Fortificazione della città e castello di Crotone in età moderna (1550-1780)
I lavori di fortificazione della città e del castello di Crotone, iniziati nella primavera del 1541 per ordine dell’imperatore Carlo V, essendo viceré Don Pedro de Toledo, dopo dieci anni continuavano sotto la supervisione del barone della Caya, “designator et reviditor de tutte le Regie fabriche del presente Regno di neapoli”, di Alonso Brefeygna, regio generale commissario in le fabbriche della città e castello di Crotone, e del capomastro Jacopo de Amato de Cotrone, “substituto per lo barone dela Caya”.
Nel 1550 al castello si costruiva la “casazza” per conservare l’artiglieria e si facevano in legname le “porte false”; procedeva anche il grande e pericoloso scavo della cortina del “critazo che va ad iuntar ad lo mezo dela torre S.ta Maria”, e si scavava il “monte del cretazo” proprio dove si doveva continuare a costruire il nuovo torrione o baluardo di Santa Maria. Lo scavo, condotto dapprima sotto la guida dello spagnolo Jo Per’ e poi di Diego Azalgo, causerà numerosi morti, “stroppiati et feriti”, per il crollo di “pezi di timpa”.
L’abitato allora era ormai chiuso da cortine e baluardi nuovi, tranne che dalla parte delle mura della Capperrina. Si stava completando il costruito: una parte dei mastri e dei lavoratori era impegnata allo spontone del fosso del castello (ancora oggi è visibile il graffito “1550” alla base della costruzione verso la villa comunale), ma il maggior impegno era rivolto ad abbattere le vecchie mura dalla parte del fossato, che separava la città dalla campagna. I perratore stavano infatti diroccando le mura “dela creta avanti S.to francesco lo novo”, le mura che dal baluardo Marchese, dove c’era la vecchia torre Pignalosa”, andavano verso la “porta dela chiaza” e le mura “delo rebellino de S.ta clara”.
Le pietre recuperate, “spietrando” le vecchie mura, erano subito utilizzate per la costruzione del baluardo Marchese, che era già giunta a buon punto, e per l’ultimo baluardo il “torrione Toledo”, che si stava iniziando. Di questo “torrione”, parte delle fondamenta e precisamente, “lo fianco et naso del torrione guardante verso il torrione don Petro”, erano state gettate proprio sul finire dell’anno precedente, ed ora si stava facendo “il cavamento del restante et dela cortina di quello finche sera serrata la porta della città”.
La città militarizzata
Le nuove fortificazioni avevano ridato prestigio ed importanza alla città e certamente costituivano una condizione importante per la sua salvaguardia ma da sole non bastavano. Città strategica per la difesa del regno dal nemico turco è nella bella stagione, tempo di pericolo, difesa da un forte presidio: nell’estate 1558 ci sono 700 fanti, nel 1560 vi veniva mandato Salvatore Spinelli con 800 soldati, l’anno dopo vi era acquartierata una compagnia con duecento spagnoli,[i] nel 1563 è la volta del marchese di Cerchiara, Fabrizio Pignatelli, con “mille fanti spagnoli”, duecento uomini d’armi “et altrettanti cavalli leggieri”, che deve perseguire i fuorusciti di re Marcone,[ii] e nell’estate successiva, sono a guardia della città i fanti e gli ufficiali della fanteria italiana del coronello Mario Pignatello.
Oltre al capitano con la sua compagnia che ha il compito di presidio temporaneo in tempo di “sospezione d’armate nimiche” o di “forasciti”, vi era poi stabile la guarnigione del reale castello sotto il comando di un castellano e composta da un vice castellano o tenente, da bombardieri, un monizionero, un cappellano, un portiero, un tamburro, un molinaro e numerosi soldati. Il castello dominava e controllava la città ed aveva la funzione di estrema difesa in caso che questa cadesse o si desse al nemico. Sulla sua torre più alta, la “Marchesana”, all’interno del fortilizio, sventolava lo stendardo reale, e la sua artiglieria, puntata sul porto e sulla città, era di monito ai cittadini e controllava la navigazione e la via ionica.
La guarnigione era composta esclusivamente da soldati spagnoli e le difese erano oggetto di costanti interventi; così nel 1565, essendo viceré Don Parafan de Rivera duca di Alcala, si spendono oltre 500 ducati per accomodare il magazzino delle munizioni, la casa dell’artiglieria, le abitazioni dei soldati e la chiesa di San Dionisio. Si compera una mula per il centimolo per uso del mulino della polvere, si ripara la cisterna, “qua est fracta et in ea non est aqua”, e si aumenta la guarnigione di dieci soldati su richiesta del castellano Joan de Tres Puentes.[iii]
Sempre in quell’anno si pensava anche alla difesa della città. Su ordine della Regia Corte si inviavano due bombardieri e si riforniva la monizione di polvere grossa e sottile, la quale, riposta in barili, era portata dalle regie triremi da Napoli in Sicilia e da qui con una fregata a Crotone.[iv] Una presenza così numerosa di fanti in estate a Crotone continuerà anche negli anni seguenti, come si ricava da una relazione al marchese di Mondesciar, vicerè di Napoli tra il 1577 e il 1579, che indicava in seicento il numero dei militari che si era solito porre in tempo sospetto a Crotone, città che allora contava circa 5000 abitanti.[v]
L’intervento di Ambrosio Attendolo
Che lo stato di efficienza delle fortificazioni di Crotone stesse ancora particolarmente a cuore agli Spagnoli durante il regno di Filippo II, dopo la quasi totale ricostruzione e le ingenti spese fatte al tempo dell’imperatore Carlo V, lo si ricava dalle relazioni e dagli interventi proposti dall’ingegnere capuano Ambrosio Attendolo, che si interessò alle fortificazioni di Capua, di Gaeta e di Crotone.[vi]
Nelle istruzioni, datate 28 marzo 1573, che gli vennero fornite per il suo viaggio a Crotone su ordine di Antoine Perrenot, signore di Granvelle, vicerè di Napoli dal 1571 al 1575, gli era stato ordinato, tra le altre cose, che “reconosca il cavaliero cascato et la cisterna rotta nel castello: veda il danno che ce è et lo remedio che se li poteria dar: et con che dispendio, et in quanto tempo se poteria far dett’opera … et cosi ancora che reconosca un lenzo de la muraglia dela citta c’ha fatto motivo, et veda lo remedio che se li potria dar, et con che dispendio, et in quanto tempo”.[vii]
L’Attendolo, che doveva prima accompagnare l’ingegnere Benvenuto Tortelli ad ispezionare le fortificazioni di Barletta e di Taranto, arrivò all’inizio della primavera del 1573 a Crotone e, nel maggio di quell’anno, consegnò due relazioni, una sulla fortezza ed una sul castello di Crotone dove, descrivendoli minuziosamente, indicava lo stato e gli interventi necessari.[viii] Da esse apprendiamo che i lavori di fortificazione iniziati al tempo del viceré Don Pedro de Toledo, erano giunti a buon punto anche se alcune parti del progetto, elaborato dal barone Giovanni Giacomo della Caya, erano state tralasciate, evidentemente per difficoltà finanziarie. I baluardi e le cortine della cinta muraria erano quasi completi e i lavori continuavano principalmente nella parte compresa tra i baluardi Marchese e Toledo.
Si stava infatti elevando il cavaliero nel baluardo Marchese e finendo il Toledo. Nella cortina che li univa si lavorava alla nuova porta principale della città e vi si costruivano il contramuro ed il terrapieno, dei quali “ce ne manca gran parte”. Tra gli interventi previsti c’erano quelli di finire di terrapienare il baluardo Don Pedro e di costruirvi il cavaliero, di fornire la cortina tra quel baluardo ed il successivo Toledo di terrapieno e di contramuro, e di rifare parte del muro di controscarpa del fosso del castello.
Dalla descrizione del castello si apprende che il baluardo Santa Maria dopo più di vent’anni dal suo inizio era pressoché finito (ancora oggi è visibile il graffito “1576” sulle mura del baluardo verso levante) e che vi erano almeno tre torri. Le tre torri erano state costruite in tempi diversi: la più antica era il cavaliero (“la torre delo casicavallo”), un “torrionetto tondo” che era anche piccolo e malridotto, e sia perché era stato riempito di terra, sia perché aveva poco fondamento, da quando erano stati costruiti di recente ex novo la cortina ed il baluardo, a causa del dislivello esso aveva cominciato a rovinare.[ix] Gli altri due torrioni invece “sono d’altro dissegno, belli, ben fatti e gagliardi”. La cisterna era vicina alla torre più vecchia ed era piccola, ed a causa del cedimento del terreno si era aperta.[x]
Le proposte di Attendolo per quanto riguarda il castello sono che, considerando inutile qualsiasi spesa per rinforzare il cavaliero, anche perché detto “torrionetto non fora buono per se ne per altri a caosa ch’esso non vede la cortina ne lo belguardo novamente fatto in detto castello: ne esso torrionetto è visto da loro”, si edifichi davanti al torrionetto un altro baluardo corrispondente all’altro che è stato costruito, “accioche se potessero veder et agiutar l’un l’altro … et la cisterna se facesse in altro luoco più ferme et dove non potesse esser tormentata dale arteglerie et fusse capace di piu acqua”. L’ingegnere stimò che per fare il baluardo, “per venir alto palmi cento cinquanta doi: che tant’è dal zoccolo dell’altra fabrica nova sin al piano dela piazza del castello predetto: ce vanno di fabrica canne seimilia in circa, et di cavamento di terreno canne domilia et ottocento”, ci volevano circa due anni di lavoro mentre per costruire la cisterna, “di fabrica canne quattrocento sittanta cinque et di cavamanto canne docento ottanta et sara capaci di botti millecinquecento trentasei d’acqua”, bastavano sei mesi.
Per quanto riguarda le mura della città, dopo aver descritto minuziosamente lo stato e ciò di cui aveva bisogno ogni sua parte, rifacendosi al motivo della sua venuta, annotava che “da la parte che guarda verso levante sta cinta d’una muraglia vecchia, la quale comincia dal muro novo dela controscarpa del fosso del castello ,et va a finir nel fianco del belguardo grande fatto novamente … et di essa ne casca una parte di longhezza di canne dodece in circa, la quale non se può reparar, perché è gonfiata nel mezo et rotta per traverso”, perciò proponeva di “recinger la detta parte de citta … percioche con cacciarse così fora s’impatroneria d’una gran parte de la falda del monte che sta dinanzi ad essa et al castello. Sarria piu difesa dal castello predetto per la faccia di fora, et più offesa per la parte di dentro quando la citta fosse nemica. Et non poterria mai offender il detto castello come fa la sudetta che li volta faccia”.
Egli faceva inoltre presente “che la città predetta se bene have alcuni pezzi d’artiglieria, non have nesciuno cannone rinforzato, ne tampoco have pezzi petrieri per le cannoneri de li fianchi. Et delli pezzi c’havvi ne sono quattro o cinque rotti, per difetto de bombardieri che non sanno la quantita dela polve che bisogna quando carrecano il pezzo. Oltre di cio se in loro monicione hanno buona quantita di polvere bisogneria renovarse, oltre che non hanno salnitro, ne zolfo, ne carbone di rispetto, ne palle eccetto alcune poche che la magior parte non serveno alli pezzi che hanno, et ogni cosa de questo va a mal recapito per non ci esser ne monicioniero, ne persona c’habia cura di governar la ditta artiglieria”.
Per una maggior sicurezza del castello, l’ingegnere ribadendo l’importanza della costruzione del nuovo baluardo, “lo quale a mio giuditio è di tanta importanza et di tanta necessita che non solo non se puo excusar ma lo detto castello non si puo defendere senza esso”, consiglia “di scarpar il monte di terreno che sta dinanzi et dintorno al detto belguardo da farse et alla cortina verso mezo giorno: lo quale per esser alto dal piano inferiore fin alla piazza superiore palmi cento et quindece dala piazza del detto castello non ne puo esser scoverta la radice verso il mare, finir un lenzo dela controscarpe del fosso gia principiata dall’istessa parte, et far un poco d’investimento de fabrica alli doi torrioni tondi solo nel basso del fosso per fugire il pericolo dela tagliata in quella parte del fondo che non puo essere difesa dalli fianchi de gl’altri torrioni et belguardi”.[xi]
Lavori in appalto
Le proposte ed i consigli dell’ingegnere furono in gran parte accolti anche se non mancarono tentativi di mettere in cattiva luce il suo operato: “La spesa che se fa in la regia fabrica de cotrone se fa tutto o in parte in danno dela regia corte et questo per errore de ingegnieri”, come nel caso “dela cortina che principia dal belguardo che se dice lo spontone dela rota nominato don petro fino al belguardo novamente quasi fatto al castello de detta città quale cortina de M.co Ambrosio Attendolo ordinario ingegniero in certe fabriche e stata designata et posti pali et signi”.
A metà novembre dell’anno dopo l’Attendolo per conto della Regia Corte appaltava al mastro Gio. Colonna ed altri, la “fabrica da farse in ixo belguardo del castello et uno pezo de cortina rotta et cascata dela citta de Cotrone”.[xii] Iniziano i lavori e ben presto si levano le proteste per il comportamento del commissario della regia fabrica, lo spagnolo Rafael Millas, il quale maltratta e minaccia gli operai ed i mastri. Senza il suo permesso non si può trovare lavoro nella fabbrica, e se il partitario si azzarda a far venire qualcuno che egli non desidera, con minacce lo fa subito fuggire.[xiii]
Il tempo passa e dopo più di cinque anni dalla visita dell’Attendolo, il 21 giugno 1578, su ordine della regia Camera della Sommaria viene fatta la ripartizione delle 2200 canne di pietra annue che, come dalle relazioni e dal disegno dell’ingegnere, occorrono per costruire il baluardo del castello e per riparare la cortina della città, lavori di cui è ancora partitario il mastro Gio. Pietro Colonna. Le terre della Calabria vennero obbligate a fornire ogni anno, a seconda della popolazione e della distanza da Crotone, canne di pietra per completare la costruzione del baluardo del castello e della cortina della città, carri per portare legna dai boschi alle calcare, e per portare la pietra per far la calce, che viene sbarcata ai moli della marina, e guastatori per aiutare a caricare e discaricare le calcare.[xiv]
In autunno cominciano ad arrivare, inviate dalle università, grandi quantità di pietra da costruzione. Aumenta il numero dei mastri e dei manipoli che devono eseguire l’opera, e c’è bisogno di una maggiore quantità di pietra per fare la calce, e di fascine per cuocere le calcare, perciò occorre più denaro per potersela procurare. Lo scrivano de razione, Jo. Theseo Syllano, anche a nome del commissario della fabbrica, fa presente a Scipione Rotella, luogotenente del tesoriere di Calabria Ultra, che per far fronte alle spese occorrono almeno 2000 ducati al mese con i quali si dovrebbero pagare senza contrattempi le “cartelle” e le “certificatorie” che verranno presentate, perché basta che per una volta si ritardi il pagamento a quelli che giornalmente forniscono il materiale che subito “se vene ad alzar mano de dicta fabrica”.[xv]
Frattanto alla fine di settembre del 1581, il mastro napoletano Cola Antonio de Vito vinceva l’appalto bandito dalla Regia Corte per “cavamento et fabrica” della cortina della città;[xvi] al De Vito si aggiungeva il mastro Gio. Loise de Amore di Nocera dei Pagani, che doveva eseguire una parte del “cavamento del pedamento” della cortina verso levante”, chiamata la Capperrina o Cappellina. L’accordo per eseguire l’opera prevedeva tra gli altri patti, il pagamento da parte della Regia Corte della somma di ducati tremila; dei quali duemila anticipati per incominciare i lavori da scontarsi da parte del partitario alla ragione del 30 per cento, ed il versamento dei restanti ducati mille a fine lavoro.[xvii]
I lavori inizieranno alla fine dell’anno seguente ma, ben presto, i nuovi partitari subappaltano buona parte dell’opera ad una società di aristocratici crotonesi capeggiata dal barone di Massa Nova Ottavio Lucifero, e composta da Dionisio Pipino, Gio. Thomaso Susanna e Scipione Berlingieri. La fortificazione si prolungherà nel tempo tra ritardi e frodi che vedono implicati il commissario, gli ufficiali ed i partitari. Nel 1583 viene aperta una inchiesta sulla vendita non autorizzata della pietra di una vecchia torre del castello che era stata diroccata. Al centro del malaffare c’è il commissario il quale, senza autorizzazione, l’aveva venduta sotto prezzo ai partitari, intascandone il denaro. Ma il fatto più grave era che la vecchia pietra era stata utilizzata dai partitari per la costruzione di una cortina, contravvenendo ad un severo ordine che ne vietava l’uso.[xviii]
Mentre l’inchiesta procede, una lettera della Camera della Sommaria dei primi di luglio 1583 diretta al commissario Millas gli comunica che il mastro Antonio de Vito aveva dichiarato che, avendo fatto “molta quantità di fabrica”, sollecitava che gli fosse misurata in modo che, a secondo della misura, si avessero da scontare il 30 per cento sui ducati 2000 avuti in anticipo. Poiché doveva recarsi in Calabria Ultra il nobile Pignalosa Cafaro “a dare il disegno ad alcuni partitari ch’hanno fatto partito con la Regia Corte d’alcune turre s’hanno da fabricare in detta Provintia et a fare mesura de alcune altre turre sono incominciate”, per l’occasione si sarebbe recato anche a Crotone per misurare l’opera fatta nel “cavamento et fabrica” della cortina della città detta la Capperrina dal partitario Cola Antonio de Vito, il quale sollecitava denaro per poter avanzare.[xix] Si deve infatti procedere con la costruzione della cortina verso levante, ed il fossato di fondazione, che è stato già in parte scavato, potrebbe riempirsi di terreno per il pericolo di frane.
A metà agosto il Pignalosa certifica lo stato dei lavori, che procedono secondo il disegno e le istruzioni dati a suo tempo dall’Attendolo, misurando lo scavo fatto dalla parte della cortina che incomincia dal cantone vicino il baluardo Don Petro, e si accosta alla cortina della muraglia che è stata nuovamente fatta dai mastri Gio. Petro Colonna, Pompeo Stinganello et Alfonso Russo.[xx]
Nonostante la venuta dell’ingegnere i pagamenti non si sbloccano ed il partitario, prendendo a pretesto difficoltà finanziarie, protesta contro coloro ai quali ha subappaltato parte dell’opera, accusandoli di trattenersi illecitamente parte del denaro che egli, a suo tempo, ha dato mentre, “per continuare et reducere afine detto cavamento et fabrica bisognano quantita di ferri, comperare bovi, petre et pagare mastri et manipoli quali fatigano in detto cavamento atteso se moreno de fame per non possorno essere pagati dal thesoriero di Calabria et suo locotenente il quale dice volere novi ordini per pagare per non bastarli quelli espediti”.
In realtà sia il partitario che ha avuto l’anticipo dalla Regia Corte, sia coloro ai quali egli ha ceduto parte dei lavori, dando parte dell’avuto, hanno investito il denaro, che doveva servire per procedere nella fabbrica, in altri affari ed ora sollecitano il tesoriere ad anticipare. Il partitario accusa quelli ai quali ha subaffittato di metterlo in difficoltà con la Regia Corte per costrigerlo ad abbandonare e ritornarsene a Napoli, così essi potranno impadronirsi di tutto l’appalto, gli altri di rimando affermano che il De Vito minaccia di fermare i lavori per avere nuovi anticipi ed è spinto ad accusarli da altre persone che vogliono estrometterli.[xxi]
Fatto il 16 agosto dal regio ingegnere lo “scandaglio”, due mesi dopo la Regia Tesoreria comunica al partitario ed ai suoi soci la quota dovuta ma il tesoriere non paga perché sospetta la frode. Il partitario con i suoi compagni allora protesta facendo presente che non potrà pagare i mastri ed i manipoli e perciò dovrà licenziarli ed abbandonare l’opera[xxii] che “non fandose potria succedere grandissimo et disservitio de sua M.ta et royna de molti poveri perché sta il regio castello aperto per tanto se quede a tutti li S.ri off.li che vogliano pagar li mastri et fatigaturi perché se moreno de fame accioche non se fugano et lasciano la regia fabrica p.ta che have tre mesi et mezo che non se paga nisciuno”. Seguono le proteste dei lavoratori per le inadempienze di coloro ai quali prestano la loro opera: i lavori sono fermi ed i mastri ed i manipoli che sono addetti al cavamento “se moreno de fame” perché non vengono pagati.[xxiii]
Frodi e corruzione
A metà del marzo seguente arriva il luogotenente del regio tesoriere per il marchesato di Crotone, Giulio Cesare Leone, “con la propria banca con la comodita di sedere nella barracca dove se allistano li genti che fatighano sopra lo stesso loco con quatro sachi de dinari de monete de regno”, egli è pronto a pagare, ma sospetta una complicità in danno della Regia Corte tra gli ufficiali della fabrica, specie il commissario, ed i partitari. Nel tentativo di frodare essi usano il ricatto del fermo dei lavori e della fuga dei lavoratori, in quanto vogliono essere subito saldati dal tesoriere dell’importo stabilito al tempo dello scandaglio, mentre il luogotenente, rivedendo i libri di spesa, ha trovato che ai partitari nei mesi seguenti alla venuta dell’ingegnere, sono stati dati in più occasioni dei denari, perciò egli presume che essi abbiano già avuto in tutto o in parte quello che a loro spettava, intende perciò verificare le cedole.[xxiv]
Con il passar del tempo la situazione non si sblocca, anzi aumenta il sospetto di una vasta ragnatela di corruzione in cui sono implicati un po’ tutti i partitari e gli ufficiali della fabbrica. Per il blocco dei pagamenti, ai primi di aprile la protesta si allarga ai partitari che hanno in appalto il rifornimento delle pietre e delle frasche ed a coloro che sono addetti allo scavo e alla costruzione; essi solidarizzano e minacciano di non proseguire il lavoro “per morirse di fame” e non poter pagare gli operai ed i fornitori.[xxv] Sempre nello stesso anno la Sommaria deve intervenire due volte, il 17 aprile ed il 13 luglio, affinché “gli operari et quei che in dicto castello servano et travagliano”, siano “ben trattati et pagati al suo tempo”, mentre invece, “li operarii se moreno de paura et quelli che hanno da accampare il baluardo stanno impediti”.[xxvi]
I lavori si prolungano tra corruzione, frodi ed inchieste, tanto che nel 1588, essendo commissario Henrico Garaudo, è rifatta la ripartizione delle canne di pietra che le città della Calabria devono consegnare per la fabbrica.[xxvii] Seguono numerose proteste di università che vogliono esentarsi: Corigliano, Rossano, Castiglione, Cirò, ecc.[xxviii] L’anno dopo, essendo viceré il conte di Miranda, veniva inviato a Crotone Jo. Angelo de Lauria e il suo mastro d’atti per “pigliare alcune informationi et altre diligentie per servitio de la Regia Corte et particularmente circa la fabrica de Cutrone”.[xxix]
A più di venti anni dall’inizio, nonostante che l’ingegnere Attendolo avesse preventivato solo due anni per il completamento, i lavori proseguivano e termineranno alla fine del secolo come dimostrano i graffiti con datazione 1597 sul nuovo spontone detto “De Miranda” costruito per rinforzare le mura della Capperrina. Il venir meno dei grandi lavori di fortificazione, le frequenti calamità naturali che distruggono i raccolti, ed il ripetersi delle epidemie fanno diminuire ed impoverire la popolazione. La città diventa “exigua” anche per le continue incursioni dei Turchi che predano le vicine campagne. Essa assume sempre più la fisionomia di un avamposto militare, con uno stabile presidio nel castello sotto il comando di un castellano di nomina regia, e con compagnie di fanteria spagnola comandate da capitani che d’estate si acquartierano.[xxx] Circondata da robuste muraglie, è dominata da un minaccioso castello.
Così il vescovo Ioannes Pastor (1638-1662) ne coglie l’aspetto: “Nulla in ea viget litterarum studia sed a pueritia fere homines armis operam navant. Est tormentis bellicis circum circa munita, et murorum mole, et ambitu circumdata. Ita ut propteis moeneorum munimina sit inexpugnabilis”.[xxxi]
I cittadini sono vigilati e sottomessi alle prepotenze della guarnigione del castello che, all’inizio del Seicento, è composta da 5 soldati facenti parte della “primara plaza”, da 25 soldati ordinari e da 4 soldati di piazza “extra ordinaria; ne fanno parte, oltre al castellano,[xxxii] un cappellano, uno “scrivano de ratione”, un “monitionero”, un “molinaro”, un “carpentero”, un “tanburro”, un “ferraro”, un “portiero”, ecc.
Tuttavia, proprio per la posizione strategica della città e del suo porto, la nobiltà gode di un trattamento di favore da parte del potere, che ripaga aiutando la compagnia spagnola nel reprimere le proteste popolari.[xxxiii] Le fortificazioni sono di continuo visitate dagli esperti militari. In questi primi anni del Seicento è spesso presente in città Vincenzo de Rosa, regio ingegnere delle fabbriche di Crotone, Reggio e Lipari, che segue anche la costruzione delle 14 regie torri marittime, che si devono costruire nelle marine del Marchesato, alle quali soprintende il capitano Antonio dela Motta Villegas, castellano per sua maestà del regio castello di Crotone, che ha anche il compito di vigilare sui lavori di fortificazione della città e del castello.[xxxiv]
Numerose sono le lagnanze dei cittadini che sono soggetti all’alloggiamento dei fanti essi protestano per l’operato del mastrogiurato, il quale si fa corrompere e, mentre esenta i facoltosi, costringe “povere vidue et miserabili persone” a fornire l’alloggio.[xxxv] Il castello poi con la sua rissosa truppa, ha di continuo bisogno di armi e viveri. Esso è rifornito di salnitro, si comprano le campane, si costruisce il mulino, il capomastro Andrea Romanello rifà le casse dell’artiglieria e, all’inizio dell’autunno, si acquistano i cappotti, le “scavine” e i sacconi e buona parte dei viveri.[xxxvi]
Frequente è la protesta dei soldati sia per il mancato pagamento che per i maltrattamenti che subiscono dagli ufficiali, quest’ultimi spesso divisi da aspre liti.
È il caso di alcuni soldati che non vengono pagati da cinque mesi, e pur essendo venuto il pagatore per conto della Regia Corte, non hanno ricevuto il solito soldo, perché a causa di un aspro dissidio tra il castellano Antonio della Motta Villegas e il capitano Fulvio Antonio Leone, quest’ultimo per vendicarsi li ha cancellati dal ruolo.[xxxvii] Su ordine della Regia Corte, l’artiglieria è di continuo tenuta in esercizio, dando in appalto periodicamente il rifacimento delle casse e delle ruote. L’artiglieria della città, costituita per lo più da vecchi pezzi,[xxxviii] è saltuariamente rifornita di munizioni, inviate con saette dall’area napoletana e, sbarcate al porto, sono consegnate ai sindaci ed al capitano di artiglieria.[xxxix]
Il nuovo ponte di accesso alla città
Gli ultimi lavori di fortificazione, secondo il piano elaborato a suo tempo dal barone della Caya, si trascinano. Giunto da Taranto il commissario delle fortificazioni del Regno, Diego di Ayala, con il regio ingegnere Giovanni Renaldini, si era deciso di fare alcune opere accessorie alla nuova porta principale della città, costruendo il nuovo ponte ed il posto di guardia. Il lavoro appaltato ad una società composta dai mastri Nicola Antonio de Vito, Minico de Messina e Petruczo de Franco procede sotto la vigilanza del soprastante alle fortificazioni di Crotone, lo spagnolo Alonso Corral.
Dopo aver comperato calce, pietra, arena ed altri materiali, nell’agosto di quell’anno si scava “un cavamento in quadro dieci palmi da palmi quaranta in circa”, dove dovranno essere gettate le fondamenta del pilastro che “se haverà da ponere sopra la lamia”, che dovrà venire sopra la porta della città. I mastri addetti allo scavo, eseguito dentro le mura e propriamente dove deve essere costruito il corpo di guardia, fra “l’uno muro et l’altro della città et proprio dove è il terrapieno solito mettersi per fortificatione delle muraglie”, tuttavia trovano ostacoli, sia per l’acqua, che per alcune pietre e per paura di crolli sospendono il lavoro, perché “non si trova persona che scenda a basso in si tanto profondo cavamento”.
Le loro proteste tuttavia non trovano ascolto nel soprastante che ordina di proseguire mettendo “puntilli”, in modo da approfondire lo scavo finché non troveranno terreno fermo, “tanto più che detto pilastro haverà di sostentar il peso, et più che sostenera il pilastro si havera da fare sopra il muro vecchio della città a paragon del quale havera de venire”.[xl] Le frequenti frodi da parte di coloro che hanno la commessa dei lavori, spinge nel 1615 la Vicaria ad aprire un’inchiesta sull’operato di un partitario che, dopo aver preso in appalto i lavori da compiersi nel castello, li aveva interrotti ed aveva abbandonato la città.[xli] Sempre di questi anni è una denuncia di alcuni cittadini contro Horatio Catizzone, accusato di avere rubato nella regia munizione della città e di aver poi venduto il tutto a “genti franzesi et venetiani”[xlii] ed una violenta lite tra il castellano Geronimo del Rio ed il capitano Julian Orizon dela Cerda con scambio reciproco di accuse.
Nonostante l’ingente quantità di denaro e di mezzi usati, le fortificazioni hanno bisogno di continui lavori di manutenzione e di consolidamento, e continuo è il rifornimento di viveri e di armi.[xliii] Nel 1623 l’artiglieria della città è in cattivo stato,[xliv] e l’anno dopo l’alfiere Toribio de Evia, capitano di artiglieria, fa presente al vicerè che la città si trova senza munizioni, “essendo state queste rubate da quelli che le tenevano a carico”;[xlv] il furto o la mancanza di polvere dalla regia monitione della città sarà oggetto di numerose denuncie e proteste.[xlvi] Per il pericolo di sbarchi turchi c’è in città il presidio fisso di una compagnia spagnola,[xlvii] e si tassano grana 4 a foco le terre per mantenere le “compagnie di genti d’arme e la cavalleria leggiera” che, acquartierate nei paesi dell’interno, sono pronte a scendere alla marina.[xlviii]
Il terremoto del 1638
Essendo morto nel 1629 il castellano Antonio de Paredes e trovate alcune mancanze nella “monitione”, interviene il sergente Juan de Molina, officiale del regio veditore e provveditore delle fortezze e castelli del regno, che per indennità del regio patrimonio sequestra l’eredità e costringe gli eredi.[xlix] Con l’arrivo del nuovo castellano ad interim, il capitano Don Ponze de Leon, viene fatto un accurato inventario del contenuto della “monitione di guerra” del castello, comprendente tra le altre cose, alcuni cannoni, sagri, falconetti e colubrine, vecchi e malmessi.[l]
Essendo il tutto a suo carico in virtù degli obblighi assunti presso la Camera della Sommaria il capitano all’inizio del marzo 1630, dovendo partire per la Sicilia per obbedire ad un ordine del re, lo consegna al suo tenente, l’alfiere Francesco Hendia. Sempre il 13 settembre dello stesso anno su ordine del capitano Juan de Sereseda y Obergon, commissario generale delle fabbriche regie, “fu accesa la candela in piazza pubblica e proprio nel sedile”, per appaltare alcuni lavori al castello, tra i quali il rifacimento di parte del ponte levatoio, la costruzione del passo per la ronda, e per passare l’artiglieria tra i due baluardi Santa Maria e San Giacomo, l’edificazione di quattro case per i soldati, e di una scala che conduce sotto la lamia maggiore del baluardo San Giacomo.[li]
Nonostante questi interventi da una relazione fatta nei primi giorni di maggio del 1638 dal vicario Giovanni Tommaso Blanch, giunto in città per ordine del vicerè Ramiro Filippo de Gusman, Duca di Medina, a verificare lo stato della fortezza ed i danni causati dal terremoto del 27 marzo 1638, si ricava che il castello abbisognava di alcuni rinforzi alla Marchesana, al magazzino delle munizioni e al quartiere dei soldati. Esso era armato con 5 mezze colubrine, 1 colubrina e 6 cannoni (di cui due “petreri”), ed aveva in dotazione solo 60 quintali di polvere (mentre ne avrebbe avuto bisogno del doppio). Mancava poi qualsiasi arma moderna e adeguata al luogo, di continuo soggetto al pericolo turco. L’artiglieria della città poi era insufficiente, essendo composta da tre falconetti, 5 mezzi sagri, 1 sagro e da tre cannoni (di cui due petreri).[lii]
I Turchi all’attacco
Era passato poco più di un mese dalla visita del vicario che, il 23 giugno, i Turcheschi si avvicinano alle mura e, nell’intento di prendere la città, con gli archibugi feriscono alcuni cittadini. La città è posta in stato d’assedio dal capitano a guerra Nicolas de Vergas, che ne presidia la porta ed impedisce ai pirati, che stanno inseguendo alcuni coloni, di avvicinarsi e con il favore della confusione di penetrarvi. Mentre le galee dei Turcheschi, che avevano fatto sbarco nella marina di Scifo, si avvicinano minacciose e vengono dati alle fiamme i conventi fuori mura dei carmelitani e dei domenicani, le clarisse lasciano il monastero e si rifugiano nel castello dove sono poste al sicuro anche le cose sacre e preziose della chiesa. Fallito il tentativo di entrarvi se non con un assedio dall’esito molto incerto, i Turcheschi si imbarcano e prendono il largo.[liii]
Dopo l’assedio turco furono potenziate le munizioni della città e si misero le impalcature per riparare alla meno peggio alcune parti della fortezza. Le fortificazioni avevano subito alcuni danni a causa del sisma[liv] e sotto la vigilanza del capitano Nicolas de Vergas, che aveva l’incarico di visitatore della fortezza e di capitano a guerra di essa e del Marchesato,[lv] all’inizio dell’anno seguente, con il concorso dei paesi vicini furono riparate.[lvi] Nel febbraio 1639 infatti, sono in costruzione i ripari e si fanno le fortificazioni necessarie alle mura della città ed al castello, utilizzando la tassa di tre grana a fuoco, imposta alle città della Calabria per tale scopo dal viceré, il Duca di Medina.
I lavori, tuttavia, non procedono come dovrebbero infatti il gettito della contribuzione non è come è stato preventivato, perché molte città non versano per la moratoria concessa per i danni del terremoto.[lvii] In questi anni di aumentato pericolo la città è costantemente presidiata sia da compagnie di fanteria spagnola al comando di un capitano[lviii] sia da compagnie di cavalleria spesso mantenute, in tutto o in parte, a spese dei cittadini.[lix] Il castello era abitato da un centinaio di persone tra militari e loro familiari,[lx] sotto il comando del castellano, il quale vi abita con la famiglia.[lxi]
Viva il re
Al suo arrivo egli veniva immesso nel reale possesso del castello. La cerimonia avveniva nel corpo di guardia maggiore. “Squadronate” le milizie della guarnigione, e presenti i governanti della città, gli ufficiali militari, il regio giudice, e moltissimi tra patrizi, nobili e popolani, il castellano ad interim, dopo aver preso visione dell’atto di nomina, consegnava al nuovo castellano tutte le chiavi del castello, e cioè quelle della porta maggiore, della porta secreta di soccorso, del caracò, delle monitioni, così di bocca come di guerra, del palazzo o quartiero dove sole abitare il S.r castellano, delle carceri, della cappella di S. Dionisio e dell’archivio del castello.
Dopo aver visitato tutti i locali “scendendo le scale, aprendo e serrando le porte delle monitioni e quartieri visitando tutti li baloardi et posti di guardia, visitando l’artiglierie, ordinando la permuta delle guardie e distribuendo tutti gli altri ordini necessarii per il buon servitio di S. M.”, e facendo tutti quegli atti che denotano il reale possesso e comando, il nuovo castellano faceva inalberare il Reale Stendardo e inalberato, in presenza di tutti i numerosi presenti, gridava, dopo aversi denudato il capo: “Viva il nostro invictissimo Re…… nostro Padrone clementissimo”. Poi le voci e gli evviva universali erano subito accompagnate dalle salve dell’artiglieria e moschetteria dei militari schierati[lxii]
Dopo aver preso in consegna il tutto, non potendo di solito egli badare alla conservazione ed al governo della monitione di vitto, perché a seconda del tempo bisognava gestirla e rinnovarla, egli la dava in consegna al munizioniere del castello, con un incarico annuale che iniziava di solito dal primo di ottobre.[lxiii] Le riserve di vitto che erano conservate nelle case della monitione all’interno del castello, consistevano principalmente in grano, fave, sarde salate, tonno salato, sale di pietra, carne di porco salata, olio lampante, caso pecorino, vino ed aceto; esse erano inventariate ed il castellano, o i suoi eredi, in caso di mancanza ne rispondevano.
Il monizionero si impegnava a conservare bene i viveri ed a rinnovarli nei tempi soliti e consueti. In occasione del rinnovo, egli doveva comunque sempre badare di conservare nel castello almeno un terzo della quantità prevista di ogni sorte di bene, in modo che il castello per sua sicurezza, non rimanesse del tutto privo. La nuova merce doveva essere uguale per quantità, qualità, bontà e condizione a quella che esisteva. Per quanto riguarda poi l’utile, così come il monizionero subiva danno da un possibile deterioramento delle conserve, così andava in suo favore ogni possibile profitto che esse potessero recare.[lxiv]
Al tempo della rivolta di Masaniello, mentre il castellano ed il suo tenente sono accusati di collusione con il nemico, e di avere inviato in Francia la pianta del castello, sollecitando uno sbarco,[lxv] dalla città partono alcuni “soldati naturali”, armati dall’università, per poter marciare su Napoli al seguito del capitano Mutio Lucifero.[lxvi] Domata la rivolta, nel castello vennero incarcerati e torturati numerosi ribelli, tra i quali un folto gruppo di religiosi che ebbero parte attiva nei moti di Cosenza e mantennero anche in seguito contatti con i ribelli.
La ripresa dei lavori
Dopo le relazioni del vicario Blanch che avevano messo in risalto il fatto che parte della fortificazione non era stata completata, riprendono i lavori secondo l’antico disegno, nell’intento di consolidare le cortine della città che si mostrano particolarmente vulnerabili ai nuovi progressi dell’artiglieria e, ancora pochi anni prima della metà del Seicento, “furono spesi da seimila docati in finire di fabbricare li contramuri, e braccia e in fare i terrapieni della muraglia così ordinato dal Sig. Duca del Sasso (il mastro di campo Achille Minutolo cavaliero dell’habito di S. Jacono preside e) governatore dell’armi di quella provincia …, e fu il denaro riscosso dal presidente di camera il sig. Sargente Martin Colas d’Aragona persona di molta esperienza, castellano di questo castello”.[lxvii]
Queste “fabriche della fortificatione della città”, progettate e dato principio fin dal 1642, ma concretamente avviate nel 1646, e proseguite per alcuni anni, sono in realtà l’ultimo grande intervento di completamento della struttura della fortezza.[lxviii] Esse sono finanziate con denaro proveniente da varie imposizioni. Infatti nell’autunno 1645, giunge a Crotone Simone de Vaes, conte di Mola, presidente della Camera della Sommaria, per trovare con i governanti cittadini, sia un rimedio al grave debito che ha la città nei confronti della Regia Corte, sia per l’ultimo donativo che per il soccorso della fanteria, sia per finanziare le nuove fortificazioni. Dopo animata discussione, fu deciso di vendere il dazio piccolo di un carlino a tomolo sul pane che si vende in piazza, ed in più di imporre ed affittare la nuova gabella di grana 5 a tomolo sopra il dazio della macina, oltre al tari che già c’era. Quest’ultima tassa nel gennaio 1646 determinerà una forte protesta popolare e la sua esazione verrà sospesa.
Entrambe le aste pubbliche furono vinte da una società composta da Gio. Dionisio Suriano, Detio Suriano e Cesare Presterà con l’impegno, per quanto riguardava il dazio della macina, di pagare duc. 1000 per il debito del donativo, e duc. 600 al regio castello di Crotone (da pagarsi duc. 140 all’anno), mentre per il dazio piccolo di dare duc. 600 alla Regia Tesoreria e duc. 1800 al partitario delle fabbriche che si stavano facendo per la fortificazione della città; fabbriche che venivano finanziate “etiam con il denaro del donativo et nelli tempi e tande convenuti con il partitario”. Il pagamento verrà effettuato all’inizio del 1646, in conformità all’atto stipulato il primo di novembre 1645 tra il castellano, delegato dal vicerè a seguire le fabbriche, ed il partitario, e verrà eseguito nei modi e nelle forme previste dai deliberati pubblici.[lxix]
Spese e lavori che denotano oltre al permanere del pericolo turco, anche l’importanza strategica che per gli Spagnoli ha ancora alla metà del Seicento la fortezza di Crotone: “In tutta la provincia non vi sono fortezze di conto, toltone fuori Regio, Cotrone e Santa Severina … Cotrone è Piazza reale posta sul mare, molto ben munita di artiglierie e bastimenti di guerra, con buon presidio di milizie spagnuole, che guarda con molta gelosia la città e il castello da essa per poco spazio distinto. Ma quivi c’è penuria d’acqua, provedendosene i cittadini da una sola fontana ch’è fuori delle mura. Le cisterne di poco sollevano il bisogno comune, rimanendo il paese d’ordinario molto soggetto all’aridità per la scarsezza delle piogge. Pare che gli Spagnuoli trascurando la guardia di qualunque altra città della Calabria nella sicurezza di Cotrone solo ripongono la difesa della provincia tutta”.[lxx]
In tempo di carestia
Cessati i grandi lavori, anche a causa che essendo successe le “passate revolutioni”, furono sospesi tutti i dazi per ordine del vicerè D. Juan d’Austria, ed eseguito in buona parte il progetto a suo tempo elaborato dal baron dela Caya e da altri, la fortezza è oggetto di piccoli ma continui interventi sulle parti maggiormente deperibili, di manutenzione delle armi e di riparazione delle prime lesioni che a causa delle scosse, del tempo e del terreno, cominciano a manifestarsi in maniera sempre più evidente.
Così si ferrano e si rifanno le ruote e le casse dell’artiglieria,[lxxi] il ponte, la porta e i “rastelli”[lxxii] e si chiudono alcune pericolose scissure che stanno incrinando i baluardi. A ricordo rimane ancor oggi una pietra lavorata in alto su una “cucitura” del baluardo Santa Maria dalla parte verso il timpone Messina con l’iscrizione 1657.[lxxiii] La grave carestia che investe la città dopo il fallimento delle annate 1670 e 1671, si ripercuote anche sulla guarnigione del castello che soffre la fame.[lxxiv] Il castellano Pietro de Piniglia è accusato di speculare vendendo ad alto prezzo il grano ed il pane dei soldati, e di trattenersi e di usare per fine di usura il loro misero soldo.[lxxv]
L’insurrezione di Messina, sostenuta ed appoggiata dalla flotta francese, pone la Calabria in prima linea. Per prevenire il diffondersi della rivolta e per curare l’approvvigionamento, il capitano Bartolomeo De Silva, cavaliere d’Alcantara, è nominato governatore e capitano a guerra della città, e “di tutta la militia che fusse entrata in questa piazza”. Fattosi consegnare le chiavi dal mastrogiurato, assume il comando militare di Crotone, presidiata da una compagnia di fanteria. I Turcheschi nel 1676 saccheggiano le marine e Messinesi e Francesi razziano le campagne.
L’aumentato pericolo consiglia alcuni interventi urgenti a salvaguardia della fortezza. Su ordine della Regia Camera della Sommaria, si rifanno il ponte levatoio, le porte e i rastelli, e si rafforza l’artiglieria nel baluardo Cavaliero e di sopra l’Armi.[lxxvi] Nel castello si ripara e si consolida la Marchesana, si chiudono alcune crepe nel baluardo Santa Maria, e si fanno tre “astrachi”, due nel baluardo San Giacomo, e uno nella casazza dove si conserva l’artiglieria,[lxxvii] che è stata potenziata.[lxxviii]
I lavori che prevedono soprattutto il riparo di alcune lesioni, si protraggono ma, poiché evidentemente non portano al risultato sperato, nell’aprile 1682, su ordine della Regia Corte vengono bloccati, suscitando le proteste dei partitari che hanno anticipato “molta somma di denaro a diversi personi che haveano da servire”. Essi riprenderanno solo dopo l’ispezione e la relazione che ne farà il regio ingegnere del quale si attende l’arrivo.[lxxix]
Durante il viceregno austriaco
Risalgono alla fine del Seicento alcune testimonianze di soprusi a cui sono soggetti i soldati del castello. Un memoriale inviato al viceré nell’autunno 1684, denuncia i maltrattamenti del castellano, Giuseppe de Leone, e del tenente, accusando quest’ultimo anche il “mal procedere et il vivere scandaloso”.[lxxx] Non passa molto tempo che arrivano lamentele per maltrattamenti contro il nuovo castellano Diego Antonio de Alarcon, tanto che il vicerè deve intervenire; ma nonostante la “reprensione” il castellano non cessa “di malignare li sudditi del castello”, e perciò è convocato a Napoli.[lxxxi]
Passato il Regno di Napoli agli Asburgo, il 28 agosto 1707 la guarnigione del castello, composta da una quarantina di ufficiali e soldati, giura fedeltà al nuovo re di Spagna Carlo III, divenuto poi Carlo VI re di Napoli.[lxxxii] Durante il viceregno austriaco (1707-1734), la fortezza di Crotone che “è la chiave di queste due Provincie e sostegnio di tutto il Regnio”,[lxxxiii] fu fortemente presidiata e nel 1714, su ordine della Regia Camera, vennero compiuti lavori nei quartieri, magazzini, garitta e corpi di guardia; interventi che interessarono quasi tutti gli edifici del castello: Torre Marchesana, chiesa di S. Dionisio, case dei soldati, casaccia, magazzini, carceri della cisterna e della Campana, corpo di guardia maggiore, torrione del Tenente, corpo di guardia di notte, monizione di guerra, cisterna, Sette Porte del Soccorso, case del Castellano, porta maggiore del castello, ecc.[lxxxiv]
Nell’ottobre del 1717 arriva in città il tenente colonnello Uxli, che fece fare “con prontezza memorabile e senza risparmio di denaro infiniti ripari alla città e al suo castello”.[lxxxv] Poco dopo vennero rifatte le tre campane, che con i loro battagli di ferro furono portate da Napoli e poste nei luoghi soliti del castello.[lxxxvi] La città è strettamente vigilata dai Tedeschi, i quali presidiano le garitte e le porte, che di notte stanno chiuse,[lxxxvii] e per prevenirla dal pericolo di corsari e nemici spostano la fiera di Gesù Maria dentro mura davanti alla chiesa di San Francesco D’Assisi.
Su ordine del governatore undici cannoni di bronzo portati da Rossano sono posti “avanti la porta principale, di rimpetto al corpo di guardia”;[lxxxviii] il comandante del presidio tedesco, calpestando i privilegi di cui gode la città, si fa consegnare le tre chiavi della monizione di guerra,[lxxxix] ed il castellano per il suo comportamento, e per aver fatto requisire il grano durante la carestia del 1719, è oggetto di lagnanze da parte dei mercanti;[xc] egli è anche in lite con il vescovo per il diritto di rifugio.[xci]
La vita sociale della città risente del continuo passaggio e dello stanziamento entro le mura dei reggimenti: Tige (1719), Loren (1723), Octobyr (1728), Traun (1730), Petenturf (1733). Nella primavera 1734 con l’avvicinarsi della guerra viene rifornito il castello di viveri (lardo, riso, grano, sale, olio, vino, legna, aceto, formaggio pecorino, biscotto) ed il castellano Mayans fa riparare l’artiglieria ed il ponte. Arrivano in città, e sono in parte mantenuti a spese del governo cittadino (che fornisce razioni di pane, olio, legna e sale), i trecento soldati del reggimento Lorena e gli ussari con i loro cavalli. Per maggiore sicurezza si aggiungono numerosi armati di Cutro, Isola e Santa Severina, anche questi mantenuti a spese dei cittadini.
I Borboni
Il 6 giugno 1734 si sparge tra la popolazione la notizia che ovunque si acclama il nuovo re Carlo III di Borbone. Scoppia la lotta tra le fazioni, ed i soldati si ritirano nel castello[xcii] da dove la milizia tedesca e ungherese con l’artiglieria bombarda la città.[xciii] Nonostante che la città sia libera, in luglio ed agosto, sotto la minaccia dei cannoni, i governanti devono rifornire giornalmente la guarnigione tedesca, che è asserragliata nel castello, di tutto ciò che le occorre (orzo, acqua, acquavite. ecc.). Dopo due mesi di violenza, il castellano con i suoi si imbarcò per la Sicilia, lasciando libera la città dal nemico ma non dalle lotte intestine.[xciv]
Lasciato il castello dai Tedeschi, esso è preso in consegna da dodici soldati pagati dall’università;[xcv] poi passa sotto il comando del capitano del secondo battaglione del reggimento di Sicilia Antonio Fenoza.[xcvi] Nei primi anni del nuovo regno si consolida l’apparato difensivo e la vigilanza delle coste. Nell’aprile 1736 per contrastare l’“incursione, che viene minacciata da Turchi”, si munisce il forte delle Castella prendendo a prestito le munizioni di quell’artiglieria dalla monizione da guerra della città.[xcvii] Nell’autunno di due anni dopo si utilizza il legname del bosco del Pantano, per la “rimonta” dell’artiglieria della città e del castello.[xcviii]
Nel giugno 1740 arriva in città il cavaliere Geremia Dean, coronello dell’eserciti e ispettore generale delle marine per preparare un piano di difesa delle coste. Dopo aver visitato le fortificazioni, egli emana alcune ordinanze per il loro potenziamento e per dotare le regie torri di guardia di Nao, detta il Mariello, e di Scifo, con polvere, palle, miccio ed altro.[xcix] Egli ordina all’università di assumere nell’aprile di ogni anno dei cavallari, provvisti di buoni cavalli, per battere e vigilare le marine. Su ordine della Regia Corte, il 12 marzo dello stesso anno era stato affisso il bando sulla piazza pubblica per l’appalto dei lavori del castello, che prevedevano la ricostruzione del quartiere dei soldati, delle abitazioni degli ufficiali e del castellano, il riparo del corpo di guardia, di alcune muraglie “scarnate”, della garitta sopra la porta principale e la pulizia delle due cisterne.[c]
Nel 1753 con l’inizio della costruzione del nuovo porto, vennero fatti alcuni lavori al castello e precisamente alla torre Marchesana,[ci] che fu sempre più utilizzata come carcere e luogo di custodia dei forzati, che cominciavano ad arrivare in città per essere utilizzati per il taglio delle pietre a Capo Colonna e per i lavori alla marina.[cii] L’anno dopo per rafforzare la vigilanza delle marine e rendere sicuro il traffico marittimo, si emana il bando per la costruzione della nuova torre di guardia o fortino di capo Rizzuto, e per riparare le regie torri di Mariello, Scifo, Capo Rizzuto e Castella secondo il piano elaborato dall’ingegnere militare Adamo Romeo.
Le fortificazioni della città e del castello sono ispezionate dal regio ingegnere, Il coronello Amato Poletti, seguono le disposizioni per riparare la porta “picciola” della Pischeria con il suo corpo di guardia,[ciii] e fare alcune “reparationi e fabriche” nel castello. L’opera, che doveva iniziare alla fine dell’agosto 1756, e finire entro il maggio successivo, fu aggiudicata ai mastri Michele Bova e Giuseppe Gerace per 815 ducati, con alcune condizioni tra le quali quelle che nei “tre archi e troniere” da costruirsi, il vuoto doveva misurarsi per pieno, il materiale ricavato dall’abbattimento di “fabriche e muraglie” doveva andare a profitto dei mastri, i quali potevano anche utilizzare l’acqua del pozzo vecchio sorgivo, situato dentro il torrione.[civ]
Sebbene fosse “altissimis muris vallata, fortique arce munita”, la fortezza di Crotone, abitata da circa 4500 abitanti e difesa da cinquecento soldati,[cv] venne sempre più perdendo la sua importanza strategico – militare, e con il venire meno della funzione di ultima ed estrema difesa, per l’aumentato effetto distruttivo delle nuove armi, e con il prolungarsi dei lavori del porto, il castello con le sue otto chiavi,[cvi] si trasformò in caserma e in carcere.
In esso alloggiano i reggimenti addetti alla custodia dei forzati[cvii] ed in esso vengono rinchiusi i forzati stessi ed i condannati.[cviii] La vita del castello continuava ad essere scandita dal tamburo del tamburrino, che batteva nelle ore prescritte dal regolamento militare; alla sera batteva prima a mezzanotte e quindi la ritirata verso le due, quando veniva chiusa la porta grande del castello. Alla mattina la sveglia era data dalla “Diana”, poco prima del sorgere del sole.[cix]
Scossa e lesionata dal terremoto che colpì la città il 28 marzo 1783,[cx] a fine Settecento lo stato precario e la poca importanza militare della fortezza sono evidenziati dal Galanti: “Cotrone è cinta di altissime e solidissime mura che sono diventate inutili dopo l’invenzione dell’artiglieria”[cxi] e “Il castello … pochi cannoni di ferro e poca guarnigione”.[cxii] All’inizio dell’Ottocento Carlo Alfan de Rivera stimava in tre giorni il tempo occorrente all’artiglieria nemica per aprire una breccia nelle mura della città, ed in sei giorni in quelle del castello. Annotava tuttavia, che la guarnigione del castello in caso di assedio poteva tranquillamente salvarsi per una comoda scala che da un baluardo conduceva al mare “in un sito, che il nemico, che sta fuori, non può impedir, che s’imbarchi … purché dal mare si protegga l’imbarco”.[cxiii]
Note
[i] Caracciolo F., Uffici, difesa e corpi rappresentativi nel Mezzogiorno in età spagnola, Reggio C., 1974, pp. 169-170.
[ii] Relazioni varie dall’anno 1561 sino al 1596, In arch. Stor. Ital. T. IX, 1846, pp.195-196.
[iii] Si paga Jo. De Nogales duc. 10 al mese per l’ufficio di barricello di campagna, addetto al pagamento del soldo ai fanti spagnoli del castello. Il soldo mensile era: castellano duc. 6 tari 3 e grana 6 ½, vicecastellano duc. 6, bombardiero e monizionero duc. 4, armerio, mulinario, cappellano, portatario e soldati duc. 3. ASN, Tesorieri e Percettori Vol. 4087 (1564-1565), ff. 67-68, 72v-73, 198v, 293.
[iv] L’università deve pagare al tesoriere ducati 692 tari 2 e grana 15 per i bombardieri e la polvere. La polvere, circa 30 cantara, posta in 77 barili è consegnata dal monizionero di Castronovo a Francesco de Murillo, veditore delle regie triremi. ASN, Tesorieri e Percettori Vol. 4087 (1564-1565), ff. 141, 284-285.
[v] Porzio C., La congiura dei baroni, Napoli 1964.
[vi] “AMBROSIUS ATTENDOLUS QUI OB INTEMERATAM FIDEM PHILIPPO II HISP. REGE PRAECLARUS EIUSQUE IN NEAP. REGNO SUMMUS ARCHITECTUS CAPUA CROTONE CAIETAQUE MATHEMATICA RATIONE MUNITIS NEAPOLIM PUTEOLOSQUE VIIS STRATIS PIETATE CLARUS HIC PARENTIS CINERIBUS CONTUMULATUS EST. OBIIT AN. D. MDXXXV AET. LXX.” Strazzullo F., Architetti e ingegneri napoletani dal ‘500 al ‘700, Napoli, 1969, pp. 23-24.
[vii] Instruction al ingegnero Ambrosio Attendolo para su viajè a Cotron. “… en el castillo dela dicha ciudad dareis orden que se laga el baluarte de nuevo en el angulo delas dos cortinas. La una hacia levante, y la otra hacia medio dia, conforme ala planta y relacion que nos haveis hecho, el qual baluarte es muy necessario para deffender el otro que esta sobre la marina. Ytem ordenareis el dicho Baluarte de la manera y tamano quas menester, para que pueda offender con facilidad y con difficultad ser offendido, situandolo muy bien por ser el mas importante delos otros para la defensa del dicho castillo, y ciudad. Ytem haveis de ordenar q. luego alaora q.llegareded ala dicha ciudad, se de principio a hazer la cisterna del tamano y en el lugar que haveis tracado, por quela otra cisterna q. hay en el dicho castillo es muy chica y quebrada. Ytem, hareis q. se corte el orechon dela muralla vieja, del dicho castillo, el qual impide que desde el baluarte y cortina nueva del dicho castillo no se descubra una cortina dela dicha ciudad que cahe sobre la mar y non tiene otra deffensa quela del dicho castillo, conforme a como nos haveis referido y dado a entender con el designo …”. AGS (Archivo General de Simancas), E. 1065 – 50; ASN, Fondo Torri e Castelli ,Vol. 35.
[viii] AGS (Archivo General de Simancas), E. 1065-65, Relation del castello di Cotrone, Dentro Carta de Granvela de 9 de Mayo 1573.
[ix] “Era tutto terrapienato dintro si anco ch’avea poco pedamento et quando fu fatta la cortina et belguardo de la fabrica nova che sta appedata più profonda del detto torrione cento palmi e più, restò talmente appeso ch’è tutto aperto rotto et infranto”. AGS, (Archivo General de Simancas), E. -1065-65.
[x] La cisterna era “di palmi decenove larga e di palmi ventisette longa ed di poco fondo”. AGS, (Archivo General de Simancas), E. 1065-65.
[xi] AGS, (Archivo General de Simancas), E.1065-62. Relation de la fortezza de la citta di Cotrone de Ambrosio Attendolo.
[xii] ASN, Fondo Torri e Castelli Vol. 35, 14.11.1574.
[xiii] ASN, Cons. Coll. Fs. 26, 1577, f. 187.
[xiv] Le terre più distanti vennero tassate a canne 4 per ogni cento fuochi per un totale di canne 565; le terre meno distanti a canne 6 per ogni cento fuochi per un totale di canne 1419, le terre propinque a canne 10 ogni cento fuochi per un totale di canne 216, il tutto per un totale di canne di pietra di 2200. Altre terre vennero tassate a fornire carri per un totale di carri 20 ed altre ancora a dar guastatori per un totale di 30 guastatori. ASN, Fondo Torri e Castelli Vol. 35, 21.6.1578.
[xv] ASCZ, Busta 15, anno 1578, f. 358.
[xvi] ASN, Fondo Torri e Caselli Vol. 35, 26.9.1581.
[xvii] ASN, Fondo Torri e Caselli Vol. 35, 18.2.1582.
[xviii] Il commissario cercò di difendersi affermando che la pietra impediva il pedamento della cortina a fianco del castello “in quella parte dove si è deroccata la torre”, ed è stata fornita ai partitari per venire incontro al bisogno urgente che questi avevano di completare le fondamenta della cortina del castello, infatti il castello era aperto con gran pericolo. La pietra poi era ammassata nel fosso del castello e molto vicino a dove si costruiva, ed a causa della sua altezza impediva la difesa, infatti le artiglierie e le archibugiere del baluardo non potevano offendere il nemico. Inoltre per togliere la pietra sarebbero stati necessari molti carri ed uomini con gran costo per la Regia Corte. ASN, Torri e Cast. Vol. 35, ff. 151-169.
[xix] ASN, Dip. Som. Fs. 197, Torri e Cast. Vol. 35, f. 89.
[xx] “In primis incomenciando da detto cantone tirando verso la cortina dela capperrina una parte quale e longa pal. 55 alta insino al piano del restaglio conforme al designo dato per lo m.co attendolo pal. 17 insino a detto restaglio quali sta nella cortina detta la capperrina, largo seu grosso pal. 24 ½ che sono fatti 22907 ½. Segue una altra maniata di cavamento sopra la preditta insino alla qualeza del terreno e longa pal. 63 alto com.to pal. 8 largo seu grosso pal. 32 ½ fatti 16380. Segue al detto cavamento di detta cortina tirando verso il belguardo novo del castello quale longo una partita pal. 96 alto per quanto si have da equalare per la alteza pal. 17 conforme al ordine del detto attendolo fatto per fatto e respetto da unaltra parte rilassata et non misurata quali passa più avanti largo seu grosso pal. 24 sono palmi 39168. Segue una maniata di cavamento sopra la detta longo pal. 16 alta com.ta pal. 8 larga seu grossa pal. 32 incluse lo zoccolo de sopra la altezza deli pal. 17 recontati per contra fosso che sono fatti 24576”. ASN, Torri e cast. Vol. 35, 16.8.1583.
[xxi] ASCZ, Busta 15, anno 1583, ff. 246, 260.
[xxii] ASN, Torri e Castelli Vol. 35, f. 101.
[xxiii] Proteste per le inadempienze di Ottavio Lucifero, barone di Massa Nova, che ha preso in subappalto parte dei lavori. ASCZ, Busta 15, anno 1583, f. 100.
[xxiv] ASN, Torri e Castelli Vol. 35, ff. 162-163.
[xxv] ASN, Torri e Castelli Vol. 35, f. 11.
[xxvi] Galasso G., Economia e società nella Calabria del Cinquecento, Napoli 1967.
[xxvii] ASN, Torri e Castelli Vol. 35, 14.11.1588.
[xxviii] ASN, Torri e Castelli Vol. 35, ff. 163 sgg.
[xxix] Autorizzazione a pagare J.A. de Lauria ed il suo mastro d’atti, Neap. ult. aug.i 1589. ASN, Tesorieri e Percettori Fs. 4141/538, f. 134.
[xxx] All’arrivo in città di un capitano con la sua compagnia il mastrogiurato doveva consegnarli le chiavi della città, in quanto a lui spettava la vigilanza della città e delle porte. Il capitano doveva alla sua partenza riconsegnare le chiavi al mastrogiurato. G. A. de Nola consegna al capitano venuto a presidiare le tre chiavi della città: due della porta grande ed una della porta della Piscaria (ASCZ, Busta 49, anno 1591, f. 55). Il mastrogiurato M. Berlingieri consegna al capitano a guerra le sette chiavi della città: tre della porta maggiore e dei due rastrelli e quattro della porta detta del Soccorso seu della piscaria e saracina (ASCZ, Busta 119, anno 1643, f. 33).
[xxxi] ASV, Rel. Lim. Crotonen. 1640.
[xxxii] Il mastrogiurato il primo sabato di maggio, accompagnato dai sindaci “et altri del governo della città con cometiva de infanteria et cavalleria … fore però del castello, nel corpo di guardia maggiore, vicino la porta d’esso et per osservanza delli privilegii di d.a città provisioni et ordini di S. E. et per osservanza del solito con ogni debito honore requede e fece istanza a d.o castellano li facesse gratia del standardo reale per fare la feria di Jesus Maria”, dichiarando in ginocchio ad alta voce: “Io … mastrogiurato di questa città di Cotrone nel presente anno … a cui hoggi si fa gratia confidare il stendardo Reale del Re n.ro Sig.re et me se consigna per V. S. per fare la feria de Jesus M.a giuro a Dio et a questa santa croce et quattro santi evangeli che V. S. tiene nelle sue mani et io tocco con le mie et quello portare in d.a feria con la veneratione et comitiva di genti a pie et cavallo et in ditta feria guardare et custodire detto stendardo tanto di giorno come di notte tenendo così esso la guardia di gente che conviene per tutto il tempo che sarà in poter mio et dopo prometto condurlo dentro d.o regio castello per tutto marte di primo di maggio et con quella decentia et veneratione che deve lo consignirà a V.E. del che ne fo giuramento solenne nelle sue mani una due et tre volte come fidel vassallo di sua maestà et contravenendo in alcuna cosa danno per allora confesso e dico che giustamente me si potria dare castigo che dalle leggi et istitutioni militari sta disposto così prometto e giuro toccando con ambi le mani et congiuntamente la santa croce et libro di quattro santi evangeli una due e tre volte. Dopo del quale giuramento d.o mastro si levò à piede e gli fu consegnato dal castellano il sud.o stendardo, quale se lo ricevè et da tutti li circostanti fu ad alta voce detto più volte: Viva il Re con farsi la salva tanto dalli soldati a piedi, come dall’artigliaria di d.o regio castello”. ASCZ, Busta 117, anno 1623, f. 46; Busta 119, anno 1638, f. 14.
[xxxiii] “Havendo visto con quant’amorevolezza favorisce le cose di questa città et in universale e particolare lo vi tenemo grandissimo obligo et li rendemo infinite gratie de tanti cumulati favori che ci have fatto et de giorno in giorno ci fa … Tra l’altri guai che tenemo vi si aggionge quello che il S.r Scipione Rotella ci travaglia per lo restante del tesoro et in ogni modo vuol pagato sencza usarci un puoco di equita et noi non possedemo complire più parte n’have carcerati et parte vi stanno retirati dentro il vescovato e perche la compagnia spagnola vuole ogni di il soccorso noi non possemo per questo impedimento unirce per provedere per detto soccorso, quale essendoli mancato per un di e stato per succederci rumore …”. ASN, Tesorieri e percettori, fs. 4141/538, f. 138.
[xxxiv] ASCZ, Busta 58, anno 1602, f. 472v; Busta 61, anno 1603, ff. 20-21.
[xxxv] ASCZ, Busta 49, anno 1591, f. 53.
[xxxvi] Cotrone 25.9.1602, Passaggio di consegna delle “scritture e rolli”, tra gli ufficiali Fulvio Antonio Leone e Annibale Pipino. AVC, Fasc. 1602, f. 340.
[xxxvii] AVC, Fasc. 1602, f. 345.
[xxxviii] Il primo maggio 1613, le salve dell’artiglieria della città salutano l’arrivo al porto delle sette galere del Marchese di Santa Croce, generale delle galere di Napoli. Nell’occasione si rompe una “mezacolombrina” che ha scolpite l’armi della città con le lettere “condita in anno 1535 in sindacatu m.ci Anselmi de Berlingeriis et Dionysii Gulli”, e sotto vi era “depinto l’effigie del famoso Milone crotonese con uno toro in mano”. ASCZ, Busta 108, anno 1613, f. 92.
[xxxix] Cotrone 3.10.1602. Essendo arrivato al porto la “sayetta” di Bartolomeo di Miccio, patronizzata da Ottavio Maresco di Sorrento, con l’intervento del capitano di artiglieria Peleo Pipino ed essendo presenti i sindaci della città, Annibale Montalcino e Nicola Gio. Jacomino, vengono scaricate. “14 cascie sferrate con sue rote et assi, 6 scalette con li piconi di ferro, 14 cocchiare con sue feminelle et aste, 14 cranchiglie, 50 manuelle, 14 caracolle di ferro, 14 femminelle conlamate con loro aste, 14 rifilature con loro aste, mille et duicento palle di ferro cioè di dieci libre duicento, di quattro libre cinquecento, di cinque libre trecento, di due libre duicento e più palle di pietra n. trecento cioè di libre trenta centocinquanta et di libre sette altre centocinquanta et più quindeci cantara di polvere reposta in trentacinque barili netta di tara …”. AVC, Fasc. 1602, f. 347.
[xl] J. D. Pantisano, luogotenente in Crotone di D. de Ayala, anticipa nell’agosto 1613 più volte denaro ai mastri “per servizio della fabrica e ponte”. ASCZ, Busta 108, anno 1613, ff. 100, 120-121.
[xli] Lettera del 26.8.1621 di Girolamo del Rio, castellano di Crotone, al Viceré. Riferisce che nel 1614 il commissario della regia fabbrica assegnò ad un partitario i lavori da farsi nel castello, lavori che furono sospesi per la partenza del partitario. Nel 1615 fu inviato a Crotone un giudice della Vicaria per aprire un’inchiesta sui furti e le frodi commesse. Strazzullo F., Documenti del ‘600 per la storia dell’edilizia e dell’urbanistica nel regno di Napoli, in Napoli nobilissima n. 4,1978.
[xlii] Memoriale et ordine di S.E. e R. Camera della Summaria diretto al capitano D. Juan de Seraseda, capitano di fanteria spagnola al presente residente in Cotrone. ASCZ, Busta 117, anno 1623, f. 76.
[xliii] Nel 1610 il castello era armato di “quatro canones, una media culibrina, un sagre, tres medios sagres, un falconete, veynte y quatro asmeriles, tres canones pedreros”, e vi erano 43 soldati incluso il castellano. Mafrici M., Squillace e il suo castello nel sistema difensivo calabrese, pp. 215-216.
[xliv] Volpicella L., Epistolario ufficiale del Governatore di Calabria Ultra Lorenzo Cenami (2 maggio 1623 a 15 giugno 1624), in Archivio Storico della Calabria a. I-II-III (1912-1915), p. 586.
[xlv] Volpicella L., Epistolario ufficiale del Governatore di Calabria Ultra Lorenzo Cenami (2 maggio 1623 a 15 giugno 1624), in Archivio Storico della Calabria a. I-II-III (1912-1915), pp. 106-107.
[xlvi] I sindaci della città protestano contro il capitano di artiglieria, Juan de Silva, il quale si è preso un barile di polvere della regia monizione e usa la polvere per uso privato. Il capitano si difende affermando che nel mese di giugno, su richiesta dei governanti, con quella polvere sparò più volte per avvisare la gente di campagna che c’era pericolo di barche nemiche, e che la protesta dei sindaci scaturiva dal fatto che egli non aveva dato la polvere per fare la festa della SS. Concezione. ASCZ, Busta 229, anno 1651, f. 119.
[xlvii] Su ordine della Regia Camera della Sommaria il tesoriere fa consegnare a Gasparo Narvaes, regio monizionero del presidio fisso di Crotone: “n. 89 lenzoli, n. 87 mesali, n. 100 salvietti, n. 49 sacconi e n. 5 pezzi di cucitrino”. ASCZ, Busta 118, anno 1628, f. 24.
[xlviii] Una parte della cavalleria leggera del marchese di Sant’Agata, nell’autunno 1627 era stanziata a Mesoraca. ASCZ, Busta 118, anno 1627, ff. 55-56.
[xlix] Essendo morto il castellano, la moglie ed erede è costretta a vendere una schiava negra per consegnare alla regia monitione del castello 166 tomola di grano. ASCZ, Busta 118, anno 1629, ff. 70-71.
[l] “Lista delle robbe contenute nella monitione di guerra del castello di Cotrone fatte nella venuta del cap. Don Ponze de Leon castellano per interim del Regio castello: Artelleria. – Uno cannone petrero incanbarato di 65 libre di calibra di bocca et venti di balla di pietra di palmi novi e dui terzi di lunghezza tiene sopra lo mognone uno scudo con una croce dentro, ed intorno al focone cerchi incavalcato con cascia et rote ferrate vecchie e rotte. – Un altro cannone di 57 libre di bocca e 50 di balla di undici palmi di lunghezza che nel mezo tiene una serena con l’armi che dicono esser di garaffi e lettere che dicono opus Federici musana col millen.o 1535 con lettere che dicono forte con un fogliace al focone sta incavalcato con cascia e rote ferrate usate. – Uno sacro rotondo di dieci libre di bocca e 9 di balla di undici palmi di lunghezza con uno fogliace alla gioia e tre cerchi allo mognone e più a basso col mille.no 1545 e lettere che dicono opus federici musana e con una aquila et uno scuto in mezzo et colli lettere A. L. tutto all’intorno giorlande e fogliace al focone incavalcato con cascia vecchia e rote ferrate usate. – Un falconetto rotondo di tre libre di bocca e quasi due e meza di balla con larme imperiali et altri di Pigneri di lunghezza di palmi novi compresa la culata sta incavalcato con cascie et rote ferrati usati. – Un mezo sacro quadro fino lo mognone e dilla a basso rotondo di sei libre di bocca e 5 ½ di balla di 22 palmi di lunghezza con larmi imperiali et altri di Pigneri e lettere che dicono D. Her. Pigneri col millen. 1527 incavalcato con cascie e rote ferrati usati. – Un altro mezo sacro quadro di cinque libre di bocca e cinque di balla di lunghezza di palmi novi e tre quarti tiene abasso lo mognone una figura di San Dionisio con un castello alli mani et al focone un fiordilis a modo di croce incavalcato in cascia e rote ferrati usati. – Uno cannone petrero turchescho di 60 libre di bocca 21 di balla di pietra di lunghezza di palmi 6 ¾ con lettere turchesche in due parti incavalcato con cascie et rote ferrate vecchie. – Uno cannone di batteria di 60 libre di bocca e 54 di balla di lunghezza di palmi 13 con uno scudo con larmi imperiali alla gioya et appresso d’esso altri dui scudi piccioli alli mognoni dui d’essi con una catulla 1553 e più a basso con un n. di peso che e di questa manera Can. XXXXV r.li 92 et una croce al focone discavalcato in terra che se ruppe alla salvia del novo prencepe. – Un mezo sacro di cinque libre e meza di bocca e cinque di balla di lunghezza di dieci palmi e mezo poco più tiene sopra il focone un segno di questo modo R. con una corona et un fiordilis al focone che sta incavalcato con cascie et rote ferrate usate. -Sei falconetti seu smerigli rotondi di libre 12 di bocca e tredici di balla di palmi 5 ¾ luno incavalcati con cascie et roti ferrati usati. – Sei altri falconetti seu smerigli rotondi di 14 libre di bocca e 13 di balla di palmi 5 ¾ luno incavalcati con coscie et rote ferrate usate. Uno masilo grande di ferro culato con quattro anelli di ferro che serve per bombarda. Due masili di ferro culati piccioli. Uno cannone di 50 libre di bocca e 45 di balla di lunghezza di palmi 12 ½ et alla gioia tiene un Jesus con mill. 1535 e lettere che dicono esser di li Garaffi con dui angeli che tenino una campana appresso il focone et lettere che dicono Opus Jo. Dom.co d’Arena palerm.o con fogliate intorno al focone et con la culata fatta a modo di serpente scavalcato in terra che dissero essersi rotta la cascia alla salvia del nostro principe. Una meza colombrina di 20 libre di bocca et 17 ½ di palla di lunghezza di palmi 13 ½ di peso di cantara 17 e rotola 30 con lettere del Re et sotto una campana con una testa di donna alla culata che non ha balle. Un cannone di Acugna di 40 libre di bocca et 34 ½ di balla di palmi di lunghezza … un quarto di peso di cantara 26 rotoli 40 con sopra di esso stanno notati con larme del Re del conte di benevente e col larme di D. Petro di Avigne capitano generale del artelleria et in d. di Don Pietro. Una meza colombrina nova venuta a detto castello lanno passato … del qm. Don. Ant. D. Paride da Reggio di cant.a 33 e rotoli 30 peso siciliano come sta notato su essa con larme del Re n.s. del duca d’alba e di don pietro d’avegna generale dell’arteglieria di libre 20 di balla si deve incavalcare et non ci sono le palle ne cocchiare per servirse. Un altra meza columbrina venuta similmente da Reggio a tempo del d. D. Ant. Parides l’anno passato di cantara 34 al peso siciliano come sta notato sopra quella con tre scudi una del Re n. s. laltro del S. Duca dalba vicerè in questo regno e di Don Pietro D’avegna generale dell’arteglieria di balla di 20 libre s’ha da incavalcare e non tiene ne palle ne cochiare ne rifilature per servirse. Una colombrina di cantara 46 e rotoli 25 al peso siciliano come sta notato a quella con tre scudi uno del Re n.s. uno del duca dalba allora vicerè in questo regno e laltro di Don Pietro d’Avegna di libre di palla 25 venuta similmente con lui dui mezi columbrini da reggio l’anno passato 1629 a tempo di don Ant. De Parides castellano non ha cascie ne rote ne palle ne cocchiare. Monitione di guerra. Palle di ferro di libre di calibro 50 e 55 affettivi quattrocento trentacinque et dui rotte. Palle di ferro di 40 libre di calibra -193, di 14 libre di calibra più o meno -394, di 9 libre di calibra -128, di 20 e 25 libre di calibra -87, di 4 libra di calibra -86, di 6 libra di calibra -57, di 5 libra di calibra -96, di 2 et ½ libre di calkibra -58, di una libra di calibra -8. Palle di piombo con dadi di ferro di dentro di 5 libre di calibra -71, di piombo con dadi di ferro di 7 libre di calibro -19, di sei libre di calibra -32, di 14 libre di calibra -8, di 3 e 4 libra di calibra -59, di piombo con dado di ferro di una libra di calibra -638, di arcubusero -1430. Polvera. Polvera ben netta di tara reposta in barili cant. 19 r.li 30 ½. In alia polvera similmente bona netta di tara di barili cant. 18 r.li 33 ½. In alia disparata et cer. In pezi r.li 29. Polvera di mala qualità reposta e pesata di barli c. 10 r.li 28. In alia totalmente guasta c. 2 r.li 47. Robbe ritrovate in detta monitione di guerra. Una romana picciola con sua casceletta di rame. Unaltra romana grande che duna parte porta in canna r.li 80 e dallatra r.li 20. unaltra romana grande vecchia con certi chiodi che duna parte porta rotoli 70 e dallatra rotoli 20.dui incudini di ferro piccioli di poco servitio. Un anima di ferro d’arteglieria di palmi 15 lunga. Quattro pali di ferro rotondi per romper petra uno d’essi rotto. Una palla di rame ammaccata con una croce di ferro fissa che stava sopra l’antenna dela marchesana che si roppe per un vento. Una campana rotta e proprio quella che stava al belguardo di Santa Maria. Due maschi di ferro culati. Uno gancio di ferro di rotoli sei serve per pesare il piombo ferro guarnitione d’una cascia darteglieria rotoli 203 ½. Pale di ferro senza maniche arrogiate e maltrattate n. diciotto. Zappe di ferro senza maniche senza maniche alcuni d’essi guasti novanta dui arrozate. Piconi di ferro per cavar petra n. quarantatre. Legname retrovata sentro d. monitione. Quattordici cocchiare di rame con sue haste si disse esser di peso di 50 libre non si pesarno per non sconciarse. Cocchiare di rame di più sorte con loro haste n. trenta. Refilature con sue haste n. quattordici. Maniche di zappe e pali n. trenta otto. Maruggi di legno cento settanta tre. Piombo in detta monitione. Piombo cantara quaranta e rotoli 46 consistente in più pezzi a modo di pesate lunghi larghi e quadri di più sorti. Ricciobono. Ricciobono si disse della partita di cantara 15 e rotoli 14. In effettivo cantara 14 e rotoli 69. Riccioguasto cantara 5 e rotoli 60. In alia balle di ferro di 4 et cinque libre di calibra 6. Ferrovecchio di chiodi vecchi e rotti reposti in barili rotola cento e tre. Solfo vecchio in due botte e barili si disse essere cantara ventitre e r.li … In detta monitione di guerra. Una palla di rame con sua croce di ferro quale sta su la campana della porta del castello. Una quantità di pietre rotonde rustici che stanno sopra le muraglie del castello per adornamento. Un mortaro grande et un altro piccolo che serve per fare la polvere. Tre campane: una grande sopra la porta tre piccole una nel belguardo di S. Jacono et laltra di sopra la chiesa di S. Dionisio e quella di Santa Maria sta inventariata rotta. Uno bancone per incavalcare l’arteglieria. Due scaletti di legno. Sei sacco trappi. Uno maniretto. Uno carromatto di sei rote. Una canna di ferro nella gisterna. undici secchi di rame che si tira l’acqua della gisterna per servitio dei soldati. Uno asso di ferro sopra le colonne di detta gisterna che tiene una trocciola di ferro con roita d’ottone et assilli di ferro che tiene d.a catena per tirare lacqua. Uno molino di pietra che non macina più per non esserci mula. Una tavola di castagna che sta piantata nel corpo di guardia con suo banco simile. Cappotti d’arbascio seu lana per far la guardia li soldati tre. Una cascia ferrata vecchia. Tre rote ferrate vecchie. Setti casci di falconetti ferrati a quattro rotelle piccoli rotti. Un’altra cascia grande ferrata vecchia. Cinque cascie di falconetti a due rote ferrati. Due cascie nove grandi di pietrero senza ferro. Tre para di rote grande nove senza ferro. Una cascia di sacro nova senza ferro. Due rote ferrate usati che sono dello pezo grosso di batteria. Due rote ferrate usati che sono dello pezo grosso di batteria. Due roti ferrati usati che sono dello pezzo chiamato serpentino. Due cascie della sudetta artelleria che scoppiaro a tempo della salvia fatta del novo prencepe con loro ferro.” ASCZ, Busta 118, anno 1630, ff. 42-46.
[li] “Primieramente shavera da levare tutta la legname et chiodame che sta nel primo entrare seu rastello del detto castello et ponerla nel corpo di guardia et di poi cominciare la fabrica della lamia che viene dove sta detta legname, qual legname servirà per accomodare laltra parte dello ponte levaticcio, cioè dal pilastro che si trova hoggi in lo fosso del castello alla controscarpa la quale lamia shavera da pigliare con palmi 14 d’altura seu sesto lunga dal pilastro alla scarpa che sonno palmi 32 larga palmi 14 e grossa palmo uno e mezo, havera desser incosciata et appianata di fabbrica massiccia et sopra il piano del passarizo se fara inchiancato di pietra viva giontamente con il piano del pilastro. Et in detta lamia shavera da fare il parapetto dell’una parte et laltra daltura palmi tre e mezo grosso palmi uno e mezo cioè dalla controscarpa al pilastro. In detto pilastro shavera da fare quattro pileri per sostentare il rastiglio di carpino lavorato di grossezza di palmi dieci e mezo e tre in quadro alto quanto sarà necessario. E più shave da fare il passo per la ronda et per passar larteglieria dal torrione S. Maria al torrione S. Jacopo di manera che resti libero senza impedimento et al torrion S. Jacopo shave da fabbricare et appianare quanto tiene la moraglia all’intorno accio larteglieria possa soccorrere dove bisogna con lassarci e farci il parapetto di grossezza palmi tre alto palmi 3 ½. Et accio larteglieria possa andare sopra la grossezza dela moraglia si appianerà tutto all’intorno di maniera che resti piano conforme la piazza fatta del torrione di S. Maria. Et anco shaverà da fare quattro case di habitatione di soldati nel luogo dove sta il magazeno del grano con farci tre spartimenti seu muri di tufo carpino seu mattoni et alzare dette quattro case egualmente alla pianezza del muro dalla parte della piazza d’arme con farce la pendentia a due parte conforme si mostrerà al partitario su la faccie del luogo. Et il magazeno del grano sarà quello che al presente e magazeno del vino. Et più shaverà da fare una scala di fabrica lunga quanto sara necessario larga palmi otto di grossezza palmi dui et mezo che vada sotto la lamia maggiore del torrione S. Jacopo acciò detta scala serva per il magazeno del vino che sara sotto la casa matta seu lamione del detto torrione di S. Jacopo”. ASCZ, Busta 118, anno 1630, ff. 141-144.
[lii] Valente G., Difesa costiera e reclutamento di soldati in Calabria Ultra al tempo del vicario Giovan Tomaso Blanch, Napoli s.d., pp. 617-620.
[liii] Juzzolini P., Santuario di Maria SS. del Capo delle Colonne in Cotrone, Cotrone 1882, pp. 59-61.
[liv] “… detto luoco chiamato il cavaliero, che li moderni haveano fatto, come un forte dentro la città, pochi anni sono si deroccasse”. Nola Molisi G.B., Cronica dell’antichissima e nobilissima città di Crotone, 1649, p. 47.
[lv] Juzzolini P., Santuario di Maria SS. del Capo delle Colonne in Cotrone, Cotrone 1882, p. 63.
[lvi] Il 7 marzo 1639 a Cutro, viene messo all’asta in piazza “lo partito delli carri che hanno d’assistere per giorni diece in la città di Cotrone, conforme all’ordini de superiori”. ASCZ, Busta 174, anno 1639, f. 21.
[lvii] Valente G., Difesa costiera e reclutamento di soldati in Calabria Ultra al tempo del vicario Giovan Tomaso Blanch, Napoli s.d., pp. 678-679.
[lviii] Nel 1643 arriva in città per presidiarla il capitano a guerra Francisco Mescia, e si fa consegnare dal mastrogiurato le sette chiavi, “tre della porta maggiore e dei due rastelli e quattro della porta detta delo soccorso seu della piscaria et saracina” (ASCZ, Busta 119, anno 1643, f. 33). Verso la fine del 1646 lascia la città la compagnia di fanteria spagnola del capitano D. Lucas Alfonso Y Zunica, che per ordine del re l’aveva presidiata per 18 mesi (ASCZ, Busta 108, anno 1647, ff. 27-28).
[lix] Nel 1647 si trovava di presidio nella città la compagnia di cavalli del Duca di Sora, che i cittadini “mantennero a loro spese per più di un mese dopo l’avviso de rumori di Napoli, e l’avrebbono mantenuta per sempre, se non havessero voluto partire”. Nola Molisi G.B., Cronica dell’antichissima e nobilissima città di Crotone, 1649, p. 207.
[lx] ASV, Rel. Lim. Crotonen. 1640.
[lxi] Nel castello di Cotrone, 10.2.1655. Essendo morto il castellano, il sergente maggiore Martin Colas de Alagon, si fa l’inventario dei suoi averi. “In primis nella sala dove ha abitato il qm. Sargente si sono ritrovate l’infratte robbe: Setti ritratti, cioè il Re Nostro S.re, la Regina, Il Serenissimo D. Gioan d’Austria, l’almirante de Castiglia, il Duca d’Arcos, il conte d’Ognatte et il conte de Castrillo, cinque paisagi grandi, ventiquattro piccoli. Nella ciminea di detta sala dui capifochi con paletta e mollette di un istesso guarnimento, dudici seggie di vacchetta nove, due boffette di noci, uno ripesto novo con alcuni vasi di vetro dentro, et nell’appartamento di basso vi sono ritrovate l’infratte robbe: due barili d’argento uno fatto a navetta, con il suo bocale seu acquamanile, e l’altro sempio con il suo bocale, due sotto tasse d’argento, due candeleri, e smisciaturo d’argento, una salera, zuccarera, e pipera, tre bicchieri uno dentro l’altro uno candaleri d’oglio, con suo coperchio e paraluce, dudici para di cocchiarelle e sercine quali sopradette robbe sono d’argento e pesano libre trentatre incirca; tre parteri di damasco falso, foderati di tela cilendrata torchina, con suoi ferri; in un’altra camera vi sono ritrovati una travacca di legno adorata a quattro colonne con una cortina di damasco carmoscino, dui matarazzi di lana bianca, una ferzata di lana biancaspina, una cultra di seta, d’una parte rossa e dall’altra torchina, uno tappeto, dui coscina di velluto chiaro carmoscino d’una parte e dall’altra di tela cilindrata rossa, dudici quadri grandi, cioè la Matre SS.ma del Capo, l’Assuntione della Madonna, il beato Gaetano, l’andata di N.ro S.re all’Egitto, la M.re SS.ma del Carmine, S. M.a Madalena, un Eccehomo a ottangolo, rotto, S. Francesco d’Assisi, un Cristo Crocifisso, S. Jacono e S. Teresa, setti altri quadretti piccoli, cioè Gesù Bambino, S. Filippo, S. Antonio da Padua, S. Carlo Borromeo, S. Nicola di Bari, S. Francesco di Paula, S.ta Maria del Rosario, tutti detti quadri di cornice d’oro solo S. M. Madalena e S. M. del Capo, due boffette di noce, un altra tavolina ad ottangolo con uno pede, due parteri simili a quelli di sopra con loro ferri, uno bauglionetto dentro lo quale vi sonno ritrovati uno libro di servitii del detto qm. Castellano, uno paro di maniche recamate di seta, una tracolla, due canne del sopradetto damasco falso, et in denari contanti in oro et argento D.ti mille et quattrocento, un altro baguglio novo dentro lo quale vi sono ritrovate l’infratte robbe: uno quatretto tundo con vetro, d’una parte il monte calvario e dell’altra S. Francesco d’Assisi, un altro quadretto con vitro, con la Natività, et un altro simile con S. Gaetano, dudici tovaglie di faccia intova, cinque camise e cinque para di calzi di tela, una tracolla recamata d’argento, due tovaglie di pettinare, un altro bauglio dentro lo quale vi si ritrovarno l’infratte robbe: tre canne di tela alli 20, uno rocchetto di pettinare, uno paro di lenzola di tela di landa novi, con lenze recamate di seta carmoscino, uno paro simile con lenze bianche nove, uno paro di lenzola usati di tela alli 10, una tovaglia di tavola nova di fiandra grande, due altre tovaglie di tavola nova ordinarie, un altro paro di lenzola usati, otto altre tovaglie di tavola nove, un’altra usata, undici tovaglie di faccia usate, quattro tovaglie di faccia in tocco, diece faccie di coscini di tela usati, quattordici stuyabucche, uno scrittorio d’ebano et avorio, con li tiraturi pieni di scritture. Dentro un’altra camera, uno letto con dui matarazzi ,dico lettera con dui matarazzi, uno sproviero vecchio, uno paro di lenzola et una coperta vecchia, quattro para di stivali di cavalcare, uno baglio, uno colletto di adante vecchio, uno capoto di scarlata vecchio, foderato di friso, un altro ferriolo di scarleta novo tutto foderato di velluto chiaro carmoscino, uno calzone e casacca di saya imperiale nuscata, uno paro di maniche di raso lavorato di colare di camoscia usata, una ungarina di velluto chiaro vecchia foderata di tali undato, uno gioppone di tela d’argento vecchio con uno paro di maniche di raso vecchi, uno calzone e casacca di velluto negro lavorato vecchi, uno vestito vecchio di tiletta arricciata negra, uno corpetto di tela d’argento novo, uno calzone et un’ungarina di tilettuni capellino e neg… altro calzone e casacca di velluto negro lavorato, uno paro di maniche dell’istesso, uno calzone e casacca di saya imperiale vecchia, una tracolla racamata, un altro bauglio dentro lo quale si è ritrovata una tovaglia carmoscina, uno paro di pizzi per attaccaglie, et alcune camise e sberze, due boffette di noci, uno brasciero et uno scarfaletto di rame. Dentro un’altra camera una travacca di ferro con dui matarazzi di lana, uno bianco e l’altro di damasco falso, una boffetta di noce, sei quadri grandi di frutti et uccelli e dudici fibille vecchie. Dentro un’altra camera, una travacchella di brovino a quattro colonne, con una cortina di filato tinto, dui matarazzi, sei piene di coscini, quattro bianche e due colorate, uno sproviero novo di tela alli 20, con cappelletto, con frangie e maroccoli, un altro matarazo di lana et un’altra boffetta, et dentro un tiraturo si e ritrovata una nota con l’infratte partite che si devono al detto qm castellano, sopre pegni et sono :Ottavio Syllano deve D.ti centonovantacinque, Horatio Antenoro D.ti quattordici, D. Gio. Jacono Mangione cantore ducati dudici, Fran.co Ribera carlini otto, Paulo Spina Ducati quattro, Gio. Dionisio Marturano Ducati cinque, l’alfiero Silva Ducati diece, Gio. Dom.co Cropalate Ducati Ventuno, D. Gio. Batt.a d’Aragona D.ti settantotto e tyari tre, gioseppe Oliverio Ducati tre, Dieco di Franco carlini trentuno, la moglie di Carrera carlini sidici, Tota di Carrera carlini trentacinque, Gio. Fran.co Melyti in tre partite Ducati sei, Lelio Montalcino ducati ventisei e tari tre, Francesco di Cuenca carlini quindici, Gioseppe Avatrello Ducati diece, la moglie di Gregorio Lopes ducati quattro tari uno e grana sei, Gio. Petro Ferraro carlini venti, Ciccio di Poperto carlini trentadui, Paulo d’Oppido Ducati Cinque e tari dui, Gio. Dom.co Morano Ducati Tre , il mag.co D. Gio. Duarte tenente ducati quaranta, dico Ducati centoquaranta, Fabritio Syllano per polissa Ducati quaranta.Dentrop un’altra camara, diece camise di tela di mezaolanda usate, setti para di calzonetti di tela usati, quattro tovaglie di faccia, due tovaglie di tavola usate, sette stayabucche usate, due faccie di coscini, quindici tt.a di may.ca dentro uno sportune, et in un’altra parte tt.a quaranta d’orgio. Dentro un’altra camera della cocina, dui capifochi di ferro,uno tripodo grande di ferro, un’altro piccolo assai, uno spito grande di ferro, un’altro mesano con li loro piedi, due gradiglie di ferro, un altro spito di ferro piccolo, una conca di rame di libre nove, una frissura di rame di libre sette, sei coperchi di rame di libre cinque et onze tre, dudici covulette di rame sei chiani e sei tondi di libre tre, uno bocale di rame di libre due, uno annato di rame di libre tre, uno mortaretto di piombo con il pistone di ferro, una frissura piccola di ferro, uno cortellaccio vecchio, una caldara di rame di libre ventuna con il suo manico di ferro, uno calderone di libre otto, uno stanatello di libre tre et onze nove, due tayelle di libre sette, di più uno diamante in uno anello d’oro di valore di scudi quaranta incirca, due coperte bianche cropanise, dicisette lenzola, nove tovaglie di faccia, cinque tovaglie di tavola, venticinque stayabuche, diece faccie di coscini, sei camise di tela fina, tre para di calzonetti di tela et uno corpetto di dopletto tutto usato, sedici salme di vino incirca dentro tridici quartaroli napoletani cioè dudici piene e uno mezo, quale vino e bono e di tutta perfettione come dissero. Di più in un’altra partita denari contanti Ducati duicento e nove.” ASCZ, Busta 229, anno 1655, ff. 27-29.
[lxii] ASCZ, Busta 663, anno 1730, ff. 138-141.
[lxiii] ASCZ, Busta. 229, anno 1654, f. 145.
[lxiv] Nel novembre 1651 le riserve consistevano: Grano forte bianco tt.a 820; Fave tt.a 102; Sarde salate barili 8; Sale di pietra cantara 6 e rotola 29; Carne salata di porco cantara 14 e rotola 27; olio lampante militra 297; caso pecorino paesano pezzi n. 1066; mosto salme 120; vino vecchio salme 30; aceto salme 20. ASCZ, Busta 229, anno 1651, ff. 101-102.
[lxv] Villari R., La rivolta antispagnola a Napoli, Bari 1976, p. 213.
[lxvi] I soldati naturali armati dall’università erano: con un “archibugio et fiaschi”, Paulo de Oppido, Nicola Minardello, Giovanni di Messina, Gio. Francesco di Franco, Scipione Varrano, Jacinto di Napoli, Mutio Monteleoni, Vittorio Amoruso, Giando de Squillaci, Masi di Perri, Ciccio de Squillaci e Antonino Misciascio. Con un moschetto, fiaschi e farchiglia, Diego Remutato, Cicco Amoruso, Mingo Russo e Cesare Cardea. ASCZ, Busta 108, anno 1647, ff. 86-88.
[lxvii] Nola Molisi G.B., Cronica dell’antichissima e nobilissima città di Crotone, 1649, pp. 207-208. ASCZ, Busta 119, anno 1642, ff. 73-74.
[lxviii] ASCZ, Busta 119, anno 1646, ff. 17-20.
[lxix] ASCZ, Busta 108, anno 1652, f. 11.
[lxx] Mercati G.S., Collectanea byzantina, Dedalo 1970, Vol. II, p. 704.
[lxxi] Cotrone 23.5.1655. Essendosi su ordine della Regia Corte “allumata la candela nella piazza pubblica et proprio nel seggio loco solito”, si bandì ad alta voce: “Chi vole pigliare a partito di ferrare trentuno paro di rote et diece cascie d’arteglieria”. Come ultimo “licitore” vinse l’appalto il mastro ferraro Gio. Leonardo Gabriele. ASCZ, Busta 229, anno 1655, f. 94.
[lxxii] Nel 1662 G. D. Marturano, mastro carpentiere, dovendo fare “li due rastelli di fuora nuovi nella forma che oggi sono di farna … il ponte di farna, la porta dell’istesso legname, li trava di dentro di farna e quelli di sopra di vutullo”, subappalta l’opera. ASCZ, Busta 229, anno 1662, f. 60.
[lxxiii] “Nel riattare la muraglia del castello, in una pietra lavorata nel bastione guardante il timpone Messina, vi scolpirono 1657”. Sculco N., Ricordi sugli avanzi di Crotone, 1905.
[lxxiv] Pietro Ussorio, povero soldato spagnolo del regio castello con soldo di trenta carlini al mese, deve vendere una mezza casa dotale perché ha molti figli e non può sfamarli, “anzi al presente sono senza vestiti”. ASCZ, Busta 333, anno 1674, f. 34.
[lxxv] ASCZ, Busta 333, anno 1673, f. 13.
[lxxvi] Il mastro fabricatore Gioseppe Messina, il mastro carpentiere Mario Marturano ed il mastro ferraro Domenico Squillace devono fare “nel baluarte del cavaliero uno astraco di calce e strace presato et sotto detto astraco la rizza butante di palmi 70 lungo et 25 largo con il suo muretto al terreno grosso dui palmi et fundo tre palmi, il quale a da venire al pare di detto astraco, quale serve per ponerce l’artiglieria di sopra et con fare quattro torneri nel muro per detti cannoni. Di più al baluarte di sopra l’Armi si haverà di fare un muro a pare dove sta un pezzo di cannoni con votare una lamia di palmi cinque larga et sopra lastraco dell’istessa maniera a pare dell’istesso muro et di tagliare un muro tre palmi per la riterata di un cannone …”. ASCZ, Busta 334, anno 1677, ff. 93-98.
[lxxvii] Nell’aprile 1682 i lavori vengono interrotti da un ordine della Vicaria, che proibisce al mastro fabbricatore Gioseppe Messina di continuare, se prima non verrà il regio ingegnere. I lavori tra l’altro, prevedevano “… Dieci canni di pietra per fare una impetrata sotto la fabrica facienda sotto la Marchisana, mastria per far detta impetrata; per cavar tutti li pedamenti che doverà venire d.a fabrica cioè per la scarpa che si deve fare nella marchisana, pedamento per li cinque pileri di palmi dieci di fondo et più altri 300 di pedamento di dieci palmi di fondo …”. ASCZ, Busta 335, anno 1681, f. 42.
[lxxviii] Nel 1672 l’artiglieria del castello era composta da: 2 colubrine, 2 mezze colubrine, 13 falconetti, 3 mezzi sagri, 1 sagro reale e 6 cannoni (Toledo, Serpentino, Cerchiato, Avegna, Petrero Turchesco e Petrera della Campana). ASCZ, Busta 253, anno 1672, f. 49. Vi erano inoltre numerosi archibugi e moschetti. ASCZ, Busta 335, anno 1681, f. 45.
[lxxix] ASCZ, Busta 335, anno 1682, f. 39.
[lxxx] Il 23 ottobre 1684, i soldati del castello sono costretti a ritrattare. Facevano parte della guarnigione: Il Rev. D. Paulo Riggitano regio cappellano di detto castello, Pelio Petrolillo sacristano, D. Antonio Magliari medico, Franc.o Antonio Letteri barbero, Giacinto Asturi Artiglero, Giuseppe Capicchiano artiglero, Giacinto Messina monitionero, Giuseppe Messina portero, Giuseppe Manica Tamburro, Dionisio Marturano carpentero, Domenico Squillace ferraro della prima prana, l’alfiero D. Gio. Duarte scrivano de ratione, Andrea Mutio de Silva, Bartolomeo Villaroya, Fran.co Belasco, Bernardo Ximenes, Michel Giov., Gio. de Quenqua, Lorenso Cavalero, Bernardo Navarro, Domingo de Quenqua, Giov. De Ribera, Gio Antonio Garcia, Antonio di Quenqua, Geronimo Rodrigues, Gio. Batt.a d’Aporta, Andres Garcia, Antonio Salvatore, Antonio Frisenda, Felippe Marches, Leonardo Terrones, Antonio Lopes, Lorenso Romano, Pasquale Partale, Alonso Lopes, Giuseppe Sanper de Luna, Carlo la Calva, Alonso Fran.co Pauvagna, Paulo Salas, Bernardo Ernandes, Fran.co Sames, Andrea Sanda, Felippe de Silva, Ludovico de Quenqua, Gio. Rocca, Antonio Polvara, Gregorio Peres, Bartolomeo Marin, Fran.co Ortega, Domingo Rodrigues et Sebastian Garcia.” ASCZ, Busta 337, anno 1684, ff. 177-178.
[lxxxi] ASCZ, Busta 335, anno 1684, f. 112.
[lxxxii] Cotrone 28.8.1707. Nel regio castello, il castellano, gli ufficiali ed i soldati della guarnigione, giurano fedeltà a Carlo III: Il sergente maggiore D. Diego Ramirez Balanca regio castellano, Jayme Murtas tenente, D. Giuliano Villaroya cappellano, D. Domenico Ursano sagristano, D. Fisico Alessandro Avarelli, Francesco Asturello barbiero, Domenico Lipari artigliero, Gio. Domenico Fallacca artigliero, Isidoro Messina artigliero, Thomaso Puglise artigliero, Leon. Francesco Messina monitionero, Domenico Rizzuto portiero, Francesco Strina tamborro, Honofrio de Sanda carpentiero, Gabriele Lucifero ferraro, ed i soldati Felippo Silva, Bartolomeo Marino, Pedro de Aro, Baretta Cossu, Juan Cobo de Quesada, Juan de Nora, Marco Gamez, Bernardo Marques, Gaetano Cavaliero, Manuel Martinez, Jorye Senir, Juan Frances, Juan Fernandez de Almoro, Joseph Vital, Berrito Gonzales, Juan Bonett, Miguel de los Rios, Juan de Armeraga, sargente Manuel Ant. Palacios, Joseph Martinez, Antonio Henero, Lorenzo Rivera, Juan Lucas, Miguel Oliver, alfiero D. Bartolomè Ferez de Aldao e Lucas Negrete. ASCZ, Busta 497, anno 1707, ff. 49 -49.
[lxxxiii] ASV, Fondo Albani Vol. 56, f. 65.
[lxxxiv] “Nota di ripari et acconci di fabrica nella casa del regio castello di questa città. In primis nella Marchesana casnne due e mezo di fabrica di ripezzo cosuto e scosuto, calce e mastria , 4 ; Nell’impennata della chiesa oltre delli duecento ceramidi necessarii per la med.ma carl. 15 per calce e mastria, 1-50 ; Nella prima casa sotto la Marchesana oltre di 100 ceramidi per scoprirla, coprirla, calce e mastria, 2 ; 2° casa coltre di 100 ceramidi per calce e mastria, 2 ; 3° casa oltre 200 ceramidi per ripezzi cosuti e scosuti per scoprirla e coprirla, 7 ;Nella Casaccia per scoprirla e coprirla calce e mastria, 2 ; Nella casa dove si tiene l’aceto giunta con detta casaccia oltre 200 ceramidi per ripezzi cosuti e scosuti calce e mastria, 6 ; Prima casa dietro la Marchesana oltre 200 ceramidi per scoprirla coprirla calce e mastria, 2 ; 2° casa due canne di fabrica, 10 ; et oltre di 100 ceramidi per coprirla scoprirla e calce, 2 ; 3° casa oltre di 100 ceramidi per coprirla scoprirla e calce, 1-50 ; 4° casa oltre 200 ceramidi di ripezzi cosuti e scosuti calce e mastria, 3 ; 5° casa oltre 100 ceramidi per coprirla scoprirla calce e mastria, 2 ; 6° casa cascata canne 11 di fabrica, 40 ; et altre di 800 ceramidi calce e mastria per coprirla, 4 ; 7° et 8° casa oltre 200 ceramidi per coprirla scoprirla calce e mastria, 5 ; 9° casa dell’artiglieri oltre 100 ceramidi una scala di fabrica calce e maestria, 4 ; 10° casa oltre 100 ceramidi ripezzi, scala di fabrica per voltarla e rivoltarla calce e maestria, 5 ; 11° et 12° casa oltre 200 ceramidi per coprirla scoprirla calce e maestria, 6 ; 13° casa di fallacca, oltre 100 ceramidi per coprirla et scoprirla calce e maestria, 2 ; 14° casa oltre 200 ceramidi per coprirla scoprirla ripezzi calce et maestria, 4 ; 15° et 16° casa oltre 200 ceramidi per coprirla scoprirla acquidotto scurricanalata per portarsi l’acqua nella cisterna, calce e maestria, 6-50 ; Nelle carceri della cisterna niente ; Nella cantina seu magazzino per 36 carrate di calce per farvi l’astraco e tonica e fattura, 30 ; Nelli cinque magazzeni oltre 1000 ceramidi per voltarsi e rivoltarsi calce e maestria, 13 ; Per astraco novo ripezzi toniche in detti magazzini intentadori ripezzi d’astrachi e di toniche, 30 ; Nelle 3 case dietro le carceri della Campana confine detti magazzeni e cantina oltre di 400 ceramidi per coprirle scoprirle ripezzi calce e maestria, 8 ; Nella garitta principale sopra il corpo di guardia maggiore oltre di 1000 mattoni di taglio e 100 ceramidi per coprirla scoprirla fare l’ammattonata calce e maestria, 4 ;Nelle carceri della Campana oltre 3000 mattoni di taglio e 100 ceramidi per calce e maestria, 4 ; Nelle diece case della campana dell’una e l’altra parte, oltre di 1000 ceramidi per ripezzi scoprirle e coprirle calce e maestria, 40 ; Nel torrione casa del S.r Tenente oltre di 500 ceramidi per calce e maestria, 8 ; 1° casa di sotto seu confinante detto Torrione scoperta oltre 1000 ceramidi per coprirla calce e maestria, 2 ; 2° casa calce e maestria, 2 ; 3° et $ casa oltre 100 ceramidi per scoprirla e coprirla calce e maestria, 4 ; 5° casa oltre 100 ceramidi per scoprirla e coprirla calce e maestria, 2 ; 6° casa oltre 100 ceramidi per coprirla scoprirla calce e maestria, 2 ; 7° 8° 9° e 10° casa oltre 200 ceramidi per calce e maestria in accomodarle, 2 ; Nel corpo di guardia di notte oltre 6000 mattoni di taglio e 1000 ceramidi per scoprirla fattura di mattonata calce e maestria di tutte per la ceminiera sopra la camminata di legno, 4 ; Nella monitione di guerra oltre di 1000 ceramidi per 4 canne di fabrica e ricinta sopra li ceramidi della parte di levante imparavento calce maestria, 20 ;Per un’altra canna di fabbrica per riparo dell’acqua, 5 ;Nelle Sette porte del soccorso canne due di fabrica, 8 ; Nelle case del Sig. Castellano per ripezzi e ripari di ceramidi, 20 ; Nel corpo di guardia maggiore ripezzo dell’incutata di dentro per scoprire l’incutata di fuori sino sino che tira il letto del ponte e per farla di nuovo et accomodamento della lamia della porta maggiore di detto Regio Castello calce e maestria, 29 ; 361-50 ; Per li soprastanti 10 mila mattoni di taglio duc. 43 ; Per li soprastanti 10 mila ceramidi duc. 17.” ASCZ, Busta 611, anno 1714, ff. 77-87.
[lxxxv] ASN, Provv. Caut. Vol. 350, ff. 37-38 (1718).
[lxxxvi] Il 4 aprile 1724, A. Cafiero arriva con la sua tartana da Napoli e consegna al castellano per conto della Regia Corte tre campane di rotola 48 con 3 battagli di ferro di rotola 4. ASCZ, Busta 662, anno 1724, ff. 59v-60.
[lxxxvii] In casi eccezionali si apriva di notte la porta detta “della Piscaria seu porta falsa di notte”. Nel 1698 essa era stata aperta dal mastrogiurato solo sei volte in tre mesi, e sempre col consenso del governatore ed in presenza di guardie: “una volta si aprì che uscirno i famigli del S. Alessandro Albani che andarno per accompagnare la P. nel capo colonne alla cappella, altra che restarno li genti di corte ch’erano andati fare una diligenza, una volta che restò il creato del S. Cesare Presterà, altro che restò il regio giudice che era andato a spasso, altra volta per essere rimasto fuori il D. Anibale Berlingieri, altra volta si aprì per essere venuto un correro inviato dall’arcivescovo di S.ta Severina”. ASCZ, Busta 338, anno 1698, f. 51v.
[lxxxviii] ASCZ, Busta 497, 25.4.1712.
[lxxxix] Il comandante Elmstorf si fa consegnare le tre chiavi della monizione di guerra della città che erano in possesso del sindaco, del mastrogiurato e del capitano dell’artiglieria della città. Egli usa la polvere, le palle e gli altri ordigni e carcera e scarcera a suo arbitrio gli artiglieri della città. ASCZ, Busta 612, anno 1715, f. 226.
[xc] Memoriale contro il castellano da parte di Domenico de Laurentiis, pubblico mercante e sostituto provveditore delle truppe, che poi ritratta affermando che “detto S. Castellano, come sempre è stato un officiale di lode et ottime qualità, non è stato mai sottoposto a simili sordidezze”. ASCZ, Busta 612, anno1718, f. 10.
[xci] Il cutrese F. Le Rose, carcerato nel castello “col sotterfuggio di fare il benefitio del corpo fu portato dalla guardia a luoghi comuni di detto castello da dove si precipitò”. Rifugiatosi nella chiesa di S. Leonardo, fu da essa estratto con la forza dai soldati e riportato nel castello ma poi, per il pericolo della scomunica, il castellano lo fa riportare in chiesa. ASCZ, Busta 661, anno 1722, f. 302.
[xcii] Il 17 luglio 1734 liberata la città, viene fatto l’inventario della monizione di guerra le cui chiavi vengono consegnate al mastrogiurato ed al sindaco dei nobili. In essa vi erano: Piombo pezzi 16, cantara 18 e rotola 30; Palle di pietra grosse 132 , piccole 80; Palle di ferro 667; Polvere cantara 38; Miccio cantara 3, Piconi 2; Pale di ferro 40. ASCZ, Busta 664, anno 1734, ff. 77-78.
[xciii] L’armamento del castello era composto da 13 falconetti, 3 mezzi sagri, 1 sagro, 3 mezze colubrine, 1 colubrina, 5 cannoni (di cui due petriere), numerosi archibugi e moschetti. Esso era ben provvisto di munizioni (palle di ferro, di piombo, barili di polvere, ecc.). ASCZ, Busta 664, anno 1734, ff. 61-71.
[xciv] Comandava il castello il colonnello Francesco Mayans che era subentrato al colonnello Armingoll Amill, morto nel 1732. ASCZ, Busta 664, anno 1734, ff. 61-71.
[xcv] Copia auth.ca delle spese fatte per la guerra. ASCZ, Busta 665, anno 1738, ff. 128-134.
[xcvi] Il 19 novembre 1734 Antonio Fenoza, comandante del castello di Crotone, promette al vicario della curia vescovile di non mettere a morte due soldati rifugiati in chiesa che avevano pugnalato un commilitone. AVC, Per li soldati spag.li del castello refuggiati in chiesa, documento senza segnatura.
[xcvii] Vengono imprestati 4 barili di polvere (rotola 155), una verga di piombo (rotola 66), miccio (rotola 13 e mezzo), che l’erario di Cutro si impegna a restituire entro due mesi. ASCZ, Busta 665, anno 1736, ff. 58-61.
[xcviii] ASCZ, Busta 911, anno 1738, ff. 17-19.
[xcix] ASCZ, Busta 854, anno 1740, ff. 72-73r.
[c] I mastri Messina, Asturi e Ricciolillo, che hanno preso in appalto i lavori si impegnano a completarli entro un anno. ASCZ, Busta 666, anno 1740, ff. 102-104.
[ci] Spese fatte nella porta del calanozzo della torre marchesana per serravi li forzati venuti da capocolonna la sera del 2 7bre 1753”. ASN, Torri e Castelli, vol. 47, f. 352.
[cii] Nel novembre 1758 vengono trasportati da Taranto, dove avevano pulito il fosso del castello, a Crotone, per essere utilizzati per i lavori del porto, numerosi forzati con i loro sorveglianti. ASCZ, Busta 1323, anno 1758, ff. 107-110.
[ciii] Cotrone 7.4.1756. Il mastro ferraro Dionisio di Oppido, il mastro falegname Bruno Lucà ed il mastro muratore Giuseppe Gerace, fanno la stima dei lavori e delle spese occorrenti per la porta della Pescheria. ASCZ, Busta 1125, anno 1757, ff. 144-145.
[civ] ASCZ, Busta 1125, anno 1756, ff. 192-201.
[cv] ASV, Rel. Lim. Crotonen. 1769.
[cvi] Su richiesta del comandante del castello viene fatto l’inventario dei beni lasciati dal tenente G. Petit. Tra i beni ci sono le otto chiavi del castello e precisamente del magazzino chiamato dei viveri, della monizione di sopra della polvere chiamata la Riserba, del magazzino di Batteria di guerra situato dentro la Marchesana, del magazzino delle Palle, delle Sette Porte e cioè una della Prima Porta altra della Seconda e la terza della monizione di polvere di colà, e l’ultima del Torrione delle micce e legna. ASCZ, Busta 913, anno 1752, ff. 191-196.
[cvii] Nel 1760 vi era il reggimento Nazionale d’Abruzzo Citra, e nel 1776 il reggimento Lucania. ASCZ, Busta 1323, anno 1760, ff. 46-48.
[cviii] Nel 1846 l’ingegnere Salvatore Langone fa una relazione sulle carceri: “La carcere denominata la torre Marchesana, a base circolare di diametro palmi 24 è capiente di n. 20 detenuti. L’altra carcere detta la Campana a base quadrata di lato pal. 25 può contenere 25 prigionieri. E finalmente la carcere per le donne detta la Serpe di base rettangolare di pal. 19 per 12 è capace di 6 persone. L’anzidette tre prigioni sono nel castello ma in siti diversi e distanti tra loro”. AVC, documento senza segnatura.
[cix] ASCZ, Busta 668, anno 1749, ff. 160-161.
[cx] “Il castello, e molte case vennero lesionate nella città di Cotrone, e dodici maggiormente scosse”. Vivenzio G., Istoria e teoria de tremuoti, Napoli 1783, p. 328.
[cxi] Galanti G., Giornale di viaggio in Calabria, II, p. 576.
[cxii] Galanti G., Giornale di viaggio in Calabria, II, p. 120.
[cxiii] Pititto F., Un nucleo di documenti ufficiali sull’assedio di Cotrone nell’anno 1807, in Arch. Stor. Cal., a.VI (1918).
Creato il 10 Marzo 2015. Ultima modifica: 18 Gennaio 2022.