I conti del convento di Santa Maria la Spina della città di Petilia Policastro prima e dopo il terremoto del 1783
“La presenza del monastero in questo luogo di confine tra lo spazio coltivato, domestico e rassicurante e quello selvatico della “Montagna”, periglioso ed incerto, evidenzia e circoscrive le funzioni del santuario che si pone a garanzia e protezione dell’uomo su tale limite naturale”. (Pino Rende, Il monastero dei Francescani Osservanti di Santa Maria della Spina di Policastro, www.archiviostoricocrotone.it)
Il terremoto del 1783
In una relazione inviata il 30 maggio 1790 da Petronà Domenico Venuti informava l’avvocato fiscale della Cassa Sacra Domenico Ciaraldi sullo stato di alcuni luoghi religiosi in diocesi di Santa Severina. La relazione evidenzia come il convento degli Osservanti di Petilia Policastro non subì danni rilevanti.
“il convento dell’Ecce Homo di Mesoraca, e intiero, tale, quale lo lasciarono li monaci, e così pure il Convento dei Capuccini, solo vi mancano quasi in tutte le porte, le mascature; L’ospizii di detti Conventi, siti in Marcedusa, e Belcastro, sono intieri, eccetto quello di Sersale, che fu diruto dal terremoto. Il Convento dei Domenicani di Mesoraca, perche abitato dal P. Murrace, e intiero quanto alle Fabriche, solo un dormitorio del quarto di sotto, e rovinato il pavimento, le porte, le finestre soto tutte buone. Il Convento de Domenicani di S. Severina, vi e solo un portone vecchio, e tre finestre logore, una metà del Convento, e soffitto sono diruti, il restante, e rovinante, e vi mancano pure molte fila di ceramidi, tiilli, e travi. Il Convento de PP. Riformati di d.a Città, e buono, quanto al materiale, le finestre sono mediocri, e le porte, ma non vi sono mascature. Il Convento de PP. Osservanti di Policastro, il materiale, e tutto buono, ma vi mancano molte mascature. Il Convento de PP. Riformati di d.a Città, e buono di fuori, ma le porte quasi tutte aperte, e le camere scassate. La chiesa di S. Lucia di d.a Città, metà della soffitta e rovinata, l’altra metà, e muro di avanti, minacciano rovina; la chiesetta di S. Maria delle Pianette e mediocre, come pure quella di S. Francesco” (ASCz, C.S. Segr. Pagana, B. 100).
Il manoscritto
Il “Nuovo conto di introito ed esito” del convento di Santa Maria La Spina della città di Policastro inizia nel gennaio 1782 e termina il 27 maggio 1784. Il compilatore del manoscritto e incaricato, “per vedere e bilanciare i conti del’introito, che del esito”, è D. Michelangiolo Ferrari procuratore e sindico apostolico. Il Ferrari ogni mese descrive minuziosamente le entrate, le uscite e tira il saldo. Il manoscritto con copertina pergamenata è composto da 47 pagine ed è conservato presso l’Archivio di Stato di Catanzaro (ASCz. 76/19-Policastro 1782).
I frati
Dal gennaio 1782 a aprile 1784 è padre guardiano Antonio della Miglierina (nel maggio 1784 lascia il posto al vicario Lorenzo di Policastro) e D. Michelangiolo Ferrari è procuratore e sindico apostolico. Durante questo periodo i frati “commoranti di famiglia” nel convento di Santa Maria la Spina dei minori osservanti oscillano da dieci a quattordici. Originari di Miglierina (il padre guardiano Antonio, i laici Diego, Agostino, Serafino, Gennaro e Francesco); di Policastro (Gio. Antonio, Gennaro, Francescantonio e Lorenzo), di Cotrone (Luigi e Antonio) e di Mesoraca (Giacchino), la maggior parte si dichiara laico e firma con un segno di croce. Fanno eccezione i sacerdoti Francesco di Policastro e Gennaro della Miglierina, il vicario Lorenzo di Policastro ed il padre lettore Luigi di Cotrone, che sarà presente nel convento dall’agosto 1782 all’agosto successivo. (Antonio di Cotrone risulta nel convento solo da agosto a dicembre del 1782). Alcuni si dedicano alla questua, percorrendo i paesi e le campagne del Marchesato ed a seconda delle stagioni raccolgono grano, formaggio, olio, castagne, grasso ecc. Per questo motivo entrano in lite con gli eremiti missionari di Mesoraca, ottenendo la loro esclusione dalla questua. Nel dicembre 1783 si è “pagato (3 ducati e dieci grana) in Napoli per il dispaccio venuto contro li Ritiranti di Mesoraca per non far questue di nessuna sorte”.
Il vestiario
Una parte importante delle spese che i frati affrontavano era quella del vestiario. Di solito dopo aver riscosso alla metà di agosto le rendite provenienti dall’affitto dei fondi e dal pagamento dei censi, essi rinnovavano “i vestiari” e le scarpe. Nell’agosto 1782 “per quattordici vestiari e un scambio” spesero 53 ducati e 50 grana; l’anno dopo “per quattordici vestiari e un scambio per il terziario” spesero 67 ducati e 50 grana. Oltre alle varie spese per il vestiario, una continua spesa mensile era quella per fare e accomodare le scarpe ed i sandali soprattutto ai cercatori, che erano forniti di “bertole”, sacchi e corde.
La cucina
Giarre per l’olio, “cannistra”, bicchieri, “criva”, piatti, coperte, “piene di cocina”, vocali, “ramaglioli”, cannate, “tiani grandi”, “pignate”, “scupe”, “faienza”, “bambace”, “rame della cocina”, “cavea”, ecc. sono alcune delle spese necessarie per la vita quotidiana del convento. Molta parte degli oggetti di uso comune erano acquistati nelle fiere, soprattutto in quelle di San Giovanni dell’Agli e di Mulerà. Il convento era inoltre fornito di un forno (Nel marzo 1782 i frati fanno “accomodare la porta del furno”).
Il personale
Il Garzone e la lavandaia servivano quasi quotidianamente i frati. Essi erano pagati ad annata, ricevendo un salario di 16 ducati all’anno, una parte del denaro era anticipato. Il barbiere era pagato in tre terze, Pasqua, agosto e Natale. A ogni terza prendeva ducati uno e grana 50.
Il lavoro delle donne
Le donne portano “l’acqua e legna al patello”, “annettano il stazzo”, e trasportano “la pagla” e la frasca. Di solito sono pagate a 7 grana al giorno, mentre gli uomini ricevono un salario di 10 grana.
Il medico e lo speziale
Le infermità autunnali spesso colpivano i frati. Nel settembre 1782 si pagano ben 3 ducati al medico e 2 ducati e trenta grana per le “ricette al sig.r speziale una con la precezione di jena”. Sempre nello stesso mese si acquistano “quattro pollastri per l’ammalati”. Nel settembre dell’anno dopo oltre ai soliti 3 ducati al medico si acquistano “una libra di jena” ed altri medicamenti dagli speziali e lo speziale Carvello “ave avuto una esposizione della Spina e certi semplici per complimento delle ricette”. Si comprano anche trote, uova, neve e cinque pollastri per sostentamento degli ammalati.
Il Pastizzaro
I frati per l’acquisto di alcuni prodotti da forno si rivolgevano al pastizzaro ed a suo figlio. Nel luglio 1782 danno 15 grana “al figlo del pastizzaro che andiede alle Cutrone” e in ottobre comprano “tumula cinque di miglo del pastizzaro”.
L’olio
Una piccola parte dell’olio proveniva dall’oliveto dei frati di Santa Caterina. Nell’aprile 1782 il procuratore del convento annota: “Dalle nostre olive di S.ta Caterina litre undici più un tum.o di aulive infornate”. Quasi lo stesso è annotato nel febbraio 1784: “Ricevuto dalle nostre olive di S.a Caterina 10”. La maggior parte dell’olio era questuato dai frati cercatori, soprattutto in Policastro. Nell’aprile 1782 il frate Agostino della Miglierina consegna 300 litre raccolto in Policastro e nel febbraio di due anni dopo ne consegna 120. Altro olio proveniva dalla questua in altri luoghi. Nel gennaio 1782 i frati Gio. Antonio e Gennaro di Policastro consegnano al convento 30 litre raccolti nella costa di Staletti e nel febbraio 1784 i frati Diego e Giacchino della Miglierina raccolgono 23 litre nella paranza di Nicastro. Olio era anche donato al convento da devoti. Nel maggio 1783 Giuseppe Mannarino consegna olio per una esposizione della Sacra Spina e nel settembre successivo Telice per lo stesso motivo dà 70 grana “più una litra di oglio e tre galline”. In alcuni anni i frati, avendo raccolto molto olio, lo vendono. Nel novembre 1782: “per sessanta litre di oglo vendute in Papanice alla raggione di grana trentacinque la litra (incassano ducati) 21=00).
La vigna
I frati avevano particolarmente cura della vigna. In primavera la facevano curare e “refundere”. In autunno sostenevano le spese “per vindemiare la vigna e far pistare il parmento”. Nell’occasione compravano nuovi barili e botti e facevano “accomodar” quelli che possedevano. Il vino che i frati ricavano dalla loro vigna non bastava fino al nuovo raccolto alla comunità. Essi perciò ne acquistavano dell’altro, sia al tempo della vendemmia, che durante l’anno. Il maggior consumo avveniva nelle feste. Nell’ottobre 1782 essi acquistano “diece varrilli di musto di m.o Pasquale”, “un varrille di musto di un divoto”, “tre varrilli di musto di pulica”, “due varrilli e mezzo di musto del pulverara” e “sette varrilli di musto di Nicola Rosso”. Nonostante questi acquisti nel gennaio successivo si fanno trasportare un carico di vino “dalle Cutrune” ed a maggio ed a giugno acquistano altri “varille” di vino.
L’orto
L’orto, o giardino, era situato accanto al convento ed era arricchito di molti alberi fruttiferi. In marzo i frati fanno zappare ed “accommodare” la terra delle cipolle e le fanno piantare. Il mese successivo pagano un guardiano delle cipolline. A giugno comprano “libre due di simente di verza”. In agosto si seminano cipolline e nel mese successivo si zappa l’orto per far piantare “li cauli”. In ottobre pagano tre uomini “per far rifundere li cauli”. Oltre a servirsi dei prodotti del loro orto i frati acquistavano altra verdura e frutta. “Inzalate”, “cauli”, “pisilli”, “lenticchie”, “fave”, “cicerchia”, “posa”, “secre”, “agli”, “ziaramiloni”, “pera”, “poma”, “fogle”, ecc. arricchivano la mensa a seconda delle stagioni. Nel 1784 il giardino è recintato con nuove mura. Infatti nel maggio 1784 si spese parecchio “per pietra rena manipoli e maestri fabricatori per far li mura del giardino come già appariscono evidenti”.
Lo stazzo
I frati procedevano a far pulire lo stazzo a febbraio, aprile e dicembre. Per “far pulizare il stazzo” a volte i frati pagavano delle donne, che erano pagate meno degli uomini. Per questo lavoro una donna riceveva 7 grana e mezzo, mentre un uomo 10 grana. Nel dicembre 1782 si fa “annettare il stazzo e far portare la cartaglia” e nel dicembre successivo si paga un mastro fabricatore per accomodare lo stazzo e si spende per “far polizare il stazzo e acci incortagliati”.
I neri
Oltre ad acquistare la carne, si dedicavano anche all’allevamento dei maiali. Di solito li acquistavano in agosto (per due neri 13=00), a volte li ricevevano in pagamento per l’affitto di fondi (“Ricevuto dal Sig. Rosarbo Caccano per la manca del Salice e l’anno passato diede un nero di docati sei”). I maiali erano nutriti fino a dicembre con “poma”, castagne, “glande”, “caniglia” e “pastilli”. A volte li allevavano per tutto l’anno (Nel febbraio 1784 “per far pascolare un nero alle castagne e glande 0=20”). Nel novembre 1783 si comprano “due sporte di marrame per il musto stazzo”.
I muli
Numerose sono le spese, quasi mensili, per i muli, mezzo di trasporto indispensabile per spostarsi soprattutto per i cercatori. Le spese riguardano il pascolo, l’acquisto di “imbasti”, “cigne”, cavezza, “capizza”, corde, orzo, paglia, erba, “curve” e “corrieri” per i basti. Il primo agosto 1782 il procuratore del convento D. Michelangelo Ferrari, che ha in affitto la gabella Cropa di proprietà del convento, paga “il suo cenzo e affitto con tanta erba per li muli”.
I Pesci
I pesci rappresentavano una parte importante del pasto soprattutto nel periodo quaresimale. Oltre ai pesci di acqua dolce, quali le trote e le anguille, che fornivano in abbondanza il Tacina ed i suoi affluenti, i frati si cibavano anche di pesci di origine marina. Da Cetraro, da Cropani e da Crotone i frati si facevano portare oltre ai pesci del luogo, quali sarde (“un tinello di sarde”), sarde salate, pesci e alici salati, anche baccalà di provenienza estera. Così nel gennaio 1782 il Padre Reverendo di Cropani manda dei pesci al convento, nel novembre dello stesso anno i frati acquistano e si fanno trasportare “rotola otto e mezzo di sardella” e a dicembre “alici salati venuti da Cropani” e dal “Citraro” e Padre Gennaro porta pesci da Crotone. L’anno seguente il mastro Vincenzo Nania manda in aprile dei pesci ed in settembre D. Antonio Marra porta “degli alici salati”. A gennaio ed a marzo del 1784 i frati acquistano rispettivamente “rotola venti” e “rotola otto” di baccalà.
La Carne
Il convento si serviva della carne da un macellaio, o chianchere, di fiducia. Il pagamento delle “cartelle della carne” era a periodo, di solito da Natale alla fine di gennaio o per tutto carnevale, da Pasqua alla fine di agosto, dal primo di maggio alla fine di ottobre ecc. Durante l’inverno i frati consumavano la carne di maiale (“tanta carne di nero principiando à pigliare di Natale insino l’ultimo di Gennaro”), negli altri mesi, eccetto i giorni penitenziali, consumavano carne vaccina, “supressate” e “pollastri”.
Le uova
Le uova sono acquistate e consumate in modo continuo. Esse sono utilizzate “per far maccarroni”, “per maccarroni e purpette” e “per li infermi”.
Il grano
Il pane rappresentava la parte più importante del vitto quotidiano. I frati macinavano e consumavano oltre cento tomoli di grano all’anno. Il grano proveniva al convento oltre che dalle elemosine per le messe anche e soprattutto dalla questua. In agosto quattro frati cercatori percorrevano il “territorio”, il “Marchisato”, il “Nieto” e “Cutrune”. Nell’agosto 1782 i frati raccolsero 100 tomoli di grano, 16 tomoli e mezzo di germano, 4 tomoli di fave, 9 di orzo e 3 e mezzo di carusa; l’anno seguente 117 tomoli di grano, 10 di germano, 3 di fave, 8 di orzo ed uno e mezzo di carusa. Contribuirono al raccolto anche i “quintieri della Sacra Spina”. Il grano raccolto era più che sufficiente per il consumo annuale. Parte di esso era infatti utilizzato per pagare coloro che lavoravano per il convento. Nell’agosto 1783 ne danno tre quarti di tomolo a Bruno Curco “per la carcara”, nel mese dopo fanno “trasportare certo grano di Cutro”(“una messa cantata per Gatanella che trasportò certo grano di Cutro”) e consegnano “tomola 8 e mezzo una con li cascari e con certe donne che hanno portato la frasca”, nel marzo 1784 “due tumula per tanta petra a Nicola” e nel mese seguente al”nivaro un tumulo”. Nell’agosto 1783 ne scambiano due tomoli per “suraca”. Oltre al pane il grano era utilizzato per confezionare “gnoccoli”, “maccarroni” e “cose fritte”.
Il germano
I frati raccoglievano gran parte del germano dalla questua del grano di agosto. Nell’agosto 1782 i cercatori ne raccolsero 16 tomoli e sei tomoli e mezzo lo ricevettero dalla “quinta del Monacello”. Di solito i frati non ne facevano uso e lo vendevano ad un ducato a tomolo. Nell’ottobre 1782 i frati riscuotono 31 ducati e 80 grana “per tanto germano accridenzato à tanti divoti l’anno 1781”. Nel giugno 1783 scambiano sedici tomoli e mezzo di germano fatto nell’agosto 1782 con orzo.
“Gnoccoli” e “Maccarroni”
Erano particolarmente desiderati, soprattutto gli gnoccoli rispetto ai maccheroni. Durante il periodo considerato (gennaio 1782-aprile 1784) la spesa per gnoccoli fu di circa 20 ducati rispetto ai 6 dei maccarroni, anche se il costo per rotolo di circa 10 grana si equivaleva. Spesso gli gnoccoli erano acquistati in grande quantità a Crotone (nell’aprile 1783 “per 22 rotola di gnoccoli dodici in Cotrone e dieci pigliati dal Sig.r Simeone Majida 2-40” e nel mese dopo “per rotola sedici di gnoccoli portati F. Antonio di Cotrone 1-60”). Quasi lo stesso discorso vale anche per i “maccarroni” (“maccarroni per mano del P. Vicario 1-32”, “per tanti maccarroni della costa 1-05”).
L’orzo
Oltre agli tomoli di orzo raccolto dai cercatori nell’agosto di ogni anno, i frati procedevano anche a coltivarlo in proprio. Nel novembre 1782 essi pagano “quattordici uomini per far seminare l’orzo”. Per fare questo lavoro ogni uomo riceve 10 grana. Nel giugno seguente lo si fa “metere” e “carrare” e si pagano “due uomini per l’aria”. Non ritenendo il raccolto sufficiente, nello stesso mese i frati cambiano “tumula sedici e mezzo di germano fatto il mese di agosto 1782 per orzo”.
I ceci
I “conti” segnalano anche un discreto consumo di ceci. A volte erano acquistati (nell’agosto 1782 ne acquistano dieci tomoli) ma anche seminati. Nel marzo 1784 “per far seminare li ciceri e far la scippa” si spese un ducato e cinque grana.
Il formaggio
Ogni aprile i cercatori facevano la questua del formaggio. Essi percorrevano il territorio. Il frate Agostino della Miglierina andava nei pascoli attorno alla città, i frati Serafino della Miglierina e Diego della Miglierina percorrevano la vallata del Tacina ed i frati Diego della Miglierina e Gioacchino di Mesoraca la vallata del Neto. Dalla questua del formaggio nel 1782 i frati raccolsero 161 pezze di formaggio, nel 1783 per elemosina ebbero 156 pezze di formaggio, nel 1784 solo 68. Nell’aprile del 1782 dalla parte del Neto raccolsero anche tre provole e due raschi. Al formaggio raccolto con la questua è da aggiungere quello ottenuto dalle “messe per commestibile” e quello che i frati comprano in luogo e da altri frati (nel giugno 1783 comprano “dodici forme di cascio dalli cercatori di Cosenza”).
Il grasso
I frati cercatori distribuivano specie nel periodo di carnevale delle lincelle e delle pignatelle di creta in Policastro e nei paesi vicini per raccogliere dagli abitanti il grasso del maiale.
Le castagne
Gran parte delle castagne provenivano dai diversi fondi a castagneto (vallone di Gatanella, Bosco, Napoli, Blaschi ecc.); altre castagne venivano al convento dalle messe ed altre le acquistavano dai cercatori di Cropani. I frati ne vendevano una buona quantità a carlini sette il tumolo. Nel novembre 1782 ne vendono quattordici tumola e nel dicembre 1783 “venti tre tum.a di castagne impornate in papanice”.
Il sale
Ogni aprile essi pigliavano il sale della Salina, spendendo sette ducati e venti grana.
La neve
Un nivaro di Policastro forniva la neve, che era conservata in sacchi di lana. Il nivaro riforniva di neve i frati più volte anche durante l’estate e l’autunno. Per assicurarsi il servizio, nell’aprile 1784 danno al nivaro un tumulo di grano e 50 grana di caparra.
Le feste
Tre erano le feste più importanti del convento. Il secondo venerdì di marzo festa della Santa Spina era festeggiato con “tanta polvere”, “ingenzo e mustacciola”, baccalà, sarde, pesci, “maccarroni”, ecc.. Il 13 giugno, festa di Sant’Antonio da Padova, si consumavano quattro rotola di polvere. Il 15 agosto, festa dell’Assunta e di Santa Maria della Santa Spina, era l’avvenimento più importante. Si celebrava oltre che con numerose messe ed esposizioni della Santa Spina anche con dieci rotola di polvere, folgori e bombe, e si pagava un “tamborriero”. In quel giorno si mangiavano trote, anguille, “gnoccoli”, ecc.. I frati inoltre andavano in maggio alla fiera di San Giovanni delli Agli e l’otto settembre a quella di Mulerà, dove acquistavano “tanti candilotti di cera per la Spina”, “ingenzo”, “cordelle” e “vitucce” per il panno della S.a Spina”, dolci, “zuccaro”, “mustacciola napolitani”, “cogliandri”, pepe, “garofalo”, pistacchi, “tante corde per il cimbalo”, “robba di mangiare”, scarpe, “sole”, “impigue”, “chiantelle”, “curame”, “sagule”, “dobruni”, “chiova”, “mascature”, accette, pale di ferro, zapponi, corde ecc.. Il periodo natalizio era festeggiato con dolci, “passole e musto cotto”, fichi secchi e “mustacciola napolitani” e si facevano “tanti semplici” ai benefattori del convento.
Il terremoto del 1783
Nell’anno precedente al terremoto, anno di grandi piogge, i frati sostennero alcune spese per interventi sulla copertura del convento e della chiesa con l’acquisto di tavole di castagno e di pali. Ripararono anche l’organo e l’orologio. “Forgiari” e mastri d’ascia misero in sicurezza la campana grande e le altre campane e sistemarono alcune porte. Dopo le scosse del 5 e soprattutto del 28 febbraio i frati abbandonarono il convento e subito iniziarono i lavori per la costruzione della baracca, per la chiesa della baracca e per riparare i danni causati al convento. L’opera proseguì nei mesi successivi di marzo ed aprile. Tra le numerose spese troviamo quelle “far pietra per la carcara”, per “quattro maestri fabricatori e quattro manipoli”, “per due uomini per far legname per la baracca”, “per tre manipoli per far voltare il convento”, “per mastri e discepoli per la baracca”. I primi interventi riguardarono soprattutto la costruzione di una baracca come dimora per i frati e la costruzione di una chiesa in legname. Tra le spese di aprile troviamo infatti “una mascatura per la chiesa della baracca e un’altra accommodata” e “per spingole, e tacce per la chiesa della barracca” ed il mese dopo si comprano “tanti giaramili”. A settembre la spesa per la “carcara” è di ben 17 ducati e 20 grana. Con il nuovo anno iniziarono i grandi interventi di riparo della chiesa e del convento. Nel gennaio 1784 si spese “per li cantoni alla porta di battere e farla risarcire” e si stipulò un contratto con il mastro Bruno Frandina e con suo figlio “per accomodar il campanile”. A marzo si è “fatto fare tanta petra per la carcara”, “per caparro del campanile” si dà al mastro Bruno Frandina quattro tumula di grano ed a maggio si spese parecchio “per pietra rena manipoli e maestri fabricatori per far li mura del giardino come già appariscono evidenti” e per pagare la “carne consumata di Pasqua una con li mastri fabricatori ed altra gente insino al 27”.
Le entrate e le uscite
Le entrate del convento nel 1782 furono 443 ducati e 58 grana, quasi la metà concentrata in agosto, mese di pagamento sia degli affitti che dei censi. Segue il mese di novembre quando i frati vendevano le castagne. Nel 1783 le entrate aumentarono a circa 480 ducati concentrate nei mesi di agosto e settembre (50%), seguono novembre, mese delle castagne, e febbraio, per vendita per 36 ducati di “18 piedi di glanda del Bosco”. Le entrate dei primi cinque mesi del 1784 assommano a 149 ducati e 43 grana. Le uscite rispecchiano in qualche modo le entrate. Nel 1782 furono 391 ducati e 41 grana, nel 1793 circa 480 ducati e nei primi cinque mesi del 1784 132 ducati e 34 grana. Nel 1782 ci fu un saldo attivo di 52 ducati e 17 grana, nel 1783 uno passivo di 3 ducati e 80 grana (dovuto alle spese per riparare i danni del terremoto) e nel 1784 uno attivo di 17 ducati e 9 grana. Di solito l’affitto dei fondi rappresentava circa un quarto delle entrate annue.
Anno | Entrate | Uscite |
Gennaio 1782 | 11,5 | 16,1 |
Febbraio | 1,9 | 9,6 |
Marzo | 6 | 11,3 |
Aprile | 32,2 | 37,7 |
Maggio | 15,8 | 18,2 |
Giugno | 11,2 | 18,36 |
Luglio | 2,9 | 4,25 |
Agosto | 192,4 | 124,7 |
Settembre | 30 | 38,1 |
Ottobre | 51,33 | 78,05 |
Novembre | 75,25 | 14,2 |
Dicembre | 13,1 | 20,85 |
Gennaio 1783 | 16,7 | 15,92 |
Febbraio | 52 | 42,23 |
Marzo | ||
Aprile | 35,28 | 35,02 |
Maggio | 12,1 | 29,69 |
Giugno | 6,63 | 11,49 |
Luglio | 29,8 | 2,76 |
Agosto | 94,83 | 87,59 |
Settembre | 121,04 | 131,92 |
Ottobre | 9,92 | 61,38 |
Novembre | 54,6 | 18,6 |
Dicembre | 22,1 | 22,2 |
Gennaio 1784 | 29,9 | 8,54 |
Febbraio | 35,2 | 49,4 |
Marzo | 21,3 | 9,95 |
Aprile | 17,7 | 14,02 |
Maggio | 45,33 | 50,43 |
L’oliveto
L’oliveto rappresentava una piccola parte dei possedimenti. Esso era concentrato soprattutto nel vignale di Santa Caterina Vecchia, dove vi erano 19 piante di ulivi. Altre 12 piante erano nella gabella Mortilletto, però quest’ultima era comune ed indivisa con il nobile Antonio Parise, il quale ne possedeva tre quarti.
Il querceto
Il querceto si estende soprattutto sui fondi Pantano, S. Cesareo, Li Porcili o Piano S. Maria, Il Bosco, Mortilletto, Cropa e Crucoli per un totale di 1005 piante di quercia e 153 tronconi. Le aree maggiormente coperte dal querceto sono: il “Bosco” con 500 piante e 140 tronconi, Pantano con 315 piante e Li Porcili con 110 piante.
Terre sterili e infertili
Le terre sterili e infertili si estendono per 30 tomolate nei fondi S. Caterina (1 tomolata), Li porcili o Piano di S. Maria (tom. 24) Andreoli o Valle di S. Maria (Tom. 5).
Terre a semina e pascolo o a ogni uso
Rappresentano la parte migliore della proprietà del convento. Esse si estendono sui fondi Pantano (tom. 25), Andreoli o valle di S. Maria (tom. 30), S. Cesareo (tom. 38), Canpana (tom. 100), Manca del Salice (tom. 15), Mortilletto (tom. 54), Cropa (tom. 3), Salomone (tom. 1 e mezzo). Esse sono affittate tre anni a semina e tre anni a pascolo. Il pagamento è fissato a Mulerà, otto settembre.
Terre solo a pascolo
Le terre solo a pascolo sono: Campana (tom. 30), il Bosco (tom. 54) e Crucoli (tom. 8).
Il castagneto
L’ampia area coperta dal castagneto comprende i fondi “li Napoli” di tom. 30 con 300 piante di castagno gentili e 50 selvagge, “Blaschi” di 2 tomolate e mezza con 64 piante gentili, “Scodalupo” con 21 piante gentili, “Fossa di Natale” con 62 gentili, “Masella” di tre quarti di tomolo con 122 gentili e coprono quasi tutta la difesa “Monacello” di tom. 1000. Le terre del castagneto erano “soggette al Comune ad uso dei cittadini” e perciò non si potevano affittare né in semina né ad uso di pascolo. Le castagne erano vendute “in tempo opportuno precedente apprezzo”. Un discorso a parte merita la difesa Monacello di 1000 tomolate, quasi tutta a castagneto. La difesa era in comune con la chiesa della SS. Annunciata di Policastro. I due luoghi pii avevano solamente di diritto di esigere il quinto di quanto vi si seminava e si raccoglieva negli spazi, che non erano occupati dai castagni, “li quali spazi possono ascendere a circa tom. cento seminabili”.
La Bruggia
La Bruggia, “ossia terra del Bosco” era data in affitto. Nel settembre 1783 “per la bruggia del Bosco” i frati incassano ducati sei e nel dicembre successivo un ducato e mezzo da Domenico di Juja.
Censi Bollari e Censi Enfiteutici
Il prestito del denaro era una delle attività importanti, che il convento svolgeva soprattutto a favore dei possidenti. I censi bollari erano 10 per un totale di 828 ducati, che al tasso del 5% dava un’entrata annua di circa 42 ducati. Metà dei censi era in possesso del nobile Carlo Tronga, dei coniugi Caccuri e di Simone Cimino, i tre da soli detenevano l’ottanta per cento del capitale. Meno importanti sono le entrate degli otto censi enfiteutici, valutate in circa 15 ducati annui. La maggior parte di quest’ultimi erano infissi sopra casaleni. L’unico che dava un’entrata significativa (ducati 4 annui) era pagato dalla cappella di S. Giacomo come erede di Gio. Angelo dell’Aquila e gravava la gabella detta la “Destra del Mortilletto”. Nell’annata 1782 quindici censuari versarono al convento 45 ducati e 11 grana, che rappresentarono circa il 10% delle entrate. Il nobile Carlo Tronga da solo versò “per interesse di cinque capitali” ben 10 ducati e 75 grana. Di solito il pagamento avveniva nel mese di agosto, ma spesso slittava a settembre e nei mesi successivi.
Le ghiande
Una delle entrate principali era costituita dall’affitto di alcuni querceti che coprivano soprattutto i fondi Pantano, Bosco, Piano e valle di Santa Maria e Crucoli. Le ghiande dei terreni erano fatte stimare da un esperto (Giovanni di Cucurdillo) e affittate a partitari. Nell’aprile 1782 i frati vendono “tanta glianda del Piano di S. Maria” ricavando ducati 2 e nello stesso mese ricevono ducati 6 da Antonio Milita e dai suoi compagni “per certo danno fatto al Bosco”. Altra entrata proveniva dal taglio e vendita degli alberi. Nell’aprile dell’anno seguente ricevono ducati 19 e grana 2 dai “Sig.ri officiali del taglio dela cerza”.
La seta
Nel luglio 1782 i frati sostennero una spesa “per li patellari e una donna che purtò l’acqua e legna al patello”; il mese dopo vendettero libre sei ed oncie quattro di seta ricavando sei ducati e ottanta grana. Nel settembre dell’anno successivo ne vendettero otto libre a carlini tredici la libra, ricavando ducati 20 e grana 40. Il mese dopo spesero 95 grana per “far la seta e mastria di d.a seta”.
Celebrazioni di funzioni religiose
Formaggio, vino, castagne, grano, peri, pomi, orzo, miglio, germano, mosto, sale, tela, “segge”, ecc. fanno parte delle offerte fatte dai devoti per la celebrazione di messe per commestibile. A queste si aggiungono anche i voti: Nel luglio 1782 Bruno de Martino dona uno “jencarrune” ed un devoto nel novembre successivo due tondini ed un anello; segue nel settembre 1783 il vitellazzello degli eredi di Antonio Miletta e due vitelluzzi del Sig. Elario delle Cutrune. Oltre alle messe per commestibile i frati celebravano messe, messe cantate, messe parate, “pricessione di morti”, esposizione della Santa Spina, “messe celebrate alli legati” e litanie. Il costo di ogni messa era di 50 grana, mentre quello della “pricessione” per i defunti e dell’esposizione della Santa Spina di un ducato e mezzo. Solo le messe per i legati, che i frati avrebbero dovuto annualmente celebrare, erano quasi un migliaio, mentre per quanto riguarda le esposizioni, ne sono rendicontate circa una trentina all’anno. Donazioni da parte di devoti oltre che da Policastro sono segnalate da Isola, Belvedere, Maida, Strongoli, Rocca di Neto ecc. Tra i benefattori sono ricordati il principe Giovan Battista Filomarino, al quale i frati nella festa della Santa Spina del marzo 1782 regalarono “una zagarella”. Nello stesso mese il principe pagò dieci messe cantate ed una esposizione della Santa Spina e nel mese successivo altre nove messe cantate ed una esposizione. Anche la baronessa di Sellia donò “per carità” quattro ducati nell’ottobre 1782. Nel marzo del 1783 ci furono otto esposizioni, tra le quali due dei “f.lli del Rosario”, e ottantanove messe. Tra cera rossa, candilotti di cera e cera, se ne consumavano circa 30 libbre all’anno.
Il convento al momento della sospensione
“Convento della S.ta Spina de PP Osservanti della Città di Policastro
Corpi Stabili
Giardino attaccato alle Fabbriche del Convento. Continenza di Terra dell’estensione di tom.te sette, e mezza circondata di mura di fabbrica ed atta ad uso di orto perche sotto acqua. Vi esistono i seguenti alberi fruttiferi cioè = Fichi num.o vent’otto, Peri num.o nove, Pruni num.o ventiquattro, Gelzi neri num.o due, Pomi d’inverno num.o venticinque, Noci num.o cinque, Olivi num.o quattro, Ciregge num.o due, Percochi num.o due, Amarene num.o due, Gelzo bianco num.o uno, Viti num.o due mila, Pergoleti num.o quattordici, che derivano da cento trenta viti, Crisemmoli num.o tre. Dippiù vi esiste una terrata per ricovero di capre, una casetta per uso di caprari, ed un’altra per uso dell’ortolano. Confina da oriente, tramontana, ed occidente colle fabbriche, ed altre terre del convento, istesso.
Pantano. Vignale nel territorio di Policastro di natura nobile, e dell’estenz.e di tom.e venticinque di terre aratorie per un triennio, e per l’altro ad uso di pascolo. Vi esistono piante di querce di stato, e decadenza num.o trecento quindeci. Confina da mezzo giorno colle vigne di Mesuraca, e dagl’altri lati colla Gabella Pantano di D. Gio. Batt.a Portiglia.
S. Catarina Vecchia, osia Salomone. Vignale nell’istesso territorio dell’estenz.e di una tom.a di terre sterili, coverte da deceinove piante di olivi di stato, e decadenza. Confina da tramontana, ed occidente col vignale di Francesco Grosso, e dagli altri lati colla via pubblica, che conduce al molino.
Andreoli, seu Valle di Maria. Gabella nell’istesso territorio dell’estenz.e di tom.e trentacinque di terre, delle quali tom.e cinque sono sterili, e tom.e trenta atte a semina, e ad ogni uso. Confina da oriente colla Gabella detta Preulo del Capitolo di S. Severina, da mezzo giorno ed occidente con i vignali de Sig.ri Ventura di Policastro, e da tramontana colla Gabella detta Frassi di Michelangelo Ortale.
S. Cesareo. Gabella nell’istesso territorio dell’estenz.e di tom.e trent’otto di terre atte a semina e ad ogni uso. Vi esistono venti querce di stato, e tredeci tronconi. Confina da tramontana colla gabella detta la Destra di D. Martino Curto, da occidente col Vignale di D. Gaetano Martino, da mezzogiorno col Vignale di D. Michele Ferrari, da oriente colla Gabella S. Cesareo della Chiesa Madre.
Li Porcili, osia Piano di S. Maria. Vignale nell’istesso territorio dell’estenz.e di tom.e ventiquattro di terre infertili, coverte da cento dieci querce di stato. Confina da Tramontana colle terre dette li Porcili della Camera Principale, da oriente colle vigne dette Catrivari de Sig.ri Tronga, e dagl’altri lati colla Foresta delli med.i Tronga.
Campana. Gabella nell’istesso territorio dell’estenz.e di tom.e cento trenta di terre rase, e nobili delle quali tom.e trenta sono atte a solo uso di pascolo, e tom.e cento a semina, e ad ogni uso. Questa Gabella è comune ed indivisa con D. Michele Ferrari di Policastro, a cui ne appartengono due terze parti, spettando l’altra terza parte a questo Luogo Pio. Confina da oriente, e mezzo giorno colla Gabella detta Ginattello di D. Vitaliano Caccuri, da tramontana colla Gabella detta Marrari de Sig.ri Campitelli, e da occidente con quella detta Comito del Monte di S. Sebastiano.
Li Napoli. Castagneto nell’istesso territorio dell’estenz.e di tom.e trenta di terre soggette al Com.e ad uso de Cittadini e perciò non si può affittarsi ne in semina, ne ad uso di pascolo. Vi esistono trecento piante di Castagno Gentili, e cinquanta piante di castagne Selvagge tutte di stato. Confina da tramontana col Cerzito d’Andrea Giglio, da occidente col castagneto di Annibale Majo, da mezzo giorno col castagneto di Salvatore Manico e da oriente con quello di Gius.e Mannarino.
Il Bosco. Continenza di terre nell’istesso territorio, dell’estenz.e di tom.e cinquanta quattro, atte a solo uso di pascolo. Vi esistono cinquecento alberi di querce di stato, e cento quaranta tronconi di decadenza. Dippiù vi esistono cinquant’otto piante di castagne gentili, ed ottanta altre di castagne selvagge di stato. Confina da oriente colla Gabella di D. Pietro Caivano di Policastro, da mezzogiorno con quella di Andrea Giglio, da tramontana col Vignale di S. Giacomo, e da occidente col Vignale del M.co Gio. Batt.a Carvelli.
Manca del Salice. Vignale nell’istesso territorio dell’estenz.e di tom.e quindeci di terre atte a semina e ad ogni uso. Confina da tramontana, ed occidente col Vig.le detto Fiorillo del Convento di S. Dom.co, e dagl’altri lati colla Gabella Cervellino della Capp.a di S. Giacomo.
Mortilletto. Gabella dell’estenz.e di tom.te cinquantaquattro di terre atte a semina e ad ogni uso. Vi esistono dieci alberi di querce, e dodeci di olivi. Questa gabella è comune ed indivisa con D. Antonio Parise di Policastro, a cui ne appartengono tre quarte parti, atteso l’altra quarta parte spetta a questo Luogo Pio.
Cropa. Vignale nell’istesso territorio dell’estenz.e di tom.te tre di terre atte a semina e ad ogni uso. Vi esistono quindeci piante di querce di stato. Confina da tramontana colla Gabella detta Limine di D. Gius.e Campitelli, da occidente e mezzo giorno colla Gabella detta Cropi di D. Michele Ferrari, e da oriente coll’altra Gabella di Antonio Coco sotto l’istessa denominazione.
Salomone. Vignale nell’istesso territorio dell’estenz.e di un tomolo , e mezzo di terre atte a semina e ad ogni uso. Confina da oriente, e mezzogiorno col Vignale di D. Gaetano Martino, da tramontana colla Fiumara di Soleo, e da occidente colla Gabella di Portiglia.
Crucoli. Vignale nell’istesso territorio dell’estenz.e di tom.te otto di terre atte solo a pascolo. Vi esistono trentacinque piante di querce di stato. Confina per tutti i lati colla Gabella di D. Carlo Tronga.
Blaschi. Castagneto nell’istesso territorio dell’estenz.e di tom.te due, e mezza di terre soggette al Comune, e perciò non possono affittarsi in semina, e molto meno ad uso di pascolo. Vi esistono sessantaquattro piante di Castagne gentili. Confina da oriente, e mezzo giorno col castagneto di S. Lucia, da tramontana col castagneto di M.ro Antonio Cavaretta, e da occidente colli beni del Clero di Policastro.
Scadalupo. Castagneto nell’istesso territorio dell’estenz.ne di una tom.ta di terre soggette al Comune come sopra. Vi esistono vent’una pianta di castagne gentili. Confina da tramontana col Bosco di questo Convento, da occidente col castagneto di Francesco Ierardi, da mezzo giorno col castagneto di D. Gio. Batt.a Portiglia, da oriente col castagneto di Gio. Batt.a Pasquale.
Fossa di Natale. Castagneto nell’istesso territ.o dell’estenz.e di due tom.te di terre soggette al Comune come sopra. Vi esistono sessanta due piante di Castagne gentili tra grande e piccole. Confina da oriente col castagneto di Benedetto Mannarino, da tramontana col Cerzino di D. Nicola Ventura, da mezzo giorno col Bosco di questo Convento, e da occidente col Castagneto di Antonino Venturo.
Masella. Castagneto nell’istesso Territorio dell’estenz.e di tre quarti di tomolo di terre anche soggette al Comune come sopra con cento venti due piante di castagne. Confina da occidente colli beni di Gio. Batt.a Pasquale, e da tutti gli altri lati col Bosco di questo Convento.
Monacello. Difesa nell’istesso Territorio dell’estenz.e di tom.te mille quasi tutte piantate di alberi di Castagne, appartenenti ai naturali di Policastro nella qual Difesa è situato il Convento, li Giardini, ed i Castagneti, che a quello appartengono. La Confinaz.e dell’istessa Difesa è la seguente. Da tramontana principia dal passo detto Scinello, e siegue per il fiume Soleo sino al Vallone Cupo, che divide l’istessa Difesa da quella di Molarotta, e quindi salendo arriva all’Agromolo nella Difesa di Montano de Sig.ri Ventura. Da occidente confina col Castagneto detto Li Napoli e colla strada della Carriera, dalla quale per la parte di scirocco confina col territorio di mesuraca finche si giunge alle Vigne di Campivi dalle quali si scende a quelle dette della Badessa, dalla parte di oriente principia da d.te Vigne e và ad uscire nella Strada, che si trova tra l’orto di questo convento e quello di D. Pietro Grano, e per sotto la Calcara del Convento istesso confina colle castagne e querce della Cappella di S. Giacomo, e colla strada finche si giunge al primo confine detto il Passo di Scinello.
Questa Difesa è Comune colla Chiesa della SS.ma Annunciata di Policastro, e questi due Luoghi Pii hanno solamente il dritto di esigere il quinto di quanto vi si semina, e raccoglie nelli spazi, che non sono occupati da castagne, li quali spazi possono ascendere a circa tom.te cento seminabili.
Ospizio. Lo stesso esiste nel Distretto della Med.ma Città di Policastro, è composto di due Camere Superiori, e due altre inferiori nella Contrada detta sopra Le Timpe dell’Annunciata.
Il Convento
Nel primo dormitorio vi sono stanze dieci una con la Libreria nella quale vi sono le porte e finestre tutte dieci buone, ed a cinque vi sono le mascature.
Nel secondo dormitorio vi sono nove stanze, una delle quali è grande e comunica con la seguente, ed a questa vi è la mascatura alla porta, nelle altre otto vi sono le porte, e finestre ma senza mascatura.
Nel terzo dormitorio altre quattro stanze, ma non si possono abitare, per mancanza di pavimento.
Il quarto dormitorio è il Noviziato, e vi sono sei camere con porte e finestre, senza mascature, e questo ha bisogno di poca rifazione se si vuole abitare.
Nell’ultimo dormitorio vi sono quattro stanze con porte e finestre tutti li comodi, e queste quattro sono le migliori delle altre tutte, di rimpetto a queste vi è una camera, che si dice il Comune; in tutti questi dormitori vi sono tre finestroni, ad uno de’ quali, vi è la gradiata di ferro, e vi è ancora un passetto, che si va al Refettorio Vecchio, ed alla Comunità consistente in due cameroni e la porta, che si va al Coro.
Nell’appartamento di basso vi è una porta che si va alla Chiesa, due camere, una col molino del tabacco, e l’altra vi si tenea legname.
Vi sono ancora altre due camere, che vi sta situato il forno, un passetto, che si và alla Cucina, ed altro che si và al Giardino e al Refettorio, dal Refettorio Cannava, e alla Cantina, tutti questi quarti sono buoni, sani e salvi, poca rifazione alle toniche.
La chiesa e secrestia non anno bisogno di niente, essendo bonissime.
Nel vaglio di basso vi è la cisterna, dalla parte di fuori vi sono le stalle, ed altro luogo per tenere li neri d’ingrasso.” (ASCz, C.S. Lista di Carico – Policastro N. 10, ff. 53-58.).
Creato il 30 Maggio 2016. Ultima modifica: 2 Giugno 2016.
Molto interessante,bella la storia del Sacro Convento della Santa Spina