Cap. 1 Cap. 2 Cap. 3 Cap. 4 Cap. 5 Cap. 6 Cap. 7 Cap. 8 Cap. 9
Colonie e colonizzatori
L’arrivo di emigranti da oltre mare, costituisce una realtà che ha interessato il territorio di Crotone da epoche molto remote, fino a diventare la cronaca dei nostri giorni. In questo senso, l’arrivo degli Achei potrebbe essere considerato solo come uno dei tanti episodi di questo tipo. Esso dimostra invece una sua specificità, che non è tanto legata ad un generico episodio di nuovo popolamento del territorio, ma soprattutto ad una sua netta e repentina trasformazione che, seppure spesso enfatizzata in funzione di generiche prerogative di civilizzazione solitamente attribuite ai Greci, dimostra di aver rappresentato l’origine del lungo processo che portò all’affermazione della civiltà occidentale in Europa. Quest’importante implicazione, legata all’arrivo dei Greci in Italia, non deve far perdere di vista la reale dimensione degli avvenimenti che, in ogni caso, non furono determinati da uomini che avevano l’intenzione di dare lezioni di filosofia a degli sprovveduti, ma che erano fermamente intenzionati a procurarsi i mezzi per condurre la propria esistenza. E’ infatti facile in questo caso, il rischio di enfatizzare e conseguentemente di travisare i fatti, a partire da quelli che vengono riassunti con il termine di “colonizzazione”, che non solo è pertinente a ben altri momenti storici, ma induce, inevitabilmente, una serie di implicazioni errate che hanno poco a che vedere con l’arrivo dei Greci in Italia. Nel caso della fondazione di Crotone, come in altri, si parla comunemente di colonie e seppure anche noi continueremo ad utilizzare questo termine per facilità di esposizione, bisogna evidenziare che esse furono delle nuove realtà autonome rispetto a quelle di origine che i Greci avevano lasciato. Questi ultimi, a differenza di quanto fecero per esempio Spagnoli e Portoghesi a partire dalle scoperte di Cristoforo Colombo, non conquistarono delle nuove terre nel nome e per conto della loro patria d’origine, ma crearono dei nuovi stati completamente indipendenti. Per i Greci, poi, non si trattò di compiere nessuna scoperta geografica, in quanto, come abbiamo visto, essi conoscevano molto bene la terra che li attendeva al di là del mare.
L’epoca della fondazione
Chiariti questi aspetti, la prima cosa da stabilire è rappresentata dalla definizione dell’epoca dei fatti. La data di fondazione di Crotone è indicata dalla tradizione attraverso due accostamenti, riferiti rispettivamente alla nascita di Sibari e Siracusa. Secondo la versione armena del Cronicon di Eusebio, Crotone fu fondata contemporaneamente a Sibari nel 708-707 a.C., una data che è sostanzialmente confermata dalla versione di Girolamo (709-708 a.C.) e da Dionigi di Alicarnasso[1] che individua la fondazione di Crotone nel terzo anno della XVII^ Olimpiade (709-708 a.C.). La contemporaneità con la fondazione di Siracusa (il 734-733 a.C. secondo diversi autori antichi), è invece riferita da Strabone[2] e da Pausania[3]. Nella loro valutazione, gli studiosi moderni sono divisi tra chi ritiene più verosimile la data più antica e chi invece attribuisce maggiore attendibilità a quella più recente. Tali valutazioni poggiano su considerazioni che tengono conto di una serie di aspetti complessivi, che non hanno ancora prodotto una versione unanime. Senza entrare nel merito della questione, allo stato attuale possiamo circoscrivere gli eventi alla seconda metà del sec. VIII a.C., come sembrano confermare le indagini archeologiche che mettono in relazione conseguente l’arrivo dei Greci con la crisi che in questo periodo investe la civiltà delle popolazioni residenti lungo tutto l’arco ionico della Calabria[4]. Se la definizione di una data precisa appare una questione sufficientemente circoscritta, molti altri aspetti della nascita della città sono più controversi ed incerti. Gli elementi che abbiamo a disposizione per tentare una ricostruzione, sono rappresentati dai miti relativi agli eroi fondatori, da quelli che riguardano l’origine degli Achei e da qualche altro aspetto che proveremo ad analizzare.
I miti degli eroi fondatori
La comprensibile importanza che è possibile riferire all’atto di fondazione di una città, fa sì che i racconti leggendari che descrivono la nascita di Crotone siano abbastanza circostanziati. Secondo quello di Diodoro Siculo[5], Ercole, attraversando l’Italia con la mandria dei buoi sottratti a Gerione durante la sua decima fatica, uccise Lacinio mentre tentava di rubargli il bestiame, uccidendo però, accidentalmente, anche Crotone. Per quest’ultimo organizzò magnifici funerali, erigendogli una tomba e predicendo che in quel luogo sarebbe nata un giorno una città chiamata con il suo nome. La favola di Ercole e Crotone è menzionata anche da altri[6] tra i quali Servio, il cui racconto precisa che Lacinio avrebbe sconfitto Ercole scacciandolo dai suoi domini, ed avrebbe innalzato un tempio a Hera in segno di ringraziamento[7]. Questi racconti, che insistono sulla figura di Ercole, non costituiscono comunque, un’esclusiva riguardante la fondazione di Crotone, ma il racconto delle sue gesta ricalcato coinvolgendo personaggi locali diversi, si ritrova collegato a numerose altre realtà. Anche a Roma, per esempio, Ercole è autore di un episodio analogo, dove subisce il furto dei buoi da parte di Caco che uccide fondando il culto dell’Ara Maxima nel foro boario. A testimonianza dell’uso di uno schema prefissato, Conone riproduce per Locri l’episodio riferito da Diodoro siculo relativo a Crotone con il medesimo svolgimento, sostituendo semplicemente le figure di Lacinio, Crotone e Laura con quelle di Latino, Locro e Laurina[8]. In questo caso Locro (che in parallelo possiamo considerare lo stesso Crotone) è presentato come fratello di Alcinoo e figlio di Feace re di Corcira che, alla morte del padre, sarebbe emigrato in Italia, dove sarebbe stato accolto da Latino (Lacinio) che gli avrebbe dato in moglie la figlia Laurina (Laura). Secondo un’altra versione[9], dove i Crotoniati sono definiti “figli di Laureta”, Crotone sarebbe giunto fuggiasco in Italia, dove avrebbe preso in moglie Laura/Laureta, figlia di Lacinio. In via generica, possiamo affermare che tali ricostruzioni si limitano ad individuare, sinteticamente, una realtà precedente a quella che vedrà protagonisti i coloni, dove si evidenzia la presenza di comunità alle quali si attribuiscono, per le ragioni che sono già state messe in evidenza, origini che coinvolgono la Grecia proto storica. Esse, inoltre, nell’ambito dei contatti segnalati durante l’età dei metalli, mettono in luce il ruolo strategico di Corcira (Corfù) per la navigazione verso occidente. Per comprendere meglio queste rappresentazioni è comunque necessario approfondire il significato dei culti che i Greci riservavano agli eroi fondatori. Possiamo dire che gli eroi erano delle divinità e che le favole che raccontano le loro gesta, sono state inventate dalla tradizione greca per rappresentare la realtà storica della nascita della comunità cittadina. In questo caso, considerato che i personaggi coinvolti sono spesso numerosi, ogni eroe rappresenta una tappa di questo processo. Nel nostro caso la prima tappa è rappresentata dalla favola che coinvolge Lacinio e Crotone e che attraverso il racconto della loro uccisione da parte di Ercole, tramanda la conquista del territorio da parte dei Greci. Secondo lo svolgimento del mito, l’elemento greco rappresentato da Ercole, impone e stabilisce (attraverso l’uso legittimo della violenza), un nuovo ordine sociale che è rappresentato dalla predizione della nascita della città. Attraverso questa predizione verrà in futuro giustificato l’arrivo degli Achei che fonderanno la città, compiendo la volontà divina dell’eroe ed adempiendo al suo volere. A queste conclusioni si giunge anche analizzando le diverse variazioni di questo mito, come nel caso dell’episodio che coinvolge Ercole e Miscello, il personaggio al quale la tradizione attribuiva il merito di aver guidato la spedizione degli Achei a Crotone. Ercole, infatti, apparso in sogno a Miscello, gli avrebbe imposto di adempiere al suo volere e di andare a fondare una città nel luogo predestinato segnato dalla tomba di Crotone presso il fiume Esaro[10]. Seppure questa tradizione individui presso l’Esaro la tomba di Crotone, il luogo sacro attraverso il quale viene rappresentata la legittimità della conquista, lo scenario complessivo nel quale è ambientato l’episodio, coinvolge il capo Lacinio e non solo il luogo che ospiterà le case degli Achei. Non deve sembrare strano che nella favola sia coinvolto direttamente un luogo fisico diverso da quello sul quale sorgerà il nucleo urbano della città. Attraverso tale rappresentazione, ci viene tramandato solo il primo passaggio del processo che porterà alla sua fondazione. Esso riguarda un periodo in cui la città ancora non esiste, che fa solo da premessa ideologica al successivo arrivo degli Achei. La tradizione sottolinea, in questo modo, lo spazio politico della città che costituisce una realtà unica con il suo territorio e di cui il capo Lacinio rappresenta in questo senso, uno dei punti significativamente più importanti. Oltre al racconto mitico di Crotone, la sacralità del territorio della città, legata alla presenza della tomba di un eroe, è sottolineata attraverso il ricordo di Achille, che secondo il racconto di Licofrone, sarebbe stato sepolto sul capo Lacinio[11]. Questo fatto costituisce la tappa successiva a quella che abbiamo appena descritto che, sempre attraverso uno schema consueto alla tradizione greca, coinvolge gli eroi di ritorno dalla guerra di Troia. Nel nostro caso, tale rappresentazione verte principalmente sulle figure di Achille e di Filottete, ma contempla la presenza anche di altri personaggi (Menelao e Enea) per motivi che analizzeremo in seguito[12]. I miti che descrivono le gesta di questi eroi, sottolineano il ritorno dei Greci nel luogo predestinato, dove essi si rendono autori di un secondo passaggio nella storia della nascita della città. Essi sono i leggendari guerrieri che popolano la tradizione cantata da Omero, che entrano in contatto con i barbari per attuare la loro civilizzazione con la quale, in definitiva, si sottintende la loro conquista. Questa civilizzazione condotta con le armi, viene ambientata dal mito in un’epoca più antica rispetto a quella che vedrà effettivamente l’arrivo dei coloni Achei, perché anch’essa, come i miti che coinvolgono Ercole, tende a creare una tradizione che giustifichi e legittimi la nascita della città. Un aspetto importante che riguarda Achille e Filottete è che essi sono entrambi eroi Tessali. Quest’aspetto comune non è casuale, ma costituisce un riferimento molto importante ad una origine che doveva essere molto sentita sia dai Crotoniati che dagli altri Achei[13].
I coloni Achei
Dopo l’intervento degli eroi, la tradizione ci fornisce l’ultimo passaggio relativo alla nascita della città, quello che vede protagonisti i coloni. Soffermiamoci su di loro e cerchiamo di rispondere ad alcuni interrogativi che ci viene spontaneo sollevare. In primo luogo chi erano e da dove venivano? In merito all’identità dei coloni, possiamo dire che le fonti sono sostanzialmente concordi nell’attribuire la fondazione di Crotone agli Achei[14], che sarebbero stati guidati da Miscello nativo di Ripa in Acaia, una regione montuosa e poco ospitale posta lungo il golfo di Corinto nel Peloponneso settentrionale. Questa sostanziale uniformità di vedute ha comunque alcune significative eccezioni. Secondo Pausania[15], Crotone sarebbe stata fondata dagli Spartani durante il regno di Polidoro, mentre Erodoto[16] riferisce una versione che sembra divergere nettamente dalla tradizione che accredita gli Achei e che sembra contraddirsi con un altro passo dello stesso autore[17], dove egli riporta testualmente che i Crotoniati erano di razza achea.
“Quale lingua parlassero i Pelasgi, non potrei dirlo con esattezza; ma se si deve trattarne, argomentandolo da quelli che ancora rimangono dei Pelasgi che, sopra i Tirreni, abitarono la città di Crotone ed erano un tempo vicini a quelli che ora si chiamano Dori (abitavano allora il paese che ora è chiamato Tessagliotide), e di quei Pelasgi che, sull’Ellesponto, colonizzarono la città di Placia e Scilace e abitarono insieme agli Ateniesi, e da tutte quelle città che erano pelasgiche e poi cambiarono nome, se si deve, dunque, parlarne basandosi su queste congetture, i Pelasgi parlavano una lingua barbara. E se tale era la condizione di tutta la schiatta pelasgica, il popolo ateniese, che ad essa apparteneva, quando passò tra i Greci, dovette anche imparare un’altra lingua. Infatti, neppure gli abitanti di Crotone hanno comunanza di lingua con quelli che ora stanno loro intorno, e così quelli di Placia, che parlano come i Crotoniati e danno in tal modo dimostrazione che essi conservano gelosamente quella particolare lingua che portarono con se quando trasmigrarono nelle attuali loro sedi“.
Tralasciando per il momento la testimonianza di Pausania e soffermandoci sulla comprensione di quella di Erodoto, il primo passo è quello di riprendere quanto abbiamo esposto a proposito degli Achei e dei Pelasgi. Possiamo riassumere che gli Achei erano arrivati in Grecia durante il bronzo antico (XVIII secolo) dando luogo, durante il periodo compreso tra il XVI ed il XII secolo, alla civiltà Micenea rappresentata nei poemi epici, dove Omero (utilizzando anche altri nomi) chiama Achei tutti i Greci che parteciparono alla guerra di Troia. In questo caso, come Achei possiamo identificare, seppure genericamente, gli abitanti della Grecia in epoca micenea. Sostanzialmente diversa appare la situazione all’epoca della fondazione della città, dove per Achei debbono essere intesi gli abitanti dell’Acaia peloponnesiaca che, coerentemente con la loro antica provenienza settentrionale, la tradizione (non senza eccezioni) considerava originari della Tessaglia. I Pelasgi rappresentano, invece, una fase leggendaria, non solo più remota di quella riferibile agli Achei ed agli altri popoli di razza indoeuropea, ma anche barbara (e quindi pre-greca) come abbiamo visto nella nostra analisi, come riferisce Strabone, quando li colloca in una fase ancora caratterizzata dal nomadismo[18] e come testimonia Erodoto, quando dice che essi non parlavano greco. Anche i Pelasgi, nel mito che li accompagna, avevano comunque nella Tessaglia uno dei luoghi più significativi legati alla loro tradizione[19]. La citazione di Erodoto è a questo punto comprensibile, in quanto non si contrappone alla versione generalizzata che vuole Crotone fondata dagli Achei (egli stesso lo riporta esplicitamente), ma legandosi alla tradizione che indica gli Achei originari della Tessaglia, ha lo scopo di chiarire un aspetto remoto. Ciò si capisce dal contesto trattato dallo storico, che nel passo citato, descrive la situazione nota ai suoi tempi riferendola alle origini. Quanto ci dice Erodoto in merito all’origine dei Crotoniati, fa infatti esplicito riferimento alla sede abitata dai loro antenati, prima che venisse abbandonata dietro l’invasione dei Dori. A seguito di quest’avvenimento, gli Achei dei regni micenei (compresi quelli che abitavano la Tessagliotide) furono in parte costretti ad emigrare, raggiungendo le aree montuose lungo il golfo di Corinto, la regione del Peloponneso settentrionale che, successivamente al loro arrivo, assumerà il nome di Acaia. In epoca storica, gli Achei dell’Acaia, ai quali è attribuita la fondazione di Crotone e delle altre colonie che vengono chiamate achee, sono quindi da considerare i discendenti degli Achei dei regni micenei, che furono sospinti nel Peloponneso dall’invasione dorica. In definitiva, secondo Erodoto, i Crotoniati avevano una antica origine pre dorica riferibile ai leggendari Pelasgi. Considerato che questa tradizione affonda le sue radici in un mito dai contorni sfumati, che riferisce addirittura di una fase primordiale, essa non sembra per questo storicamente praticabile per approfondire ulteriormente l’origine dei coloni. Risulta viceversa, fondamentale per chiarire una serie di avvenimenti successivi che vedranno protagonista la città. L’origine pelasgica, tirata in ballo da Erodoto, dimostra infatti di essere utilizzata in chiave polemica nei confronti delle realtà di origine dorica, in quanto si evidenzia in una fase (la metà circa del V secolo) nella quale da una parte Sparta e Atene si contrapporranno violentemente, coinvolgendo larga parte del mondo greco, dall’altra quest’ultima consoliderà in occidente una propria rete di rapporti che interesseranno particolarmente Crotone. La notizia dell’origine pelasgica dei Crotoniati (analoga in sostanza a quella degli Ateniesi) appare solo in Erodoto che fu uno dei principali artefici della spedizione ateniese che, nel contesto a cui abbiamo appena fatto cenno, portò alla fondazione in Italia di Thuri. In questo senso è possibile comprendere la notizia riferita da Pausania, che voleva gli Spartani quali fondatori di Crotone. Essa si colloca in antitesi alla posizione riferita da Erodoto per gli stessi motivi, che verranno meglio circostanziati in occasione degli avvenimenti pertinenti al periodo.
Greci ed Etruschi
Anche se il passo di Erodoto è diventato a questo punto meglio comprensibile, un altro suo passaggio ci lascia ancora perplessi, dato il riferimento esplicito ad una presenza dei Tirreni (gli Etruschi) a Crotone che non è riportata da altri. Per appurare la questione, cominciamo con il dire che gli Etruschi sono un popolo la cui origine è ancora controversa tra gli studiosi moderni, anche se alcuni storici antichi li accreditano di una provenienza orientale, che Erodoto identifica nell’antica Lidia[20] (l’odierna Turchia). Egli riferisce che a seguito di una carestia, Atis sovrano dei Lidi, avrebbe promosso la migrazione di una parte del suo popolo sotto la guida del figlio Tirreno. Dopo aver a lungo peregrinato, i Lidi sarebbero giunti finalmente nell’Italia centrale (la terra degli Umbri), costituendo una serie di città ed assumendo il nuovo nome di Tirreni. Questo mito sembra trovare conferma nel ritrovamento nell’isola di Lemno di una stele funeraria (una lastra tombale) risalente al VI secolo a.C., recante un’iscrizione in una lingua che non è il greco ma che, secondo gli specialisti, dimostra di essere affine all’etrusco. Oltre ad avvalorare l’origine orientale degli Etruschi, questo ritrovamento sembra a sua volta confermare due diverse notizie. La prima è rappresentata da quanto dice Ellanico di Lesbo, secondo il quale gli Etruschi discendevano dai leggendari Pelasgi, la seconda è in Erodoto[21] che indica questi ultimi come gli antichi abitatori di Lemno. Entrambe le citazioni si ricollegano poi alla testimonianza di Anticlide che, citato da Strabone, afferma che i Pelasgi furono i primi a colonizzare Lemno, mentre successivamente si sarebbero uniti alla spedizione di Tirreno in Italia[22]. I soggetti coinvolti dovevano comunque essere gli antenati degli Etruschi che noi conosciamo, visto che il contesto orientativo della partenza di Tirreno, è rappresentato dal riferimento di Erodoto al tempo di Atis e dalle vicende conseguenti in Grecia all’arrivo dei Dori. Legati a tali invasioni sono le migrazioni che si sarebbero verificate verso l’Anatolia occidentale, dove avrebbero avuto la conseguenza di provocare un’ulteriore migrazione da quest’area verso l’occidente. All’interno di questo processo, potrebbe quindi trovare spiegazione la presenza proto storica degli Etruschi nel territorio di Crotone, che non solo sembra coerente con i processi che abbiamo illustrato e che caratterizzarono la vita del Mediterraneo nel periodo successivo all’invasione dorica (XII secolo), ma s’inquadra anche con le vicende che riguardarono il territorio italiano nella fase immediatamente precedente alla fondazione delle colonie greche. Cominciamo con il dire che quando i Greci iniziarono la colonizzazione dell’Italia si trovarono a fare i conti con la presenza degli Etruschi, dato che già prima della fondazione di Pithecussa (Ischia), questi ultimi avevano realizzato consistenti insediamenti tra il golfo di Salerno e Capua. La tradizione greca, infatti, riporta a loro carico una ricca casistica di episodi infamanti, che in particolare riguardano la tanto odiata e temuta pirateria etrusca. Gli Etruschi, seppure nella realtà non si comportarono diversamente da come fecero tutti quelli che trafficavano per mare, erano al tempo i veri e propri dominatori del Tirreno (chiamato appunto con il loro nome), ma esistono ragioni fondate per portarci a ritenere che non si limitassero a questo. Eforo citato da Strabone, riferisce che prima della fondazione delle più antiche città greche della Sicilia (Naxos e Megara), i Greci avevano accuratamente evitato di commerciare lungo le coste siciliane, per motivi legati all’aggressività dei barbari ed alla presenza dei pirati etruschi[23]. Per quanto riguarda più da vicino i contatti tra la navigazione degli Etruschi ed il territorio calabrese in tale fase, è stato evidenziato che questi ultimi, non solo frequentavano la costa tirrenica, ma sfruttando le vie istmiche, si spingevano anche su quella ionica, dove sono stati ritrovati materiali etruschi nell’area di Locri riferibili ad un periodo compreso tra VIII e prima metà del VII secolo[24]. Questa situazione, seppure non ci permetta in definitiva di poter appurare se gli Etruschi fossero presenti fisicamente lungo le vie interne della Calabria, ci consente di riscontrare la loro presenza commerciale e di trarne alcune considerazioni. La prima è che tale presenza è del tutto comprensibile, dato che queste vie erano utilizzate da tempi più remoti e da popolazioni più primitive, la seconda è che essa coincide anche con gli avvenimenti contemporanei ed immediatamente successivi che vedranno protagonisti i Greci.
Il mito di Filottete
Per quanto riguarda le vicende che riguardano il territorio della città nelle epoche precedenti alla sua fondazione e che videro coinvolti gli antenati degli Etruschi, essi trovano riscontro anche nella tradizione mitica relativa a Filottete, che ora è arrivato il momento di approfondire. Riassumendo la sua epopea, troviamo inizialmente che le vicende dell’eroe sono messe in relazione alla morte di Ercole, quando quest’ultimo passò dalla condizione di mortale a quella di divinità immortale. Filottete, infatti, raccogliendo la richiesta di Ercole morente, lo avrebbe aiutato nell’ultimo ed estremo episodio della sua vita eroica, dando fuoco alla pira che serviva a cremare il suo corpo e ricevendo in cambio le frecce e il suo famoso arco. Il possesso di queste armi fa di Filottete una figura principale nel panorama degli eroi Achei che parteciparono alla conquista di Troia. Comandante dei Tessali che partirono per questa spedizione, durante il viaggio, a causa di una ferita al piede che non trovava guarigione, egli fu abbandonato dai compagni a Lemno. Qui però, ad un certo punto, tornò a riprenderlo Ulisse perché, secondo la profezia, Troia non sarebbe caduta senza l’intervento dell’arco di Ercole che era in suo possesso. Ritornato in patria e rifiutato dai suoi, l’epilogo del mito lo vede arrivare in Italia, dove come abbiamo detto, avrebbe eretto un tempio ad Apollo consacrandovi le armi di Ercole, avrebbe fondato una serie di città e sarebbe infine morto, venendo sepolto vicino al corso del fiume Sibari[25] o, secondo un’altra versione, del Crati[26] dopo aver combattuto gli Ausoni al fianco dei Rodii. Lo svolgimento del mito evidenzia, come al solito, un vero percorso storico, che rende conto di quello che abbiamo chiamato il secondo passaggio della storia della nascita di Crotone. Filottete, infatti, avrebbe raccolto l’eredità di Ercole (l’arco e le frecce) autore della predizione (il primo passaggio) e sarebbe sbarcato nel territorio dei barbari (l’area del Neto) realizzando la loro civilizzazione, rappresentata dalla fondazione di un santuario e di diverse città. Egli comunque sarebbe morto concludendo la propria missione, dato che essa rappresenta solo il preludio alla fondazione delle colonie. La sua tomba sarà il punto di riferimento per i suoi discendenti (gli Achei originari della Tessaglia) che compiranno la terza e conclusiva fase. In questo senso il mito coinvolge, complessivamente, l’arrivo degli Achei ed il territorio che ospiterà le loro città, dove esso, per la testimonianza di cui rende conto, rimarrà a sottolineare una fase precisa che diverrà patrimonio anche dei successivi abitatori dell’area[27]. Seppure la tradizione relativa a Filottete è da ascrivere all’opera dei coloni Achei, il mito viene ambientato in un’epoca più antica rispetto a quella storica, perché è mirato a creare la tradizione (come abbiamo visto non l’unica) che legittimi la nascita delle città, che ancora non esistono e che per tale motivo non vengono citate. Esso è centrato sulla figura dell’eroe che incarna la storia della sua stirpe, e per tale motivo trova una sua collocazione nel tempo. Il mito si lega infatti, ai contatti che si stabilirono tra le coste ioniche e gli Achei di epoca micenea, dato che esso si riferisce esplicitamente alla presenza dei Rodii. Esso, in sostanza, rende conto di una serie di avvenimenti che ebbero come teatro diversi luoghi del Mediterraneo e per protagonisti quei marinai sui quali tanto ci siamo soffermati nel capitolo precedente. Relativamente alle coste ioniche ed agli avvenimenti che solo molto tempo dopo vedranno la nascita delle città degli Achei, le loro vicende sono state costruite identificando la presenza micenea con quella degli antenati dei coloni, contemplando comunque una realtà diversa, che seppure non è citata espressamente, il mito colloca nella dimensione primordiale dei Pelasgi. In questo quadro trova comprensione la lunga e penosa epopea di Filottete che, dopo essere stato abbandonato a Lemno, aver combattuto a Troia, ed essere stato nuovamente rifiutato dai suoi, sarebbe sbarcato nell’area del Neto, dove la tradizione raccolta da Strabone[28] ha ambientato lo sbarco degli Achei e delle loro donne troiane. Gli elementi coinvolti nel mito sono quindi del tutto consoni allo svolgimento complessivo del processo che durante l’età del bronzo, avrebbe visto l’arrivo dall’oriente di quanti successivamente costituiranno la civiltà degli Etruschi. La tradizione li vorrà in questo caso, antichi parenti dei Greci, attraverso un riferimento ad un’antica e comune origine pelasgica che affonda le sue origini in una fase primordiale, e che fornisce una sintesi delle vicende deformate in senso greco, nella quale gli Etruschi trovano posto come i discendenti di Ulisse. Se ne deduce, che la citazione di Erodoto non contiene elementi che ci possono portare ad invalidare la tradizione che attribuisce agli Achei la fondazione di Crotone, come del resto quella di Sibari e delle altre colonie achee. Essa invece, ci fornisce la chiave di lettura di un passato remoto, che seppure distorto dallo storico ateniese in funzione di ragioni politiche dettate dal ruolo che la sua patria assunse in occidente durante la seconda metà del V secolo, da una parte chiarisce l’origine dei coloni e dall’altra, c’informa della presenza degli Etruschi – o meglio dei loro predecessori dell’epoca micenea – la cui realtà più antica di quella che vedrà la nascita della città, non corrisponde al luogo fisico sul quale poi i coloni erigeranno il loro principale nucleo abitato, ma si riferisce, comunque, al territorio che successivamente sarà controllato dalla colonia. Essa riferisce inoltre, di quella serie di contatti che già da epoche antichissime ebbero nel promontorio di Crotone, un punto strategico per la navigazione nello Ionio. Importante non solo per quanto riguarda le rotte che lo collegavano alla navigazione proveniente dall’Oriente e dalla Grecia, ma anche in relazione all’agevole opportunità di collegamento con il Tirreno. In questa direzione, infatti, la presenza di quelli che possiamo definire dei proto Etruschi, sembra aver lasciato altri segni percepibili.
Il ruolo di Poseidone
A proposito dell’importanza che il controllo delle vie interne del territorio ha rappresentato già in epoche molto precedenti alla fondazione della città, è stata fatta notare l’importanza strategica dell’area del fiume Neto. La particolarità del luogo è ampiamente sottolineata dalla tradizione che, a riguardo, fornisce una rappresentazione ricollegata ai miti di fondazione che coinvolgono i coloni. La tradizione sulla fondazione citata da Strabone, ambienta infatti, lo sbarco degli Achei nell’area della foce del fiume Neto. Non si tratta ancora dei coloni che fonderanno la città, ma di reduci della guerra di Troia (come dice espressamente Strabone in questo passo) che nell’area avrebbero realizzato alcune città cui furono dati nomi di fiumi. La descrizione fornitaci da Strabone si riferisce, infatti, ai contatti stabilitisi in epoca micenea, rendendo conto di avvenimenti che abbiamo già messo in evidenza a proposito del mito di Filottete. Il racconto di Strabone sembra comunque offrire altri spunti, in particolare per la volontà di quest’ultimo di offrire una spiegazione a riguardo delle origini del nome del fiume Neto. Esso deriverebbe da “luogo delle navi bruciate”, in relazione all’episodio che avrebbe portato all’incendio delle navi degli Achei da parte delle loro donne Troiane. Come fa notare M. Napoli, quest’interpretazione di Strabone lascia molto dubbiosi, perché appare molto forzata e sembra tradire il tentativo di quest’ultimo di trovare a tutti i costi un significato greco al nome del fiume[29]. Ciò fa pensare che l’origine di questo nome sia diversa, come si è ipotizzato anche in altri casi[30]. Esso potrebbe avere una correlazione con Nethu-ns, nome con il quale gli Etruschi indicavano Poseidone e dal quale deriva Nettuno il nome latino di questa divinità, il cui culto è parte di un patrimonio religioso molto antico, attestato dalle tavolette micenee scritte in lineare B. Quest’interpretazione si lega sia alle caratteristiche di questa divinità, attraverso la quale i Greci usavano rappresentare la sacralità della vita marina, dei fiumi e dei promontori che si protendevano sul mare, sia alla natura dell’area del nostro fiume, che fungeva da punto di attracco e da via di penetrazione per i collegamenti con il Tirreno. Oltre a queste considerazioni, esistono comunque altri riferimenti espliciti, sia al momento storico nel quale il culto di Poseidone sarebbe apparso, sia ai suoi collegamenti accertati con situazioni simili. La presenza di questo culto, riferendosi alle epoche più antiche precedenti alla nascita della città, testimonia quanto sappiamo dell’evoluzione della religiosità dei Greci nel periodo in questione, che vede la contrapposizione ed il passaggio tra il mondo pre greco, dominato dalle divinità della natura com’è Poseidone, ed il mondo greco basato sull’organizzazione cittadina. In diversi casi, Poseidone rende conto di una realtà religiosa precedente alla costituzione cittadina, che cede il passo all’affermazione di divinità diverse[31]. Per quanto ci riguarda più da vicino, possiamo dire che una situazione di questo genere ha riscontri accertati a Poseidonia, che presenta analogie con il sistema cultuale di Crotone ed evidenzia, in particolare, il subentro di Hera a scapito di Poseidone. La mancanza di riscontri oggettivi e la difficoltà di analizzare una fase sulla quale siamo comunque poco informati, consiglia a non spingerci oltre, lasciando quanto abbiamo evidenziato come una realtà che si manifesta in maniera soltanto velata. Rispetto ad essa, invece, altre realtà appartenenti alla sfera del divino, si delineano in tutta chiarezza, a cominciare da Apollo che rappresenta uno dei culti civici alla base della nascita di Crotone, come c’indicano tutta una serie di testimonianze che prendono avvio dalla fondazione della città.
L’Oracolo di Apollo
Superata la fase che cita il passaggio del rozzo Ercole armato di clava, e quella che vede protagonisti gli eroi Achei che vagavano in mare nel tentativo di recuperare la rotta di casa, la tradizione individua i miti che si riferiscono direttamente ai protagonisti della colonizzazione. Si tratta dei capi che guideranno le spedizioni oltre mare, le cui vicende si realizzano sullo sfondo del santuario di Delfi, secondo i precisi precetti dell’oracolo di Apollo. Quest’ultimo era una vecchia chiamata “la Pizia”, che la tradizione indica come il personaggio che avrebbe predetto ai coloni il luogo nel quale si sarebbero dovuti recare per fondare le loro città. Seppure l’identità storica della Pizia non possa essere presa alla lettera, diciamo che la sua esistenza è verosimile. Tra i Greci era molto diffusa la pratica di ricorrere agli indovini che vivevano e svolgevano la loro attività presso diversi santuari di tutta la Grecia e che venivano interrogati da singoli individui o dalle delegazioni di intere città, per conoscere il futuro in relazione agli eventi più diversi. Nel nostro caso l’indovino parlava durante la possessione divina come tramite di Apollo e forniva a chi si recava ad interrogarlo un responso (oracolo). Nel caso della fondazione di Crotone l’intervento dell’oracolo di Delfi è ampiamente descritto dalle fonti letterarie. Strabone, citando Antioco di Siracusa, racconta che Miscello in base all’indicazione dell’oracolo partì per un’esplorazione, ma attratto dai luoghi dove intanto stava sorgendo Sibari, ritornò a Delfi per chiedere di poter fondare quest’ultima invece che Crotone[32]. L’oracolo fu però molto perentorio e minacciando Miscello, gli intimò di attenersi all’originaria destinazione. Lo stesso Strabone riferisce poi che Miscello e Archia (il fondatore di Siracusa), prima di intraprendere il loro viaggio verso l’Italia, si recarono insieme a Delfi. Di fronte alla richiesta dell’oracolo di scegliere per la sua città tra la ricchezza e la salute, Miscello scelse quest’ultima mentre Archia ebbe per Siracusa la ricchezza[33]. Rispetto a quanto sostenuto da Antioco, sostanzialmente identica appare la versione offerta da Ippi di Reggio, dove al recalcitrante Miscello, l’oracolo impose la fondazione assegnatagli[34]. Lo stesso episodio è poi riportato da Diodoro siculo che, in maniera più articolata rispetto ai precedenti, cita tre successive consultazioni che Miscello ebbe con l’oracolo[35]. Dopo essersi recato al santuario per ragioni personali ed aver inaspettatamente ricevuto l’ordine di fondare Crotone, Miscello sarebbe ritornato a Delfi una seconda volta, perché non comprendeva la profezia. Successivamente sarebbe ritornato dall’oracolo perché preferiva il luogo assegnato a Sibari e quindi invitato perentoriamente, avrebbe infine acconsentito a compiere il volere di Apollo. Seppure tali episodi letterari possono a prima vista, sembrare poco utili per ricostruire gli avvenimenti che videro veramente protagonisti i coloni, l’analisi di questa tradizione ci consente in primo luogo, di appurare una serie di aspetti complessivi legati alla fondazione della città e di evidenziare i rapporti che essa realizzò, sia in questa fase che in altri frangenti anche di molto successivi. Per comprendere il ruolo dell’oracolo di Apollo nel processo coloniale, non bisogna però pensare che i Greci sbandati ed impauriti, si recassero da una vecchia a Delfi per sapere dove e come fondare una città. Seppure è immaginabile che, da un punto di vista culturale e religioso, i Greci attribuissero alla parola di un indovino una grande considerazione, allo stesso tempo, la descrizione che ci viene fornita, ci porta a ritenere che questa tradizione rappresenti una ricostruzione successiva di fatti che ebbero ragioni ben circostanziate. Bisogna partire dal fatto che l’atto di fondazione di una città è l’avvenimento che è alla base della nascita della comunità, e che l’intervento divino è indispensabile per sacralizzare il fatto compiuto che legittima i Greci al possesso del territorio. E’ comprensibile che i Greci sentissero il bisogno di giustificare moralmente la loro azione, facendola apparire come l’adempimento della volontà soprannaturale di un dio perché, per fondare la città viene combattuta una guerra di conquista, immorale anche a quel tempo, che serve ad impadronirsi del territorio di quanti invece, avevano tutte le ragioni morali di difenderlo. Possiamo quindi affermare che l’oracolo servì a legittimare religiosamente a posteriori, la nascita della comunità. Diciamo “a posteriori”, in quanto la scelta di fondare la città venne comunque presa dagli uomini e fu frutto della loro volontà, ricevendo successivamente una consacrazione religiosa attraverso l’intervento divino, una giustificazione capace di rendere la scelta pienamente legittima anche dal punto di vista politico. Tale rappresentazione contiene una componente regolatrice degli avvenimenti che è rappresentata dal volere di Apollo, capace di manifestarsi agli uomini per bocca dell’oracolo di Delfi. Apollo, nell’immaginario religioso dei Greci, costituisce la divinità dell’intelletto e rappresenta la ragione divina che raggiunge la mente degli uomini, manifestando loro la comprensione delle cose. In questo senso, non deve sfuggire la violenza insita in Apollo, che a differenza di quella evidenziata da Ercole, ha una valenza molto diversa. Nel primo caso Ercole rende conto di una realtà primordiale, che lo vede armato di clava discendere l’Italia e macchiarsi di una serie di omicidi che rendono possibile la civilizzazione dei popoli che incontra sul suo passaggio. Nel caso di Apollo, invece, si evidenziano ben altri equilibri, dato che egli è il signore del santuario di Delfi, dove, attraverso la ragione che egli sa infondere nella mente degli uomini, le direttive impartite dall’oracolo sono saggiamente accettate da tutti. Violare questo volere significa esporsi alla sua collera, alla sua violenza terribile ed inevitabile, che si manifesta emblematicamente attraverso le frecce che, scoccate con il suo poderoso arco, portano malattie e pestilenze. Queste prerogative ci permettono di inquadrare la sua azione in un ambito che coinvolge i rapporti tra gli stati greci durante la fase coloniale. Bisogna considerare che la colonizzazione non fu realizzata da una nazione ma da singole città, i cui interessi dovevano trovare un accordo che consentisse a tutti una ragionevole possibilità di successo nella spedizione oltre mare. Al tempo non esistevano organizzazioni come le Nazioni Unite che regolavano i rapporti tra gli stati. Le loro relazioni avevano bisogno di essere compiute in ambiti extraterritoriali, come quelli rappresentati dal santuario di Apollo a Delfi, dove gli accordi erano sanciti da patti giurati consacrati dalla divinità. Appare quindi, come alla base della colonizzazione possa essere fatto risalire l’interesse delle diverse città o di interi gruppi etnici (come nel caso degli Achei), attraverso una mediazione rappresentata dalla tradizione relativa all’oracolo di Delfi. La colonizzazione non fu dunque un avvenimento disorganico, ma si realizzò secondo direttive precise ed ebbe successo anche perché i Greci indirizzarono le loro spedizioni senza che esse entrassero in conflitto tra loro. Anzi, nel breve volgere di poco tempo, i Greci furono capaci di occupare tutti i punti chiave necessari a garantirsi il controllo territoriale di una parte molto consistente dell’Italia meridionale, cosa che non avvenne né casualmente né per l’intervento soprannaturale di un dio, ma grazie ad una precisa visione d’insieme dei problemi da affrontare.
Le motivazioni della colonizzazione
Le motivazioni e gli scopi che spinsero i Greci a giungere sulle coste italiane, seppure siano stati ampiamente dibattuti, sono ancora rappresentati in maniera ipotetica in base alle informazioni generiche fornite dalle fonti letterarie: la colonizzazione, per esempio, avrebbe avuto luogo a seguito di forti tensioni sociali che avrebbero costretto parte della popolazione esclusa dal possesso della terra, a cercare lontano una nuova patria. Il bisogno derivante da una grave crisi, imponeva che una parte dei Greci cercasse altrove i mezzi per condurre la propria esistenza. Questa ricostruzione, se può essere accolta in alcune sue linee generali, a ben vedere contiene alcune zone d’ombra. Risulta, infatti, difficile capire come individui di una condizione così indigente, tale da determinare una migrazione, fossero allo stesso tempo capaci di allestire una spedizione rischiosa e complessa che, sicuramente, richiedeva una notevole disponibilità di mezzi (navi, vettovaglie, armi, etc.). I due aspetti sono così in contrasto tra loro da escludersi a vicenda. La cosa certa è che i coloni intrapresero la via del mare, e quindi è evidente che le ragioni della loro partenza debbano, almeno in parte, essere rintracciate altrove. In primo luogo, bisogna dire che anche con tutte le lacune derivanti dalle poche informazioni di cui disponiamo, la realtà sociale della Grecia durante il sec. VIII a.C. era sicuramente quella di un territorio che aveva subito un netto rivolgimento, derivante dall’invasione dorica e dalla conseguente caduta dei regni micenei. Questi avvenimenti avevano determinato, in diverse aree, non solo l’affermazione di una nuova classe di padroni (i Dori vincitori), ma avevano prodotto anche un rimodellamento della vecchia società micenea. Alle soglie dell’epoca coloniale, dopo i secoli durante i quali si realizzarono quei cambiamenti, che avrebbero prodotto la civiltà greca che meglio conosciamo, ci si presenta, in definitiva, una società trasformata da quelli che abbiamo chiamato i secoli bui del medioevo ellenico, nella quale una fetta abbastanza consistente della popolazione era stata spodestata dei propri averi, delle proprie prerogative e del proprio ruolo. In tale situazione si può quindi considerare plausibile una migrazione, che d’altronde rappresentava tra i Greci una esigenza strutturale legata alla loro organizzazione sociale. Come avremo modo di approfondire, si trattava di una vera e propria scelta tesa a contenere il numero dei cittadini, attraverso l’attribuzione dei pieni diritti sociali e politici ad una ristretta cerchia di soggetti. Quando la città si affollava troppo, si realizzavano le condizioni per una migrazione, con il duplice scopo di assicurare agli emigranti le condizioni necessarie alla loro esistenza ed allo stesso tempo, di conservare la stabilità e la sopravvivenza della comunità d’origine. Ritornando alle città di origine dei coloni Achei, ed anche accanto a tutte le incertezze legate alla nostra scarsa conoscenza di queste realtà, possiamo dire che si trattava di piccoli centri, che ben difficilmente dovettero soffrire problemi di grave sovraffollamento. A ben vedere, il fatto che la tradizione, in alcuni casi, ricordi le città di origine dei coloni, o comunque dei capi spedizione, sembra la testimonianza di un legame più che un’effettiva carta di identità dei coloni. Nel caso degli Achei, essi, come è stato già notato[36], seppure su base etnica sostanzialmente omogenea, sembrano essere stati reclutati su un territorio più vasto di quello riferibile con certezza ad una singola città, come dimostrano le piccole dimensioni dei centri di origine e le indicazioni generiche di alcune fonti che, sorvolando su quest’aspetto, designano i coloni solo con il nome della loro stirpe. Tale riferimento appare in relazione all’organizzazione della realtà achea del Peloponneso che, durante l’epoca in questione, si presenta ancora in una fase pre-urbana, caratterizzata da una serie di insediamenti autonomi di piccola dimensione, sparsi in un territorio ma uniti attraverso luoghi di culto ed istituzioni comuni. Se ne deduce che le spedizioni che portarono alla fondazione delle città achee in Italia, furono realizzate in maniera più articolata e complessa di quella che ci è sommariamente riferita dalla tradizione, attingendo a quella parte di popolazione che nelle condizioni che abbiamo evidenziato, non avrebbe più potuto trovare una propria collocazione. I legami parentali, la necessità di salvaguardare gli equilibri interni dei centri di origine e il loro specifico assetto territoriale, lascia ritenere che tali spedizioni furono organizzate con il concorso ed il reciproco appoggio dei centri dell’Acaia peloponnesiaca, dando luogo ad una collaborazione che non solo è possibile evidenziare in questa fase, ma che potremo rilevare anche per un lungo periodo di vita delle colonie.
Le caratteristiche della spedizione
Restando ancorati ai momenti che precedettero l’arrivo dei coloni in Italia, altri due aspetti che serve chiarire sono quelli legati all’organizzazione della spedizione ed alla sua consistenza. Intraprendere il mare era stata per secoli una sorte obbligata per i Greci che, per la natura stessa dei luoghi che abitavano, erano costretti a fare i conti con quest’elemento. Ciò non significa che navigare fosse a quel tempo una cosa agevole, considerata la semplicità del naviglio a disposizione, la cui principale fortuna era affidata alla capacità e al coraggio dei marinai al quale era affidato. La precarietà della navigazione a quel tempo, imponeva che essa fosse limitata al breve volgere della stagione estiva, quando erano più ridotte le possibilità di incontrare tempeste e l’azzardo di mettersi per mare poteva esser ragionevolmente compiuto. Nella traversata verso occidente, oltre a poter seguire una rotta diretta in mare aperto, i Greci avevano la possibilità di percorrere una rotta costiera meno rischiosa che attraverso il canale d’Otranto raggiungeva le coste pugliesi. A questo punto, doppiato il capo di S. Maria di Leuca (il promontorio Iapigio), il viaggio continuava lungo la costa ionica, seguendo un itinerario che arrivava fino allo stretto ed alla Sicilia orientale, da dove potevano essere prese le diverse rotte che consentivano di compiere il periplo della Sicilia o di entrare nel Tirreno. Tale fu il viaggio che con ogni probabilità intrapresero gli Achei, ripercorrendo quella rotta che per secoli era stata utilizzata dai navigatori delle prime età dei metalli. Ne troviamo una conferma nel preciso itinerario che, come fa notare Pugliese Carratelli[37], è contenuto in uno dei responsi dell’oracolo di Delfi citati da Diodoro siculo, nel quale la Pizia indica a Miscello la rotta da seguire per ritrovare il luogo predestinato dal volere di Apollo. Se possiamo ritenere abbastanza attendibile il percorso utilizzato dai coloni, solo in maniera congetturale possiamo ipotizzare le caratteristiche complessive della loro spedizione. Quale sia stato il numero dei coloni all’atto della fondazione non ci è indicato in maniera esplicita, anche se possiamo immaginare che essi dovevano essere abbastanza numerosi da costituire una nuova comunità autosufficiente, e in modo particolare dovevano poter conquistare il territorio e difenderlo. Se consideriamo poi che le città, anche quelle considerate grandi e floride nelle epoche successive, non superavano in genere poche migliaia di abitanti, possiamo ipotizzare che un migliaio di uomini più le loro famiglie, potessero avere buone speranze di riuscita lanciandosi nell’impresa di fondare una città. Questa supposizione potrebbe essere avvalorata anche dalle notizie che in relazione all’epoca arcaica, riferiscono che il governo della città, ma anche quello di altre colonie (Locri, Reggio, Agrigento, Cuma) era composto da un nucleo ristretto costituito da mille cittadini[38]. C’è poi da considerare che le caratteristiche militari della spedizione e di conseguenza il coinvolgimento necessario di tutti i partecipanti nell’impresa, permette di affermare che i coloni costituirono un gruppo sociale di individui di pari dignità, i cui diritti, acquisiti attraverso la nuova conquista, dovevano essere mantenuti all’interno di una cerchia ben definita. In rapporto alle risorse disponibili, ciò aveva lo scopo di assicurare a ciascuno i mezzi necessari, consentendo allo stesso tempo un ordinato sviluppo della vita civile. La cittadinanza doveva essere abbastanza numerosa da assicurare una valida difesa della comunità, ma allo stesso tempo non doveva superare certi limiti, perché ciò avrebbe paralizzato la capacità di assumere decisioni, sulle quali ognuno aveva oramai acquisito il diritto di influire direttamente. Possiamo invece escludere che la spedizione fosse composta da soli uomini e che non contemplasse la presenza delle famiglie al seguito. L’assenza delle donne avrebbe automaticamente fatto perdere alla comunità le prerogative della razza, un’esigenza prioritaria così sentita tra i Greci, che non solo ci permette di escludere una assenza delle famiglie, ma anche che barbari, sia uomini che donne, abbiano in qualche modo potuto far parte della città anche in epoche successive.
La conquista del territorio e la fondazione della città
Per diverso tempo si è pensato che l’arrivo dei Greci fosse avvenuto in maniera non traumatica per i barbari, senza provocare un vero e proprio conflitto. Com’è stato messo in luce nell’analisi dei miti di fondazione, ci troviamo invece di fronte ad un’aggressione violenta tendente a stabilire subito i diritti dei nuovi venuti. Se sulla conquista non esistono dubbi, alcuni aspetti poco chiari riguardano i modi attraverso cui tale conquista si sia realizzata. Per prima cosa, appare, a prima vista, difficile spiegare come spedizioni necessariamente contenute, abbiano potuto sistematicamente aver ragione dei barbari, quando questi ultimi erano in possesso di una cultura materiale evoluta, ed in pratica paragonabile a quella dei Greci. In nessun caso, infatti, abbiamo notizia di fallimenti determinati da una resistenza, che non sembra neanche taciuta per convenienza, perché i Greci, in breve tempo, riuscirono a garantirsi un completo controllo del territorio. Seppure sia esistita una sorta di collaborazione passiva dettata dai precetti dell’oracolo, che determinò un’organizzazione di base tendente a non intralciare lo svolgimento delle operazioni, rimane comunque difficile capire come piccoli nuclei di Greci riuscissero a conquistare rapidamente e senza fallimenti, territori vasti e ampiamente popolati. Ciò porta a ritenere che accanto ad un’accorta pianificazione, tali successi devono trovare una spiegazione più articolata. In primo luogo, appare possibile che oltre a seguire un piano preordinato, gli Achei siano arrivati a forme di collaborazione attiva, che potrebbero essere state risolte, sia attraverso un appoggio logistico alle varie spedizioni (viaggio, individuazione, difesa e controllo dei punti di attracco, approvvigionamenti alimentari, allestimento e difesa dei primi insediamenti temporanei, etc.), sia attraverso un vero e proprio aiuto militare. Tali supposizioni, oltre ad essere innescate dalle osservazioni precedenti, nascono da una serie di considerazioni complessive che, da una parte, riguardano l’arrivo sostanzialmente contemporaneo degli Achei, le forme di collaborazione che questi ultimi realizzarono in momenti solo di poco successivi e, dall’altra, la natura della struttura stessa degli insediamenti dei barbari. Per quanto riguarda quest’ultimo aspetto, gli scavi relativi alle necropoli dell’età del ferro, hanno evidenziato che tali insediamenti erano costituiti su un modello sociale di tipo piramidale che se poteva contare su di una base abbastanza ampia, era strutturato dal dominio di una élite ristretta di principi guerrieri[39]. Il villaggio di questo tipo riuniva un certo numero di famiglie (un clan) i cui rapporti erano regolati da un capo che deteneva probabilmente sia i poteri religiosi che quelli politici, appoggiato da un ristretto gruppo di guerrieri sufficiente a controllare una popolazione più vasta ma subalterna. In tale contesto sembra sensato supporre che gli Achei che fondarono Crotone, come del resto fecero tutti i Greci che colonizzarono l’Italia, riuscirono ad avere la meglio su queste élite, in virtù del fatto che erano poco numerose e che, con ogni probabilità, non trovarono l’appoggio dei ceti subalterni i quali, passarono dal dominio di un padrone a quello di un altro. Ciò non significa che le popolazioni residenti siano state totalmente asservite dai Greci, ma solo che questi ultimi riuscirono ad imporsi in spazi precisi, spodestandone gli antichi proprietari, che se in alcuni casi finirono, probabilmente, per divenire schiavi dei Greci, in altri mantennero la loro identità politica, stabilendo con la città una serie di rapporti sui quali avremo modo di soffermarci presto. Questo contesto traspare anche dall’osservazione delle aree che furono oggetto dell’arrivo dei Greci. Si può notare che la colonizzazione non interessò quelle che erano presidiate da popolazioni radicate sul territorio in maniera più razionale, con una ben definita identità politica. La Sicilia occidentale in possesso di Fenici, Sicani ed Elimi, l’entroterra campano dominato dalle città etrusche e la Puglia presidiata da Messapi, Iapigi e Dauni, costituirono i limiti della colonizzazione: tali popolazioni dovevano, infatti, necessariamente avere una organizzazione differente da quelle che invece furono assoggettate.
Note
[1] Dion. di Alic., R.A. II, 59, 3.
[2] Strab. VI, 1, 12.
[3] Paus. III, 3, 1.
[4] Tali indagini evidenziano che diversi insediamenti preesistenti all’arrivo dei Greci “.. vivono una florida esistenza per un periodo che giunge fino agli ultimi decenni del sec. VIII a.C.; dopo quest’epoca la ricca documentazione archeologica che li caratterizza si arresta bruscamente.” F. Martino, Considerazioni su alcuni bronzi protostorici ed un bacino ad orlo perlato rinvenuti in Calabria, p. 137, in Rivista Storica Calabrese, N.S., anno VI, nr. 1-4, 1985.
[5] Diod. IV, 24.
[6] Giamb. 50;
[7] Servio, Ad Aen., III, 552.
[8] Conone, Narrat., III.
[9] Tzetze ad Licof., 1006.
[10] Ovidio, Meta. XV, 12 e segg..
[11] Licofrone (856-861) descrive una processione funebre di donne abbigliate a lutto che piangono la morte dell’eroe. L’antichità di questa rappresentazione è testimoniata nell’Odissea (24, 60-62), dove il canto delle Muse al funerale di Achille determina il pianto di tutto l’esercito greco.
[12] Nell’Alessandra di Licofrone (856-861), Cassandra predice a Menelao l’approdo al capo Lacinio.
[13] Quando nel 453 a. C. i Sibariti tentarono di rifondare la loro città, secondo la tradizione (Diod. XI 90, 3 – 4) avrebbero affidato l’incarico di guidare la spedizione coloniale a Tessalo.
[14] Ippi apud Zenobio, 3, 42; Antioco apud Strab. VI, 1, 12; Ps. Scimno, 326; Diod. VIII, 17; Strab. VIII, 7, 5; Solino, II, 10.
[15] Paus. III, 3, 1.
[16] Erod. I, 57.
[17] Erod. VIII, 47.
[18] Strab. V, 2, 4.
[19] Strab. V, 2, 3-4.
[20] Erod. I, 94.
[21] Erod. V, 26.
[22] Strab. V, 2, 4.
[23] Strab. VI, 2, 2.
[24] I ritrovamenti archeologici evidenziano che nel sec. VIII e nella prima metà del VII, materiale etrusco è giunto a Torre Galli (nell’area di Tropea), attraverso contatti che come fa notare M. Napoli (op. cit. pag. 274), è ipotizzabile che si siano svolti via mare, data l’assenza di ritrovamenti lungo la via terrestre che passa per il Vallo di Diano. Come però fa notare lo stesso autore, la presenza di questi materiali sulla costa ionica a Canale (nell’area che in seguito vedrà la nascita di Locri) implica invece che essi debbano esservi giunti attraverso un percorso terrestre che presuppone l’utilizzo della via istmica.
[25] Ps. Arist., De Mir. Aus., 107.
[26] Licof. 919.
[27] Secondo Giustino (XX, 1, 16) gli abitanti di Thurii asserivano che la loro città era stata fondata da Filottete.
[28] Strab. VI, 1, 12.
[29] M. Napoli, op. cit. p. 218.
[30] A questo riguardo P.G. Guzzo, partendo dall’indicazione in Strabone (VI, 1, 10) a proposito del nome “femminile” del fiume Sagra, ipotizza un anallenismo sia per quest’ultimo che per il fiume Medma. P. G. Guzzo, L’archeologia delle colonie arcaiche, p. 224, in Storia della Calabria Antica, Cangemi editore, 1987.
[31] Ad Atene la tradizione lo vuole sconfitto da Atena che diviene così la divinità poliade della città, come succede ad Argo e a Corinto dove a Poseidone subentrano Hera nel primo caso e Helios (il sole) nel secondo. D. Musti, Storia Greca, p. 119, ed. Laterza, 1992.
[32] Strab. VI, 1, 12.
[33] Strab. VI, 2, 4.
[34] Ippi di Reggio apud Zenobio, III, 42.
[35] Diod. VIII, 17.
[36] Per quanto attiene alla composizione delle spedizioni ed alla realtà achea del Peloponneso, le considerazioni riportate sono quelle di M. Giangiulio, op. cit. p. 161 e sgg..
[37] G. Pugliese Carratelli, Profilo della storia dei Greci in Occidente, p.149, in I Greci in Occidente, ed. Bompiani 1996.
[38] Per quanto riguarda Crotone vedi Valerio Massimo, VIII, 15.
[39] R. Peroni, La Protostoria p. 132, in op. cit., Cangemi ed. 1987.