Clero e società a Petilia Policastro dal Cinquecento al Settecento
Policastro, assieme alla città di Santa Severina e ad altre terre, fu confiscata dal re Ferdinando al marchese di Crotone Antonio Centelles a causa della sua ribellione. In seguito, dopo un lungo periodo in cui aveva goduto della condizione demaniale, il re Federico il 14 ottobre 1496, la vendeva con altre terre ad Andrea Carrafa.[i] I cittadini, tuttavia, forti dei privilegi concessi dai re precedenti, si ribellarono[ii] e resistettero per lungo tempo al feudatario.[iii] Anche quando, con l’aiuto delle armi spagnole, il Carrafa riuscirà ad entrare in possesso del feudo, troverà dei vassalli pronti a sfruttare qualsiasi occasione propizia per tentare la via della ribellione.[iv] Durante queste rivolte lo stesso simbolo del potere feudale sull’abitato, rappresentato dalla presenza sovrastante e minacciosa del castello, con le sue armi e le sue carceri, sarà distrutto.[v]
Arcivescovi, feudatari e cittadini
L’arcivescovo di Santa Severina ancora all’inizio del Settecento, teneva in Policastro, luogo della sua diocesi, un suo vicario foraneo ed aveva alcuni feudi e giurisdizioni, tra cui l’antico diritto di decima sul pascolo delle mandrie e quello della “Serra delle Tavole” nelle sue montagne. Egli, inoltre, aveva al suo diretto servizio una ventina di servienti, detti diaconi selvaggi, che godevano dell’immunità ecclesiastica, parte dei quali lavoravano nella sua segheria.
Le liti tra gli arcivescovi ed il clero da una parte, e l’università, il feudatario ed i commissari regi dall’altra, diverranno più aspre dopo il concilio di Trento. Utilizzando l’immunità ecclesiastica e l’arma della scomunica, gli arcivescovi, o i loro vicari generali, ed il clero, cercheranno di ripristinare antichi diritti e di allargare il loro potere anche nella società civile. Significative sono sotto questo aspetto, alcune liti che ebbero per protagonisti dei religiosi di Policastro.
Al tempo in cui era arcivescovo Giulio Antonio Santoro (1566-1572), una di queste riguardò l’abate policastrese Gaspare Venturo, il quale, facendosi scudo dell’immunità ecclesiastica, commerciava in animali, evadendo i diritti del fisco. Il tentativo del commissario della Regia Camera Sommaria G. Battista Sebastiano, di obbligare il Venturo al pagamento, sequestrandogli le mandrie, è vanificato dalla scomunica.[vi] Lo stesso trattamento subirà un altro commissario della Regia Camera Sommaria, Io. Antonio Lauria, al tempo del successivo arcivescovo e fratello del precedente, Francesco Antonio Santoro (1573-1583). Il Lauria, incolpato di aver messo le mani sul sacerdote Scipione Brandini di Policastro, è subito scomunicato dalla curia arcivescovile di S. Severina, e dovrà intervenire nell’agosto 1579, lo stesso papa Gregorio XIII per obbligare l’arcivescovo, o il suo vicario generale, all’assoluzione.[vii]
I diritti arcivescovili su Policastro daranno origine a continue liti. Al centro delle dispute saranno soprattutto, il diritto di decima sul pascolo delle greggi, e il diritto di tagliare indiscriminatamente le piante sul vasto territorio de “La Menta”.
Sempre in questi anni di Controriforma vi sono anche alcuni tentativi, non sempre con esiti felici, di moralizzare il clero, colpendo la frequentissima pratica della vendita dei benefici, e di porre rimedio alle feroci lotte cittadine, per l’accaparramento delle cariche ecclesiastiche. Nel novembre 1572, Gregorio XIII assolveva il laico Marino Blasco di Policastro, il quale era stato accusato di simonia, in quanto aveva corrotto il rettore della chiesa parrocchiale di S. Nicola de Graecis, Io. Battista Venturino, affinché rimettesse quella chiesa, previo il compenso di 50 ducati, in favore del figlio Sebastiano Blasco. Dopo poco il Venturino sarà costretto a dimettersi per le pressioni subite da alcuni preti e laici di Policastro, mentre Sebastiano Blasco potrà così nell’ottobre dell’anno dopo, impadronirsi della carica.[viii]
Il nepotismo ed il commercio dei benefici avranno pratica diffusa anche negli anni seguenti, come dimostra chiaramente il caso dell’abbazia di Santa Domenica, che era stata un antico monastero di monache, situato fuori mura, ma che da molto tempo era ridotta alle sole rendite, valutate all’inizio del Settecento in 150 scudi annui. Dopo che durante il Cinquecento delle sue rendite ne avevano beneficiato chierici napoletani e cosentini, l’arcivescovo Fausto Caffarelli la conferì al suo segretario D. Francesco Bernardi di Roccabernarda, il quale, nel 1660, la lasciò al nipote Marco Antonio Bernardi. In seguito, il beneficio passò a Muzio Giuliano ed alla sua morte, l’arcivescovo Carlo Berlingieri ne investì il fratello Pompilio, il quale, a sua volta, la diede al nipote Cesare Berlingieri.[ix]
La riorganizzazione delle parrocchie
Alcuni documenti quattrocenteschi ci forniscono i nomi di alcune chiese parrocchiali di Policastro: trattasi di S. Maria La Magna,[x] di S. Nicola de Plateis,[xi] e di S. Nicola de Grecis.[xii] Secondo la “Cronica” del Mannarino, all’inizio del Viceregno, Policastro aveva dodici parrocchie, tali comparivano nell’inventario regio per la reintegra del feudo fatto fare nel 1520, su istanza del feudatario il conte Andrea Caraffa, e su un atto che recava la firma dei dodici parroci. Risalgono alla prima metà del Cinquecento, i titoli di alcune chiese e i nomi di parroci, o rettori; tra queste la chiesa matrice di S. Nicola de Platea, le parrocchiali di S. Nicola de Graecis, di S. Maria Magna, di S. Nicola de li Cavalieri,[xiii] e di S. Pietro, e le chiese della SS. Trinità e di Santa Domenica.
A volte le cariche ecclesiastiche con le rendite sono oggetto di commercio, come evidenzia il caso della matrice di S. Nicola de Platea, i cui arcipreti, spesso non del luogo, ottenuto il compenso, si dimettono dalla carica in favore di altri. Rimasta vacante per morte del rettore Stefano Apa, avvenuta nell’agosto 1546, fu assegnata dapprima a Federico Paltroni, il quale si dimise, favorendo nel dicembre dello stesso anno, il chierico cosentino Io. Bernardino Ioffredo. Dopo un anno, lo Ioffredo la cede per un po’ di tempo ad Ottaviano de Cittadinis e, successivamente, ritornatone in possesso, nell’agosto 1548 si dimette in favore di Luca Antonio Callaia di Policastro, previo il pagamento di un’annua pensione di 15 ducati annui sulle rendite della medesima. Passano tre mesi e con un successivo accordo, il Callaia ottiene l’annullamento e l’estinzione del pagamento della pensione.[xiv]
Anche se dall’analisi dei fuochi non sembra che Policastro nel Cinquecento abbia subito uno spopolamento,[xv] tuttavia la sua economia dovette risentire della crisi economica generale e delle condizioni commerciali avverse, rese più crude dalle continue incursioni turche, che si spinsero anche all’interno della vallata del Tacina, come evidenzia la distruzione del villaggio di Vico Troiano. Seguendo l’esempio di altri abitati vicini, anche in Policastro furono ridotte le chiese parrocchiali. In tale modo si cercò di costituire delle rendite parrocchiali, che permettessero ai parroci la loro permanenza in loco ed una vita decorosa. Perciò si cercò di risolvere l’impoverimento di tutte, unendo le rendite delle molte soppresse alle poche rimaste.
Sul finire del Cinquecento le parrocchiali erano ormai ridotte a quattro, come si ricava da una relazione dell’arcivescovo Alfonso Pisani: “Policastro è terra regia, qual’essendo stata venduta dal conte di S. Severina fu fatta di demanio con l’opra, e patrocinio del Cardinale di S. Severina.[xvi] È abitata da tre milia anime incirca; vi sono quattro chiese parocchiali, e nella matrice è l’arciprete, e cantore con venti altri preti, i quali per il piu vivono del loro patrimonio, et elemosine, che ricevono dal servitio delle chiese, e confraternità, tra le quali la maggiore è quella della S.ma Annuntiata ben servita di messe, e principalmente i giorni festivi con canto, et organo, vi è l’hospedale, qual si mantiene con l’elemosine fuor delle mura è la chiesa di S. Maria della Spina convento di frati minori dell’osservanza, dove si conserva una delle spine della corona di N. S.r Giesu Christo, nel qual luogo il di dell’Assontione della Beata Vergine concorre gran frequenza di popoli convicini a visitare quella Santa reliquia. È discosto da S. Severina otto miglia.”[xvii]
Il ricordo di una diversa organizzazione parrocchiale è ancora rintracciabile in alcuni atti notarili dell’inizio del Seicento. Da essi risulta che l’abitato è suddiviso in numerosi piccoli ambiti territoriali, in ognuno dei quali vi è una chiesa che lo identifica. Le abitazioni, le stalle, ecc. sono situate “in convicino” della matrice di S. Nicola de Platea, delle parrocchiali di S. Pietro, di S. Nicola de Grecis, e di Santa Maria La Magna, e delle chiese di S. Maria de Angelis, di S. Caterina, di S. Dimitri, di S. Maria dell’Oliva, dell’Annunziata, di S. Angelo, di S. Maria della Grazia, del SS.mo Sacramento,[xviii] di S. Nicola delli Cavalieri e di S. Maria de Fransisi.[xix]
Tra il folto gruppo degli ecclesiastici sono ricordati gli arcipreti Tommaso Giordano, Marcello Monteleone e Giovanni Paolo Blasco,[xx] che sarà anche rettore della chiesa di S. Caterina, Salvatore Venturinus, procuratore del rettore della chiesa di S. Caterina (il Blasco ed il Venturino saranno presenti al sinodo di S. Anastasia celebrato il 28 maggio 1634),[xxi] Giovanni Pettinato, procuratore della chiesa di S. Caterina (1620), il vicario foraneo Giovanni Liotta (1620), Luca Musitano, cantore e curatore della chiesa di S. Nicola de Grecis (1604), i parroci di S. Nicola dei Greci Gio. Andrea Romano[xxii] (1638-1646) e Gio. Antonio Santoro,[xxiii] i parroci di S. Pietro Geronimo Longo e Petro Girardo,[xxiv] i parroci di S. Maria La Magna Salvatore Arrichetta, Lelio Scandale e Domenico Cappano,[xxv] il vicario di Policastro Gio. Antonio Leuci (1638), ecc.
L’ingiuria dei tempi
All’epidemie ed al fallimento dei raccolti si unisce una opprimente tassazione. L’università di Policastro ben presto si indebita sempre più con il fisco regio e con gli strozzini. Essa non riesce a far fronte ai pagamenti ed a tacitare i creditori, anche perché alcuni cittadini facoltosi rifiutano di far fronte ai pagamenti. Per non andare incontro ad ulteriori debiti che comporterebbe l’arrivo dei commissari regi, incaricati di riscuotere quello che avanza il fisco, l’università ricorre al viceré, ottenendo una dilazione e la possibilità che i suoi sindaci possano esercitare anche le funzioni dei commissari, che cioè “possano esseguire contro tutti li debitori d’essa città”, sequestrando ai morosi anche gli animali vaccini.[xxvi]
Il terremoto dell’otto giugno 1638 distrusse Policastro “dalle fondamenta”,[xxvii] causando danni per circa quarantamila ducati d’oro, “per li quali danni e rovine furno concesse a cittadini cinque anni di franchezze”. Scomparirono per sempre molti edifici sacri, che furono definitivamente soppressi, mentre le loro rendite furono aggregate alle chiese parrocchiali rimaste.[xxviii] Negli anni seguenti al funesto fenomeno, il territorio cittadino risulterà ripartito tra le quattro parrocchiali di S. Nicola de Platea,[xxix] di S. Nicola dei Greci,[xxx] di S. Maria La Magna,[xxxi] e di S. Pietro,[xxxii] ed è richiamata solamente la chiesa della “SS. Annunciata nova”,[xxxiii] mentre nell’abitato esiste ancora il ricordo delle chiese scomparse: “loco ubi dicitur S.to Dimitri in convicinio parrochialis S. Nicolai Grecorum”.[xxxiv] Tra le chiese che sono riparate, o ricostruite, oltre alla chiesa della SS. Annunciata, c’è la matrice, come evidenzia la data 1651, che risalta in un ovale situato nella parte superiore del suo portale principale, e la chiesa di Santa Caterina.
La fase di decadenza e di spopolamento[xxxv] è resa ancor più drammatica dal continuo fallimento dei raccolti, dalla terribile carestia, e la seguente epidemia del biennio 1671/1672, quando morì quasi un quarto della popolazione. Ciò determinerà sia l’abbandono di molti edifici religiosi, soprattutto quelli posti fuori mura e lontani dall’abitato, sia il tentativo di soppressione della parrocchiale di S. Pietro.
La situazione è così descritta nel 1675 dall’arcivescovo di S. Severina, l’aristocratico crotonese Muzio Suriano (1674-1679): La chiesa arcipretale di S. Nicola Pontefice, è vacante da tre anni a causa delle poche rendite, e perciò la cura delle anime è esercitata da un viceparroco. Per aumentarne le rendite ho intenzione di unirle a quelle dell’altra parrocchiale di S. Pietro, che per lo stesso motivo è anch’essa vacante. Oltre alle altre due chiese parrocchiali di S. Maria La Magna e di S. Nicola dei Greci, vi erano allora altre sei chiese, tra le quali quella dedicata alla SS. Annunziata “nova”, che appariva di struttura magnifica e molto ampia, “ben servita di messe” e sede di una confraternita laicale. Un’altra confraternita aveva sede nella cappella del SS. Sacramento nella chiesa matrice, il cui culto è ancora oggi ricordato dalla iscrizione “SIA LAUDATO IL SS.MO SACRAME.TO P./ P.F. 1685”, situata sopra la porta principale.
Dopo queste calamità la popolazione di Policastro raggiungerà il suo minimo secolare, contando nel 1675, secondo l’arcivescovo Suriano, solo 1420 abitanti con 14 preti, i quali vivevano sia del loro patrimonio che “in comuni”, in quanto tra loro si spartivano in parti uguali sia gli oneri che gli stipendi delle messe, che i fedeli lasciavano per legato.[xxxvi]
Lo stesso arcivescovo tre anni dopo, annotava una popolazione di sole 1453 anime, con 20 sacerdoti e 39 chierici, e la presenza delle quattro chiese parrocchiali, delle confraternite laicali dell’Annunziata Nova e di Santa Caterina V. M., delle chiese dentro mura di S. Maria delli Francesi e di S. Maria del Soccorso, e della chiesa “quasi diruta” situata fuori mura sotto il titolo dell’Annunziata Vecchia. Completavano i due conventi fuori mura dei riformati con otto frati, e degli osservanti con dieci frati.[xxxvii]
Dovranno passare una decina di anni per avere una ripresa. Nel 1687 la popolazione veniva stimata in 2190 abitanti, di cui 448 (20%) erano inferiori a sette anni, mentre coloro che godevano l’immunità ecclesiastica, quindi, non pagavano le tasse e non erano soggetti alla giustizia baronale, erano ben 125 (6%).[xxxviii] Il tentativo di sopprimere la parrocchiale di S. Pietro, unendo le sue rendite alla matrice, tarderà a realizzarsi, perché contrastato da un ostacolo insormontabile, cioè l’avversione dell’arcivescovo di Santa Severina Carlo Berlingieri (1679-1719). Mentre sempre per ordine del Berlingieri, verrà abbandonata sul finire del secolo, la chiesa decadente dell’Annunziata Vecchia, situata fuori le mura di fronte alla porta della città, ed il suo culto annesso all’antica chiesa di Santa Maria dei Francesi.
Le parrocchie di Policastro nella descrizione del Mannarino
“Quatro son oggi le Chiese Parocchiali. La Prima è l’Arcipreitale di San Nicolò Maggiore delli Latini fra la tramontana, e levante, alla quale stanno unite le Parocchie contermini antiche di Sant’Angelo alla Piazza, e di Santa Maria delli Francesi; nuovamente architettate due ale, e piu disposte nelli lati. Qui è la Chiesa Madre e vi risiede il SS.mo Sacramento colla sua Arciconfraternita evvi a destra la Capella di San Sebastiano Martire primo Protettore della Città, fondata dalla nobilissima famiglia Callea ed arricchita di feudi con un Pio Monte, dove colla sicurtà de’ Pegni d’oro, argento, rame, e mobili, s’improntano per un anno danari, senza veruno interesse, lasciato così dal fundatore per aiuto, e sollievo de’ Poveri, Imagini di quell’infinitamente ricchissimo, che per amor nostro lasciò il suo eccelso celeste trono, e nacque in braccio alla povertà, e visse da mendico, e Pezzente. Onde io ricordo a Procuratori di detto monte, che favorissero i Poveri, che rappresentan Cristo, e non facessero venale coll’uso profano il Patrimonio de’ Poveri contro la mente del Testatore Pietoso. All’istesso destro corno in ordine siegono le due Capelle della Visitazione. La prima eretta dal Sig. D. Francesco Ferrari, e l’altra dal fu Dionisio Curtis per legato di Giulio Cesare arciprete; ambedue magnifiche con le di lor Gentilie, e depositi. A sinistra poi vi è un’altra Capella di San Gregorio Papa col monte delli Maritaggi per le donzelle povere descendenti dal suo ceppo mascolino, e feminino del fundator Gregorio Bruno e un consimile monte mantiene la Capella del Venerabil Sacramento, che marita una donzella l’anno, a chi tocca per sorte e poi siegue l’altra Capella del Santo mio Padovano, costrutta per legato del fu D. Antonio Cantor Riccio. Vi si conserva pur una Reliquia insigne della Pelle del Glorioso Apostolo Bartolomeo, che fu vivo scorticato da sicarie mani, per cui si costuma fare ogn’anno solenne, e divota Processione e pur vi è un organo delli più nobili della comarca.
La seconda Parocchia alla parte più infima, ed orientale, è l’abbadia di Santo Pietro, a cui van congionte l’altre due contigue della Sinagoga, e di Santa Maria delle Grazie, situate nella Chiesa di Santa Caterina non più la vecchia diruta, ma la nuova redificata da fondamenti assai più curiosa, se ben più ristretta da quella prima vastissima, in forma ottangolare, che viene ad essere doppiamente quadrata fatta così, perché le figure quadrata ed ottangolate sono le capitane delle figure Parellogramme, onde nella sua incidenza porta una bella rettitudine, e simetria perpendicolare. In essa chiesa fundata da Marc’Antonio Poerio, padre di Gio Berardino mio avo materno, una col di lui fratello Abloisio. Il suo Campanile però è a triangolo, che non comparisce meschinello anzi magnifico mentre il Circolo del suo triangolo attornandolo pur gli ristringe il quadrato; e l’uno coll’altro fanno un vicendevole accordo, con gli fianchi obliquali, che fan mentire a chi disse che il quadrato col triangolo non si consa ed è pur detto campanile altissimo colla cima piramidale chiusa a cabo or in questa Chiesa della Santa Vergine, e Martire. L’altare maggiore con una Capella a finisssimo stucco eretta dall’abate D. e D.r Domenico Coche, che dopo la perdita della sua sposa si fece sacerdote, e si sposò di nuovo con questa chiesa; e con Idee ammorabili proprie d’un sposo, che ama con genio, e cuore la sua diletta, e per adornarla impiega tutto il suo avere; ancor egli disdesi tutto ad amare la sua novella diletta ad abbelirla con nuovi sfoggi eresse da fondamenti la nuova Cappella di Maria gran Regina del Carmelo al lato destro, e nel sinistro ristorò quello del medesimo Apostolo con le sue ragioni Parocchiali fece un nuov’organo assai stimato per la dolcezza del suono. Come altresì la nuova intempiata per la chiesa, coro e sacrestia ed ambedue questi furno rinovati all’uso più moderno, con ordine dorico vagamente intagliato, e disposto il materiale delle legni di castagne, e noce e finalmente pria di chiudere gli occhi per finimento della chiesa, che altro non mancava, fece tre superbe scale con zoccolo a torno, che circuisce dalla prima porta a man destra con faccia a mezzo giorno, sino alla terza ed ultima, che mira a tramontana tanto che se questa chiesa fu rinovata dalla famiglia Poerio, dalla Coca, consanguinea fu perfezzionata oltre poi a dette capelle, nuov’organo, pulpito, soffitti, sacrestia e coro, vi è l’ornamento dell’archi alti, e grandi di pietra lavorata, con un gran Piano innanti all’atrio spaziosissimo, per commodo de’ fratelli delle due confraternite sotto il titolo del Carmelo l’uno, e l’altra della sud.ta Vergine e Martire titulare di detta chiesa, e dietro a cui vi è finalmente l’ospidale per gli poveri Pellegrini e così ben disposta, ne pur compare come il primiero suo tempio che miseramente restò sepolto sotto le proprie rovine dal tremuto dell’anno che dissi 38.
Alla parte poi più suprema, e Boreale principia la Chiesa Parocchiale di Santa Maria La Magna contradistinta da quelle di Santa Maria piccola, di cui non si sa preciso il luogo, ma ben la credo aggregata a questa medesima, insieme con l’altra sua convicina di Santa Maria dell’Oliva, dove io mi ricordo la messa ed ora Proh dolor! Domus Dei stabulum est (La parocchia fu propriamente ove à fabricato il palazzo del fu D. Antonio Martino ora posseduto da Lorenzo Pipino, ma il Martino la fe stalla). Così parimenti le due restanti Parocchie suppresse di San Demetrio e di Santa Maria La Nuova, la cui chiesa al certo è l’istessa che oggi la nuova Annunziata, unitasi alla quarta hodierna Parocchia con cui confina; ch’è la più ampia e numerosa di tutte alla stessa raggion di Borea ma nella parte più mezzana chiamata San Nicolò delli Greci ove di più e la capella col monte del Purgatorio; ed in ogni lunedì si celebrano messe lette e cantate con gli soliti Notturni per quelle Sante anime. Un’ altro monte e Capella consimile è nella Santissim’Annunziata nuova sopradetta con di più il suo Altare Privilegiato. E questa chiesa appunto situata dentro il circulo della stessa Parocchia immediatamente posta a mezzo giorno, a differenza dell’altra chiesa dell’Annunziata detta di fuora, che diroccatasi l’anni passati proprio nel fine del caduto secolo con tutte le sue pertinenze per ordini di Monsig.r Berlingieri è stata mutata di sito, e da sotto le mura della Città in bocca alla Porta della Città è stata trasportata nell’antica di Santa Maria delli francesi, che smantellata tutta la vecchia, con nuovo e più bel modello rifabricatasi da fondamenti, apparisce più vagha. Se bene d’alcuni moderni nemici capitali della venerand’antichità è stata pregiudicata nel titolo e la dove l’Altare Magiore era eretto col la statua di detta Vergine Annunziata, adesso vi anno collocato quella del gran Tamaturgo della Santità e primo ornamento di Calavria San Francesco di Paola quale stava in una nicchia nell’antica Chiesa a lato destro, con quella di San Leonardo nella sinistra ed ora per questo santo, e per detta Regina de santi si sono perfezzionate due capelle sfondate nel destro fianco ond’è, che per le continue e massime grazie che si ricevono dal santo Paolano de minimi, vien chiamato dal volgo la nuova chiesa di San Francesco di Paola. In questa chiesa si è posta in piedi una arciconfraternita, cioè l’istessa antica del SS.mo Sacramento eretta nell’anno mille settecento, e quatordici in tempo del mio primo corso quaresimale, contribuendovi io le Patern’esortazioni dal Pulpito; a congregarsino con bella unione e ferverosa carità sotto il vesillo dell’altissimo umiliato nell’azzomi e loro l’opra, mentre per bastevole dette insinuazioni a movere gli animi de’ nobili inclinatissimi ad opre di splendida Pietà; sicche con felicissimo riuscimento si trova numerosa di fratelli del primo ceto, e da loro insignemente beneficata.
Ala ritornando alla SS.ma Annunziata nuova; ben chiamasi la nuova, siccome a fronte di tutte l’altre chiese è la più bella, la più magnifica; e la più frequentata. Ha un frontespizio maestoso di Pietre bianche, e quadre bizzarramente lavorato, con tre porte a simetria verso aquilone e un’altra nel muro di sotto ad oriente. Ha pur di dietro un’atrio assai vago, e vistoso; e tiene a destra, ed a filo di quel suo frontespizio un campanile, il più magnifico, e spittabile di tutta la comarca, nuovamente incatenato al di sotto con alcuni archi lavorati, che lasciano al mezzo quanto egli è largo, una strada coverta, che conduce all’atrio, ed è lavorato, e fatto dell’istesse pietre in guisa d’una torre grande quadro fornito di cinque campane, una grande di quatordici cantara di pronzo, e vi si sale per una scala fatt’a lumaca delle pietre medesime era la sua cupula con artifizio composta ed ornata di bellissimi Palchi con Palaustri; sicche vi si potea sicuramente passeggiar d’ogni lato. La quale nondimeno atterrata con buona parte della chiesa, e stata l’una, e l’altra mediocremente ristaurata. Sonovi pure tre confraternite cioè dell’istesso mistero dell’Annunziata la prima, la seconda del SS.mo Nome di Gesù e l’altra del SS.mo Rosario di cui oltre alla Capella in oro sfondata che vi è al destro lato dentro la chiesa si è fabricata con limosine de’ Benefattori anche una (congr)egazione dalla parte di fuora all’altro angolo … Hor in questa Chiesa della SS.ma Annunziata, ch’è così ammirabile per havere, riguardevole per ricchezza, ed inarrabile per designo vi è a lato sinistro la Capella dell’apostolo San Giacomo lavorata in oro, assai ricca, perche D. Giacomo Aquila che la fondò con chiesa a parte innati il largo del diruto castello, contigua al suo nobil Palazzo, da dove fu qui poi trasportata; oltre alla dote della Capella, vi e un beneficio di settanta scudi annui lasciato per tutti li suoi eredi e successori più intimi dell’una, e l’altra linea, che attualmente si possiede dal Sig. D. Domenico Rocca, mio fratel cugino immediato Pronipote del testatore e di più un monte di maritaggi di scudi cinquanta per ciascuna donna sua consanguinea o sia del mascolino o del feminino. Appresso a questa vi è la capella sfondata di S. Gioseppe col JusPadronato della famiglia Campitelli in legname nobilmente lavorata, e miniata d’oro, ed un’altra del Santo Padovano.”[xxxix]
Dal terremoto del 1744 alla Cassa Sacra
Una epigrafe, situata all’interno della chiesa matrice, ricorda che il 17 giugno, domenica IV dopo la Pentecoste dell’anno giubilare 1725, l’arcivescovo di S. Severina Nicolò Pisanelli (1719-1731) consacrò la chiesa matrice e l’altare dedicato a S. Nicola, includendo in esso le reliquie dei martiri Placido e Placida. Lo stesso arcivescovo decretò di celebrare nella stessa domenica di ogni anno, il giorno dedicato alla consacrazione. Era arciprete Giovanni Paolo Grano.[xl]
All’inizio del mese precedente lo stesso presule aveva descritto Policastro come una città di 2820 anime, con tre parroci, trenta sacerdoti e quaranta chierici. Dove vi erano molte altre chiese oltre alle parrocchiali, che erano ben costruite ed apportavano grande decoro. In esse vi erano erette tre confraternite.[xli] La situazione del clero sarà quasi la stessa un ventennio dopo, quando l’arcivescovo Nicola Carmine Falcone segnalava 3179 abitanti, con quaranta sacerdoti e ventisette chierici.[xlii]
Le numerose scosse di terremoto che nel 1744, colpirono i paesi della vallata del Tacina, causarono numerosi danni agli edifici di Policastro. Particolarmente rovinata fu la matrice, che negli anni seguenti sarà riparata ed in gran parte ricostruita ed ampliata. Il 30 maggio 1747 un breve di Benedetto XIV diretto all’arcivescovo di S. Severina Nicola Carmine Falcone, concedeva a Pietro Antonio Ferrari la possibilità di aprire e di possedere una finestra che dava nella chiesa matrice di Policastro, in quanto egli aveva concesso una parte della sua casa per favorire la costruzione ed il rifacimento della chiesa dopo il terremoto. Il Ferrari e la sua famiglia ottenevano perciò la possibilità di ascoltare la messa attraverso la finestra, con la condizione però di munirla di grate in legno ed in ferro, e con la dichiarazione che la casa in cui la finestra si apriva, non godesse l’immunità ecclesiastica.[xliii] Lo stesso arcivescovo di Santa Severina alcuni anni dopo, affermava che la matrice di Policastro era stata già in gran parte risanata, attraverso l’impegno operoso e continuo del suo procuratore, il sacerdote Giovanni Domenico de Martino. Quest’ultimo, oltre a renderla più ampia, la accrebbe con due nuovi sacelli in opera plastica, ornati con marmi e volte. Il Martino rese l’edificio sacro più dignitoso, munendolo di un nuovo coro, fornito di stalli e di forma elegante ed a volta. La matrice dopo questi interventi appariva agli occhi dell’arcivescovo veramente una degna casa di Dio, in quanto ovunque mostrava il dovuto decoro.[xliv]
L’arcivescovo Antonio Ganini (1763-1795) all’inizio del suo presulato, ci fornisce una descrizione dettagliata della situazione ecclesiastica. Chiese dentro le mura: “La chiesa matrice della terra di Policastro sotto il titolo di S. Nicola de Platea è retta per quanto riguarda la cura delle anime nel distretto di sua pertinenza dal Reverendo D. Salvatore Mayda,[xlv] arciprete curato e capo di tutto il clero policastrese, per quanto riguarda alle cose secolari da un sacerdote eletto ogni anno dal clero, perciò è retta a somiglianza di una collegiata, e in essa convengono per esercitare le sacre funzioni tutto il clero, anche i parroci, il quali solamente amministrano i sacramenti ai loro rispettivi parrocchiani, ognuno nella propria rispettiva parrocchia, ma per quanto riguarda le celebrazioni solenni devono recarsi assieme agli altri nella matrice. Nella matrice sono eretti sette altari oltre al maggiore, nel quale è conservata la SS.ma Eucarestia e la fonte battesimale con i sacri oli. La chiesa parrocchiale di S. Maria La Magna, o in cielo Assunta, è retta dal suo parroco curato, il reverendo Domenico Pace.[xlvi] Ha il suo tabernacolo per custodire le sacre sembianze, la fonte battesimale con i sacri oli, e due altari oltre al maggiore. La chiesa parrocchiale di S. Nicola dei Greci è amministrata dal reverendo D. Nicola de Martino,[xlvii] che ne è il parroco curato. Ha la sua fonte battesimale con i sacri oli ed oltre all’altare maggiore ve ne è solamente un altro. La chiesa della Beata Maria Vergine Annunciata dall’Angelo, che si trova annessa alla sopraddetta parrocchiale, e che si ritiene più ampia ed adatta al popolo, al quale in essa oltre al sacramento del battesimo, anche il rimanente è amministrato, e nella quale si svolgono anche le funzioni parrocchiali, ha cinque altari oltre il maggiore. La chiesa di Santa Lucia è amministrata dal suo procuratore, il quale la provvede del necessario. Essa ha un solo altare. La chiesa di Santa Maria delle Grazie ha ugualmente un solo altare ed è retta dal reverendo D. Cesare Rocca, il quale possiede il beneficio sotto lo stesso titolo che vi è eretto, e celebra le messe annesse. La chiesa, o oratorio del SS. Rosario, è retto dal reverendo D. Tommaso Antonio Scandale. La chiesa di Santa Caterina Vergine e Martire, un tempo era parrocchiale, ora alla stessa è annesso un conservatorio di pie donne amministrato da un procuratore, eletto dalle stesse e dall’arcivescovo confermato. Ha due altari oltre al maggiore, nel quale ad uso delle religiose, sono è conservati la SS. Eucarestia ed il sacro olio per uso delle stesse quando sono inferme.
Chiese fuori le mura: La chiesa di Santa Maria del Soccorso che è amministrata da D. Cesare Rocca, il quale possiede il beneficio sotto lo stesso titolo che vi è eretto e la provvede del necessario. La chiesa di Santa Maria volgarmente detta delle Pianette, che ha un unico altare ed è retta da un sacerdote procuratore, eletto dal clero e confermato dall’arcivescovo, che la provvede del necessario. La chiesa di S. Francesco di Paola con due altari oltre al maggiore, è amministrata da un procuratore ecclesiastico confermato dall’arcivescovo. Vi è poi un unico oratorio privato nella casa del Dottore Francesco Antonio de Martino, eretto previo indulto apostolico.”
Oltre alle chiese vi erano due confraternite (del SS. Rosario eretta nell’omonimo oratorio e del SS. Sacramento nella chiesa di S. Francesco di Paola), e tre monti di Pietà: il primo prestava denaro agli indigenti con la sola cauzione di pegni. Esso era stato fondato dal fu Reverendo D. Annibale Callea, ed era amministrato da ecclesiastici scelti dall’arcivescovo. Il secondo dotava oneste ragazze e particolarmente, quelle discendenti dalla famiglia del fondatore, il fu Gregorio Bruno. Il monte era retto da un procuratore scelto dall’arcivescovo. Il terzo dotava ragazze discendenti dalla famiglia del fondatore il Reverendo D. Giovanni Giacomo de Aquila. Anche questo era retto da un procuratore scelto dall’arcivescovo. Vi era il beneficio di S. Antonio Abbate della famiglia Berardi eretto nella cappella omonima, situata nella chiesa parrocchiale di S. Maria La Magna, che era amministrata dal diacono Brunone Berardi.
Vi erano poi due conventi maschili e un conservatorio, dove vivevano dieci donne, che a somiglianza delle monache, vivevano religiosamente ed osservavano spontaneamente la clausura, anche se in minima parte. Il convento di S. Francesco dei minori osservanti era situato fuori le mura, ed in esso vi era il luogo dei novizi con il loro maestro, ed in tutto erano circa ventidue. Infine, sempre fuori mura, c’era il convento dei riformati di S. Francesco con circa quattordici religiosi.[xlviii]
L’arcivescovo ben presto entrerà in lite con l’università di Policastro. L’oggetto del contendere erano i diritti della mensa arcivescovile sulla difesa detta La Menta. Il Ganini, infatti, rifacendosi all’antico diritto della “Serra delle Tavole”, che godeva nelle montagne di Policastro, l’aveva concessa con la condizione di “serra ad acqua”. In tal modo questa era stata disboscata, contravvenendo alle leggi. Così, anche per la protesta del sindaco di Policastro, era stato costretto a riparare il danno, spendendo la somma di mille ducati. Altri mille ducati aveva sborsato per far costruire dalle fondamenta a Policastro, che era il più popoloso tra i luoghi della sua diocesi,[xlix] un nuovo palazzo da utilizzare come residenza estiva, essendo in estate il domicilio a Santa Severina poco sicuro.[l] Il palazzo sarà poi congiunto alla chiesa della SS.ma Annunziata che, durante il presulato del Ganini, nel 1764, assunse il titolo di parrocchiale, mentre fu rimosso quello di S. Nicola dei Greci, e che lo stesso arcivescovo rese più bella, fornendola di un nuovo tetto con il suo soffitto dipinto, di un nuovo pulpito e di finestre di vetro.[li] Sempre in questi anni di fine Settecento Policastro “fu in gran parte distrutta, e nel resto conquassata” dal terremoto del 1783.[lii]
Note
[i] Il 14 ottobre 1496 re Federico vendeva ad Andrea Carrafa la città di Santa Severina, i casali di Cutro e S. Giovanni Minagò, le terre di Castellorum Maris, Rocca Bernarda, Policastro e Cirò, e i feudi di Crepacore e Fota, con 300 ducati annui di funzioni fiscali sopra dette terre, per il prezzo di ducati 9000. AVC, Processo grosso di fogli cinq.cento settanta due della lite, che Mons. Ill.mo Caracciolo ha col S.r Duca di Nocera per il Vescovato, f. 490.
[ii] Una testimonianza contenuta in un processo, fa riferimento alla resistenza di Santa Severina e delle altre terre al Carrafa: “… lo q. Ecc.te Paulo Siscar conte de agello, tunc viceRè et governatore della provincia di calabria promese dare opera cum effecto a fare conseguire ad esso conte di santa severina, la pacifica possessione integra et vera possessione della citta di santa severina, con lo castello, et fortellecza et etiam della terra delle castelle, et per tale causa detto privilegio dovesse stare in deposito in mano dell’eccellente vincenzo carrafa conte della grotteria, comune parente finche fusse adimpleta la promissione predetta et conseguita la possessione della citta et terre prenominate, et tale conventione, et patto fu concluso et fatto per mano del signor fra loyse carrafa frate di esso conte de santa severina et per lo predetto conte de agello minime fu adimplita detta promissione sincomo e publico noto e manifesto ad ogni persona et signanter della provintia di calabria, perche esso conte de santa severina conseguio la possessione della preditta citta di santa severina, et terra delle castelle dell’Illustre q. Consalvo ferrante gran capitano et duca di terranova”. AVC, Processo grosso di fogli cinq.cento settanta due della lite, che Mons. Ill.mo Caracciolo ha col S.r Duca di Nocera per il Vescovato, ff. 451v-452.
[iii] Nel cedulario della Provincia di Calabria Ultra dell’anno 1500, si tassò Andrea Carrafa per la terra di Rocca Bernarda e per il feudo disabitato di Crepacore; in quello del 1508, per S. Severina, con i casali di S. Giovanni Minagò e Cutro, per Castelle e Roccabernarda. ASN, Ref. Quint. 207, ff. 78-122.
[iv] Nel 1512 Santa Severina, Cutro e Policastro, credendo morto il conte, si ribellarono. Soppressa nel sangue la ribellione, molti cittadini dovettero fuggire e rifugiarsi in altre terre vicine. De Frede C., Rivolte antifeudali nel mezzogiorno d’Italia durante il Cinquecento, Milano 1962, pp. 9-10.
[v] Nell’inventario fatto nel 1520 su concessione di Carlo V, in favore del conte di S. Severina Andrea Carrafa, così sono descritti i possedimenti feudali: “In primis castrum dirutum cum pertinentiis suis, cum apparentia, et evidentia fossi dicti castri, et vestigiorum, et edificiorum ipsius in capite terrae praedictae versus occidentem”. Mannarino F. A., Cronica della celebre ed antica Petilia detta oggi Policastro, manoscritto, f. 14v.
[vi] Sisca D., Petilia Policastro, Catanzaro 1996, Rist., pp. 139-141.
[vii] Russo F., Regesto, V, 23082.
[viii] Sebastiano Blasco diverrà parroco di S. Nicola de Graecis nell’ottobre 1573, e nel febbraio 1574 verranno assolti alcuni preti e laici di Policastro, che avevano costretto il Venturino a lasciare la carica. Russo F., Regesto, IV, 22449, 22554; V, 22578.
[ix] Ebbero il beneficio di Santa Domenica i chierici napoletani Io. Petro e Bernardino de Francis, i chierici cosentini Iulio Passalacqua e Ferdinando Cortese. Russo F., Regesto, III, 16804; IV, 20358; VII, 38975. Mannarino F. A., Cronica della celebre ed antica Petilia detta oggi Policastro, manoscritto, f. 103.
[x] Il 21 aprile 1418 Martino V incaricava l’abbate di S. Angelo de Frigillo, di immettere nel possesso della chiesa parrocchiale di S. Maria La Magna il prete Spirito Brunecto, essendo vacante per morte del rettore Antonio Veca. Russo F. Regesto, II, 9420.
[xi] Il 6 maggio 1455 Callisto III ordina al vescovo di Strongoli di inquisire Nicola Coppa, il quale, in qualità di rettore della chiesa parrocchiale di S. Nicola de Plateis, è accusato di molti crimini. Qualora ciò corrispondesse al vero, ordina che sia rimosso e la parrocchiale sia assegnata ad Antonio Contello, prete di Policastro. Russo F., Regesto, II, 11380.
[xii] Il 16 marzo 1468 Paolo II incarica l’arcidiacono di S. Severina di unire le rendite della chiesa parrocchiale di S. Nicola de Grecis, che era vacante, a quelle della chiesa arcipretale di S. Giuliano del casale di Cutro. In tal modo sono accolte le richieste dell’arciprete di Cutro Domenico Albo, il quale aveva fatto presente che le rendite della sua chiesa erano troppo tenui per un suo mantenimento decoroso. ASV, Reg. Lat. 666, ff. 136-137v.
[xiii] Nel 1508 Consalvo Conte era rettore della chiesa di S. Nicolò de’ Cavalieri, di cui all’inizio del Settecento, si vedevano ancora delle “dirupate reliquie”. Mannarino F. A., Cronica della celebre ed antica Petilia detta oggi Policastro, manoscritto, f. 46.
[xiv] Russo F, Regesto, IV, 19166, 19186, 19304,19412, 19430, 19438.
[xv] Fuochi di Policastro nel sec. XVI: fuochi 492 più altri 44 fuochi di Schiavoni o Albanesi (anno 1521); f. 493 (a. 1532); f. 629 (a. 1545); f. 685 (a. 1561); 713 (a. 1595). Pedio T., Un Foculario del Regno di Napoli del 1521 e la Tassazione Focatica dal 1447 al 1595, in Studi Storici Meridionali n. 3/1991.
[xvi] La terra di Policastro fu concessa nell’ottobre 1496 da re Federico ad Andrea Caraffa, alla morte di costui, avvenuta nell’ottobre 1526, passò al nipote Galeotto Caraffa, al quale fu sequestrata per debiti poco dopo il 1540. Messa in seguito all’asta, fu acquistata nel 1564 dal barone di Sellia, Giovan Battista Sersale. L’università di Policastro tuttavia ricorreva al viceré, chiedendo di essere preferita e di essere immessa in regio demanio. “Con l’opra ed il patrocinio del Cardinale S. Severina”, l’arcivescovo Giulio Antonio Santoro, fu così portata a conclusione una complessa operazione finanziaria che, nel mentre liberava i cittadini dalla giurisdizione baronale, dall’altra favoriva la duchessa di Castrovillari nell’acquisizione delle entrate feudali di Policastro. L’accordo fu perfezionato nel 1568, quando Policastro divenne terra regia. L’università sborsò al Sersale ducati 22.000, cioè il prezzo da costui pagato, la Regia Corte si riservò “la giurisdizione et dominio dei vassalli”, mentre l’università di Policastro vendeva per ducati 16000 ad Isabella Caracciolo, duchessa di Castrovillari, i beni feudali che aveva acquistato, comprendenti: la bagliva, la mastrodattia, la portolania ed alcuni feudi, gabelle, vignali, e territori. In seguito, i beni feudali di Policastro venivano sequestrati per debito verso il fisco all’abate Gaspare Venturi e nel 1625 furono acquistati per 12.000 ducati dalla baronessa Auria Morano. I beni feudali comprati comprendevano: la bagliva, la portolania, la mastrodattia, i feudi di Errico, delli Copati, di Andrioli, ecc. Morta Aurea Morano nel 1630, i beni feudali passarono ad Orazio Sersale. Durante il periodo in cui detti beni di Policastro erano in possesso di Orazio Sersale, la Regia Corte vendeva nel 1643 il feudo di Policastro, comprendente la giurisdizione e il dominio sugli abitanti, a Ferdinando II granduca di Toscana, a cui seguirà il figlio Cosimo III granduca di Toscana. Il governo mediceo su Policastro durerà un cinquantennio. Nel frattempo, ad Orazio Sersale era seguito Francesco Sersale e, quindi, Fabio Caracciolo di Forino, duca di Belcastro. Quest’ultimo acquistò nel 1698 dal marchese Giovan Vincenzo Salviati la giurisdizione delle prime e seconde cause di Policastro, completando così il pieno possesso feudale di Policastro. Carlo Caracciolo di Forino, duca di Belcastro, che nel 1701 seguì per refuta al padre Fabio, ebbe così oltre alla terra di Belcastro e di Cotronei, anche Policastro con le prime e seconde cause e con gli introiti fiscali. Nel 1711 Carlo Caracciolo alienò le terre di Cotronei e Policastro a Giovan Battista Filomarino, principe di Roccadaspro. ASN, Ref. Quint. 207, ff. 78-122. Maone P., Notizie storiche su Cotronei, in Historica, n. 2/ 1972, pp. 102 sgg. Pellicano Castagna M, Storia dei feudi e dei titoli nobiliari della Calabria, I, 1984, pp. 183 sgg.
[xvii] Relatione dello stato della chiesa metropolitana di Santa Severina, S.cta Severina 22 martii 1589.
[xviii] ASCZ, Busta 78, anno 1604, ff. 7, 8v, sgg.
[xix] ASCZ, Busta 78, anno 1620, ff. 57, 58v.
[xx] Morto nel settembre 1604 l’arciprete Tommaso Giordano, seguì nel dicembre 1604 Marcello Monteleone, e quindi nell’agosto 1618, Io. Paolo Blasco che morì alla fine del 1652; seguì nel gennaio 1653 Gio. Vincenzo Natale. Russo F., Regesto, V, 26115; VI, 28030; VII, 36931.
[xxi] Acta Synodi S. Anastasiae, in Siberene Cronaca del Passato per le Diocesi di Santaseverina – Crotone – Cariati, a cura di Scalise G. B., p. 30.
[xxii] Il 20 maggio 1638 il R.do Jo. Antonio Leuci, vicario di Policastro e commissario delegato dal vicario generale di S. Severina, immette nel possesso della chiesa parrocchiale di S. Nicola dei Greci il R.do Jo. Andrea Romano di Policastro, in virtù della bolla spedita da Roma nel gennaio 1637. ASCZ, Busta 80, anno 1638, f. 52.
[xxiii] Morto nell’agosto 1646 il parroco Io. Andrea Romano, seguì nell’ottobre dello stesso anno Io. Antonio Santoro. Russo F., Regesto, VII, 35091.
[xxiv] Morto Hieronimo Longo nel 1603, seguì nel novembre 1624, Petro Giraldo. Russo F., Regesto, VI, 29157.
[xxv] Alla morte di Salvatore Arrichetta, avvenuta nell’ottobre 1634, seguì nel dicembre dello stesso anno Lelio Scandale, alle cui dimissioni, seguì nell’agosto 1659 Domenico Cappano. Russo F., Regesto, VI, 31799; VII, 38736.
[xxvi] Nell’ottobre 1619 sono accolte le richieste contenute in un memoriale inviato dai sindaci di Policastro al viceré: “Ill.mo et Ecc.mo Sig.re. La Uni.ta de Polic.o sup.do dice a V. E. come si ritrova in estrema necesita et miseria per la sua gran poverta e debiti che tiene tanto dalla Reg.a Corte quanto di particolari creditori che percio non have potuto in tutto complire alla contr.ne d’un grano e mezo a foco per il che ne risulta grandissimo danno ad essa povera uni.ta sup.te et perche in d.ta Universita vi sono molte persone facoltose q.li sono debitori di essa in vi… di significatorie et ordini della Reg.a Ud.a e per pagarne li fiscali non pagati da molti anni per cio essa povera Uni.ta ricorre a V. S. la sup.ca resti servita per accetare la spesa di tanti commisarii per disfare della con.ne con mettere a detti sindaci o ad altra persona li parera a V. E. che esigga detti debitori univ.li lo che devono et del n. di quelli se ne sodisfacci detta contributione eseguendo contro li pre.i etiam nell’animali baccine accio piu facilmente sodisfacci detta contributione e il tutto lo riputava a gr.a ut Deus.” ASCZ, Busta 78, anno 1620, f. 31.
[xxvii] Boca G., Luoghi sismici di Calabria, Grafica Reventino, 1981, p. 220.
[xxviii] Secondo il Mannarino, alla matrice di S. Nicolò Maggiore delli Latini, furono unite le parrocchie contermini antiche di Sant’Angelo della Piazza e di Santa Maria dei Francesi; alla chiesa parrocchiale di S. Pietro, la sinagoga e la chiesa di Santa Maria delle Grazie; alla parrocchiale di S. Maria La Magna, le chiese di S. Maria Piccola e di S. Maria dell’Oliva, ed alla parrocchiale di S. Nicola dei Greci, le chiese di S. Demetrio e di S. Maria La Nova. Mannarino F. A., Cronica della celebre ed antica Petilia detta oggi Policastro, manoscritto.
[xxix] Morto nel maggio 1697 l’arciprete Giacomo de Curtis, succede nell’agosto dello stesso anno Io. Francesco Scandale. Russo F., Regesto, IX, 47700.
[xxx] Nel febbraio 1653 per dimissioni di Io. Antonio Leuci, diveniva parroco di S. Nicola de Grecis Salvatore Guido. Alla sua morte, avvenuta nell’aprile 1684, succede nel luglio dello stesso anno Giuseppe de Munda. Russo F., Regesto, VII, 36953; IX, 45161.
[xxxi] Morto nel novembre 1685 il parroco di S. Maria La Magna Domenico Cepala, succede nel gennaio 1686 Giacomo Antonio de Rosis. Alla sua morte, avvenuta nell’agosto 1693, seguirà nell’ottobre dello stesso anno, Giuseppe Ianniti. Russo F., Regesto, IX, 45387, 46862.
[xxxii] Nel gennaio 1637 Scipione Callea, rettore della parrocchiale di S. Pietro, era nominato protonotario apostolico. Altri parroci furono Amilcare de Curtis morto nel 1690, a cui seguì nel giugno dello stesso anno Fabrizio de Martino. Russo F., Regesto, VI, 32287; IX, 46220.
[xxxiii] ASCZ, Busta 80, anno 1640, ff. 7 sgg.
[xxxiv] ASCZ, Busta 80, anno 1640, f. 23.
[xxxv] Dai 713 fuochi del 1595, Policastro passa ai 674 fuochi del 1648 ed, infine, ai 356 del 1669.
[xxxvi] Relatio Status Cathedralis metropolitanae ecclesiae Sanctae Severinae, 1675.
[xxxvii] ASV, Rel. Lim. S. Severina., 1678.
[xxxviii] Sisca D., Petilia Policastro, Catanzaro 1996, Rist., p. 146.
[xxxix] Mannarino F. A., Cronica della celebre ed antica Petilia detta oggi Policastro, manoscritto, ff. 90-93.
[xl] Gio. Paolo Grano era divenuto arciprete nel maggio del 1709 per morte di Gio. Francesco Scandale, avvenuta nel luglio 1708. Russo F., Regesto, X, 51323.
[xli] ASV, Rel. Lim. S. Severina., 1725.
[xlii] ASV, Rel. Lim. S. Severina., 1744.
[xliii] Russo F., Regesto, XI, 61570.
[xliv] ASV, Rel. Lim. S. Severina., 1756.
[xlv] L’arciprete Salvatore Maida morì nel maggio 1780, seguì nel febbraio 1781 Geronimo Carvelli. Russo F., Regesto, XII, 67482.
[xlvi] Domenico Pace, parroco di S. Maria La Magna, morì nel febbraio 1776; seguì nel luglio dello stesso anno Pietro Grano. Russo F., Regesto, XII, 66972.
[xlvii] Il parroco Nicola Martino morì nell’agosto 1790, seguì nel febbraio 1791 Francesco Pollano. Russo F., Regesto, XII, 68273.
[xlviii] ASV, Rel. Lim. S. Severina., 1765.
[xlix] Nel 1783 Policastro aveva 3198 abitanti. Vivenzio G., Istoria e teoria de tremuoti, Napoli 1783.
[l] ASV, Rel. Lim. S. Severina., 1768.
[li] ASV, Rel. Lim. S. Severina., 1781.
[lii] Vivenzio G., Istoria e teoria de tremuoti, Napoli 1783, p. 326.
Creato il 25 Febbraio 2015. Ultima modifica: 4 Luglio 2024.