Il palazzo arcivescovile e il seminario di Santa Severina
Il palazzo arcivescovile
L’arcivescovo Alessandro della Marra (1488-1498) rifece quasi dalle fondamenta il palazzo arcivescovile che, a causa dell’antichità, era decadente.[i] Si sa che il “Cardinale di Santa Severina”, l’arcivescovo Giulio Antonio Santoro (1566-1572), costruì contiguo al palazzo, l’archivio della chiesa, dove fece conservare, non solo i documenti riguardanti la mensa arcivescovile, ma anche quelli delle chiese e luoghi pii sotto la sua giurisdizione, che aveva recuperato “con gran fatica, e dispendio”. Al tempo del suo successore, l’arcivescovo Francesco Antonio Santoro (1573-1586), il palazzo minacciava rovina, così quest’ultimo tentò di munirlo “di speroni e ripari”.[ii]
Da testimonianze rilasciate in Napoli da alcuni abitanti di Santa Severina nel giugno 1586, essendo la sede arcivescovile vacante, per trasferimento dell’arcivescovo Francesco Antonio Santoro alla chiesa di Acerenza, siamo informati sullo stato della costruzione. I testimoni sono concordi nell’affermare che “L’habitatione di detta cathedrale di S. Severina è antiqua, però è comoda e Mons. Arcivesc(ov)o il S.r Francisco Antonio Santoro l’ha molto ampliata et accomodata, di modo che è beniss(im)a habitatione per l’arcivesc.o”, ed ancora che, pur essendo antica, “è competente per quelli paesi, e per l’arcivescovo che per tempo ci habita”.[iii]
Da una relazione dell’arcivescovo Alfonso Pisano di pochi anni dopo, sappiamo che Francesco Antonio Santoro, dopo aver iniziato l’opera di restauro dell’antico palazzo arcivescovile, si rese conto che, nonostante gli interventi di miglioramento, l’opera non risultava soddisfacente e adeguata. Perciò decise di iniziare un nuovo palazzo accanto al vecchio. Quando il Santoro lascerà la città la costruzione non era stata ancora completata. Essa sarà proseguita dall’arcivescovo successore Alfonso Pisano (1587-1623), il quale nel 1589 affermava, che ormai l’opera era giunta quasi a buon fine e che egli vi aveva già impiegato una grande somma di denaro.[iv]
All’inizio del Seicento il nuovo palazzo era stato completato ed abbellito, e per far ciò l’arcivescovo aveva dovuto sborsare di suo “molta spesa”, non solo per la costruzione, ma “massime all’intempiature, et in far depingere alcune camere di esso di alcune historie del testamento nuovo et vecchio”.[v] Il palazzo arcivescovile attorniava la chiesa con i suoi cortili e le sue sale molto ampie e decorose. Esso conteneva l’archivio dove erano conservati i contratti e le scritture riguardanti la chiesa e la mensa arcivescovile, e gli atti riguardanti i luoghi religiosi della diocesi.[vi]
In seguito, l’edificio andò in decadenza. L’arcivescovo Fausto Caffarelli (1624-1651) al suo arrivo lo descrive in abbandono, fatiscente per la vecchiaia e minacciante rovina. Egli lo restaurò in ogni sua parte ed, inoltre, messo da parte un altare, fece costruire un nuovo braccio dalle fondamenta, in modo tale che il palazzo, già aperto da un altro lato, potesse essere completato e chiuso.[vii] Lo stesso arcivescovo ritornerà a ripararlo alcuni anni dopo, in quanto l’edificio era stato scosso dal terremoto del 1638.[viii] La situazione però non dovette migliorare di molto, in quanto l’arcivescovo Antonio Paravicini (1654-1659), nel descrivere i due palazzi arcivescovili, sia quello di antica costruzione, che quello più recente, li trovò bisognosi di restauri e di una migliore riorganizzazione degli spazi.[ix]
La situazione con il tempo peggiorò ed al suo arrivo, l’arcivescovo Francesco Falabella (1660-1670) troverà che le sedi arcivescovili, pur essendo molto ampie e magnifiche, avevano in parte il tetto mancante di tegole, i pavimenti erano qua e là affossati, le finestre e le porte quasi in ogni parte, o bruciate dal fuoco, o in parte mancanti. Ciò era potuto avvenire per la quasi continua assenza del suo predecessore ed a causa della sua morte. Perciò trovò le stanze quasi inabitabili e dovette ricostruirle nuovamente, ed in special modo dovette riparare una sala distrutta vicino al cortile, e ridurre in migliore forma e rendere molto decoroso, un ampio ma rustico salone. Egli, infatti, non solo fece dipingere il soffitto con vari colori e con pitture sacre, ma anche con scene di storia sacra.[x] Il palazzo si presentava così ampliato con le numerose stanze, sia inferiori che superiori, e comodamente congiunto alla cattedrale; esso era inoltre situato nel luogo più elevato e pianeggiante della città.[xi]
I lavori di miglioramento saranno ripresi dall’arcivescovo Carlo Berlingieri (1679-1719),[xii] il quale poco dopo il suo insediamento, così lo descrive: Il palazzo arcivescovile spazioso e comodo gira attorno alla cattedrale e fu da me riparato. Esso fu abbellito con magnifiche scale di pietra di Policastro, non dissimile dal tiburtino. In una sala, che ho incominciato ad ampliare, ho aperto una via per la quale al coperto l’arcivescovo unendosi al capitolo discende comodamente in chiesa per adempiere alle sacre funzioni. Nel palazzo c’è l’archivio, i contratti e le scritture riguardanti la chiesa e la mensa arcivescovile e tutti gli atti riguardanti la città, la diocesi e tutta la provincia, che sono custoditi con grandissimo vantaggio per gli abitanti ed il clero. Nello stesso risiede il vicario generale quando amministra la giustizia.[xiii]
Così l’edificio è descritto nell’apprezzo del 1687: “A canto a detta Chiesa Arcivescovile e proprio dove si dice il Campo vi è il palazzo arcivescovale con cortiglio, ed uno appartamento nobile, con sala e camere con intempiature e quarto infoderato, quali camere circondano la chiesa arcivescovile da due lati, di modo che son due palazzi posti assieme, vi sono due portoni principali uno verso il Campo e l’altro verso il Seminario”.[xiv]
L’arcivescovo Nicolò Pisanelli (1719-1731) trovò che le molte stanze del palazzo a causa della antichità erano quasi rovinate. Egli con il denaro della sua mensa curò rifarle ed ampliarle, anzi ornò con pitture l’intero palazzo, sia all’interno che all’esterno, e lo fornì di utili e necessarie suppellettili.[xv] Dal palazzo, dove vi erano l’archivio, la cancelleria ed il carcere, si accedeva alla metropolitana per due vie: una lo metteva in comunicazione con la cappella del SS.mo Crocifisso, l’altra portava alla cappella di San Leone.[xvi] Al tempo dell’arcivescovo Antonio Ganini (1763-1795), il palazzo risultava abbandonato da una parte, senza porte, finestre, soffitti e, dall’altra, con la spesa di mille ducati l’arcivescovo fece rifare il vicino giardino in nuova forma, lo circondò con una parete e lo ornò con una nuova cappella.[xvii]
Il seminario
Il seminario fu eretto dall’arcivescovo Giulio Antonio Santoro (1566-1573), detto il Cardinale di Santa Severina. Quando era arcivescovo della città, egli comprò un palazzo vicino alla cattedrale, “l’accrebbe di fabrica” e lo dotò con una rendita annua di circa 140 ducati, provenienti da alcuni benefici.[xviii]
Pochi anni dopo l’edificio, contiguo alla cattedrale, risulta “claustrato” ed amministrato da un rettore, ed in esso possono starci “da quattordici a sedici scolari”, i quali sono istruiti da maestri nelle lettere greche e latine, nella musica e nel canto.[xix]
All’insediamento dell’arcivescovo Alfonso Pisano (1587-1623), l’edificio accoglie 28 chierici, provenienti dalla città e dai paesi della diocesi; ognuno con un suo letto. Vi sono quattro maestri: uno di grammatica latina, che è anche rettore, uno di grammatica greca, uno di musica ed uno di logica e filosofia. Poiché le entrate di cui gode fin dalla istituzione, non sono sufficienti per il mantenimento di coloro che vi dimorano, l’arcivescovo “non manca di procurarci dell’elemosine per tutta la diocese, e massime al tempo della raccolta; vi applica le pene che ci occorreno, si bene sono rare, e di poco momento, e nelle necessità ci soccorre del suo”. Per quanto riguarda i chierici, essi “vivono conforme alle loro constitutioni in continua clausura, né escono mai senza licenza, o in compagnia de’ maestri, ò procuratori: cantano ogni venerdì matino in chiesa le litanie del nome di Giesù, et ogni sabbato à sera quelle della Beata Vergine con la Salve Regina et altri mottetti in musica: dicono ogni dì di festa, e Domenica in choro dopo l’ufficio del Sig.re quel della Beata Vergine, et al vespro fanno l’istesso, recitando anco al tardi l’ufficio de defonti: si confessano, e communicano ogni Domenica, et in tutte le feste solenni: alcuni a ciò deputati servono alle messe, e si trovano presenti à tutti li comunioni, estremiontioni, et esequie de’ defonti: ascoltano ogni dì messa, e si essercitano ogni sera per meza hora all’horatione mentale, il che anco si fa in casa di Mons.r Arcivescovo, e per la maggior parte delle case della città e diocese ad un segno di campana, havendovi introdotto questo laudabile costume l’arcivescovo Francesco Antonio (Santoro) per ordine e volontà del detto S.r Cardinale, il quale vi procurò alcune indolgenze dalla felice memoria di Gregorio XIII.”[xx]
L’arcivescovo Alfonso Pisano mostrerà grande interesse ed attenzione al seminario per tutto il periodo in cui resse l’arcidiocesi, contribuendo anche col proprio denaro al mantenimento dei seminaristi e dei loro maestri,[xxi] assicurando sempre a tutti la scuola, il vitto ed il vestire.[xxii]
In seguito, la situazione peggiorò, soprattutto a causa dei lunghi periodi di assenza dell’arcivescovo Fausto Caffarelli (1624-1651). L’arcivescovo Antonio Paravicini (1654-1659) descriverà il seminario composto da alloggi poco comodi ed estremamente miseri. Inoltre, le entrate annue valutate in circa 200 ducati, risultavano solo sulla carta, in quanto erano di difficile esazione.[xxiii] Al suo arrivo l’arcivescovo Francesco Falabella (1660-1670) troverà un edificio che minacciava da ogni parte rovina e molto angusto, in quanto composto da sole tre piccole celle di forma quadrata, e larghe dieci piedi, dove quindici alunni erano costretti ad alloggiare e dormire assieme con il maestro. Poiché c’era bisogno di un sollecito intervento di restauro, egli chiese al papa di rimandare per un anno gli alunni alle loro famiglie e di utilizzare le rendite per riparare l’edificio, ampliarlo e renderlo in forma migliore.[xxiv] Ottenuto il permesso, il presule si applicò alla riedificazione, ma poiché non potette finire l’opera entro l’anno, proseguì nei lavori anche l’anno successivo. Egli lasciò un nuovo e più ampio edificio, simile ad un chiostro, in forma quadrata, lungo cento e cinquanta piedi dalla parte davanti, ottanta a settentrione e settanta a meridione; capace di ospitare degnamente sia i quindici alunni, che i cinque convittori, con i maestri di grammatica e di canto gregoriano.
L’edificio, situato presso la cattedrale e al palazzo arcivescovile, dai quali lo separava solo la via, era composto da dormitorio, con un soffitto di tavole di abete a quadrangoli divisi, portico, atrio, giardino, due cisterne, ginnasio, refettorio, cucina e dispensa. L’arcivescovo si premurò di fornirlo anche di ogni utensile necessario e vi fece congiungere la vicina chiesa di Santa Caterina, che fu lasciata dalla confraternita omonima, trasferitasi con l’ospedale nella chiesa del SS. Salvatore. Nella chiesa gli alunni poterono così recitare ogni giorno l’officio e la terza parte del rosario.[xxv]
Così sarà descritto alcuni anni dopo l’edificio: “Segue vicino detta Chiesa (cattedrale), e proprio all’incontro ad uno di detti Palazzi (arcivescovili) il Seminario di buona capacità, con camere in piano alla strada ed un giardinetto; nel quale Seminario vi sono dodici alunni, ed altri sette convittori; e attaccato a detto Seminario vi è la Chiesa di S. Caterina Vergine e Martire, della quale si servono i Seminaristi per Oratorio”.[xxvi]
Bisognerà attendere l’inizio del Settecento per ritrovare un nuovo radicale intervento sull’edificio. L’arcivescovo Carlo Berlingieri (1679-1719) negli ultimi anni della sua vita, si interessò alla ricostruzione ed al rilancio. Preso atto che l’edificio era decadente e che gli scolari abitavano in anguste, oscure ed umide celle, con grave pericolo per la loro salute, decise di ricostruirlo dalle fondamenta. Tra il 1712 ed il 1716 i lavori proseguivano. Senza interrompere la scuola ed il convitto, il Berlingieri procedette e riuscì a portare a termine, a sue spese, un edificio più ampio e più comodo.[xxvii]
Nonostante questi interventi, con il passare del tempo il seminario rischiava di rimanere deserto. Se alla fine del Seicento ospitava ancora 15 alunni ed alcuni convittori,[xxviii] alla metà del Settecento la presenza si era ridotta a soli sette alunni.[xxix] Inoltre, per un lungo periodo dell’anno esso rimaneva chiuso, a causa del pericolo della malaria che, dall’estate all’autunno, affliggeva la città.[xxx] L’arcivescovo Antonio Ganini (1763-1795) cercò di rilanciarlo, qualificandolo. Poiché le rendite annue assieme alle contribuzioni, non eccedevano i duecento ducati, e quindi erano insufficienti per pagare lo stipendio a rettori, lettori ed amministratori adatti e competenti, egli chiese invano al papa di accrescere le rendite, unendovi quelle dei benefici di S. Pietro de Niffis e di S. Giovanni Minagò.[xxxi]
Bisognerà attendere il successore Pietro Fedele Grisolia (1797-1809), che otterrà un “aumento vistoso” delle rendite, e la fornitura “di una libreria assortita di buoni autori in ogni genere di scienze”.[xxxii] Potenziamento che proseguì durante l’arcivescovato di Ludovico del Gallo, quando furono aggiunte le rendite delle abbazie di S. Cosmo e Damiano di Nicastro, di San Pietro de Niffi di S. Severina, e ducati 200 annui, provenienti dalle rendite della abbazia di S. Maria del Mito della diocesi di Ugento. Il tutto fu ottenuto dal governo.[xxxiii]
n.b. La foto dell’anteprima è da ciaocrotone.it
Note
[i] Ughelli F., Italia sacra, IX, 485.
[ii] Relatione dello stato della chiesa metropolitana di Santa Severina, 1589.
[iii] ASV, Visitatio Ap.lica – Sanctae Severinae, 1586, SCC Visit. Ap. 90.
[iv] Relatione dello stato della chiesa metropolitana di Santa Severina, 1589.
[v] Relatione dello stato della chiesa arcivescovale di Santa Severina, 1603.
[vi] ASV, Rel. Lim. S. Severina., 1625.
[vii] ASV, Rel. Lim. S. Severina., 1633.
[viii] ASV, Rel. Lim. S. Severina., 1645.
[ix] ASV, Rel. Lim. S. Severina., 1656.
[x] ASV, Rel. Lim. S. Severina., 1666.
[xi] ASV, Rel. Lim. S. Severina., 1675.
[xii] L’arcivescovo Carlo Berlingieri: “Restaurò anche il Palazzo Arcivescovile, e il suo nome si legge sulla porta di esso, inciso sulla pietra, in ricordo delle ingenti somme che vi spese. A Lui è dovuta la grande Sala degli Stemmi degli Arcivescovi, e sotto gli stemmi fece scrivere un breve cenno del loro Presulato, o un ricordo della lunga serie di essi, che comincia dal VI od VIII secolo”. Capialbi V., La continuazione all’Italia Sacra dell’Ughelli per i Vescovadi di Calabria, ASC, II (1914) p. 184.
[xiii] ASV, Rel. Lim. S. Severina., 1685.
[xiv] Un apprezzo della Città di Santa Severina, in Scalise G. B. (a cura di), Siberene, Cronaca del Passato per le diocesi di Santaseverina – Crotone – Cariati, p. 104.
[xv] ASV, Rel. Lim. S. Severina., 1725.
[xvi] ASV, Rel. Lim. S. Severina., 1765.
[xvii] ASV, Rel. Lim. S. Severina., 1781.
[xviii] Relatione dello stato della chiesa metropolitana di Santa Severina, 1589.
[xix] ASV, Visitatio Ap.lica – Sanctae Severinae, 1586, SCC Visit. Ap. 90.
[xx] Relatione dello stato della chiesa metropolitana di Santa Severina, 1589.
[xxi] “Servono nella med.a chiesa da venti altri chierici del seminario che sono alimentati la maggior parte de l’anno dall’arcivescovo, per haver poca entrada il d.o seminario … (vi è) un particolar maestro di musica per li figliuoli solamente del seminario con salario di cinquanta scudi che li dona l’arcivescovo, oltre la tavola, et altri emolumenti … Li clerici del seminario ogni venerdì mattina inanzi al SS.mo Sacramento cantano le litanie del Sig.re et ogni sabbato la sera quella della Beata Vergine inanzi al suo altare con la Salve regina et altri mottetti in musica. Dicono ogni giorno di festa l’officio della Beata Vergine cantato in choro dopo cantato quel del giorno da canonici, et il simile fanno alle vesperi, et dicono anco ogni lunedi mattina l’officio di defonti nella cappella di S. Leone. Andano a tutte le processioni, et massime ad accompagnar il SS.mo Sacramento all’infermi, et alle estreme untioni, et essequie di defonti. Ogni mattina ascoltano messa, et ogni sera per un hora si essercitano in oratione vocale, et mentale, conforme si fa in casa dell’arcivescovo, da esso, et da tutti i suoi creati e fameglia, quando si dà segno d’una campana di detta arcivescovale chiesa. Di più li p.ti clerici si essercitano nella dottrina christiana, recitandola ogni festa in chiesa, come anco li fig.li nelle Parochie”. Relatione dello stato della chiesa arcivescovale di Santa Severina, 1603.
[xxii] ASV, Rel. Lim. S. Severina., 1615.
[xxiii] ASV, Rel. Lim. S. Severina., 1656.
[xxiv] ASV, Rel. Lim. S. Severina., 1660.
[xxv] ASV, Rel. Lim. S. Severina., 1666.
[xxvi] Un apprezzo della Città di Santa Severina, in Scalise G. B. (a cura di), Siberene, Cronaca del Passato per le diocesi di Santaseverina – Crotone – Cariati, p. 104.
[xxvii] ASV, Rel. Lim. S. Severina., 1712, 1716.
[xxviii] ASV, Rel. Lim. S. Severina., 1685.
[xxix] Nel 1735 nel seminario vi erano 12 alunni chee nel 1744 erano scesi a 10. ASV, Rel. Lim. S. Severina., 1735, 1744.
[xxx] ASV, Rel. Lim. S. Severina., 1741.
[xxxi] ASV, Rel. Lim. S. Severina., 1765.
[xxxii] Capialbi V., La continuazione all’Italia Sacra dell’Ughelli per i Vescovadi di Calabria, ASC, II (1914), p. 191.
[xxxiii] Capialbi V., La continuazione all’Italia Sacra dell’Ughelli per i Vescovadi di Calabria, ASC, II (1914), p. 194.
Creato il 16 Marzo 2015. Ultima modifica: 12 Luglio 2023.