Caccuri tra il Cinque ed il Seicento
Nel Medioevo “Caccurio”, situato in diocesi di Cerenzia, è un abitato murato. Anche se spesso è citato come “Terra”, in quanto non è sede vescovile, non mancano numerosi riferimenti alla sua natura di “Castrum”, cioè di luogo fortificato. In numerosi documenti del Trecento Caccuri risulta essere un “castrum”, all’interno del quale e nel suo territorio, ci sono numerosi luoghi di culto, come denotano la chiesa arcipretale ed il numeroso clero, che vi dimora. Nell’elenco dei “nomina canonicorum et clericorum Castri Caccuri” del 1324, troviamo infatti: D.nus Iohannes Cipriano, Pbr Sudnerius, archipresbiter, D.nus Custamentus, D.nus Iohannes de Salidio, Pbr Iohannes de Foresta, Pbr Thomasius eunuchus, Pbr Leonectus, Pbr Iohannes de Magistro Clemento, D.nus Franciscus Ruffus, D.nus Guillelmus de Novello, Iaconus Xelsus, Fr. Nicolaus abbas Mon.rii S.te Mariae de Caccurio.[i]
L’abitato fortificato (“Castrum”, “Oppidum”) è documentato per tutto il Trecento, quando il feudo di Caccuri apparteneva ai De Riso. In diversi atti si legge “Squarcius de Riso Castri Caccurii dominus” (1355), “loca posita prope castrum et Terram Caccuri”.[ii]
Nel Cinquecento
All’inizio del Cinquecento, al tempo in cui era feudatario di Caccuri Ferrante Spinelli, duca di Castrovillari e conte di Cariati, la cinta muraria di Caccuri copre tutta la cima della rupe e l’abitato è dominato dal castello. Un ampio spazio separa il castello dalle mura cittadine, e ad esso si accede, dopo aver attraversato un ampio fossato, per un ponte levatoio.
Analizzando la Platea del 1533 dell’abbazia di S. Giovanni in Fiore, nella descrizione dei censi, che questa esigeva a Caccuri, si trovano riferimenti a luoghi, sia della città che del suo territorio.[iii] L’abitato, circondato da mura, è costituito da case terranee, casalini, qualche palazzotto ed alcune case palaziate. Caccuri mantiene ancora la sua importanza di centro strategico economico, che ha avuto fin dall’antichità, per la posizione di controllo sul crocevia delle vie, che dalla marina salgono in Sila, e che passano per le sue porte, tra le quali: “la Porta Grande”, “la porta Santa Elena” e “la Porta Piccola”. Una via pubblica la congiunge con Cerenzia passando per “Laconi”. Un’altra, per la quale “veneno li Cosentini”, transitando per la località “casale” e l’abbazia dei Tre Fanciulli, la unisce alla Sila, una la unisce al castello.
Importante è la via pubblica che, discendendo da Caccuri e per il passo di “Scanna Iudeo”, “Franchiscia” ed il “passo de Lepore”, si congiunge alla “via nominata de le Culture et che va allo Casale de Bellovedere”. Un’altra via pubblica sotto le timpe del castello “cala alle molina”. L’attraversamento dei numerosi valloni è indicata dai passi “dela ecclesia de Santo Vito”, del “Salice”, “de Materi” e “delo Milo”.
All’interno vi sono la piazza, la “Iudeca” ed alcune chiese, tra le quali la matrice dedicata a Santa Maria delle Grazie, e le parrocchiali di San Nicola[iv] e di San Pietro.[v] Fuori e vicino alle porte ci sono gli orti e dei casalini, mentre nelle timpe presso le mura alcune grotte. Altre grotte sono situate in località “Magognano”, “La parte”, “Cutetto”, mentre altre appartenenti all’abbazia dei Tre Fanciulli, sono situate “à canto la Forestella, le quali sogliono affittarsi à caprari”. Numerosi vigneti sono presenti a “Bauzamo”, “Phillivoi”, “Laconi” e “Melissi”. Estesi oliveti, gelseti e alberi da frutto, coprono le terre di “Casale”, “Phillivoi” (“Fillino”)[vi] e “Laconi”, castagneti sono a “Vallone Grande” e “in Capo lo Vallone”, terreni boscosi si estendono nelle località di “Serra de li Luzi”, di “Casa de Magognano”, di “Laconi”, di “Melissi” e di “Campanelli”.
Il territorio, situato tra i fiume Neto e il suo affluente Lese, è caratterizzato da timponi (“Procino”, “deli Stazi”, “de Santo Petro”), da timpe (“deli Milessi”, “del casale di Laconi”, “de la Serra Grande”, “delo Castello”, “dela Terra”), da serre (“Luzi”, “S. Maria”, “Prato”, “Grande”, “Gemmella”, “Cerchiato”, “Lenzana”,) ed è solcato, oltre che dalle fiumare di “Lepore” e di “Neto”, ed i canali “de Santo Aleni” e “de la Straula”, da sorgenti e torrenti (“Acqua de la Mortilla”, “Acqua de la Castagna”,[vii] “Acqua de Lauzino”, “Acqua de Santa Leni”) e da numerosi valloni e cavoni (“de Phillivoi”, “de lo Stano”, “del Bauzamo”, “Seccagno”, “Grande”, “de Bonbino”, “de lo Brullo”, “de Franchiscia”).
Non mancano gli estesi terreni sterili, incolti, petrosi e le “terre de carita” e “tristi”, “dove si ponno far grutti” (“Laconi”,“La Parte”, “Semigadi”, “Arcovadia”, “Lenzana”, “Forestella”); ci sono piccoli appezzamenti di terre “lavoratorie” (“Coture”, “Luzzi”, “Magognano”, “Santeleni”, “Bauzamo”, “Laconi”, “Arcovadia”, “Iemmella”, “Portio”, “Canalagi”, “Caria”, “Montagna”), e gli estesi boschi delle difese di “Lepore”, “Mala Herede”[viii] e “Pantana”.[ix] Estesi sono gli allevamenti dei suini e degli ovini: “stazi de crape” sono “sotto le timpe dela Serra Grande”, “sotto S. Petro”, “sotto un timpone” presso Virdò, e alla “Forestella”, mentre querceti si trovano in località “lo Campo”,[x] “Cillari”[xi] e “Pantana”.
Gran parte delle terre è detenuta dal barone, dalle abbazie di Santa Maria La Nova e di San Giovanni in Fiore, dal vescovo di Cerenzia e dal numeroso clero (Donno Ioanne Mazeo, Donno Ramundo Lauretta, Donno Laurentio de Aynto, Donno Angelo de Andriccoli, Donno Evangelista Perito, Donno Angelo Macri, Donno Petro de Martino de Strongolo, Donno Rogerio Donato, Donno Angelo Gerardo, Donno Petro Gerardo, Donno Regnante de Sergio, Donno Gratiano Mangone). La popolazione coltiva piccoli appezzamenti (vigne e vignali) concessi in fitto o gravati da censi.
Piazza
Nella piazza ci sono alcune case palaziate, dei casalini e la chiesa di Santa Caterina. Vi abitano Antonello e Cristofaro Perito, gli eredi di Tollo Muto e Gerolamo Pucelli.
Giudeca
La “Iudeca”, situata nella parte bassa (“sotto la Terra de Caccuri”), era nettamente distinta dal resto dell’abitato. Molto probabilmente nel Medioevo doveva essere all’esterno delle mura. All’inizio del Cinquecento era situata all’interno e, precisamente, a destra appena dentro la “Porta piccola”. Da una parte, essa confinava con le mura cittadine e, dall’altra, con l’antica via pubblica che, dalla porta piccola, attraversava l’abitato, arrivando alla porta del castello.
La Giudeca era formata da case terranee separate da vinelle. Alcune di queste case erano gravate da censi a favore del monastero florense, ed erano abitate dai componenti delle famiglie Ieso (Gregorio, Ioanne, Io. Matteo), Cristiano (Berardo), De Rose (Io. Batt.a), Plata (Petro, Ioannello), Caputo (Alfonso), Bernise (Pigneriota), ecc. La presenza nel Medioevo, di una comunità ebraica in territorio di Caccuri, è anche richiamata nella descrizione dei confini del territorio di “Franchiscia”, dove è indicato il “passo subtano de Scanna Iudeo, nominato lo passu di Panphileo”. Il quartiere della Giudeca è citato anche nei catasti settecenteschi, ed ancora oggi il toponimo indica un rione di Caccuri.
Particolarmente importante è la casata degli Iesu (“Ieso”), che abita nel rione della “Iudeca” in alcune case terranee, vicino alle mura ed alla Porta Piccola. Ioanne Ieso e poi l’erede Gregorio, possiedono un orto in località “Posetto”, appena fuori la Porta Piccola, alcune vigne a “Laconi” ed a “Vignale”, e dei terreni alle “Serre delo Cerchiato” e alla “Montagna”. Cristofano e Tomaso Ieso, figli ed eredi di Dattilo, hanno delle vigne in località “Melissi”, ed alcuni terreni nel luogo detto “Sopra le Fontanelle”; gli eredi di Antonello e di Genuisio Ieso, alcune vigne a “Melissi” e gli eredi di Cicco Ieso delle vigne a “Laconi”.
Ioanne Iesu è ricordato per aver donato al monastero florense nel 1529 una casa situata alla giudecca ed una vigna di circa una tumulata in località Laconi. Era questo forse il prezzo pagato all’abate florense Salvatore Rota per non essere espulso dal Viceregno.[xii] Il figlio ed erede Gregorio, si convertì al cristianesimo e intraprese la carriera ecclesiastica. Donno Gregorio Yeso, infatti, risulta nell’elenco del clero di Caccuri nella visita del Vicario Cerasia del 1560. Alla metà del Seicento troviamo ancora Marco Antonio Iesu, che abita vicino alla “presa piccola” (porta piccola) e possiede una vigna.[xiii] Gli Ieso sono ancora citati nel catasto onciario del 1742.
La Dextra
All’interno dell’abitato vi era il luogo detto “la Dextra”. Qui si trovavano le case di Alfonsina Grande, di mastro Felice Afermo, di mastro Ascanio Assarino e di Cola Mancuso. Vi era una delle porte di Caccuri. Nel Settecento compare il toponimo Porta della Destra.
Posetto
Fuori della Porta Piccola in località “Posetto”, ci sono alcuni orti con alberi da frutto e dei casalini. Essi appartengono a Solumea de Matteo Milito, a Ramundo Lauretta ed a Ioanne Ieso.
Castello
Il castello era situato all’esterno della cinta muraria di Caccuri, sopra una timpa che sovrasta l’abitato. Un ampio spazio ed un largo e profondo fossato separava l’abitato dal castello. A quest’ultimo si accedeva da una porta dell’abitato ed attraverso un ponte levatoio. Il pericolo, rappresentato dalle rivolte contadine, spinse i feudatari a costruire castelli isolati e distanti dall’abitato, e a separare nettamente l’abitato dal castello con ampi e profondi fossati.
Appena dentro le mura e vicino al castello era situato il “palazetto” di Ioanpetro Manfreda e degli eredi del fratello Sibio, accanto alla casa di Marco Antonio Mingatio. All’esterno delle mura dell’abitato e sotto le timpe del castello passa la via pubblica, che scende al vallone dove ci sono “le molina”. Sotto le timpe ci sono le grotte di Felice Crissune e di Ianuario Parisio.
Porta Grande
Fuori della Porta Grande in località “Cacazaro”, ci sono due casalini e gli orti di Cesare Peluso e del fratello M.ro Antonucio Peluso, di Donno Ramundo Lauretta, e di Ramundo Petruni.
Porta de Santeleni
Nelle vicinanze vi sono la vigna di Mastro Ianuario de Parisio, la via pubblica, il “vallone seccagno de lo Brullo”, il “canale di Santa Leni”, il territorio detto “Le Cuture”.
Il Casale
In località “lo Casale”, attorno alle mura della chiesa ed al monastero di Santa Maria del Soccorso, e vicino alla via pubblica, che va “all’Aruso”, ci sono numerosi alberi di gelso ed alcuni orti.[xiv] Essi appartengono a mastro Ottaviano Castello, a Domenico Cosentino, al monastero di Santa Maria del Soccorso, a Filippo Piluso, a Guglielmo Sproveri e a Carlo Martino.
Casale di Laconi
Il casale, ormai abbandonato, era situato tra la terra di Caccuri e la città di Cerenzia; inoltre, era anche collegato con la via che, passando per “Cuture” e “Virdò”, scendeva verso la bassa valle del Neto. Nella località vi erano numerose vigne,[xv] gravate da censi dovuti al monastero florense, segno dell’antica ripartizione e concessione di questo territorio, fatta dall’abbazia florense alla popolazione di Caccuri.
La Forestella
Nel 1583 Ottavio Prothospatario, commendatario dell’abbazia dei Tre Fanciulli, detta anche Santa Maria la Nova, o Paganella, assegnava ai monaci per il loro sostentamento, alcune terre, tra le quali la “Forestellam Casalis Novi”, che dava una rendita di ducati undici annui. Le donazioni di nuove terre allargarono la proprietà del monastero ma non la rendita, a causa della grave crisi della prima metà del Seicento. Così il territorio è descritto alla metà del Seicento, dal priore del monastero Gregorio Ricciuti: “Item assignò un altro territorio chiamato la forestella de Casale Novo apprezzato per docati undici l’anno, et per li sudetti sei anni se ne sono recevuti li detti docati undici inclusi in essi il frutto di certe altre terre di tumoli otto in circa à canto di detto territorio pervenute al detto Monasterio per donatione fattole da Francesco Antonio Perito della d.a terra di Caccuri docati 11”.
Sempre dalla relazione del Ricciuti sappiamo che il monastero possedeva anche “alcune grotte à canto la Forestella, le quali sogliono affittarsi à caprari, et l’un anno per l’altro, per li sei anni se sono recevuti 0 – 4 – 0”.[xvi]
Nell’Apprezzo del feudo di Caccuri fatto nel giugno 1641 dal tavolario Scipione Paterno, tra i beni feudali si trova “la difesa del Tenimento e Casalnovo Sottano”, che era gravata da 38 ducati annui da pagarsi all’abbate commendatario della Paganella, e da altri ducati 12 alla Mensa monacale dell’abbazia per il terreno della “Forestella”.[xvii] Risulta evidente che, nel passato, sia la difesa di Casalnovo che la Forestella erano state concesse dall’abbate e dai monaci dell’abbazia dei Tre Fanciulli al barone di Caccuri, il quale si era impegnato a pagare un censo annuo sulla rendita.
Lepore
La difesa di “Lepore” apparteneva all’università di Caccuri e confinava con la difesa di “Mala Herede” appartenente al monastero florense. Attraverso il passo di Lepore transitava la via pubblica che da Caccuri scendeva verso la marina. Presso il passo di Lepore vi era un mulino appartenente al monastero florense. Sempre nelle vicinanze vi era la regia salina di Lepore.[xviii]
La visita del vicario dell’arcivescovo di Santa Severina
Il 15 gennaio 1560 il vicario Giovanni Tommaso Cerasia,[xix] dopo aver visitato i luoghi pii di Cerenzia, arrivò nella notte a Caccuri. La mattina dopo iniziò la sua visita. Accompagnato dalla solita comitiva, con il capitolo e il clero di Caccuri, con il vicario generale di Cerenzia, e con l’arciprete della terra di Caccuri, il R.do Angelo Macri, entrò nella chiesa maggiore della terra, sotto il titolo di Santa Maria della Grazia.
Dapprima si recò nel coro dove è conservato il corpo del Santissimo. Vi trovò una cassettina di cipresso dentro la quale c’era una “bosciula” di legno dove era conservata l’eucarestia. Ordinò ai confrati di far costruire un tabernacolo del valore di otto scudi sopra l’altare maggiore. Quindi proseguendo, visitò la confraternita del SS. Sacramento e poi ispezionò una finestra dove erano conservati dentro vasi di peltro i tre oli sacri: l’olio santo, il santo crisma e l’olio degli infermi. Il visitatore ordinò che la lampada davanti alla finestra doveva rimanere sempre accesa. Andò poi all’altare maggiore, che era costruito in pietra.
Sopra l’altare non c’era alcuna immagine, come era stato già riscontrato nella precedente visita compiuta il primo novembre 1542 dal vescovo Bona Ventura, così il visitatore comandò nuovamente ai sacerdoti ed al clero, di farne una con l’immagine del Salvatore crocifisso e di porla sopra l’altare, e anche di rifare un paio di candelabri in ottone. Fu poi la volta della fonte battesimale in pietra. Il visitatore ordinò di fare una “casupra” di velluto. La porta maggiore della chiesa era rotta, perciò doveva quanto prima essere riparata.
Entrò poi nella sacrestia, dove trovò piccoli e pochi ornamenti, tra i quali una croce d’argento con le sue figure, un calice d’argento rotto, un turibolo vecchissimo, due cassupre e cinque vestimenti sacerdotali. Trovò, inoltre, un altro calice nuovo dorato e due corporali. Quindi visitò la cappella della Visitazione di iuspatronato dei De Martino della quale era cappellano il prete Nicola De Martino, la cappella del SS.mo Salvatore dei Mingaccio, l’altare di iuspatronato dei Girardo, del quale era cappellano Donno Nardo de Girardo, l’altare di San Leonardo dei Macri, ed il campanile con due campane. In mezzo alla chiesa c’era un crocifisso.
Quindi si diresse alla chiesa di Santa Caterina che apparteneva alla confraternita omonima e della quale era cappellano Donno Vincentio Gamuto. La chiesa aveva un altare consacrato, con un altare portatile. Aveva un avanti altare di tela “maiuto”, tre tovaglie sopra l’altare, un vestimento completo con due casupre di velluto, una violetta nuova con croce in giallo, l’altra di raso verde con figure dorate. Vi era un calice d’argento dorato, una croce grande d’argento con le sue figure, due cuscini sopra l’altare, un turibolo, un messale vetusto, due campane nel campanile. La chiesa non aveva bisogno di essere riparata. Essa possedeva il “jus sepeliendi” ed il cappellano era scelto dai confrati.
Poi il vicario si recò nella chiesa dell’Annunziata, pure della confraternita omonima, della quale era cappellano donno Joanne Maczeo. La chiesa ha lo “Ius sepeliendi”. Trovò l’altare in pietra consacrato, un altare portatile, varie tovaglie, un calice con la sua patena d’argento, dei corporali, un messale, un tintinnabolo, un vestimento completo, tre casupre, sei pianete, ecc. La chiesa era ben costruita nelle pareti e nel tetto.
Quindi visitò la chiesa di San Nicola della quale era titolare l’arciprete della Terra di Caccuri, che era Donno Angelo Macri. Vi era un altare costruito in pietra non consacrato. La chiesa non aveva beni stabili ma si reggeva sulle offerte dei parrocchiani. Tutti i sacerdoti presenti affermarono che le dette chiese non possedevano beni ma soltanto parrocchiani. Per quanto riguarda la loro riparazione, il visitatore ingiunse ai cappellani di servirle di beni secondo l’uso e la consuetudine.
Il clero era composto da: R.do Angelus Macri, arciprete di Caccuri e vicario generale di Cerenzia, Don. Joannes Maczeus, Don. Thomasio de Franco, Don. Cola de Martino, Don Jo. Petro Accepta, Don Nardo de Girardo, Don. Gregorio Yeso, Don Petro de Girardo, Don Regnante de Sergio, Don Jo. Paulo Manfreda, Don Ioanne Strati, Don Vincentio Gamuto, Don Napoli Nigro, diacono Marco Figlino, diacono Cap.no Astorino, diacono …, Don Angelo … . Finita la visita alle chiese di Santa Maria della Grazia, di Santa Caterina e di San Nicola (di quella di San Pietro non si ha notizia), il vicario con il suo seguito si diresse alla volta della terra di Verzino.
Dalla floridezza alla crisi
Durante la prima metà del Cinquecento, Caccuri ebbe un vistoso popolamento segnalato dalla tassazione dei fuochi che, in pochi decenni, raddoppiò. Furono censiti e tassati 185 fuochi nel 1521, 314 nel 1545 e 325 nel 1561 e nel 1578.[xx] L’“oppidum Cachuri” ebbe in tale periodo una fase di floridezza economica, indicata dall’aumento della sua popolazione. In seguito, però, iniziò una lunga fase di decadenza e di spopolamento. Dai 325 fuochi, come era stata tassata ancora nel 1578, passò ai 195 nell’anno 1595, per poi raggiungere 85 fuochi nel 1648. La povertà e lo spopolamento portarono alla soppressione delle due parrocchiali, per poter garantire adeguate rendite alla chiesa matrice.
All’inizio del Seicento il vescovo di Cerenzia Filippo Gesualdo così descrive la terra di Caccuri nella sua relazione del 1605: “La terra di Caccuri si bene havea molte chiese curate tutte non di meno son redutte ad una sol chiesa matrice la quale è servita dall’Arciprete, et altri curati li quali col detto Arciprete hanno la cura dell’anime per familias; e l’entrade loro sono le decime di Parrocchiani, le quali sono cossi tenue, che non sono sufficienti appena a mantenere uno sol curato, per lo che sarebbe forse espediente unir l’entrade, e la cura in un solo Arciprete, perche se farebbe il servitio d’Iddio Nostro Signore con più frutto dill’anime, et il curato viverebbe con più decenza. Vi sono ancora in detta terra altri Sacerdoti e chierici, li quali serveno alla ditta chiesa, cappille, oratorii, e compagnie. Vi è la compagnia del Santissimo Sacramento”.[xxi]
Lo stesso vescovo sette anni dopo ribadirà che “Caccuri, che fu parim.te t(er)ra insigne ma hora destrutta per il mal governo farà 800 anime governate d’un arciprete, et un altro curato l’entrade de q.li sono tenue, l’Arciprete anderà a d.ti 25 et la cura a 12. Vi sono da circa 18 sacerdoti tutti servono la Matrice ma poveri perche non vi sono beneficii né hanno patrimonio”.[xxii]
Con la soppressione della chiesa parrocchiale di San Nicola, la cura delle anime fu amministrata rispettivamente, dall’arciprete e da un parroco; ognuno di loro curò i propri parrocchiani assegnati non per circondario parrocchiale ma per famiglie. Tutti i sacramenti furono amministrati nella chiesa di Santa Maria della Grazia, o della Visitazione.
Alla metà del Seicento Caccuri è spopolata e in rovina. In una relazione del monastero di Santa Maria della Nova, si trova scritto che il monastero aveva “diversi censi minuti affissi sopra diverse case, vigne e terre situate nel territorio e confini della d.a terra di Caccuri”, ma poiché “molte d’esse case et vigne sono derute”, i monaci percepivano solo pochi ducati.[xxiii]
Dalla platea di tutti i beni, diritti e rendite, spettanti all’abbazia di San Giovanni in Fiore, compilata durante il periodo 1652-1654, ricaviamo i toponimi: “La strada della porta grande delle mura della terra”, “loco la Presa piccola”, “sotto il castello”. “La piazza”, “contrada la via pubblica”, orto posto “nel loco La Donna in cont.a La via publica”, casalino posto “in loco d.o Viani confina colla via publica”, monastero dei PP. Domenicani, D. Filippo di Luca cappellano della chiesa di S. Vito, la chiesa della SS. Annunziata, la cappella del SS.mo, la chiesa matrice, il monastero S. Maria della Nova, la cappella di S. Agostino della matrice.[xxiv]
Dai catasti onciari settecenteschi ricaviamo che l’abitato era ancora circondato da mura, anche se la presenza del toponimo “muro rotto”, indica che una parte della cinta, precisamente quella situata tra la Porta Piccola e quella della Destra, era in rovina. Sono ricordati i toponimi “Porta Piccola”, “Porta della Destra”, “Porta Nova”, “Giudecca”, “la Piazza”, “Bonasera”, “Pizzetto”, “La Misericordia”, “Sotto la Chiesa”, “Lo Castello”,[xxv] “Sopra la Piazza”, “Li Mergoli”. Continuavano le liti tra i grandi proprietari terrieri.[xxvi]
Note
[i] Russo F., Regesto, I, 3972 sgg.
[ii] Maone P., Caccuri Monastica e Feudale, 1969, p. 16. De Leo P. (a cura di), Documenti Florensi, 2001, pp. 183, 186.
[iii] ASN, Ordine Costantiniano. Platea di S. Giovanne in Fiore dell’anno 1533. ASCS, Corporazioni religiose, Abbazia florense, Platea 1652, B. 8 vol. 89.
[iv] Il primo agosto 1529 per dimissione di Donato Mauro, la chiesa parrocchiale di S. Nicola della terra di “Cachuri” è concessa ad Angelo Mauro. Rimasta nuovamente vacante, fu affidata nel dicembre 1539, all’abate Salvatore Rota. Russo F., Regesto, III, 16769, IV, 18164.
[v] Paolo III il 26 maggio 1546 concedeva all’arciprete di Crotone Gregorio Cusentino, le rendite di alcune chiese tra le quali l’arcipresbiterato di S. Martino “de Rocha Naeti” in diocesi di S. Severina, e la parrocchiale di “S.ti Petri oppidi Cachuri” in diocesi di Cerenzia. ASV, Reg. Lat. 1774, ff. 240-242v.
[vi] Jo.nes Nicolaus Ciminus della città di Taverna abitante in Caccuri, il 12 giugno 1571 dichiara che, nel passato, fece una permuta con Theodosio Oliverio, il quale gli diede una possessione nel territorio di Caccuri in località Filino, limitata “ex uno latere viam pu.cam qua itur ad ecc.am di lo Virdò et iusta poss.nem her.m q. m.ci prosperi pilusii et alios fines arboratam celsibus et aliis arboribus fructiferis”. ASCZ, Not. Marcello Santoro, Vol. II, anno 1571, f. 97v.
[vii] Filippo e Pasquale Mele, padre e figlio, possiedono un “molino di macinar grano sott’acqua e proprio quello chiamato il molino della Castagna, in territorio di Caccuri luogo detto La Castagna, confine da una parte alla fiumarella di Lepore e dall’altra il demaniale di Caccuri detto Le Portelle”. ASCZ, Busta 1737, anno 1782, f. 22.
[viii] La difesa di “Mala Erede” nella grancia di S.to Jacobo delo Virdò, appartenente all’abbazia florense, confinava: “a passo dicto de lepori et vadit per viam pu.cam versus orientem, et à parte superiori versus boream iux.a vineam adarii muti et vadit per viam pu.cam et à parte inferiori vadit ad aquam qui exit à vinea q. marii de rose”. ASCZ, Not. Marcello Santoro, Vol. II, anno 1571, f. 92.
[ix] Minico Pancalli, fattore e procuratore di Prospero Carrafa, assieme a Ioanne Cosentino, prendono in fitto “per herbaggio” la “difesa de le Pantana” in territorio di Caccuri, e ci mettono a guardia due uomini di Caccuri. Ma poi la difesa è rovinata perchè “agliandaro li porci”. I due guardiani non vogliono denunciare i padroni dei porci, se prima non riceveranno i loro denari dal Cosentino. ASCZ, Not. Marcello Santoro, Vol. I, anno 1570, f. 33.
[x] Caterina de Russo, figlia di Pompilia de Gaeta di Caccuri, porta in dote ad Andrea de Martino “la possessione seu cersito posto in detta terra di Caccuri loco detto lo Campo”. ASCZ, Not. Marcello Santoro, Vol. VI, anno 1577, f. 223.
[xi] Alexandro de Martino possedeva nel 1568 il territorio di “Cillari arboratum querquibus et aliis arboribus situm in terr.o Terrae Caccuri jux.a territorium J.nis de parisio jux.a vallonem de l’acq.a calda jux.a flumen de lepore et ripas de basiliace et alios fines”. ASCZ, Not. Marcello Santoro, Vol. XII, anno 1591, ff. 66v-67.
[xii] L’abate Salvatore Rota (1521-1544) raddoppiò il valore dei censi che ogni anno dovevano pagare coloro che avevano in fitto i beni dell’abbazia. Ad esempio, la casa e la vigna donate da Ionne Iesu furono dapprima concesse dall’abbate a Donno Ramundo Lauretta per 4 carlini annui di censo, poi passarono a Gregorio Iesu, che ne offrì 6. In seguito, l’abbate, per il pericolo che “la vigna si possa perdere”, staccò la vigna dalla casa ed infisse tutto il censo sopra la casa. Così la vigna fu concessa a Donno Angelo Macrì per 3 carlini di censo annuo e la casa a Io. Battista de Rose per 6 carlini. In tale maniera i 4 carlini annui di censo lievitarono a 9.
[xiii] ASCS, Corporazioni Religiose, B. 8, Vol. 89, ff. 65, 75.
[xiv] Il chierico Gio. Petro Castello di Caccuri possiede un “viridario” detto Santo Andrea, presso il monastero di Santa Maria del Soccorso, ed un territorio detto “La Gradia seu Scavara”. ASCZ, Not. Marcello Santoro, Vol. XI, anno 1581, ff. 11-13.
[xv] L’arcivescovo di Santa Severina Alfonso Pisani, nei primi di ottobre del 1591, commissiona all’abbate Ottavio Protospataro di procurargli del mosto. L’abbate, a sua volta, incarica i suoi nipoti, il chierico Petro Antonio de Girardo e Horatio de Martino, entrambi di Caccuri, di accordarsi con i coniugi Gioanne e Mercura de Zola, i quali possiedono una vigna in località “La Coni”. Fatto l’accordo e stabilito il prezzo, è avvisato l’arcivescovo, che deve mandare i muli per caricare il mosto. Come si sparge la notizia il mastro giurato di Caccuri Gio. Matteo Milito, l’erario Scipione Faragò e Gio. Bartolo Cimino, impediscono che si caricassero i muli, così questi ritornarono vuoti a Santa Severina. Lo stesso Gio. Bartolo Cimino “di persona con genti del castello vendemio la vigna e fe portare il musto in castello”. Nonostante che Petro Antonio de Girardo avesse offerto al mastro giurato “la valuta de detto musto et una de cinque de più per salma di quello che vale”. AASS, Fondo Arcivescovile, Volume 16A, Informatio contra Mattheum Melito magistrum juratum et Scipionem Farago Caccurii impedientes libertatem ecc.am, ff. 21-26.
[xvi] ASV, S. C. Stat. Regul. Relationes 16, Relatione del Stato del Monasterio de S.ta Maria della Nova, f. 105.
[xvii] Maone P., Caccuri Monastica e Feudale, 1969, p. 15.
[xviii] Il 27 ottobre 1629 in Policastro, il notaio Henrico de Planis di Caccuri, regio credenziere delle regie saline di monti di Melito (Miliati) e Lepore, nomina UJD Francesco Greco di Cropani residente in Napoli, suo procuratore generale e speciale. Il Greco lo rappresenterà presso tutti gli uffici nella città di Napoli. ASCZ, Busta 79, anno 1629, ff. 61v-62.
[xix] AASS, Fondo Arcivescovile, Cartella 16B, Visita della Provincia 1559-1560.
[xx] Tassata per 325 fuochi, Caccuri dovette fornire 2 carri e 32 canne e mezza di pietra per la “fabrica del belguardo del castello et de la cortina” della città di Crotone. ASN, Torri e castelli Fs. 35, ff. 18-20.
[xxi] ASV, SCC Relationes 187A, Cariaten. et Geruntin. Rel. Lim. Fra. Filippo Gesualdo, 1605.
[xxii] ASV, SCC Relationes 187A, Cariaten. et Geruntin. Rel. Lim. Fra Filippo Gesualdo, 1612.
[xxiii] ASV, Relatione del Stato del Monasterio de S.ta Maria della Nova, S. C. Stat. Regul. Relationes 16, f. 105.
[xxiv] ASCS, Corporazioni Religiose, B. 8, Vol. 89.
[xxv] Nel luglio 1624 il mastrogiurato di Caccuri Gio. Domenico Petitto, assieme ai servitori del barone Gio. Battista Cimino, Noe Tavernise, Gio. Gatt.a Mancusi, Agostino di Leto e Paolo Infantino, portano nel carcere criminale del castello del barone, Gio. Battista Cimino, Cataldo Vetrano e Horatio Vetero di Altilia, accusati di aver evaso un debito.
[xxvi] Il 23 gennaio 1722 il cardinale Innico Martino Caracciolo, abate commendatario di S. Giovanni in Fiore, chiede l’intervento dell’arcivescovo di Santa Severina Nicolò Pisanelli, contro il Duca di Caccuri Marzio Cavalcanti, il quale “abbia di propria autorità fatta seminare da una tumulata e più di terra in una Grangia della Badia di S. Gio. in fiore, in un luogo detto il Verdò, il quale và unito con altre terre Abbaziali dette li Cotturi, dove la Badia hà il ius arandi e di esiggere il terraggio per metà di quello vi si semina”. AASS, Fondo Arcivescovile, Vol. 65A.
Creato il 29 Marzo 2015. Ultima modifica: 27 Maggio 2024.