Uomini e boschi di Crotone e di Isola. I casi Forgiano, Salica e Carbonara

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Il corso di Forgiano

Il corso di Forgiano di circa 800 tomolate, era situato nel territorio di Isola e confinava con i corsi Domine Maria, Buggiafaro, e Puzzelle, che faceva parte del Bosco, il mare, ed il feudo di Perrotta, in territorio di Crotone. Esso apparteneva all’abbazia di San Nicola di Jaciano, detta anche “San Nicolò di Giacciano” o di “Furgiano”, che era situata in territorio di Scigliano e diocesi di Nicastro.

Passata poi in commenda,[i] verso la metà del Settecento ne era commendatario il cardinale Pier Luigi Caraffa il quale, il 4 maggio 1743, cedette il corso in enfiteusi perpetua, previo precedente permesso in scriptis della Sacra Congregazione de vescovi e regolari, in virtù di remissione fattane alla medesima Sacra Congregazione dal papa Benedetto XIV, al marchese di Perrotta, Francesco Cesare Berlingieri, “per se stesso, suoi eredi, e successori, anco estranei”, che si impegnò al versamento annuo perpetuo di ducati 180, da corrispondersi in due rate uguali, cioè ducati 90 a gennaio e gli altri a giugno.[ii]

Il marchese, possessore del vicino feudo di Valle Perrotta, già in precedenza aveva affittato dal cardinale tutti i beni dell’abbazia, stipulando contratti di durata triennale, che prevedevano il pagamento di ducati 635 in due rate, metà ad agosto e metà a dicembre,[iii] con alcuni patti e condizioni.[iv]

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La “Chiesa di Forgiano” in un particolare della tavola N.° 29 (1789) della carta di G. A. Rizzi Zannoni.

In potere del marchese Berlingieri

Il marchese riuscì nell’intento, usando la corruzione e la violenza. Egli, infatti, con lettera ad Agazio di Soda di Isola, lo spinse dapprima ad insinuare al canonico La Morea di Catanzaro, delegato del cardinale Caraffa, che Forgiano era “infertile et petroso di pochissima rendita”, mentre invece, era “terra fertile e fruttuosa”. Poi il Soda assieme al massaro del marchese, accompagnò il delegato del cardinale per misurare l’estensione del territorio ma gliene nascose un terzo, in modo da ridurre il pagamento.

Inoltre, appena andato via il delegato, il marchese con altra lettera al Soda, gli comunicava di trovare due testimoni fidati e, complice un notaio, si affiggesse l’editto di vendita di Forgiano e subito dopo lo si togliesse, in modo che nessuno ne venisse a conoscenza. Questo fu fatto e, ogni otto giorni, per tre volte, testimoni la prima e la seconda volta, il mastro Agostino Calvo e Giuseppe Inglese di Isola, si affisse e si tolse l’editto redigendo un atto di notaio.[v]

Così al momento della concessione, il corso fu descritto come costituito da “terre inculte, alpestre, et aratorie senza alberi fruttiferi e senza alcuna fabrica a riserba però de vestigii d’una chiesa diruta, di già profanata”.[vi] Il marchese oltre al censo enfiteutico perpetuo al commendatario, si impegnò a pagare ogni settembre alla camera baronale di Isola ducati 20, per la finaita che si esigeva annualmente per fare pascolare le pecore,[vii] a riedificare la chiesa sotto il titolo di San Nicola, dotandola in modo che vi si potesse celebrare una messa bassa nei giorni festivi per coloro che lavoravano in quelle campagne e, per ultimo, al pagamento dei fiscali che si dovevano ogni anno a beneficio dell’università sul cui territorio si trovava il corso.[viii]

Il territorio venne concesso con “tutti li jussi domenicali di farvisi arare, seminare, piantare alberi fruttiferi, costruirvi edifici, serrare acque ad uso di beviere, e piscine, o pozzi con tutte le altre azioni, diritti e ragioni che a propri patroni convengono”, però era ancora soggetto “in quelle parti, ove non si trovano seminati, alberi fruttiferi, o vigne con formale clausura”, alle servitù del corso, “cioè del pascolo di tutti gli animali spettanti ai cittadini, di Cotrone e dell’Isola, escluse però le pecore, ritraendone l’abbate commendatario pro tempore l’emolumento”.[ix]

Le località “Forgiano”, “Cas.o Forgiano”, “Forgianello” e “Bèvere di Forgianello” in un particolare del F. N° 577 “Isola di Capo Rizzuto” della Carta d’Italia 1:50.000 dell’IGM.

Il marchese usurpa i diritti civici

Il marchese subito cominciò a limitare i diritti civici. Una testimonianza di alcuni pecorai asserisce che, prima della cessione, mentre essi pascolavano le loro pecore nel corso, “li cittadini di detta città dell’Isola anche andavano a pascolare et in alcune parti aravano con tutto che l’affitto di dette terre correva” in loro conto. Essi allora si lamentarono col sostituto del cardinale Caraffa che gli aveva affittato il corso, e questo disse loro che “come corso, li cittadini dell’Isola, vi anno il jus di pascolare, et arare … qual pascolo ed arare era nelli vacanti di detto Forgiano”.[x] I contrasti aumentano man mano che il marchese procede a trasformare l’incolto in colto ed a fare chiusure. Tra il 1744 ed il 1748, egli opera numerosi interventi impossessandosi di alcune sorgenti e disboscando e chiudendo alcune parti del territorio.

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Disboscamento e messa a coltura

Nella primavera del 1748 due pubblici apprezzatori di Isola e due di Crotone, pratici delle cose di campagna, su richiesta del marchese, si recarono sul corso per stimare i miglioramenti che vi aveva apportato.

Essi certificarono che il corso era “in tutte le terre in buona coltura” e vi erano dei nuovi fabbricati, alcuni completi, cioè la chiesa, tre case di campagna, un porcile e due fontane col biviere, ed altre in fase di completamento. Nelle vicinanze delle case di campagna il marchese aveva fatto per molto tempo stabbiare i suoi armenti, in modo da rendere quelle terre fruttifere e adatte alla coltivazione.

Vi erano poi due giardini di buona estensione per fare i quali il marchese aveva fatto disboscare, spianare e circondare il terreno con chiusura di pietra secca e fossi profondi e larghi, in modo da impedire l’entrata di animali. Il giardino “della Chiesa”, così detto per la vicinanza dell’edificio sacro, era formato da 800 alberi da frutto (fichi, ciliegi, ecc.), piantati negli anni passati, e 500 di recente. Il giardino di “Marrasto”, dal nome di una sorgente, era composto da 500 alberi di gelsi neri e bianchi “per uso di far la seta”, da 3500 alberi da frutto (peri, fichi, mandorli, ecc.), da un canneto, da una piantagione di ulivi, noci e nocelle, e da una vigna con 1373 viti.[xi]

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Ricostruzione della chiesa di S. Nicola di Forgiano

Poco dopo, sempre nella primavera di quell’anno, andarono sul corso anche tre mastri fabbricatori, per stimare le fabbriche e gli edifici, i quali attestarono che il marchese vi aveva fatto erigere una nuova chiesa, edificandola dalle fondamenta sui resti dell’antica e completandola di “mattonata, porta, finestra, intempiata, covertura e altare”, nelle sue vicinanze aveva fatto costruire un biviere “col camino dell’acqua molto difficile per esservi portata dall’antico pozzo sorgivo” e, poco lontano dalla chiesa, dalla parte dove il corso di Forgiano confina con i corsi “del Bosco” e “delli Pozelli”, una casella detta di San Nicola per uso dei pastori. Vicino al confine con Buggiafaro si estendeva un grande porcile, che era in buona parte completo e coperto, e verso le terre feudali di Perrotta ed il corso di Domine Maria c’era una casella per uso di pastori con accanto, ma separato, un camerino ad uso cucina “per abitazione di una persona civile”. Tra questa casella ed il giardino grande di Marrasto vi era un altro biviere. Presso la sorgente “Arbanello” era stata costruita una “botte con duplicate mura”, in modo da raccogliere tutta l’acqua per alimentare un gran biviere che doveva essere costruito sul piano sottostante, mentre nel piano soprastante, “a vista del mare nella calata alla marinella”, era stata costruita un’altra casella, parte in calce e parte in creta, per uso di pastori.[xii]

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Fallimento dei raccolti e rese scarse

Morto il primo agosto 1749 Francesco Cesare Berlingieri, anche se il genitore aveva lasciato molti debiti,[xiii] l’erede il figlio Carlo, continuò nei miglioramenti “così d’edifici di fabriche, di casette, che della chiesa rurale, come pure due giardini, con chiusura, alberi fruttiferi e vigne, consistentino in circa migliaia sedici di viti”.

Egli dovette subito sostenere alcune liti con i vescovi di Isola e di Crotone, i quali pretendevano di esigere la decima sugli animali che pascolavano le sue terre.[xiv] Poiché per gli impegni doveva spesso assentarsi e si trovava in difficoltà finanziarie, anche per il continuo fallimento dei raccolti e “per la grande mortalità dei suoi armenti”,[xv] nel giugno 1765 fece società col parente, il patrizio crotonese Giacomo d’Aragona, motivando la decisione che, per rendere fruttiferi i giardini e le vigne, era necessaria non solo la presenza continua di una persona interessata “che invigilar potesse secondo il bisogno accaderà alla cultura d’essi”, ma anche che bisognava spendervi del denaro che egli non aveva a disposizione.

Egli, perciò, cedette all’Aragona per 12 anni, 6 di fermo e 6 di rispetto, a partire dal primo settembre 1765, l’amministrazione del territorio con ampia facoltà di affittare, coltivare e far coltivare, nel modo che ritenesse più opportuno, purché non si “apportasse pregiudizio o detrimento così alla proprietà, che al buongoverno delle industrie”. Il socio si impegnò ad amministrare ed a far fronte con proprio denaro, sia alle spese necessarie per la coltura, che a quelle che avrebbero gravato sulla proprietà, con la condizione che gli utili e le eventuali perdite, sarebbero stati ripartiti a metà.[xvi]

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Descrizione della gabella Salica

Poco dopo la metà del Cinquecento la gabella di Salica così è descritta in una visita del vescovo di Isola Annibale Caracciolo: “Una gabella seu continenza delle terre da circa salmate 100 quale si chiama la gabella di Salica nella quale c’è una chiesa diruta chiamata Santo Nicola di Salica, ov’è una fontanella con un bevere e con un puzzo, quale terre sono parte piane e parte costi e ci è un bosco quale s’alleva tuttavia con molti cerzi e suveri qual bosco è di salmati venticinque, in trenta, e confina con le terre e gabella delle Puzzelle mediante una crista di pietre fisse, quale crista sparte il terreno della città dell’Isola e città di Cotrone, con la gabella di Carbonara mediante la via pubblica la quale via va in canto di l’acqua di la fico, che va dentro detta gabella di Salica, e ci è un altro puzzo d’acqua surgente, e poco più sotto ci è una fontana la quale, quantunque sia nella detta gabella di tuvlo piccolo, pure e comune allo bestiame di dette gabelle di tuvlo e di salica, per uscir detta acqua da detta gabella di Salica ed esser cusì antiquissima consuetudine che detti bestiame ponno servirsi di detta acqua di tuvlo, e poi confina con la gabella de li Condorini mediante un termine vicino un vallonetto, e scende verso mare di sotto un certo pizzale, e dallo detto pizzale se ne sagli per per uno vallone grande confinando con le terre e gabella di Pirrotta mediante detto vallone e se ne saglie allo piano della detta crista di pietre da dove cominciarono detti confini, la quale gabella per esser stata molto insalvagita, per farla aprire a domolate s’ha data a massaria, e la tiene M.ro Antonino lo Rizzo e Benedetto de Napoli per docati duecento e dieci l’anno, estaglio affittata per tre anni, e finisce l’anno entrante 1576 in erbaggio se venderà più”.[xvii]

Circa trecento anni dopo, verso la metà dell’Ottocento, un perito del comune di Isola così descriveva lo stesso fondo: “Il primo limite o termine confina col fondo Carbonara ed è coverto di boscaglia di mucchi scini ossiano lentischi, ginestre, viniglie, scializi e pochi piedi di ogliastri. Vi esiste verso tal termine il casaleno di una casetta diruta un po’ di calce impetrita e di niun uso una casetta di pietra secca coverta a tegole, un biviere ripieno di terra. Il secondo termine confina col fondo tuvolo ed è di terra rasa. Il terzo termine confina con il fondo Condorini con po’ di terre rase con poche lentische. Il quarto termine confina col fondo Pirrotta vi è terra rasa con poche lentische. Il quinto termine confina col fondo Puzelli e non vi è che terra rasa. Il sesto termine confina col fondo Sacchetta e vi è boscaglia di lentische, di visciglie e qualche arbusto di soghero.”[xviii]

Le località “C. Salica”, “R. Carbonara”, “C. Carbonara” e “V. della Carbonara”. Particolare del F. 238-III “Crotone”, della Carta d’Italia 1:50:000 (U.S. Army 1943, copiata da una mappa italiana del 1896).

Dalla pastorizia alla granicoltura

Dal confronto tra queste due relazioni risalta la grande trasformazione avvenuta in quella fascia di territorio compresa tra il territorio di Isola e quello di Crotone in età moderna. Alla fine del Cinquecento la gabella, o continenza di terre, conservava ancora una sua originalità ed una sua funzione, nonostante che il pericolo turco, le calamità naturali e la recessione economica, la stessero duramente colpendo.

Pure “molto insalvagita” e con la chiesa di San Nicola “diruta”, dalla descrizione emerge un paesaggio tipicamente pastorale con una sua vitalità e potenzialità, date dalle sue fontanelle, il beviere, il pozzo, il bosco denso, fitto e umido, con molti alberi pregiati, “cerzi” e “suveri”, le sorgenti, ecc. È descritta la natura delle sue terre, parte piane e parte coste, la posizione dei suoi valloni, i suoi labili confini naturali, i diritti, l’estensione delle sue porzioni particolari, ecc.

Tutto questo è introvabile trecento anni dopo. Salica è divenuta uno dei tanti fondi devastato ed impoverito dalla monocoltura granaria. Limitato da termini fissi e precisi. Il bosco ha perso la sua densità ed i suoi alberi migliori; esso è divenuto una boscaglia cespugliosa e secca, formata da lentischi, ginestre, “visciglie”, “scializi”, “pochi piedi di ogliastri e qualche arbusto di soghero”, assediata da ogni parte dalle terre “rase”, al posto della chiesa c’è una casetta abbandonata in pietra secca, il beviere è pieno di terra e le sorgenti, il pozzo ed i valloni sono scomparsi.

Crotone, località Salica.

Il monastero di San Nicola di Salica ed il suo bosco

Il “monasterium seu locum S. Nicolai de Salica cum terris e pertinentiis suis”, appartenne fin dal periodo normanno al vescovo di Isola; esso compare nei privilegi concessi da re Ruggero II e confermati da papa Eugenio III nel 1149 al vescovo isolano Luca, il quale aveva diritto di decima anche sulla cacciagione che, allora, era composta da cervi, caprioli, volpi, cinghiali,[xix] che assieme al lupo,[xx] alla martora, al gatto selvatico, ed ad altri animali, popolavano i boschi.

Salica confinava con il territorio li Puzelli che era parte del Bosco, cioè della difesa, o foresta di Isola di Crotone, dove era severamente proibito cacciare non solo al suo interno, ma anche nelle vicinanze, durante i mesi di aprile, maggio e giugno. Infatti, la foresta o difesa di Isola di Crotone, come le altre difese esistenti in Calabria, tra le quali quella che sorgeva ad Alichia, presso l’attuale Cirò Marina, era adibita a caccia riservata per il re, e le carni dei cinghiali, di cui abbondava, salate rifornivano le regie dispense.[xxi] In quel tempo Isola era parte di Crotone ma, con la separazione, avvenuta alla fine del Quattrocento, il vescovo di Isola divenne proprietario di un territorio, cioè Salica, e della chiesa di San Nicola di Salica, nelle pertinenze di Crotone. Il fondo rimase in potere del vescovo mentre la chiesa fu probabilmente abbandonata all’inizio del Cinquecento, a causa delle devastazioni turche; essa, infatti, risulta “diruta” nella visita fatta a quel luogo dal vescovo Annibale Caracciolo nel 1575.[xxii] Già alla metà del Cinquecento il bosco di Salica ricopriva un quarto della gabella; esso si estendeva verso Carbonara, li Puzelli ed i confini con Isola.

Crotone, le abitazioni di Salica e Carbonara, e la vallata di Tufolo.

Vicende e passaggi di proprietà

Nel Seicento il territorio si presentava “parte boscoso e parte aratorio”,[xxiii] e fu oggetto di numerose liti tra i vescovi di Isola ed i cittadini di Crotone i quali rivendicavano i diritti civici, soprattutto quello di pascolo.

Una lite oppose all’inizio di quel secolo il vescovo Giovanni Antonio dei Massimi ai Crotonesi, un’altra verso la fine del Seicento, ebbe per protagonista il vescovo Francesco Marini che scomunicò i Crotonesi, i sindaci ed i magistrati di quella città, che vi introducevano con la violenza il bestiame per il pascolo e proteggevano “gli usurpatori”. Allora, la parte boschiva si trovava particolarmente danneggiata, lo si desume dal fatto che il vescovo non concesse il permesso di far legna ad un richiedente e progettava un suo rifacimento.[xxiv] Durante il decennio francese la mensa vescovile di Isola, secondo l’ordinanza del Masci del 1811, ne fu espropriata di un quarto che nel 1812, fu assegnato al comune di Crotone.[xxv]

La parte espropriata non riguardava evidentemente la parte boschiva, infatti, nei contratti di fitto della mensa vescovile di Crotone, al quale il fondo era andato a far parte dopo la soppressione del titolo vescovile di Isola nel 1818, il fondo è dato in fitto ad ogni uso di pascolo e semina a corpo e non a misura, ed era ricoperto in buona parte di boschi. L’affittuario si impegnava a non danneggiare gli alberi fruttiferi (querce, olivastri e soveri), restandogli accordato il solo legname di lentisci e degli altri infruttiferi per uso delle mandre e masserie che si stabilivano nel fondo.[xxvi]

Alla mensa vescovile di Isola e poi a quella di Crotone, rimasero così 540 tomolate di terra, in buona parte boscosa, che veniva data in fitto per sei anni, con pagamento in tre rate annuali,[xxvii] o per quattro anni con pagamento in due rate annue[xxviii]. Il fitto iniziava il primo settembre e variava dai 600 ai 650 ducati annui, e questo nonostante il fondo avesse subito la riduzione di un quarto, molto più di quanto dichiarava di percepirne il vescovo di Isola che, alla fine del Settecento, dichiarava un’entrata di soli 350 ducati.[xxix]

In seguito, la mensa vescovile di Crotone rientrò in possesso della parte staccata ma, dopo alcuni anni, il fondo passò all’Asse Ecclesiastico e in demanio, così un terzo fu acquistato nel 1868 dal barone Luigi Berlingieri.[xxx] Rimase dei Berlingieri (nel 1930 Salica di 217 ettari appartiene a Giulio Berlingieri) finché, negli anni ’50, non fu divisa tra i quotisti dell’OVS.

Crotone, la chiesa del villaggio O.V.S. di Salica.

La gabella Carbonara

Originariamente un antico feudo[xxxi] in tenimento di Crotone,[xxxii] posto ai confini del tenimento di Isola,[xxxiii] alla fine del Seicento la gabella di “Carbonara” di circa 140 salmate, situata in territorio di Crotone, apparteneva a Fabrizio Lucifero, il quale l’aveva comprata da Benedetto Peta.[xxxiv] Il Lucifero la vendette nell’agosto 1710, a Gio Aloysio Soda, figlio dell’erario del barone di Isola,[xxxv] per ducati 6000. All’atto della vendita così è descritta: Territorio burgensatico “con dentro una casella a due membri, puzzo, parte aratorio e parte boscoso e con piedi di quercie”.

Essa confinava con le gabelle di Coppola e Tuvolillo del beneficio di San Giacomo, col bosco di Salica del vescovo di Isola, con la gabella Lampamaro di Antonio Gallucci, e con il feudo di Sacchetta di Gio. Battista Barricellis.[xxxvi] I suoi termini correvano “dalla Ficarella e va al termine di Salica e da detto termine va alla manca di coppula, tira al Liternetto e dal Liternetto esce a Lampamaro del S. Gallucci e da questo a Castellaneta et esce a Lampamaro d’Albani si jetta acqua corrente per il vallone delli cannizoli et esce alla serra delli miccisi, e dalla serra delli miccisi va alli Bonelli, e dalli Bonelli a S. Andrea, e da S. Andrea esce a Sacchetta e da Sacchetta corre nella Ficarella.”[xxxvii]

Passata la gabella in proprietà a Gio. Aloysio Soda di Isola, ma abitante in Crotone, essa fu subito oggetto di numerose e lunghe liti, sia perché il territorio era gravato da un’ipoteca di ducati 4000 che il Lucifero doveva a Pompilio Berlingieri, vescovo di Bisignano,[xxxviii] sia per la questione dei confini, soprattutto dopo che la parte seminabile fu ampliata, dopo avervi effettuato ampi disboscamenti col fuoco.

Crotone, località Carbonara.

Liti per i confini

Una disputa oppose il Soda al marchese Fabrizio Lucifero, che gli aveva venduto il territorio, al monastero di Santa Chiara di Cutro ed ai De Bona proprietari della confinante gabella Miccisi;[xxxix] un’altra vide fronteggiarsi il Soda con il vicario della cattedrale di Crotone Paulo Pietro Albano, possessore della confinante gabella di Lampamaro,[xl] e un’altra ancora lo oppose al possessore del confinante feudo di Sacchetta.[xli] L’incertezza dei confini dava pretesto al continuo incarceramento degli armenti che sconfinavano, e a forti contrasti sul diritto di dare in fitto e coltivare, specie le recenti cesine, su parte delle quali la proprietà era contesa, mentre l’incertezza era occasione per dare adito ad episodi di violenza contro coloro che vi seminavano.[xlii]

Crotone, località Carbonara.

Disboscamenti e degrado

La gabella di Carbonara e le confinanti, alla fine del Seicento, erano ancora in buona parte boscose. All’inizio del Settecento riprese con forza il dissodamento e con esso aumentarono di valore i territori.[xliii] Carbonara, dopo il disboscamento attuato dal Soda col fuoco, dal valore di ducati 6000, essendo ormai “tutta terra culta”, nel 1724 ne valeva almeno 10.000,[xliv] ma essa, come anche le vicine gabelle di Miccisi, di Buggiafaro, di Lampamaro, ecc., dopo le prime annate fertili, ottenute nei territori recentemente disboscati, vedrà ben presto scendere le rese, a causa dell’impoverimento dell’humus, essendo il terreno non più protetto dalla copertura boschiva, ed andrà ben presto soggetta a ricorrenti raccolti scarsi, causati dalla siccità, dal dilavamento e dalla erosione del terreno, sempre più incapace di assorbire e contrastare la furia delle acque. A questo si aggiungeranno le maggiori spese occorrenti per la sua coltura a causa della lontananza dai centri abitati.[xlv]

Gio Aloysio Soda “visse per tutto il tempo di sua vita coll’industria della massaria de grani e coltura de campi”. Lasciò sette figli maschi, tre intrapresero la carriera ecclesiastica, gli altri quattro vissero con le rendite dell’unica proprietà che possedevano, cioè il fondo Carbonara gravato da ipoteche, così che molto poco a loro rimaneva “per poter scarsamente vivere”.[xlvi] Alla morte di Gio. Aloisio Soda, infatti, ereditarono i figli, ma essendo in età minorile, ebbero per tutrice e curatrice la madre Antonia Palmieri. Morta anche costei, il territorio di Carbonara, composto da “terre aratorie”, rimase al figlio maggiore, il sacerdote Domenico Soda, che divenne tutore e curatore dei fratelli minori.[xlvii] In seguito, i fratelli Soda valorizzarono il fondo, alberandolo in parte con ulivi. Così nel 1776 esso è descritto “di terre aratorie la maggior parte e parte alberato di olive”.[xlviii]

Note

[i] Alla fine del Cinquecento l’abbazia era in commenda al cardinale Giulio Antonio Santoro, arcivescovo di Santa Severina. ASV, Rel. Lim. Insulan., 1594.

[ii] ASCZ, Busta 1342, anno 1765, ff. 65-68.

[iii] Il Berlingieri affitta tutti i beni della badia per 3 anni ad iniziare dal 1.1.1733. In precedenza, essi erano stati dati in affitto a Michele Giglio del Sorbo e Vincenzo d’Addario. ASCZ, Busta 614, anno 1732, ff. 44-49.

[iv] Tra le condizioni vi era che “nelle montagne della detta badia non possano d.ti SS.ri conduttori tagliare alberi fruttiferi di qualunque specie vi fussero e che non possano affittare per uso di masssarie di semine li boschi delle montagne della medema badia che con fare detti affitti conviene sboscare i medemi in disservizio della medema badia”. ASCZ, Busta 614, anno 1732, f. 47v.

[v] ASCZ, Busta 667, anno 1745, ff. 59-60.

[vi] ASCZ, Busta 911, anno 1743, f. 74.

[vii] Nella fiera di San Giovanni dell’Agli, l’agente generale della Camera Principale di Isola esigeva la finaita da coloro che avevano in fitto le gabelle di Forgiano e di Domine Maria, sia che l’avessero in fitto in semina che in erbaggio, e si pagava per Forgiano duc. 20 e per Domine Maria duc. 6. ASCZ, Busta 1372, anno 1760, ff. 279-280.

[viii] Il corso di Forgiano fu concesso con atto del 31 marzo 1743. AVC, senza segnatura.

[ix] ASCZ, Busta 911, anno 1743, f. 75.

[x] ASCZ, Busta 667, anno 1745, ff. 60-61.

[xi] I due giardini furono stimati del valore di ducati 5121 e grana 15. ASCZ, Busta 854, anno 1748, ff. 7-10.

[xii] I tre mastri fabricatori di Rogliano, Francesco Fezza, Santo Sicilia e Pasquale Muto, stimano il tutto duc. 2205. ASCZ, Busta 1063, anno 1748, ff. 16-18.

[xiii] Morto Francesco Cesare Berlingieri, ereditano i figli Carlo, Annibale e Pompilio che, trovando l’eredità gravata di debiti, vendono con patto di ricompra alcuni terreni. ASCZ, Busta 853, anno 1753, ff. 115-116.

[xiv] Alcuni custodi di armenti, sia vaccini che pecorini, affermano che tutte le volte che in passato hanno pascolato nelle terre di Forgiano del marchese Berlingieri, pur avendoci eretto pagliari, capanne ed altri ricoveri e mandre per custodire gli animali, mai hanno pagato alcunché per ragione di decima, né ai vescovi di Crotone e di Isola né ad altri. ASCZ, Busta 1063, anno 1750, ff. 20v-21.

[xv] ASCZ, Busta 861, anno 1762, ff. 149-159.

[xvi] ASCZ, Busta 1342, anno 1765, ff. 65-68.

[xvii] AVC, Estratto dalla Visita fatta da Mons.r Ill.mo Caracciolo nell’anno 1575 consistente in carte quarant’otto.

[xviii] AVC, Cart. 114, Fondo Salica. Perizia fatta dal perito Vito Ryllo del comune di Isola, Cotrone 26.9.1847.

[xix] “Concedimus tibi memorato episcopo et successoribus tuis de certa nostra scientia damus et confirmamus totam et integram decimam terrarum laboratarum et laborandarum in toto tenimento Insulae de Cotrono et demanii nostri et maxarior. herbagii, glandagii, forestagii omniumq. Animalium ab extera venientium ad ibidem pascua sumendum etiam pellium decimas venatorum cervorum porcorum carnium capreorum vulpium pellium silvestrium et omnium alior. Jurisdittionum dittae Insulae ad nostram curiam pertinentium”. AVC, Processo grosso di fogli cinq.cento settanta due della lite, che Mons. Ill.mo Caracciolo ha col S.r Duca di Nocera per il Vescovato, ff. 420 sgg.

[xx] J. A. De Soda accusa C. Trimboli di avergli rubato un bue, ma l’animale era stato divorato dai lupi nel bosco di Isola. ASCZ, Busta 312, anno 1664, f. 56.

[xxi] Durante il periodo angioino coloro che erano sorpresi a cacciare nelle difese del re, erano condannati se barone o milite a pagare ventitre once d’oro, se borghese sedici once, se villano otto e se insolvibile alla pena di un anno di carcere. Dito O, La storia calabrese, Cosenza 1979, Rist., p. 117.

[xxii] AVC, Estratto dalla Visita fatta da Mons.r Ill.mo Caracciolo nell’anno 1575 consistente in carte quarant’otto.

[xxiii] AVC, Visita del vescovo G. B. Morra, 1648, f. 14.

[xxiv] Valente G., La costa dei Dioscuri, Frama’s Chiaravalle C., 1973, pp. 73-74.

[xxv] Contro tale decisione ricorse la mensa vescovile di Crotone alla quale si era unita quella di Isola fin dal 1818. Nel 1855 la mensa di Crotone fu reintegrata nel possesso del quarto del demanio Salica. AVC, documento senza segnatura.

[xxvi] Il primo agosto 1840, in Crotone, Giuseppe Zurlo Galluccio prende in fitto dalla mensa vescovile il fondo di Salica, con le fabbriche esistenti, ad ogni uso di pascolo e semina per 4 anni, dal 1.9.1840, con l’impegno di rispettare i boschi dei quali in buona parte è coperto, per l’annuo estaglio di duc.700. AVC, documento senza segnatura.

[xxvii] Nel 1814 viene affittata a N. Cimino col pagamento in 3 rate (gennaio, maggio e settembre). L’affitto inizia il 1.9.1814 per sei anni, per duc. 600 annui. In seguito, è affittata a G. Morelli con le stesse condizioni per 650 duc. Annui. AVC, Platea mensa vescovile di Isola aggregata a quella di Cotrone, 1819.

[xxviii] La mensa vescovile di Crotone affitta Salica, costituita da terreni “rasi e boscosi”, dal 1.9.1836 per 4 anni, al massaro P. Rodio, ad ogni uso e con la possibilità di associare e subaffittare, per duc. 600 in due rate, con pagamenti a S. Janni ed al 31 agosto. AVC, Platea Mensa Vescovile Cotrone, 1836.

[xxix] Nel 1787 il vescovo di Isola percepiva dalla gabella Salica affittata a N. Liciardo duc. 350. Valente G., Isola di Capo Rizzuto, Ed. Frama Sud, p. 146.

[xxx] AVC, Quadro de’ fondi comprati dall’asse ecclesiastico dal barone Luigi Berlingieri.

[xxxi]  “Turricella per dom. Iohanem de Cutrono pro pheodo Carbonarie”. Reg. Ang. VI, (1270-1271) p. 110. La “terram Carbonari” è menzionata anche nel 1293, tra i confini di una coltura appartenente all’arcivescovo di Santa Severina. AASS, Fondo Arcivescovile, vol. 84A, f. 39v.

[xxxii] Tra i beni appartenenti alla dote della nobile domina Francisca Baglioni, figlia del quondam nobile Pandolfo Baglioni di Crotone, riportati in un atto del 22 marzo 1489, troviamo: “omnes suas terras proprias sitas et positas in tenimento cotroni loco dicto carbonara iuxa terras feudi de carbonara mediante vallone nominato La aqua de laficu et terras quondam michaelis bonelli (et) Nicolai francisci de birengerijs terras poratus et terras petri susanna et alios fines” (ASCZ, Pergamena n. 16). La quarta parte del territorio nominato “carbonara” posto nel tenimento della città di Crotone, risulta successivamente, tra i beni della dote della “mag.cam dominam M.a Thiberiam Monacam”, figlia della detta Francisca Baglioni, come riportava il “dotalium contrattum” stipulato l’otto ottobre 1545 in Crotone (ASCZ, Pergamena n. 44).

[xxxiii] 10 novembre 1444, dall’accampamento regio sul fiume Neto presso Strongoli, re Alfonso d’Aragona concedeva in feudo a Martino vescovo di Isola, il tenimento di “Insolam”, sito e posto nelle pertinenze della “Civitatem Turris Insularum quod confinant cum mari ex una parte ex alia cum tenimento Carbonarie ex altera cum tenimento Castellorum et alia cum vallone sicco maxenove et cum aliis confinibus”. ACA, Cancillería, Reg. 2904, ff. 244-244v.

[xxxiv] ASCZ, Busta 635, anno 1710, f. 63.

[xxxv] Domenico di Soda dei casali di Cosenza si trasferì ad Isola ed esercitò la carica di erario del Duca di Montesardo. Sposò Teresa Monteleone di Cutro dalla quale nacque Gio. Aloisio, che si trasferì a Crotone dove sposò Antonia Palmieri di Cutro. ASCZ, Busta 911, anno 1739, f. 14.

[xxxvi] Il Soda si impegnò a versare subito ducati 2000 ed il rimanente entro due anni con l’interesse del 6% annuo. ASCZ, Busta 612, anno 1716, f. 70.

[xxxvii] ASCZ, Busta 662, anno 1728, f. 131.

[xxxviii] Il Soda con atto di Antonio Tirioli di Crotone, in data 24 agosto 1710 acquista il territorio da Fabrizio Lucifero per ducati 6000. All’atto il Soda ne pagò in contanti ducati 2000 ed il resto, cioè duc. 4000, si impegnò a pagarli entro 2 anni al tasso del 6 %. Passati i due anni il Soda non salda in quanto intende pagare quando il vescovo di Bisignano toglierà l’ipoteca di Duc. 4000 che grava sul fondo e che deve pagare il Lucifero. ASCZ, Busta 659, anno 1713, ff. 16-17.

[xxxix] ASCZ, Busta 659, anno 1717, ff. 26-27.

[xl] Un vaccaro afferma che, all’inizio del Settecento, “le terre dette Carbonara si pascolavano dal timpone della Castellaneta et a dittura di detto timpone andava al vallone e da la alla carcarella dove e la strada, et si pascolava acqua pendente alla gabella detta li miccisi, et acqua al piano era Carbonara, et in questa guisa si dipignavano con l’affittatore di dette terre li miccisi, che immediate da quella parte il vallone detto Lampamarello. Noi carceravamo animali vaccini di detta terra Lampamarello e sotto di detto vallone eramo carcerati da quella partita”. ASCZ, Busta 659, anno 1715, f. 106.

[xli] Alcuni abitanti di Isola affermano che, mentre erano nelle terre di Salica a raccogliere “scino”, videro la “carovana” dei buoi di G. L. Soda che passava per la strada pubblica che separa Salica da Sacchetta e, “uscito avanti” il guardiano della gabella Sacchetta, voleva sequestrare i buoi col pretesto che passavano nelle terre del suo padrone. ASCZ, Busta 661, anno 1723, f. 34.

[xlii] F. Gonnella, ottiene dal Soda un terreno boscoso per coltivarlo e “si cacciò una cesina alla valle della Cannamasca”, nei pressi del confine tra Carbonara e Lampamaro, pagando il terraggio a Gio. Luise Soda, padrone di Carbonara. Mentre sta seminando arriva il vicario Albani, padrone del confinante vallone di Lampamarello, il quale prende per i cappelli il malcapitato, ordinandogli di non coltivare più la cesina. Inoltre, l’Albani manda le sue capre a pascolare dove non è suo, e vi fa fare un termine divisorio con gli zapponi, anzi vuol farvi anche due pilastri di fabbrica. L’Albani, inoltre, preda ed intimorisce i capimandra che pascolano nelle terre vicine. ASCZ, Busta 659, anno 1715, f. 107.

[xliii] Nel 1639 entrarono nel monastero di S. Chiara tre sorelle Susanna e come dote, portarono 12 salmate di terra nel tenimento di Lampamaro, confinante con Carbonara. A quel tempo il territorio di proprietà dei Susanna era “alquanto boscoso”. Passato poi Lampoamaro agli Albani, da questi fu disboscato e “reso culto e dell’intutto fruttifero”, tanto da essere a metà Settecento tutto “reso aratorio”. ASCZ, Busta 860, anno 1760, ff. 47-59.

[xliv] ASCZ, Busta. 662, anno 1724, ff. 113-114.

[xlv] G. Micilotto prende in fitto per l’annata 1760/1761, dal monastero di Santa Chiara di Cutro e dal cantore Domenico de Bona, la gabella Li Miccisi, per seminarvi tt.a 250 di grano, tt.a 8 di linusa, tt.a 1 e ¼ di fave e tt.a 3 di orzo. A causa della la siccità ottiene: grano tt.a 493, orzo tt.a 6, fave tt.a 1 e mezzo, linusa tt.a 3 e lino pise n. 29. Per ottenere questo misero raccolto egli ha sostenuto le seguenti spese: “Per costruire il pagliaro per servizio di d.a massaria, per pure giornate d’uomini, oltre legname, docati nove. Per roncare la sud.a gabella, giornate d’uomini num. trecento trenta. Per ammaesare la sud.a gabella, cioè scipare, dubrare, interzare, e tt.a novanta inquartate, paricchiate di bovi num. novecento sessanta. Per fare una gambetta, giornate di vanghiero num. diece. Per roncare li majsi, giornate d’uomo num. cinquecento ottanta otto. Per sementare li sud.i majsi, parecchiate di bovi num. trecento ed otto. Per adaccare giornate d’uomo num. duecento sessanta. Per trasporto delli sud.i tumula duecento cinquanta grano, tt.a otto linusa, tt. Uno e un quarto favi, e tt.a tre orzo, da Cotrone alla gabella, docati diece. Per zappoliare i lavori, giornate d’uomini num. cinquecento trenta due. Per nettare il lino giornate di uomo num. ventisei. Per sfellorazzare i lavori, ed ammaesare le fave giornate d’uomo num. sessantanove. Per scorrere li med.i giornate d’uomo num. trecento novanta. Per sciuppare il lino speso carl. ventinove. Per rampare, e nettare l’aria speso docati quattro e grana diece. Per sciuppare le fave g.te d’uomo num. quattro. Per sei mesate di guardiano per custodire d.i lavori pagati a Nicola Russo di Pietrafitta, docati dieceotto. Per tante giornate pagate a mietitori e ligatori per mietere e ligare d.a massaria doc.ti cento diecesette, e grana trenta. Per le spese cibarie occorse in mietere d.a massaria, essersi consumate la seg.te robba: Grano tt.a trentadue, Vino barli quaratauno. Aceto barili due. Formaggio pezze cinquantaquattro. Oglio militra tre. Foglia carlini trenta tre. Sale rot.a diece, e pecore num. quindeci, e per macinare sud. grano, sale, frasche, e fattura del pane docati diece. Per carrare la gregna giornate di carro num. quaranta quattro. Per trasportare la robba da mangiare alli mietitori, ed acqua alli med.i giornate di carro num. diecesette. Per triturare la gregna trizze di bovi num. ottanta. Al mietere, ed all’aria, giornate d’uomini oltre li mietitori, e li ligatori num. Trecento trenta otto, che pagati a diversi prezzi in tutto ascesero a doc.ti settanta quattro e grana ottanta sette. Per trasporto di tt.a quattrocento novanta tre grano ricavato nella prossima passata raccolta dalla sud.a massaria, dall’aria al magazino, doc.ti quattordici e grana settantanove. Per trasportare il lino alla Vurga, ed indi riportarlo giornate di carro num.quindeci. Per scacciare, e purgare d.o lino doc.ti undeci e grana sessanta. Per il soldo pagato al massaro in tutto docati sessantauno e grana cinquanta. Quali sud.e giornate di uomini come sopra descritte, pagate volta per volta a raggione di grana quindeci la giornata”. ASCZ, Busta 1342, anno 1761, ff. 33-36.

[xlvi] ASCZ, Busta 911, anno 1739, f. 14.

[xlvii] Dovendo ascendere al suddiaconato il chierico accolito Dionisio Soda, il fratello maggiore Domenico, con atto del 3 dicembre 1735, gli assegna come patrimonio 20 salmate di terre aratorie della gabella Carbonara. AVC, Cart. 118.

[xlviii] ASCZ, Busta 1130, anno 1776, f. 110.


Creato il 27 Febbraio 2015. Ultima modifica: 10 Febbraio 2023.

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