Uomini e boschi di Crotone e di Isola. Il caso Bugiafaro
L’undici aprile 1195 l’imperatore Enrico VI confermava i possessi al monastero di Santa Maria di Corazzo, sotto l’abate Antonio, e concedeva di usare come pascolo invernale per 2000 pecore dell’abbazia, il territorio di “Buchafarium apud Insulam” (Cutroni), ed il pascolo estivo di “Silas Gemella”.[i] Da questo documento risulta evidente che, all’inizio del periodo svevo, il territorio di Bugiafaro, o una sua gran parte, è in demanio regio.
In seguito, essendo stata concessa la città di Crotone in feudo al conte Raynerio Marchisorto, anche il territorio sopracitato andò a far parte delle tenute feudali della contea. Il conte, infatti, lo confermerà in seguito alla stessa abbazia, con la possibilità di utilizzo a pascolo e di usarne le acque per gli animali. Finito il dominio dei conti Marchisorto, l’imperatore Federico II nel 1222, revoca la città di Crotone in demanio imperiale, e ordina con mandato imperiale al camerario di Calabria Dom. Michele de Rossano, di reintegrare la popolazione in tutti quei diritti e possessi che erano stati sospesi ed alienati dal conte Raynerio Marchisorto e dal figlio e successore Stefano. Nel dicembre 1225, lo stesso imperatore riconfermerà all’abbazia di Santa Maria di Corazzo, il vecchio privilegio di poter utilizzare per il pascolo dei suoi animali, il territorio demaniale di Bugiafaro. In quest’ultimo documento sono descritti anche i confini: “… tenimentum Buchafari sic dividitur : ab oriente est vallonus Flaiani : ab occidente Colphum Episcopi : a meridie mare : et ab aquilone serrae Virmiae et via”.[ii]
Dai privilegi concessi dai primi regnanti normanni alla chiesa di Isola, risulta che la grande tenuta all’interno della quale sorgeva la sede vescovile, confinava verso oriente con le “terras ecclesiae episcopatus Cotroni”.[iii] Da questi documenti si ricava quindi che, già durante il periodo normanno-svevo, il vescovo di Crotone possedeva delle terre a Bugiafaro. Queste terre, comprese tra le proprietà del vescovo di Isola,[iv] e quelle in demanio regio, o concesse al feudatario,[v] rimasero ai vescovi di Crotone anche dopo che Isola, nella seconda metà del Quattrocento, fu staccata da Crotone. Successe infatti che, a causa di questo distacco, la chiesa di Crotone venne a possedere territori in diocesi di Isola, mentre la chiesa di Isola in quella di Crotone (Salica).
Alcune considerazioni portano ad affermare che i cinque corsi promiscui, cioè “Bugiafaro” della mensa vescovile di Crotone, “le Puzzelli” del cantorato di Crotone, “Domine Maria” e “S. Andrielle” del decanato di Crotone, e “Le Comunelle” del beneficio di Santa Maria degli Angeli della cattedrale di Crotone, posti in territorio di Isola, ai confini con quello di Crotone, facessero parte del demanio regio, e fossero stati anticamente concessi dai regnanti, come cespite per la costituzione di un patrimonio atto a mantenere il vescovo, i canonici, ed i beneficiati della cattedrale di Crotone, in luogo, o in aggiunta, delle decime e delle oblazioni ordinarie.
Poco dopo la metà del Cinquecento, al tempo del vescovo Antonio Sebastiano Minturno, la chiesa cattedrale di Crotone rivendicò il possesso di Bugiafaro, avendo il barone di Isola occupate molte parti verso Meolo, ed avendo lo stesso barone e gli Isolitani, a dire del vescovo, usurpato lo ius pascolandi, facendo pascere i buoi e le vacche, impedendo così, quando non vi si semina, di affittarlo ai pecorai. Secondo il Minturno, questa servitù verso degli Isolitani, era stata possibile “per incuria dei vescovi antepassati et i baroni habbiano usurpata alcuna giurisditione indetto territorio et occupate alcune parte per la parentela et amicitia la quale haveano con li antepassati vescovi et con li gentilhuomini de Cotrone”.[vi]
Il vescovo mentre tentava di impedire il pascolo e gli usi civici degli Isolitani, e di rendere il territorio libero da ogni servitù, invocava l’intervento del Regio Collaterale Consiglio e del re Filippo II. Dopo un primo intervento del capitano di Crotone Don Antonio de Avila, il 16 febbraio 1568 la Camera della Sommaria delegava il capitano Gio. Stercarrerio Rio a condurre un’inchiesta, ed il 13 maggio 1568, presso il notaio crotonese Tomaso Bombino, veniva steso un atto pubblico in cui erano descritti minuziosamente i limiti ed i confini di Bucciafaro.[vii]
Il territorio confinato da valloni, coste, creste e fronti, aveva come termini principali di riferimento certe “petre grandi”, “la via vecchia”, “la fontana di marcigno”, “la serra delo romito”, “l’acqua pendente”, “la petra intronata”, “il pozzo di paulo maza”, “la tufara”, “la vigna di curatoro”, “lo zappaturo”, “la fontana delo coco”, “la serra di femmina morta” e la via che da Isola conduce a Crotone. In molte parti i confini si dimostravano particolarmente labili ed incerti dando possibilità alle usurpazioni.
Il territorio già al tempo del Minturno, aveva diminuito la sua rendita, sia perché da anni alcune parti non erano più coltivate e seminate per mancanza di massari, sia per l’usurpazione fatta della bagliva dal barone del luogo, e per il fatto che quest’ultimo “esige pene e tratta male chi vi semina e vi pasci”, perciò si presentava, come anche tutto il territorio circostante,[viii] in gran parte “incolto e selvatico”.[ix]
Esso, come anche gli altri terreni della chiesa, era messo all’asta e affittato al maggiore offerente, quasi sempre coloni dei casali di Cosenza che vi seminavano, o lo usavano, per il pascolo.[x] Quasi un secolo dopo, appena insediatosi il vescovo Giovanni Pastor, trovò che le entrate della sua mensa si erano alquanto ridotte, e che molti cittadini di Isola avevano occupato ed usurpato buona parte di Bugiafaro, facendo “vigne, et altri vignali, e pezze di terre per cultura a loro gusto”. Egli fece perciò citare gli occupatori ottenendo un decreto in suo favore, così la mensa fu reintegrata e riportata nel pieno possesso delle terre e delle vigne.
Poiché gli Isolitani continuavano e “furtivamente andavano rubando li frutti di quelli, e con loro animali pascolando l’herbe”, il vescovo ricorse nuovamente al re, il quale ordinò all’Auditore Provinciale di presidiare le terre e di procedere contro i turbatori, con adeguato castigo e con il pagamento dei danni. Cosa che fu eseguita ma, dopo quattro anni di quieto e pacifico possesso, “percipendo li frutti, e coltivando le terre”, gli Isolitani riuscivano a riprendersi gli antichi diritti e, ricorrendo con un memoriale al re, ottennero che fosse tolto il divieto di pascolo per i loro animali.[xi]
La lite proseguì tra il vescovo ed il feudatario di Isola, il barone Aloysio Catalano. Quest’ultimo, che, come feudatario di Isola, aveva la giurisdizione e potestà gladiale, “colle cognitione delle cause civili, criminali e miste e per il jus pascendi, aquandi, allignandi ed altro”, sui territori corsi,[xii] cominciò ad esigere il pagamento di alcune tasse, tra le quali lo jus di fida e quello di finaita sulle pecore dei forestieri. Non ottenendo il pagamento mandò i suoi uomini e nel dicembre 1660, fece carcerare alcune pecore. La reazione vescovile non tardò e dopo poco, furono affissi sulla porta della cattedrale di Crotone i ceduloni di scomunica contro il barone ed i suoi uomini.[xiii]
Con l’arrivo del nuovo vescovo Hieronimo Carafa, si tentò di raggiungere un accordo con vantaggio di entrambe le parti. Nell’ottobre 1665 venivano rinnovati i contratti di fitto di numerose parti di Bugiafaro. La mensa vescovile concedeva in enfiteusi numerosi vignali, con la clausola che fossero fatti lavori di miglioramento, e che la concessione durasse fino alla terza generazione inclusa, “per se et suoi heredi e successori”, e con il pagamento di un censo annuo pari ad un carlino per tomolata, poi trasformato in un pagamento annuo di tanto frumento quanto se ne semina, o di un tomolo di grano per tomolata coltivata,[xiv] da pagarsi nel mese di agosto.[xv]
Continuava così la trasformazione di ampie zone da boscose in seminabili o in vigne. Il terreno, concesso in enfiteusi agli Isolitani con questi contratti, era esteso circa 180 tomolate (circa un decimo del territorio), e le persone ecclesiastiche, o secolari, che ne beneficiarono furono 26. I contratti furono particolarmente parziali: mentre cinque benestanti (20%) da soli godevano del 60% delle terre, sedici coloni (60%), insieme, non potevano usufruire che del 10% delle terre, cioè nella maggior parte di un vignale di una tomolata e mezza.[xvi]
Continuava intanto la lite tra il nuovo vescovo ed il barone che, il 29 maggio 1666, veniva scomunicato nuovamente assieme agli Isolitani debitori della mensa.[xvii] L’anno dopo, il 4 marzo 1667, una decisione della Sacra Congregazione presieduta dal cardinale Carpineo, era a favore della mensa vescovile, e poneva fine alla controversia rigettando la pretesa del barone sul pagamento del diritto di finaita, vietando la possibilità da parte dei coloni, di erigere nel territorio di Bugiafaro tuguri o pagliai, se non da parte di coloro che ne prendevano in fitto le terre.[xviii]
La risposta a queste azioni di rivendica non tarderà ad arrivare e così, mentre il vescovo il Crotone, che possedeva Bugiafaro in territorio di Isola, aveva scomunicato gli Isolitani ed il feudatario di Isola, il vescovo di Isola Francesco Marini, che possedeva la gabella di Salica in territorio di Crotone, scomunicava il sindaco, i magistrati di Crotone, ed i Crotonesi che, “armata mano”, introducevano il bestiame nel territorio del vescovo.[xix] Alla fine del Seicento, al tempo del vescovo Marco Rama, Bugiafaro è descritto come “corso e boscoso”, “perché è molto grande non si può assignare il numero di salmate però in grano s’affitta quando vi si semina secondo l’apprezzo, che se ne fa a dispositione della R.ma mensa. In herbaggio per li vacanti, che non sono seminati, si affittano doc. cento cinquanta”,[xx] … “dove sono le vigne vi è una torre, e dui magazzini, che servono per uso di porci al presente e si sogliono affittare carlini trenta l’uno l’anno”.[xxi]
Da questa relazione si ricava che la trasformazione a vigne era continuata, e la stessa mensa vescovile aveva messo a coltura parte del territorio, che affittava ricavandoci quaranta barili di mosto all’anno, facendovi costruire la torre, i magazzini e impiantandoci un allevamento di porci.
Anche il vescovo Rama cercò di rientrare in possesso delle terre occupate dagli Isolitani. Il suo economo convocò i censuari, affinché dimostrassero i titoli di concessione, e poiché vide che essi contrastavano con i Sacri Canoni e con la bolla di Paolo II, il vescovo emanò contro di essi delle lettere monitoriali che, con l’assenso del vescovo di Isola, fece affiggere anche sulla porta di quella cattedrale, ammonendo gli occupatori che, se entro il termine stabilito, non avessero chiarito la loro posizione, sarebbero incorsi nella scomunica, mentre le loro vigne, vignali, e pezze di terre, sarebbero stati incorporati dalla mensa vescovile.[xxii] La minaccia, tuttavia, non ebbe seguito, infatti, venti anni dopo, ritroviamo gli stessi censuari in possesso delle stesse terre.[xxiii]
Era onere della mensa vescovile di Crotone pagare quattro massari, o apprezzatori, che in maggio per quattro giorni, sarebbero andati assieme ad un notaio, o “scrittore”, sul fondo, a verificare l’estensione delle terre seminate da ogni colono, stimando approssimativamente il prodotto. Così l’economo del vescovo doveva pagare anche le cavalcature, lo stallaggio, la biada ed il vitto, stipendiare uno sbirro che, durante il raccolto, “va girando per l’aie”,[xxiv] provvedere a raccogliere i terraggi e, all’imbottatura del mosto, affittare un magazzino a Isola per riporre il grano e l’orzo, man mano che si riscuote, pagare un misuratore e “palegiatore”, provvedere al trasporto del grano e dell’orzo dal magazzino di Isola in quello affittato di Crotone, e stipendiare anche qui un misuratore e palegiatore.[xxv]
Danneggiati da un incendio nel 1711,[xxvi] nel 1720 la torre ed i due magazzini sono abbandonati e “diruti”.[xxvii] Continuano il disboscamento e le usurpazioni con il passaggio di molte terre da demaniali ed ecclesiastiche a baronali.[xxviii] Si allarga la parte chiusa a vigne e a olivi, mentre vengono costruiti caprarizzi[xxix] e altri edifici di fabbrica[xxx] limitando sempre più il pascolo. Le tre generazioni previste dai contratti fatti al tempo del vescovo Carafa passano, ma le terre non ritornano. Il tentativo del vescovo Costa, di convocare gli illeciti possessori presso il suo tribunale, fallisce per l’intervento del feudatario di Isola, il potente duca di Montesardo, il quale gli impedisce di rientrare in possesso delle terre, o di rinnovare i contratti di enfiteusi.[xxxi]
Verso la metà del Settecento, Bugiafaro, situato verso la “Marina”, e confinante principalmente con i vasti possessi del feudatario e del vescovo di Isola, e con quelli dell’abbate di Santa Maria del Carrà, o di S. Anastasio, è costituito da terre rase e aratorie, da terre petrose, e da bosco. Una sua parte e precisamente, quella “nel piano a basso dove vi sono le quercie”, detta “li vignali di Bugiafaro”, è usurpata dagli Isolitani.
Questo territorio fu censuato col patto che, terminata la terza generazione, ritornasse alla mensa vescovile di Crotone con tutti i miglioramenti. Le tre generazioni sono passate e non solo le terre non sono state riconsegnate, ma esse sono occupate in gran parte da Isolitani privi di qualsiasi titolo; ai quali sono state cedute illegalmente dai censuari.[xxxii] La mensa vescovile è continuamente avversata, sia nell’affittarla ai pecorai,[xxxiii] sia nelle trasformazioni del territorio da boscoso in seminabile. La corte principale di Isola, secondo l’economo della mensa vescovile di Crotone, oltre a proteggere i debitori morosi, che da anni non versano i terraggi, impedisce il disboscamento per l’aratura con pene.[xxxiv]
Il territorio è inoltre al centro di controversie, perché l’economo della mensa vescovile lo affitta sottobanco senza rispettare la procedura prevista per simili affitti, che prevedeva, come per gli altri terreni ecclesiastici, prima la pubblicazione dei banni e l’affissione delle cartelle nei luoghi pubblici, poi l’accensione delle candele e quindi, si liberava l’affitto al miglior offerente.[xxxv] Inoltre, si sospettano frodi nell’apprezzo dei seminati, perché sembra che chi ha preso in affitto le terre, abbia corrotto i massari addetti alla stima.[xxxvi]
Con la formazione del nuovo catasto del 1743, Crotone descrisse sei corsi, tra i quali Bugiafaro, come facenti parte del suo territorio e, nei due anni successivi, fece esigere su questi le collette, ma ben presto l’università di Isola li rivendicò come facenti parte del suo distretto. Sorse allora una lunga controversia tra l’università di Crotone e quella di Isola, in quanto entrambe rivendicavano il diritto di tassare le vaste tenute di Bugiafaro, Le Puzzelli, Domine Maria, Sant’Andrielle, le Comunelle e Forgiano, poste ai confini di Isola verso Crotone, e quasi tutte possedute da enti religiosi crotonesi.[xxxvii] Dopo lunga lite venne concluso nel 1766, che detti territori si accatastassero per metà dalla università di Crotone e per metà da quella di Isola.[xxxviii]
Tra gli atti presentati dall’università di Isola, vi era anche una memoria con la descrizione di Bugiafaro: “Il territorio chiamato Bugiafaro della natura di corso situato nelle pertinenze della città d’Isola spetta in proprietà alla mensa vescovile della città di Cotrone ed è stato stimato di estensione moggi 1800. D.o corso (non) è parte del Bosco ma territorio, è circoscritto da lim. i cittadini dell’Isola godono in d.o corso li med.mi jussi denotati nel d.o corso del Bosco; li cittadini di Cotrone e Papanice non vantano jus alcuno, ne di pascolo, ne altro, spettando solamente alla mensa vescovile d’esiggere i terratice delle cesine (cioè dei terreni ricavati bruciando parti boschive) seminate da cittadini di Isola, secondo la stima fatta da Periti eletti, specialmente per tal fine, ed esiggere l’estagli dell’erbaggi affittati a forastieri per il pascolo delle terre rimaste inseminate senza pretendere cos’alcuna da’ cittadini d’Isola, per il pascolo, ed altri jussi esercitati come sopra”.[xxxix]
La mensa vescovile di Crotone vi aveva quindi lo Jus di fidarlo ed affittarlo a pascolo solo di pecore, e lo jus di esigere il terratico di quello che vi si seminava, mentre il territorio era aperto tutto l’anno agli usi civici degli Isolitani, i quali vi avevano i diritti di legnare, arare, spietrare, pascolare ogni sorta di animali, eccetto le sole pecore. Rimaneva ancora la parte boschiva, soprattutto il querceto.[xl] La mensa lo affittava per uno o tre anni, ricavandoci circa 1000 ducati all’anno pagabili in due rate: a S. Janni e a Molerà.[xli]
Per porre fine a proteste riguardanti l’attendibilità degli apprezzi che, di solito, venivano eseguiti da quattro massari di Crotone, si giunse ad un accordo tra i coloni di Isola e la mensa vescovile di Crotone, secondo cui si stabiliva che dei quattro due fossero di Isola.[xlii] Sempre in questi anni poco dopo la metà del Settecento, a causa della siccità si assiste alla decadenza delle aree dedicate al vigneto che ritornano ad essere seminative.[xliii]
La mensa vescovile di Crotone affittava i terreni di Bugiafaro a quasi un centinaio di coloni di Isola e tramite il suo agente, tra la fine di ottobre e l’inizio di novembre, al momento della semina, anticipava a molti di loro anche la semente, obbligando questi ultimi a saldare alla raccolta in grano, al prezzo della voce di maggio di Cutro. I coloni mettevano a grano, orzo, fave e favette, i territori affittati, impegnandosi alla raccolta a pagare il terraggio, valutato in tante tomolate del genere coltivato, quanto sarebbe stato stabilito dall’apprezzo da farsi nel mese di maggio da quattro apprezzatori (due massari di Crotone e due di Isola). La coltura maggiormente praticata era il grano (75/80 per cento), seguiva l’orzo (10/15 per cento), il rimanente era a fave e favette.
Le parti non seminate, dette “vacanti”, erano affittate con pagamento in denaro a San Janni e Molerà, ad uso di pascolo di pecore. A giugno e ad agosto maturavano, inoltre, gli annui canoni in denaro, che dovevano pagare i possessori delle vigne ormai ridotte a vignali, concesse a suo tempo con contratto di enfiteusi dal vescovo Carafa.[xliv]
Questi ultimi mettevano i vignali per un triennio a semina e poi, nel triennio successivo, li affittavano a pascolo, ricavandoci di solito nella semina un tomolo di grano bianco per tomolata all’anno e nell’erbaggio un ducato all’anno per tomolata.[xlv] Tuttavia, sempre più ampie aree venivano disboscate e recintate e, ancora alla fine del Settecento, l’università di Isola doveva intervenire tramite il suo procuratore presso la Regia Camera in Napoli, perché il vescovo di Crotone ed altri possessori di terreni soggetti agli usi civici, avevano dato a censo con la clausola “ad meliorandum”, i loro terreni a persone le quali intendevano, o stavano già facendo delle chiusure, privando o limitando così i cittadini degli usi civici.[xlvi]
Dopo il Decennio francese, durante il quale Bugiafaro fu assegnato in colonia, rimase alla mensa vescovile il diritto di esigere la decima sulle biade che vi si seminavano. Allora, il decimo dovuto dai coloni sulle derrate di “principal coltura”, era stabilito approssimativamente, da due periti, uno di Crotone ed uno di Isola che, alla fine del mese di maggio, si portavano sul fondo e, valutata l’estensione delle terre seminate e il prodotto, ne stabilivano la prestazione in decimo.[xlvii]
La mensa vescovile, tuttavia, cominciò a trovare difficoltà nell’amministrazione delle proprietà, tanto che fu accusata dal capitolo, oltre che di affittare fraudolentemente sottoprezzo i fondi, di trascurare “di esiggere le decime d’un fondo specioso, d.o Buciafaro, di moggia 1800 tutto in coltura”,[xlviii] così non esercitò più direttamente tale diritto, ma lo diede in affitto.[xlix] Alla metà dell’Ottocento, questo diritto su Bugiafaro era affittato per soli 40 ducati annui al barone Barracco.[l]
Note
[i] Pometti F., Carte delle abbazie di S. Maria di Corazzo e di S. Giuliano di Rocca Fallucca in Calabria, in Studi e documenti di Storia e diritto, 1901, p. 281.
[ii] BAV, Vat. Lat. 7572, ff. 44-47.
[iii] AVC, Processo grosso di fogli cinq.cento settanta due della lite, che Mons. Ill.mo Caracciolo ha col S.r Duca di Nocera per il Vescovato, ff. 418-419.
[iv] AVC, Privilegio dello Sacro Vescovato dell’Isula, in Processo grosso di fogli cinq.cento settanta due della lite, che Mons. Ill.mo Caracciolo ha col S.r Duca di Nocera per il Vescovato, ff. 412v sgg.
[v] La mensa vescovile di Crotone possedeva nel 1570, il territorio detto “lo curso de bucciafaro nel tenimento della citta dellisola jux.a le terre del vescovato dellisola e le terre della baronale corte”. ASN, Dip. Som. 315/9.
[vi] ASN, Dip. Som. 315/9, ff. 1-2.
[vii] AVC, Acta Sanctae Visitationis ab Ill.mo ac R.mo D.no Episcopo D. Marco Rama, A. D. 1699 confecta, f. 74.
[viii] Così è descritta in questi anni la tenuta che l’abbazia del Carrà possedeva nel territorio di Isola: “Il territorio consiste in quattro diversità, ci sono boschi inutili, e boschi che col tempo si potrebbero domesticar e far olive, in terre aratorie et quelle chiamano gabelle … Consiste anche in campagna rozza la quale serve per herbagio e questa da più entrada e gadagno ch’ad danno le terre aratorie : quando ci fussero homini che potessero aprir tutte le terre l’intrada saria piu, e piu certa ma perche son pochi habitatori et terre molte, mette più conto lasciarle per herba che aprir alcuna perche la quale poco frutto daria et impederia tutto il resto che l’erbaggio perche li patroni de le bestiame vedendo seminati intorno o in mezo non accordariano le bestie dubitando che facessero demanio et havendo cosi ad pagar li interessi et che le bestie gli fussero menate prigioni a lisola, altri pezze di terre sono fatte giardini et pagano un censo alla chiesa”. ASV, Vat. Lat. 6190, ff. 211-211v.
[ix] ASN, Dip. Som. 315/9, ff. 1-2.
[x] Dopo la morte del vescovo Antonio Minturno, le gabelle di Prastio, San Biasi ed il corso di Bucciafaro, sono affittate unitamente ad una società composta da Gio. Domenico Manfreda e altri coloni cosentini per tre anni, per ducati 650 l’anno, da pagarsi in tre rate, cioè a carnevale, pasqua e alla fiera di Gesù Maria, che cadeva la prima domenica di maggio. ASN, Dip. Som. 315/9.
[xi] AVC, Cart. 76, Memoriale a S. E. fatto da Mons. Pastore contro gl’Isolitani occupatori delle terre di Bucciafaro.
[xii] I territori corsi di Isola erano “Domine Maria” del decanato di Crotone, “Li Comunelli” del beneficio di S. Maria degli Angeli della famiglia Labrutis, eretto nella cattedrale di Crotone, “Forgiano” dell’abbazia di S. Nicola di Jaciano, “Buggiafaro” della mensa vescovile di Crotone, “S. Barbara” della mensa vescovile di Isola, “Nastasi” della badia di S : Maria del Carrà, “Patire” della badia di S. Maria del Patire e “Li Pozelli” del cantorato di Crotone. ASCZ, Busta 1063, anno 1749, ff. 1-10.
[xiii] AVC, Cart. 76, Scomunica contro il barone di Isola D. Luise Catalano e contro li debitori di d.o Buciafaro fulminata dal Mr fra Gio. Pastore, Cotrone 14.12.1660.
[xiv] AVC, Cart. 76.
[xv] ASV, Rel. Lim. Crotonen., 1730.
[xvi] AVC, Acta Sanctae Visitationis ab Ill.mo ac R.mo D.no Episcopo D. Marco Rama, A. D. 1699 confecta, f. 73v.
[xvii] AVC, Cart. 76.
[xviii] AVC, Acta Sanctae Visitationis ab Ill.mo ac R.mo D.no Episcopo D. Marco Rama, A. D. 1699 confecta, f. 75v; A.V.C. Anselmus de la Pena, Visita, 1720, f. 58.
[xix] Valente G, La costa dei Dioscuri, Frama Sud 1973, pp.73-74.
[xx] AVC, Acta Sanctae Visitationis ab Ill.mo ac R.mo D.no Episcopo D. Marco Rama, A. D. 1699 confecta, f. 67v.
[xxi] AVC, Acta Sanctae Visitationis ab Ill.mo ac R.mo D.no Episcopo D. Marco Rama, A. D. 1699 confecta, f. 74.
[xxii] AVC, Acta Sanctae Visitationis ab Ill.mo ac R.mo D.no Episcopo D. Marco Rama, A. D. 1699 confecta, f. 73v.
[xxiii] A.V.C. Anselmus de la Pena, Visita, 1720, f. 118.
[xxiv] Alcuni massari di Crotone esperti nell’apprezzare le biade, affermano che da sempre si è usato nel mese di maggio da parte dei massari di Crotone, apprezzare le messi esistenti in Bugiafaro senza chiamare i massari di Isola, ma solo due giorni prima di andare a fare l’apprezzo si avvisano i coloni ed i padroni dei seminati. ASCZ, Busta 661, anno 1721, f. 348.
[xxv] Conto della mensa vescovile di Crotone 1711/12. ASN, Dip. Som. Fasc. 315, ff. 12-13. AVC, Cart. 134, Platea della mensa vescovile, Cotrone 1784.
[xxvi] Per questo motivo il vescovo aveva ottenuto la diminuzione di una pensione che doveva a S. D. Migliaccio da duc. 400 a 200. ASN, Dip. Som. Fasc. 315, f. 13.
[xxvii] A.V.C. Anselmus de la Pena, Visita, 1720, f. 58.
[xxviii] “Li massari più vecchi di detta città si lagnavano che il S. Duca per mezzo de suoi erarii haveva occupato molte terre delle fratte e se l’haveva aggregato al terzo di saporito terre baronali e che quelle che se l’haveva di sopra occupato se l’haveva sboscato”. ASCZ, Busta 660, anno 1718, ff. 77-78.
[xxix] 6 luglio 1707. Il barone di Isola ottiene dal vescovo di Crotone due tomolate di terra nel corso di Bucciafaro, nel luogo detto “le costieri”, “per armarci un novo caprile essendo le medesime due tumulate di terra infruttiferi et inabile a sementarsi”. AVC, Cart. 76.
[xxx] A. Vigna affitta dalla mensa vescovile di Crotone per il pascolo delle pecore le terre di buggiafro, ma protesta e vuole uno sconto perché dieci tomolate di terra sono occupate da F. Trapasso, il quale vi ha impiantato olivi e vi ha fatto una “privata chiusura”. AVC, Cart. 117.
[xxxi] ASV, Rel. Lim. Crotonen., 1730.
[xxxii] Dalla lista degli occupatori di Bugiafaro fatta dall’economo della mensa vescovile di Crotone, risulta che quasi tutti hanno cognomi diversi da quelli dei primi censuari. AVC, documento senza segnatura.
[xxxiii] L’economo protesta perché gli occupatori e gli usurpatori pretendono di esigere il pagamento a danno della mensa vescovile dal pecoraio A. Tancredi, il quale pascola nel territorio detto “li vignali di Bugiafaro”. AVC, Cart. 89.
[xxxiv] G. Morgante, colono di Isola, essendo andato a disboscare ed arare alcune terre nel comprensorio di Bugiafaro dette “la via di Schiavo”, ne è impedito dalla Corte Principale di Isola, che gli intima “che sotto pena di ducati dieci non ardisse di sboscare, ne arare dette parti di terra”. AVC, documento senza segnatura.
[xxxv] In questi anni G. Micilotto e D. Tirioli affittano dall’economo della mensa vescovile di Crotone, il corso di Bucciafaro per tre anni, per ducati 600 all’anno. Nell’affitto non furono compresi alcuni vignali censuati, che rimasero in beneficio della mensa vescovile. ASCZ, Busta 1323, anno 1756, ff. 28-31.
[xxxvi] Nel 1761 il fattore di G. Cariati va con i massari ad apprezzare le terre di Bugiafaro e di Nastasi, prese in fitto dal suo principale: “trovarono li seminati sud.ti secchi e senza frutto per causa della sterilità dell’acque a segno che da tomolate cinquanta di sementato ne stimarono e le passarono per tomnolate tre o quattro, e tumolate venti le stimarono tumolate uno circa, e per gl’altri seminati li stimarono dove un quarto, dove un mondello poco più, o poco meno, ed alcune parti non le stimarono per causa di non esserci frutto”. ASCZ, Busta 1268, anno 1762, f. 35.
[xxxvii] Nota di fatti e … a pro della Uni.ta della città di Cotrone contro l’uni.tà della città dell’Isola. AVC, documento senza segnatura.
[xxxviii] In esecuzione del Regio Assenso spedito in Camera Reale il 9.12.1765, fu steso il 5.6.1766 presso il notaio Nicola Partale, un accordo tra le due università. AVC, Cart. 76.
[xxxix] Fatto per la causa tra l’università d’Isola e quella di Cotrone. AVC, documento senza segnatura.
[xl] Mensa vescovile di Crotone, affitto di Bugiafaro: anno 1799, duc. 900 (1 anno); anno 1800, duc. 950 (1 anno); anno 1805, duc. 980 (3 anni) + 80 forme di cacio piccolo. AVC, Cart. 76.
[xli] Nel 1758 la cappellania laicale di S. Giuseppe, eretta nella chiesa dell’Annunziata, possiede una continenza di terre luogo Bugiafaro “volgarmente detta le querchie incolte inalberata di querci”. AVC, Cart. 140.
[xlii] Apprezzo di Buggiafaro fatto in quest’anno 1775 per mezzo di massari Floro Schiavo e Antonio Manfredi di Cotrone e per mezzo de massari Madarena e Gimigliano d’Isola. Platea della mensa vescovile di Cotrone, 1775-1777. AVC, Cart. 125.
[xliii] Annui canoni che maturano a giugno sopra li vignali che prima erano vigne nel territorio di Bugiafaro, in Platea della mensa vescovile di Cotrone, 1775-1777. AVC, Cart. 125.
[xliv] Platee mensa vescovile di Crotone anni 1775, 1776, 1777, 1778, 1793. AVC, Cart. 125.
[xlv] Stato attuale delle rendite e de pesi delle chiese dell’Annunziata e di S. Maria degli Angeli della città di Isola, 1790. AVC, documento senza segnatura.
[xlvi] L’università di Isola, tramite il suo procuratore, fa presente che alcuni possessori di territori soggetti all’uso civico, tra i quali i vescovi di Crotone ed di Isola, hanno stipulato dei contratti di censuazione con tre individui “e questi censuari pretendono formare chiusure de territori censuiti e ridurre il loro uso ad altra forma”, tale da impedire ai cittadini l’uso dei diritti civici. Chiede pertanto che i proprietari dei fondi “non faccino censuazioni e chiusure in pregiudizio della sua Principale, e che i censuari de sopradetti territori e qualunque altro che avesse conseguito terreni ad meliorandum non debano proibire a cittadini d’Isola l’espressato civico sopra detti fondi e che non facciano ne medesimi chiusure ed altri ripari per impedirlo sotto pena di carcerazione e che le chiusure fatte si riducano ad pristinum”. Napoli 15 Xbre 1797. AVC, documento senza segnatura.
[xlvii] Processo verbale sul prodotto approssimativo della prestazione dei dritti di decimo, in AVC, Platea mensa vescovile di Cotrone, 1827.
[xlviii] Lettera del Capitolo e Clero della chiesa cattedrale. AVC, Cotrone 17 aprile 1818.
[xlix] Viene affittato per sei anni, a partire dal primo novembre 1819, il diritto di esigere le decime su Bugiafaro a D. Pietro Albani. AVC, Cart. 125, Platea mensa vescovile di Cotrone 1821.
[l] Il diritto di decima era affittato al Baracco dall’agosto 1854 al 1857, per duc. 40 annui, da pagarsi ogni terza domenica di maggio. AVC, Platea mensa vescovile di Cotrone, 1853-1857, f. 4.
Creato il 27 Febbraio 2015. Ultima modifica: 10 Febbraio 2023.