Tra falsari, ladri e duelli, Squillace alla fine del Seicento

La cattedrale di Santa Maria Assunta a Squillace (CZ).

Essendo la chiesa di Squillace vacante per morte di Francesco Tirotta, nel concistoro del 27 aprile 1676, referente il cardinale Carpino provvede della chiesa di Squillace, il canonico reggino Paolo Filocamo, con riservazione di una pensione annua di 17 ducati “auri de camera”, e con decreto che si dedichi a riparare la chiesa cattedrale ed il palazzo vescovile, fornisca la sacrestia di suppellettili sacre e curi di erigere il Monte di Pietà.[i]

Il seguente 10 maggio 1676 il Filocamo è consacrato dal cardinale Federico Colonna. Di nobile famiglia e vescovo, Paolo Filocamo adornò la cattedrale con un bellissimo soffitto, ed il 10 dicembre 1684 inviò a Roma la sua “Relazione”.[ii] All’età di 77 anni si ammalò gravemente in Napoli, e già il 14 aprile 1687, il Nunzio avvisava il Segretario di Stato che corresse voce della sua dipartita.[iii] Mesi dopo, il 23 settembre, il Nunzio avvisava che il vescovo era morto.[iv]

Il primo giugno del 1680, una lettera inviata dalla Santa Sede di Roma all’arcivescovo di Santa Severina Carlo Berlingieri, gli ordinava di indagare “su alcuni delitti che si pretende commessi dai vescovi di Squillace e di Oppido, acciò con tutta la secretezza ne prenda una distinta informatione per scuoprire la verità di ciascun capo di essi”. L’arcivescovo, una volta espletata l’indagine, accogliendo le testimonianze di persone degne di fede, dovrà scrivere una relazione ed inviarla a Roma.[v]

“Capi de’ Delitti commessi da Mons.re Vesc(ov)o di Squillace

1 Introdut(ion)e scandalosa di donne giovani di notte nel suo Palazzo Vesc.le, permettendo che con scandalo pub(li)co tutti isuoi cortegiani tenghino le concubine, e che d.o Vesc.o il Venerdì di passione prossimo fosse visto in fenestra con una donna disonesta chiamata Eufrasia Manetona, et osservato da tutta la Città con molto scandalo, e che attenda anche al vitio nefando, come ne è informato Antonio N. già servitore di esso Mons.r et altri.

2 Inoservanza della Tassa Innocenziana e precisamente nel conferire li benefici, pigliando per bolle jus p.ti dodeci ducati.

3 Vende li benefici tanto curati, quanto semplici, et inchina più dove più preme moneta.

4 Poco difende l’immunità Ecclesiastica quando vi corrono denari che si prova con la carcerazione del P. Cozza Agostino che per rimetterlo nella chiesa ne estorse ducati cinquanta, e della carcerazione fatta fare dalli suoi soldati dentro la Chiesa di Stilo di Giuseppe Jennaci dell’istesso luogo, che dopo haverlo fatto ferire gravemente dentro la medesima Chiesa, e ritenutolo prigione un anno lo fece rimettere in Chiesa con haversene estorti altri ducati cinquanta.

5 La publica baratteria, e gioco nell’Anticamera del suo Palazzo, ove assiste lui con prestare carte anche in giorno di passione giocando anche lui di quando in quando.

6 Attende a fabricare monete tenendo a questo effetto un tal Paolo Geronda monetario processato altre volte di questo delitto permettendo che si sia in rifugio da lui con la sua concubina perche non incappi nelle mani della Corte secolare.

7 Tiene nella sua famiglia persone facinorose, e fungiudicati, come fu prima Anello Grego et al presente D. Monico fratello dell’istesso Anello.

8 Non ha depositato il Depositario delle transattioni in vigore delle lettere circolari per applicarsele, come se l’ha applicate in proprio uso della Chiesa.

9 Ordinò di prima tonsura un tale Ottavio Gastellotti di età d’anni 60 inquisito dal S. Offitio di due omicidii per mezo di grosso regalo, e per l’istesso modo ha fatto chierico de facto un tal Ant.o Geronda benche il giorno precedente havesse disfidato a duello Federico Schiapani, Gentiluomo di Squillace per esimerlo dalla giurisditione secolare.

10 Ha ridotti molti sacerdoti à rubbare per vivere e ne gli ha spogliato anco del proprio patrimonio tra quali D. Andrea Raneio e D. Agostino Testa, et altri.

11 Si ha usurpato e dato al fratello e nipoti l’entrate di S. Maria degli Angeli convento soppresso, già assegnato a poveri Preti.

12 Ha permesso che Domenico Sita di Squillace facesse matrimonio con una giovane di Reggio senza che si facessero le debite publicationi richieste dal Concilio di Trento, benche si supponesse che il primo marito di detta donna fosse vivo.

13 Si ha preso da 3000 scudi in c.a proprii della Capp.a della Torre, chiamata la vergine delle Gratie, denari tutti fatti coll’elemosine quali sono stati consegnati a detto Vescovo per mano di D. Silvio Gabito, e di D. Jacomo Santascioda di detta terra.

La statua di San Rocco nella cattedrale di Squillace (CZ).

 

Il vescovo di Squillace

Il 19 giugno 1680 il vescovo di Squillace, saputo che si stava indagando sulla sua persona, nel tentativo di difendersi dalle accuse, inviava all’arcivescovo di Santa Severina la seguente lettera:

“Ill.mo e R.mo S.re P.n’ mio Oss.mo

M’alzo apunto da letto dopo alcuni giorni di terzana cominciata da un accidente, che m’assaltò in chiesa nel terso salmo del Vespro di Pentecoste, e per gratia del Signore ne resto libero per poter servire V. S. Ill.ma.

Da Roma mi scrive il n.ro S.re Prior Menniti, che sarà commesso à V. S. Ill.ma l’informarsi sopra alcuni capi dati contro me alli S. C. da Marco Antonio Gonnella di questa Città. Io ho sommo gusto che la caduta questa electione in persona di V. S. Ill.ma in cui l’integrità ad lasciare luogo all’altrui calunnie di malignarmi. Questo huomo e dependente ed instrumento di q.to Governatore Stefano Pepe, che non puo digerire l’affetto che io porto agli SS.ri Gerondi, che li mesi passati pretese a mortificare e calunniare sino a far fuggire in una chiesa la Sig.ra donna Tuta come a lei è ben noto.

I capi come è solito alli calunniatori saranno e sopra le actioni morali, e circa il governo. Intorno alle prime la mia età e le maledicenze solite del paese saranno bastanti motivi a farli conoscere maligni. Circa il governo, se mi accusa l’universale de quei sudditi accetterò ancor io il delitto, se il particolare bisogna che si santionino le cause, le conditioni ed i motivi che si sono havuti per gastigare. V. S. Ill.ma è constituita nel grado suo proportionato a suoi meriti, ha prudenza e sapienza che non ho io, e nato Gentil huomo, e del paese sa le conditioni delle persone m’è, Padrone antico e giusto, son calunniato per volere difendere la giustitia d’una casa qualificata e congiunta a lei con più miracoli. Il Capitano Valerio Montalcini puol essere informato di qualche particolarità e forse non sara dell’intutto digiuno del modo del mio vivere e del mio procedere cotesto P. fra Tommaso di Soriano che io gli ho raccomandato e huomo da bene, ma partì da qui con gusto e con indispositione, che lo facesse partire io, e perche non sempre la passione propria viene retta dalla giustitia potria essere testimonio non di tutta la verità, io intendo dare a V. S. Ill.ma la cognitione, accio … possa pigliar la misura delle parole. Io non pretendo essere ineprensibile, ne fuori la riga degl’altri huomini, ma S.r mio reventissimo quando s’ode la calunnia e giusto desiderare la propria lode. A V. S. Ill.ma rattifico riverentemente la mia antica osservanza e devotione li bacio le mani. Squillace 19 giugno 1680. Dev.mo e Oblig.mo S.re P. vescovo di Squillace.”

Il castello di Squillace (CZ).

 

La relazione del cappuccino fra Giovanni da Cropani

Durante l’estate l’arcivescovo Carlo Berlingieri incaricò alcuni ecclesiastici di raccogliere delle testimonianze sulla condotta del vescovo di Squillace.

“Diligenze fatte sopra li capi dati contro Monsignor Vescovo di Squillace.

Intorno al primo: Non vi è notizia, che entrino di notte tempo Donne giovani in suo Palazzo. Un solo D. Nicolo della sua casa tiene concubina, ma non si sa, si con sua saputa. Eufrasia Marattona è Gentildonna principale della Città, moglie di Paolo Geronda, la quale con D. Tota Suriana, sua cognata, moglie di Capitan Mico Geronda per un buglio con gente dell’Udienza per salvarsi dalle insolenze di questa si fugirono al Palazzo del Vescovo, ove con loro mariti, e gente di servitio stettero per qualche tempo. Puo essere che per detto tempo fosse veduta nella fenestra come si dice: quanto al peccato nefando; non si sa; egli tiene due bagi senza pelo in barba ma l’età vecchia del Vescovo non permette simile cosa.

Intorno al 2°. Prima della tassa Inn.na monsignore costumava pigliar qualche cosa nella collatione de’ beneficii, transigendo nell’ultimo il beneficiato. Sopravenuta detta tassa, si paga gl’atti; esamina per testimonii, ne vuol la giornata a ragione di carlini 15 l’uno; si paga il decreto; con altri atti.

Intorno al 3°. Non puo sapersi altro.

Intorno al 4°. Non puo darsegli titolo di poco difensione dell’immunità, quando per quella attaccò li passati mesi una gran buglia con la medesima udienza. Il P. Cozzo fu estratto dalla Chiesa, portato nelle carceri vescovili per più mesi, e poi ritornatovi, ma se per rigalo, si dice che no’; perché detto Padre sparlando in molte cose contro del Prelato, mai si dolse di questo.

Intorno al 5°. tutto è vero, ma il fine, per quanto più volte si è dichiarato il Vescovo, solo è stato per allungare dal monasterio delle Vergini dette di tutti i Santi, il giuoco; qual assercitandosi sotto a quello, ne pativano le monache molti infadi, e ne udivano molte bestemmie, e molte parole sconcie.

Intorno al 6°. E vero che Paolo Girando è stato processato di monetario, e liberato no vis non supervenientibus et è vero che usa famigliarmente con Monsignore; ma se per fabricar monete, non può sapersi. Il medesimo si ritirò in refugio con la moglie per altra ragione, che di moneta.

Intorno al 7°. Gl’accennati sono stati forgiudicati ma adesso sono aggiustati, e di loro se n’ha servito per soldati, dopo l’aggiustamento.

Intorno all’8°. Non v’è notitia d’esservi depositario ma pero detto Vescovo ha arrichito la sagrestia di molta suppellettile; si suppone con transattioni.

Intorno al 9°. Vero è che habbia ordinato Chierico Ottavio Gastellotti d’età matura, et inquisito nel S.to Officio, ma però n’era liberato né si sa se per rigalo. Così anche è vero, ch’habbia ordinato l’altro; cioè Paolo Geronda; se non più tosto reintegrandolo, doppo la disfida, ma il fine del Prelato, per quanto dichiarò egli medesimo parlando col Preside della Provincia nel passaggio fece per Suriano, fù per non risvegliare l’antica inimicizia tra queste famiglie.

Intorno al 10°. Io stimo che vi fosse qualche cosa oltre la publica diceria, per haverlo inteso da un certo prete di S. Catarina nel passaggio feci al Capitolo, che si doleva contro del Prelato per la grossa taglia voleva non so per quale delitto non così grave di Andrea Rainieri si ritrovò fra quelli affogarono, e spogliarono il Padre Domenicano in Squillace; Monsignore non potè haverlo nelle mani; se fosse per questo l’havesse sequestrato le robbe, può essere facilmente.

Intorno alli 11°, 12° e 13° prendo tempo à darlene la risposta giachel’Amico n’è affatto digiuno.”

“Ill.mo e R.moSig.re Pra.ne sempre Colen.mo

Hiersera l’Abbate Carlo Migliaccio mi rese la favoritissima di V. S. Ill.ma in ordine alla quale fu ricevuto, e trattato, se non quanto era il merito del racomandato e del racomandante, almeno quanto religiosamente fu possibile.

Con l’ordinario passato havea risposto all’altra di V. S. Ill.ma, ma essendo passato il Corriero à tempo non si credeva, io mi vi trovai fuori casa, onde restò la lettera, quale la mattina seguente con secura comodità inviai in Scandale, raccomandata al Sig.r Giuseppe Franco; non so se le fosse capitata tutta volta per accertare più la risposta, replico con questo ch’il Sig. Rose tratta matrimonio in Cropani, fin’hora senza chiusure, però conchiudendosi, io posso credere che voglia ritirarsi con la moglie. Soggiungevo parimente havere havuto la risulta sopra li due capi rimasti à monsignore di Squillace e per il particolare delle entrade della Madonna degli Angioli applicate a suo fratello e nipoti dice il Padre, che di dette entrade se ne sodisfanno le messe erano in quella Chiesa, monasterio già soppresso di P.P. Agostiniani in Montepaone e del di più se ne fa beneficio alla medesima, et hoggidì si sta preparando la materia per la fabrica d’una Cappella di spesa di cento scudi sopravanzati in questo e nell’altro anno passato, quanto al matrimonio del Cullà, N. Sità, camariero di Monsignore non vi è tal novità, ma perché V. S. Ill.ma restò servita ordinare, che tutte le notitie s’havessero d’altra persona, già mandatene l’incombenza fin’hora non e comparsa risposta. Venendo sarà di subito trasmessa à V. S. Ill.ma quale vi riverisco di cuore, e supplicandole dal cielo ogni vero bene, le bagio aff.e le mani. Cropani li 3 Agosto 1680.

Di V.S. Ill.ma e R.ma.

Serv.re di cuore oblig.mo e dev.mo fra Gio. da Cropani Capp.no.”

Il castello di Squillace (CZ).

 

La relazione di frate Giuseppe Squillace

Passati alcuni mesi, il 28 settembre 1680 Frate Giuseppe Squillace Inviava la sua relazione all’Arcivescovo di Santa Severina Carlo Berlingieri.

“Ill.mo et R.mo Sig.r Pad.re mio Sempre Col.mo

La mia lunga infermità di cinquanta cinque giorni che ancora continua con sopra carico di novi sintomi, mi ha reso colpevole e reo di mala servità appresso V. S. Ill.ma fa Dio che non peccò mai la volontà: prima di mettermi a letto erano disposte le materie per far la relatione, ma perché non possetti copiarle e per altro non dovevo confidarmi con chi li fusse, mi son ridotto fin a questo segno, e per terminar questa fasenda mi convenne chiamar un figliolo forastiero che non intiende e farmi agiutare a scrivere il che darà motivo a V. S.r Ill.ma li errori che che ritroverà.

Quanto scrivo delle cose di qua di tutte ne do’ certezza per me stesso nella conformità medesima che lo scrivo. Mon.re di Squillace è testa dura, e capriccioso, né sa far piacere anco agli Amici; del resto poi io non trovo che cosa li si possa dir in contrario …”.

“Prima di rispondere articolarmente a’ capi inviatimi da V. S.a Ill.ma bisogna farle intendere una verità, che non ha contrasto perché dalla radice infetta di questa pianta potrà argomentarsi con faciltà la prava qualità delli frutti. Per conto di algune novità tentate dal S.r Stefano Pepe Governatore di questo stato contro li Clerici selvaggi attaccò disgusti con q.o Prelato di Squillaci dal quale restò scomunicato insieme con Marco Antonio Gonnella allora Mastrogiurato et altri della sua corte e benchè dopo lunghi contrasti si fossero le cose abbonacciate con l’assolutione, mostrò con ogni modo la sperienza, che la piaga si era chiusa, ma non guarita, non passò molto che trasse il medesimo Sig.r stefano disgusti notabili con il Sig.r Paulo Geronda Gentiluomo di questa città et intrigatasi la Reggia Audienza vennero le cose a segno, che bisognò portarsi al refuggio della Chiesa. Il S.r Capitano Dom.co Geronda con la S.ra D. Tota Soriano sua moglie, et S.r Pauolo con la sua Sig.ra moglie D. Eufrasia Morettona siritirorno nel Palazzo di Mon.re al quarto di basso e perché ne seguirono molti disordini per conto delle male creanze, et impertinenze dei soldati della Audienza, onde ne restorno scomunicati, si rinovarono le antiche piaghe tra il Sig.r Governatore, et il Vescovo; si che cominciorno à scriversi l’un laltro contra in Napoli ed a Roma; e tutto questo è publico in questa Città di Squillaci; et io medesimo l’onteso per bocca di amendue e di vantagio si dice publigamente, che il sud.to Marco Antonio Gonnella sia passato da Napoli in Roma per dar capi contro il Vescovo; e tutto per ordine del S.r Governatore. Ciò supposto

Intorno al primo capo, mi pesa, che porta un frontespitio, che quando poi si scoprisse la frabica, potrebe causare l’ultima rovina à questa povera Città; mentre per offendere il Vescovo si offende una famiglia cosi conspigua, come è quella de’ Sig.ri Girondi. Quella Eufrasia Monettona di cui si parla, è la stessa moglie de S.r Pauolo Geronda e questo basti a V.ra S. Ill.ma per conoscere l’attrenimento, con che si scrive della introduttione notturna delle femine disoneste nel Palazzo dello esercitio nefando e della cattiva conversatione, e pratticha de cortigiani; per diligenza fatta non trovo nella Città né scandalo né romore ansi né malo odore alcuno ed havendo spetialmente cercato chi mai potesse essere quello Antonio N. chè stato servitore del Vescovo si suppone informato. Mi occorse causalmente intendere da persona amica et degna di fede, la quale me ne mostrò anche la scrittura tornata in partibus per destirezza di talguni Amici di Mon.re, che un tale Antonio Milia essendo in Napoli fu esortato da alguni partegiani del Sig.r Governatore à fare un memoriale in Congregatione contra del Vescovo, concernente simili bruttezze, et perché colui non volle farlo, fu supposto un altro, che sottoscrisse detto memoriale, e fu autenticato da tre notari, che non conoscendo la persona, fecero quello errore; ed io vengo accertato che colui non sa nente del fatto, e perche lui stà lungi di Squillaci ed io cosi lungamente infermo, non ho havuto logo di abboccarmici.

Quanto al 2° la tassa inocenziana non si è rigorosamente in fin hora osservata, ma perche l’officiali del Tribunale mescolano ogni cosa, cioe decreti, atti di Corte, e transattioni, tutto in sano; per questo non si può distinta mente sapere, cosa fusse; io però non sento lamenti delli Eclesiastici.

Il 3° è mera impostura c.v. constando à me, che in più vacanze di benefici curati non ha voluto dare il magis alli concorsi approbati, ma rimestosi alle coscienze delli saminatori ò vero alle dicitioni delle sorti.

La giurisd.e eclesiastica (chè il 4° capo) mi pare che sia difesa da q.o Prelato non solamente la Croce, mà con il bastone ancora, l’ha mostrato la sperienza, particolarmente due volte, che giunse fin à far toccar le campane, ed armare il Clero non senza qualche taccia e nota di troppo ardito. Le contingenze del Pad.e Cozza (frate conventuale di S. Francesco e non Agostiniano, conforme si rapresenta), di Giuseppe Jeragi della Città di Stilo, son cose non solamente publiche in Squillace, ma ventilate ancora in Napoli, ed a Roma; perché il p.° per quanto intendo, per titolo di grosso furto fatto nel suo medesimo convento di Monteleone, si ritirò fuggitivo nel Convento de’ Padri Agustiniani della Torre di Spatola luogo di questa Diocesi, dove da alcune squadre di Barrigelli segolari mandati ad instansa delli Pdri del suo ordine, fu quel convento assediato in maniera che venutene qua li Avisi e temendosi di violenza, Mons.re mandò il suo Vicario Generale, e condusse il P. in quelle carceri per luogo di refuggio dopo molte lettere delle due Sagre Congregationi cioè de’ Vescovi e Reg. e della Immunità procurata a vicenda dal P.re Cozza e dalli PP. del suo ordine li quali ne cercavano la remissione per castigarlo; finalmente per ordine della Sagra Congregatione dell’Immunità fu restituito al refuggio. Intendo su q.o particolare, che Mon.re per qualche capriccio differì più che non dovere q.a restitutione, Và sul tavoliere certo sussurrò, non di cinquanta ma solo di trenta docati pagati per q.a restitutione, e come che la gente qui è divisa, chi dice (di questo particolare se ne parla publico) che q.o danaro sia stato dato segretamente a Mon.re e chi dice essere stati offerti a persona cara del Sig.r Governatore, allora amico del Vescovo, acciò che li procurasse questa gratia, la quale però non segui per questa strada. Io per me con tutte le diligenze fatte non ho potuto indovinare il vero, che se fu per luno o per laltro dovette andar molto secreto; mi dicono però persone degne di fede che l’istesso P. Cozza non potrà testimoniare cosa contra di Mons.re. L’altro capo di Giuseppe Jeraci fù famoso in Napoli appresso il il Sig.r Delegato della Giurisditione; e quanto Mons.re fece castigo delle insolenze fatte da colui dentro la Chiesa tutto fu approvato dalla Sacra Con. di Roma.

Il 5° Capo è vero; e infatti alle Persone di questa Città picciola pare strano, e fa mala vista benche non vi sia scandalo alguno; tanto più con non vi intervengono altri che Gentiuomini e li giochi non sono di perdita, ma di sola recreatione.

Il 6° Capo, è una trama ordita per rovinare il Sig.r Geronda ma lui presentatosi in Napoli da S. E. si ne tornò non solamente libero, ma ancora esente così da q.o come dal Tribunal di Catanzaro.

Per lo 7° la famiglia di Mons.re non fa disattini; benche fin hore sia stata composta di homeni.

8° Depositario delle transattioni da principio è stato istituito il Sig. Augustino Calabretta; però non ha molto da fare per le ragioni da me addotte nel 2° Capo.

9°. Il Signor Ottavio Cavilotto vedovo di moglie presa vergine è stato ordinato di Prima Tonsura in età di sessanta anni; ma come non si dice di esser stato mai inquisito del S. Offitio nè innegulare per altro capo: così è tanto lontano dal potere regalare ingresso, quanto è certo che gli mancha molto per sostentar sei poveri figli che tene in casa senza maschio. Il signor Antonio Geronda non fu da Mons.re ordinato ma solamente redintregato clerico; vero che dopo certa disfida con un Gentiluomo in questa Città: ma perché quasi rimediò senza seguirne l’affetto, onde hebbe specie più di semplice rissa che di duello, non si ne fece risentimento da tribunale alguno.

De’ i due sacerdoti del Capo 10°. Il Raneri sta attualmente bandito in campagna con li fratelli seculari non gia per alguna persegutione del Vescovo ma per antioni, e moderni publici suoi delitti: q.o homo non solamente è cattivo, ma diabolico. Il Testa (Agatio non Agustino) e un publigo concubinario, che doppo molte mortificationi havute da q.o Tribunale, prima che ridursi a Dio si contentò fuggirsi di Squillace con una vechia e brutta concubina appresso, e pur hoggi si dice, che si fusse dato alla campagna.

11° Le rendite di S.a Maria delli Angeli sono amministrate dalli Preti di Montepavone, che attualmente se lisigono; non ho potuto indovinare dove si fondi la favola del fratello e nipoti del Vescovo.

12° Il matrimonio del capo 12 fu contratto con tutte le solennità ordinarie tra Domenico Sita e la giovane che lui condusse seco da Sicilia al ritorno della guerra; e le scritture stanno in bancha.

13° Nella Torre di Spatola, da cinque in sei anni sono per rumore sparso, che una statua della Beatissima Vergine conservata in una Chiesa fori dell’habitato facesse de miracoli, vi fù gran concorso di gente, e quantità di limosene; e come io non posso immaginarmine, quanto si rapresentano (stante l’universale povertà della provincia), cosi non puo darsi, che si sia sollevata una nova Chiesa più grande alla cui frabica assiste ancora quel medesimo Don Silvio Gavito, il quale è vicario; se poi tra costui e il Vescovo passi qualche segreta intelligenza solo ne pole essere giusto giudice. Io medesimo fui nella Torre non intesi lamentatione alguna su questo particolare, ma solamente l’Università de’ laici volea metter mano in questo introito, ed esimersi elemosine, e nella procura della frabica; e Mon.re non lo permise.”

Il 10 ottobre 1680, conclusa l’indagine, l’arcivescovo inviava le relazioni a Roma

“All’informationi segrete che di ordine di N. S.re tempo fa si degnò V. Ill.ma d’impormi sopra i capi respettivamente dati contro mon.re vescovo di Squillace e mons.re vescovo di Oppido, sodisfo hora con i congionti fogli da me segnati, à quali per maggior chiarezza accompagno i fogli medesimi de capi, che restò ella servita di trasmettermi. La cagione di non havere più celermente eseguito gli ordini havuti è derivata, ch’essendo il primo di detti vescovi nemico col Governatore di quello stato et il secondo parimente nemico di diversi Baroni della sua diocese, si ritrovano quei paesi divisi in fationi onde per ischivare quanto è stato possibile gl’inganni a’ quali si soggiace nell’esecutioni di simil commissioni quando il Popolo è diviso, non mi sono contentato delle notitie havute per una et un altra strada, ma ho replicato più e più diligenze, tutte però per mezo di persone qualificate particolarmente di religiosi cospicui di diverse religioni, dalle relationi de quali ho poi formato queste mie.”

 

Note

[i] Russo F., Regesto, 43609.

[ii] Russo F., Regesto, 45221.

[iii] Russo F., Regesto, 45624.

[iv] Russo F., Regesto, 45678.

[v] AASS, Fondo Arcivescovile, 046A.


Creato il 24 Febbraio 2022. Ultima modifica: 24 Febbraio 2022.

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