domenico Lamanna, Nicola Lamanna, Giuseppe Lamanna, … Lamanna, Antonio lo Stunpo, Luigi Elia, Fabio Elia, Antonio Elia, Giovanni Scavo, Giuseppe Levato, Giuseppe Falgaro, Donato Grande, Giuseppe Pilloma, Enrico de Franco.
Petronà ed Arietta
L’origine dell’abitato di Petronà è legata alle vicende del convento domenicano di Santa Caterina di Mesoraca. Nell’ottobre del 1652 risulta nell’elenco dei piccoli conventi che devono essere chiusi, in quanto non ha i requisiti richiesti dalla Costituzione di Innocenzo X. Soppresso il convento, in seguito i cittadini e l’università di Mesoraca fornirono i mezzi per riaprirlo. Questo avvenne dopo un periodo di funeste annate, rovinate dalla siccità e dalle cavallette.
Per poter costituire una dotazione al convento, tale da poter mantenere i sei frati, come previsto dalla bolla papale, nel 1681 l’università di Mesoraca inviava una supplica al Vicerè per la convalida della cessione della difesa denominata Pietronà. Tale donazione, secondo l’università, era urgente per implorare il perdono divino in quanto “hoggi se ne scendono contrari gl’effetti la onde il S. Iddio giustamente sdegnato per li nostri peccati e misfatti c’ha mandato tanti castighi e flagelli.” La supplica poteva inoltre contare sull’assenso dell’arcivescovo di S. Severina Carlo Berlingieri, il quale acconsentiva il ritorno dei padri Domenicani nella chiesa di Santa Caterina di Mesoraca. “Capitoli tra il Con(ven)to di S. Dom(eni)co di Mes(orac)a e abitanti di Petronà per (coltivare la) difesa, concordati e convenuti tra di loro per il Cap(ito)lo del Con(ven)to il P. Venerando Messina qual vicario, il P. L. Fran.co Alberto, M.a Gentilo figlio del Con(ven)to et dall’altra parte Saverio Tallarico, Nicola Tallarico, Gesimundo Tallarico, Vincenzo Tallarico di Santo, Girolamo Tallarico, Gius(epp)e Tallarico, Felice Tallarico, Vincenzo Tallarico di Fran(ces)co, Tomaso Tallarico di Marco, Ventura Tallarico, Salvatore Muraca, Giacomo Scalzo, Fran(ces)co Scalzo, Camillo Scalzo, Muzio Pascuzzo, Dom(eni)co Falbo, Gio. Batt(ist)a Falbo, Tomaso Pignieri, Natale Vuello, Fortunato Bianco, Ant(oni)o Pascuzzo d’Ottavio, Giacinto e Salvatore Gentile, Gio. Grande, Ant.o Muraca, Ant.o Muraca, Santo Guatieri, Bruno Colosimo, Dom.co Scalzo.P(ri)mo, che la difesa s’abbia fare tre terzi, uno che serva per farci l’abitaz(io)ne, ortalizii, vigne e pos(ses)sioni = l’altro per sementersi e la’ltro per erbaggio e pascolo d’animali destinandi d(ett)i tre terzi secondo si conoscerà esser abile ed atta detta T(er)ra per farsino dette cose.
2° – che li d(ett)i abitanti dovessero pagare a d(ett)o Convento per il pascolo dell’erbaggio del modo che siegue cioè carlini due per ogni vacca, carlino uno per ogni bove, jancarrone d’un anno in due un carlino = scrufe e porci un carlino a testa = porcelli jannaritici ogni tre che passino per una testa, col mannarino franco, d’unmodo che ne dessero la parte al Convento = capre e pecore una di cinque a testa, cervelli franchi.
3° – che detti coloni pigliando qualsivoglia sorte d’animali a metà o d’altra maniera, purchè fossero da loro, o loro garzoni custoditi, che passino per cittadini in quanto al pagamento.
4° – che d(ett)i coloni, seu abitanti dovessero corrispondere al Convento un carlino l’anno per il jus soli della casa seu pagliaro ed un carlino per l’orto e casa ed orto sia di continenza di terra un quarto di tumulo assignando dall’esperti, e grana venticinque per ogni tumulata dove fanno vigne, o possessioni, olive, pera, poma, celzi ed ogni sorte d’alberi puotendono piantare castagna non possono farlo se non in quelle parti, dove sono al presente e dove non danno impedimento ad altre possessioni, e se detti coloni dentro il quarto della terra assignato per casa ed orto facessero più membri di case o più camere per quanto appartiene alla loro abitazione ed abitando colla loro propria famiglia, non siano obligati a pagare più del prezzo stabilito come sopra ma affittandoli, o facendo fuochi diversi fussero obligati pagar fuoco, o per ogni affitto a corrispondere al Convento l’affittatori o li fuochi distinti respettive un’altro carlino per uno.
5° – che … senza veruno impedimento ma sole … fare potire consegna … beneplacito a tenore delle leggi.
6°- che per le t(err)e sementeranno debbono pagare a mezza copertura previo appretio.
7° – che li d(ett)i coloni potessero allegnare senza veruno impedimento ad alberi inutili e legne secche e per quello appartiene alla comodità di casa o sia pagliaro, cioè travi, tijlli, ed ogni sorte di legname che abbisogna per costruire d(ett)e case o pagliara, se le potessero fare dentro le manche di d(ett)a Difesa e conoscendo non farsi danno alle castagne se ne potessero anche servire per loro comodità= per le manche però dovessero pigliare la licenza e beneplacito del Superiore del Convento.
8° – che occorrendo trovare dentro d(ett)a Difesa animali forastieri d(ett)i coloni carcerandoli del deritto che li spetta non fussero obligati farne parte veruna al Convento ma vadi a benefizio di chi farà d(ett)a carceraz(io)ne.
9° – che avanzandosi l’abitazione d’abitanti ed animali al numero esorbitante che non fusse capace d(ett)o terzo di Difesa a mantenere d(ett)i animali e fussero animali armentine (cioè per le vaccine segnali il numero di) tanto le vaccine quanto pecorine e caprine non pascolando dentro d(ett)a Difesa, non fussero obligati a pagare ma ad uso di massariao murracchioli fussero obligati a pascolare e pagare secondo il prezzo stabilito come sopra ed il Convento non potesse fidare altri animali forastieri nella … e non pascolando sia anche obligati a pagare per detti murracchioli.
10° – Il Jus di fare il molino resta al Convento e li coloni siano obligati a portare la legname e tutto ciò che abbisogna per costruire d(ett)o molino pro una vice tantum.
11° – occorrendo, che d(ett)i coloni seminassero lino, fossero obligati a pagarte al Convento carlini sei per tumulata e seminando grano d’India ceci (lupini) ecc. dentro fossero obligati correspondere al Convento la quinta.
12° – per il 3° della semina s’intende di fare tanto seminato quanto è capace d(ett)o 3°. Cioè per mayisi e per semina e succedendo che d.o terzo non potersi seminare a causa che la terra si sterilisce e non frutta seminandosi sempre non siano obligati a seminare se non quelle terre, che secondo il prudente giudicio possono apportar frutto ma se nel 3° assegnato per l’erbaggio essendovi terre piane, ed abili a lavorarsi siano obligati a sementarle restando vacue quelle del 3° della semina, quali potranno servirsene per erbaggio.
13° – che d(ett)i coloni fussero obligati tutti ed insolidum all’osservanza del patto tra diloro stabilito cioè per il quale dell’animali vaccine, pecorine e caprine trattandosi di muracchioli di non poter dimorare uno più dell’altro, ma che venendo il tempo di dover partire dovessero partire tutti.
14° – che d(ett)i coloni fussero obligati a pagare al Convento docati 48 e mezzo per il prezzo delle castagne presentemente s’attrovano ed avanzandone come sopra vadino a loro beneficio e tal pagamento si dovessere fare da ogn’uno per quanto spetta alla sua porzione ne siano obligati a pagare l’uni per l’altri, o l’altri per l’uni, ma ogn’uno per la sua rata in perpetuum del modo che siegue= Saverio Talarico, 5 – 50; Gesimundo Talarico, 1 – 80; Salvatore Muraca, 2 – 55; Salvatore Gentile, 2 – 70; Giuseppe Talarico, 2 – 0; Gerolamo Talarico, 2 – 0; Bonaventura Talarico, 1 – 70; Giacomo Scalzo, 1 – 20; Tomaso Pignieri, 1 – 20; Tomaso Talarico, 0 – 80; Francesco Scalzo, 1 – 20; Gio. Battista Falbo, 0 – 90; Antonio Muraca, 1 – 55; Vincenzo Talarico, 2 – 50; Bruno Colosimo, 1 – 40; Natale Vuello, 1 – 30; Nicolò Talarico, 1 – 30; Edivoraf. Torchia, 0 – 80; Fortunato Bianco, 0 – 90; Domenico Falbo, 1 – 70; Antonio Pascuzzo, 1 – 35; Felice Talarico, 1 – 35; Camillo Scalzo, 0 – 80; Domenico Pascuzzo, 1 – 80; Santo Guatieri, 0 – 90; in tutto docati 48 – 50.
Per il qual pagamento vengono nominativamente li sudetti obligati e succedendo divisione di d(ett)e partite che per sorte facessero li sud(ett)i con farne parte ad altri, o per via di dote, ò d’ogn’altro muodo li dividessero, il Convento sempre li riconosce per una porz(io)ne, ed il principale obligato, o suoi eredi, successore sarà sempre obligato a corrispondere al Convento in tutta la porzione.
15° – come … obligano a pigliar … previo appretio, seu via di stima e se vogliono mandare loro lo stimatore con quello manderà il Convento, possono farlo e per il prezzo di d(ett) a ghianda siano obligati a pagarla alla ragione di grana cinque il tumulo e succedendo per sorte carica tanto abbondante che non possono portarla colli soli loro animali sia loro il penziere di fidare ò venderla ad altri senza impedimento veruno, ed il pagamento di d(ett)a ghianda s’obligano farlo nel mese di gennaro.
16° – Che il Convento precedente a qualsivoglia censuazione particolare s’avesse da separare una continenza di terra sotto acqua a sua disposizione.[xv]
Note
[i] ASN, Som. Relevi, Vol. 354, f. 664.
[ii] Di un antichissimo diritto dei nostri Metropolitani, in Siberene – Cronaca del Passato per le Diocesi di Santaseverina, Crotone, Cariati, a cura di Scalise G. B., p. 87.
[iii] ASN, Tesorieri e Percettori Fs. 506/4109, ff. 21r, 94v.
[iv] ASV, Relatione dello stato della chiesa metropolitana di Santa Severina, 1589.
[v] Russo F., Regesto, 26478.
[vi] ASN, Cedulario de li fochi della provintia de Cal.a Ultra, in Tesorieri e percettori, Fs. 558/4162, ff. 83 -87.
[vii] Siberene – Cronaca del Passato per le Diocesi di Santaseverina, Crotone, Cariati, a cura di Scalise G. B., p. 30. Nel 1662 Sigismondo Brizzi è arciprete nella Ryetta.
[viii] Boca G., Luoghi sismici di Calabria, 1981, p. 222.
[ix] ASV, Rel. Lim. S. Severina., 1675, 1678.
[x] Barbagallo de Divitiis M. R., Una fonte per lo studio della popolazione del regno di Napoli, Roma 1977, p. 55.
[xi] ASV, Rel. Lim. S. Severina., 1725, 1735, 1744.
[xii] Antonio Venneri di Mesoraca era stato nominato nel febbraio 1761 per morte del predecessore Gio. Bartolomeo Scalzi. Ad Antonio Venneri seguì Rosario Talarico ed alla sua morte, nel settembre 1790, Domenico Venuti, quindi Annibale Maria Talarico. Russo F., Regesto, 64814, 68247, sgg.
[xiii] ASV, Rel. Lim. S. Severina., 1765.
[xiv] Stato nominativo le rendite e pesi della chiesa arcipretale del comune di Arietta, 9 settembre 1825.
[xv] ASN, Provv. Caut. Vol. 245, f. 193 (1681).
Creato il 24 Febbraio 2015. Ultima modifica: 12 Maggio 2022.