Paesaggi crotonesi: La pianura ed il vallone di Armerì
“Et seguendo il camino verso la via di la marina, passato Esaro; vi è uno Vallone detto Armerì, dove era anticamente la strada dell’armeri, quando era dentro la Città, dopò viene un’altro Vallone salso, prese il nome della proprietà dell’acqua, che sempre è salsa …”.[i] (Armirò = di sapore di sale, salmastro).
Il fiume
Il torrente “Vena de Armira” che scorre nel vallone “de Armeri”, anticamente conosciuto come “Vallonus de Cucurreaci”, da piccolo rigagnolo estivo si tramutava con l’arrivo delle piogge autunnali, in fiume impetuoso. Allora il guado diveniva particolarmente pericoloso sia per gli uomini che per gli animali. Nel “Liber Mort. ab anno 1601 usque ad ann. 1698”, leggiamo che: “Adi 8 del mese di Xbre (1603) morsi lo figlio di fan barlini cosentino di pietrafitta che si annegò nelli fiume di armiri”.
In un ambiente disboscato e pianeggiante il torrente, la via pubblica ed il lido del mare, rappresentarono termini ben definiti e continui di separazione delle gabelle, come evidenzia la descrizione della gabella “Pisciotta”. Nel marzo 1612 Jo.e Andrea Sculco del casale di Papanicefore, dona al figlio Jo.e Petro la gabella “Pisciotta” che lo stesso Sculco, in precedenza, aveva comprato da Josepho Presterà. La gabella, o continenza di terre “de Pisciotta”, è così descritta: “positam in territorio Crotonis loco dicto Armerì jux.a t.ras li Ponticelli don jo.is de ayerbis de aragonia, jux.a litus maris flumen dictum Armeri, viam pp.cam et alios fines”.[ii]
Da gabella a parte di grangia
La gabella di “Armira” ed altre vicine e confinanti, nel Medioevo fecero parte della grangia di S. Nicola della Cipolla, dipendente dal monastero certosino di San Stefano del Bosco. I proprietari, i confini e la località sono descritti in maniera dettagliata da alcuni documenti della metà del dodicesimo secolo. Essi dimostrano che la pianura detta “Campus”, o “Campus de Armira”, situata tra il fiume Esaro ed il torrente “Vena de Armira”, limitata dalla riva del mare (“Rivus Malus”) e dalle colline (“collis radices”), era divisa in fondi rustici appartenenti a diversi proprietari terrieri, sia ecclesiastici (il protopapa Amnus, il vescovo, il presbitero Leone Marcellino, il presbitero Zosimo), che nobili. Tra questi ultimi spiccano per importanza i nomi di Ruperto Scalione, Ruberto de Marturano e Curbulino, seguono Nicola Cimina, Nicola Columbo, Gambarelli, Andrea Muritano, Nicola Rabda e Thoma.
I fondi rustici sono separati tra loro da termini continui naturali quali la via, la riva del mare, il torrente Vena de Armira e le colline, altre volte dai limiti posti dai proprietari, quali siepi e fossati. Il territorio, pur dissodato, conserva ancora parte della sua origine silvestre. Non sono infatti descritte le capacità in salme dei territori, e spesso i confini sono labili e lasciati alla memoria dei confinanti. Esso è attraversato dalla “via regia” che, passato l’Esaro, si dirige seguendo la riva del mare al torrente “Vena de Armira” e, guadato, prosegue verso “Pantanitia”. La località è ricca di corsi d’acqua e di acquitrini (“Fossa molendini”, “Pantanitia”, “rivus Malus”, “rivus vetus”, “torrens Venae de Armira”, “cisterna”), tanto da alimentare un mulino, e vi sono alcune vigne (“vineae filiorum presbyteri Leonis Marcellini”, “vineae domini Amni sacerdotis et novi protopapae”), protette e limitate da fossati e siepi.
“Armirà” è così descritta in alcuni atti di donazione. Curbulinus nel marzo 1159, dona al venerabile tempio del Santo Prothomartire Stefano, monastero degli eremitani, alcuni suoi fondi, che possiede in territorio di Crotone nella pianura presso la riva del mare. Uno è situato “in inferiori parte ad Armiram” ed è così confinato: “ad orientem via, quae ex pantanitzia ad Armiram vadit, et inde decurrit via occidentem versus ad finem domini Thomae ad septentrionem, et sic clauditur”. Un secondo è situato “ad Campum” ed i suoi confini sono: “ab oriente via, quae vadit ad rivum Malum, et confinium praediorum ad Gambarelli filios spectantium, et ascendit ipsum confinium usque ad terminos praediorum olim Cilmerum pertinentium, quae possidet maior episcopalis ecclesia Crotonensis; illinc deflectit ex finibus praediorum, quae olim fuerunt Nicolai Rabdae, descendit idem terminus usque ad fossam vineae filiorum presbyteri leonis Marcellini, et procedit recta ad fines pradiorum Andreae Muritani, et iterum flectit occidentem versus ad fines praediorum, quae olim ad Nicolaum Ciminam spectabant, usque ad fines aliorum praediorum ipsius Nicolai Ciminae septentrionem versus, et ascendit ubi terminantur praedia filiorum presbyteri Zosimi, quae habebat a Domino suo; ascendit idem terminus usque ad viam ad torrentem Venae de Armira, et sic clauditur prout via scendit usque ad fines Gambarelli, unde initium duximus”. Un terzo è “ad litus in loco qui dicitur Armiri”, ed i suoi termini sono: “ab oriente vadit mare, et procedit iuxta litus, et protenditur ad flumen et Armirum, et subsequitur via”.
Sempre nel mese di marzo 1159, Rupertus Scalionus dona allo stesso monastero un fondo situato “in campo de Armira”. I confini sono: “Ab oriente torrens Venae de Armira usque ad confinium praediorum domini Corbulini, quae tenent filii Nicolai Columbi ad septentrionem, et illinc flectit ipsum confinium ad occidentem usque ad viam regiam, et ut pergit ipsa via usque ad torrentem, unde initium duximus et clauditur”.
Lo stesso fa Robertus de Marturano che dona due suoi fondi “ad campum rivi Mali”. Uno confina “ad oriente via; a septentrione ascendit secus rivum Malum; ab occidente procedunt collis radices e cisterna usque ad sepem vineae domini Amni sacerdotis et novi protopapae, sicut descendit confinium iuxta sepem, et praedium praedicti protopapae, usque ad viam unde initium duximus”. Il secondo è un fondo che era appartenuto ai figli del presbitero Zosimo, che è così confinato: “ab oriente via regia; ab occidente confinium et praedia, quae olim fuerunt Nicolai Ciminae; et pariter a septentrione praedia ipsius Nicolai Ciminae; a meridie fines praediorum domini Curbulini, sicut descendunt viam versus ad torrentem de Vena, et clauditur”.[iii]
La grangia prima dello smembramento
Nel Dodicesimo e Tredicesimo secolo attorno alla chiesa di S. Nicola dela Cipolla si formò un insieme continuo di proprietà. Il territorio appartenente alla chiesa si estese in tutte le direzioni, ed il paesaggio assunse col tempo un diverso aspetto, che andava dal coltivato all’incolto, in relazione alla lontananza dal punto centrale rappresentato dalla chiesa/monastero. A seconda della distanza dal nucleo abitato, in maniera centrifuga, gli orti lasciavano il posto alle vigne, i terreni seminativi al bosco.
All’inizio del Cinquecento la gabella di Armirì apparteneva ancora al monastero di S. Stefano del Bosco. Allora il monastero era stato da poco riconsegnato ai certosini e risentiva del lungo periodo di cattiva gestione degli abati commendatari per lo più della famiglia Aragona. La grangia era in fase di dissolvimento e la chiesa di San Nicola dela Cipolla che, per antichi privilegi, era il capo della grangia ed amministratrice di tutti i beni, era “diruta et discoperta”. Da un’analisi di una platea, redatta su ordine del giugno 1530 dell’imperatore Carlo V, possiamo descrivere la località ed i proprietari delle terre confinanti. Tra i terrieri sono ricordati i nobili Carolo e Petro Nigro, Dionisio Pipino, Lorenzo Campitelli, Alte Donne de civitate Cariati, Matteo de Bitecta, Ioannello Pipino, Ioanne Antonio Maza, Ioanne Milia e Andrea Pantisano, e gli enti ecclesiastici crotonesi: il monastero di Santa Chiara, l’altare della visitazione e l’arcidiaconato della cattedrale.
La pianura, compresa tra le colline ed il lido del mare, era attraversata dal vallone chiamato Armeri, ma anticamente era conosciuto come “Vallonus de Cucurreaci”. La via pubblica, la medievale via regia costiera, da “Passo Veteri”, guadava il vallone de Armeri, e attraversava all’interno le terre del monastero. La via che anticamente passava per “Pantanitia” aveva mutato il suo percorso, spingendosi verso l’interno per aggirare la palude, ed a ricordo dell’antico passaggio rimaneva il toponimo “Passo Vecchio”. Era inoltre menzionata un’altra via pubblica che dall’interno discendeva verso la pianura dai “tivoni” (timponi).
Le terre appartenenti al monastero erano particolarmente fertili e sono descritte “planae, laboratoriae et preciosissimae”. Vi si pratica la rotazione triennale e sono affittate insieme. Per tre anni esse sono coltivate a grano dai coloni mentre, nei tre anni successivi, vi pascolano le mandrie dei fidatori. Esse sono ben delimitate e sono della capacità di 24 salme Una è di salme due e dà una rendita di due salme di frumento all’anno, l’altra è di ventidue salme e si affitta per ventidue salme di grano all’anno.
Sono così descritte: “Item dictum monasterium tenet et possidet, in sui dominio et potestate, terram unam capacitatis salmatarum duarum, que solet locari in simul cum gabella dicta De Armari, positam in eodem territorio Cotronis, in loco ubi dicitur Armari, confinatam a capite versus occidentem iuxta terras Caroli Nigri, ab uno latere versus septentrionem iuxta terras Petri Nigri et ex eodem latere iuxta terras Sante Clare de Cotroni, ab uno latere versus meridiem iuxta viam publicam, a pede versus occidentem iuxta terras Dionisi Pipini de Cotroni, que fuerunt Laurenci Campitelli via publica mediante, que terra solet locari anno quolibet pro salmis duabus frumenti.”
“Item dictum monasterium tenet et possidet, in sui domanio et potestate, gabellam unam magnam quam nos culturam dicimus planam, laboratoriam et preciosissimam, capacitatis salmatarum viginti duarum, sitam et positam in dicto territorio Cotroni, in loco dicto Armari, confinatam a capite versus occidentem iuxta terras Dionisi Pipini et ex eodem latere descendendo verus mare usque ad viam publicam que venit a passo veteri, vallonis currentis, qui vallonus ad presens nominatur De Armeri et antiquitus nominabatur Vallonus de Cucurreaci et deinde demisso dicto termino terrarum prefati Dionisi prefata cultura dicti monasterii dilatatur versus septentrionem iuxta dictam viam publicam et descendendo per latus versus septentrionem confinatur iuxta terra dopne Alte Donne de civitate Cariati et deinde limitatur iuxta terras heredum Mactei de Bitecta, que fuerunt … baronis de Melissa et aliquando per indirectum iuxta dictas terras heredum Mactei Bitecta, quaddula intrata vicinali mediante, descendendo ulterius et confinando per dictas terras, confinatur iuxta terras heredum Ioannelli Pipini et descendendo versus mare, confinatur iuxta vallonem de Armeri et tendit usque ad litus maris, a pede versus orientem iuxta lictora maris, ab alio latere versus meridiem iuxta terras nobilis Ioannis Antoni Maza. Et sursum eundo per dictum latus iuxta viam que venit a passu veteri vallone de Armari, que via transit per intus dictas terras prefati monasterii, tam a parte superiori, quam inferiori, que terre que sunt supra dictam viam limitantur iuxta terram Ioannis Milia et ex eodem latere iuxta vinealia Altaris Visitacionis et ex eodem latere sursum eundo versus occidentem confinantur iuxta terras archidiaconatus Cotroni et subsequenter iuxta terras nobilis Ioannis Andre Pantisani de Cotroni et successive iuxta viam publicam que descendit dali tivoni et sic est limitata et confinata dicta cultura de Armari circumcirca usque ibi unde incepimus, que solet locari anno quolibet salmis viginti duabus frumenti.”[iv]
I Lucifero
Non passeranno molti anni che le gabelle, che formavano la grangia di S. Nicola dela Cipolla, passeranno dal monastero ai nobili crotonesi. Secondo alcuni storici il fondo Armerì, verso la metà del Cinquecento, fu concesso ai Lucifero. Armando Lucifero in nota al Lenormant,[v] afferma che “Una parte importante del fondo rustico Armerì … (fu) dato in proprietà ai Lucifero da Carlo V, dopo l’assedio di Tunisi, ove i Lucifero condussero a loro spese una nave da guerra …”. Lo stesso afferma il Valente: “I Lucifero ebbero anche in dono da Carlo V il fondo Armerì”.[vi] Anche per Nicola Sculco in “Ricordi sugli Avanzi di Cotrone”, il fondo Armerì fu concesso ai Lucifero: “Federico d’Aragona complimentò a Dermardo (sic, ma Bernardo) Lucifero, Capitano di Galera, detto fondo, che poi passò alla famiglia Petrolillo, Mazzulla ed altri, ed indi a Galluccio.”[vii]
Dai Suriano ai Petrolillo
I documenti testimoniano che alla fine del Cinquecento, Armerì apparteneva ai Suriano. L’arcidiacono Prospero Suriano lasciò nel 1596 per testamento, le due gabelle di Zinfano e Armeri che, per fedecommesso, dovevano andare a Gio. Battista Suriano, ma esse pervennero in potere di un altro erede, Ottaviano Suriano seniore, barone del feudo della Garrubba, figlio ed erede di Scipione Suriano seniore. Ottaviano Suriano le lasciò poi al figlio, il barone della Garrubba Scipione Suriano iuniore, il quale le vendette al canonico Jo.e Fran(ces)co Petrolillo.
Questa vendita darà origine ad una lunga lite tra gli eredi delle due parti, che ebbe termine nel gennaio 1671 con un accordo tra il reverendo Carlo Berlingieri, erede del canonico Gio. Battista Suriano, e Diego e Felice Suriano Ralles, figli ed eredi di Scipione Suriano iuniore. Dalle carte si legge che Carlo Berlingieri pretendeva che Diego e Felice Suriano Ralles “siano suoi debitori del prezzo, e frutti de stabili di Zinfano et Armeri alienati per d(ett)o q.m Scipione loro P(adr)e in tempo che d(ett)i stabili spettavano al d.(ett)o q.m D. Gio. Batt(ist)a (Suriano) in vigor del fidei commisso fatto dal q.m Archid(iaco)no Prospero Suriano nel suo ultimo testamento sotto il di diece di luglio millecinquecento novantasei per mano di Notar Gio. Fran(cesc)co Rigitano, del qual Prospero pervennero dicti stabili in poter del q.m Ottaviano Suriano che fu uno de suoi heredi di cui d(ett)o Scipione fu figlio et herede, al q(ua)le fidei commisso come della lettura di d(ett)o testamento appare si purificò a favore di d(ett)o Gio. Batt(is)ta (Suriano)”.[viii]
All’atto della vendita, la gabella era gravata di un annuo censo di ducati otto di carlini d’argento, sui primi frutti ed entrate per il capitale di ducati cento, assegnato al monastero di Santa Chiara come dote spirituale, al tempo che entrò nel monastero la fu Clarissa Sabina Suriano, sorella del fu Ottaviano Suriano seniore. Il 16 dicembre 1623 il Petrolillo liberava la gabella dall’annuo censo, versando il capitale al monastero ed estinguendo alcune rate arretrate.[ix] All’inizio di dicembre del 1637 Jo.e Fran(ces)co Petrolillo era già morto, ed i suoi beni erano passati in eredità ai suoi figli, i quali cedettero una parte della gabella.
La divisione della gabella
Il 4 dicembre 1637 il reverendo Pelio Petrolillo dichiarava di possedere, come erede del padre Jo.e Fran.co e come porzione a lui spettante con i fratelli, salme dodici e mezzo di rendita di frumento, quando si semina, nel territorio detto “la volta de armerì”, che ha in comune e indiviso con i fratelli Julio, Jo.e Jacobo ed il reverendo Jo. Hieronymo Petrolillo.
Il territorio era situato nel luogo detto “Armiri iuxta terras dittas delo beneficio di stricagnolo ad p.ns jacobi antonii longobucco rettoris terras dittas delo palazo cl. jo. is thomae pantisani vallonem dictum d’armeri et etrras dittas d. pisciotta ipso vallone mediante litus maris viam pp.cam et alios fines”. Le dodici salme e mezza di Armiri assieme ad una salma e mezza nella marina di Santo Stefano, sono vendute da Pelio Petrolillo al decano Jo. Paulo Pelusio per ducati 700 a ragione di 50 ducati la salma.[x]
Il documento mette in evidenza, oltre al passaggio di proprietà di una parte della gabella, anche la qualità del luogo. Si tratta di territori “aratorii” dove, non solo avviene per tre anni continui la rotazione tra la semina ed il pascolo, ma il suolo è molto fertile, anzi è tra i più produttivi per il grano in territorio di Crotone, come si ricava dalla testimonianza che si riporta: I territori “aratorii”, detti anche gabelle, erano di solito divisi in tre grandi categorie a seconda della loro natura: le terre fertili, le terre sterili o situate in luoghi collinari e le terre infertili, sterili e sciollose. Essi erano apprezzati “a raggione di salme” e, precisamente, “le terre fertili si compongono di tre et quattro tumula seu moggia di terre et a questi si da il prezzo di docati cinquanta et fino a docati sessanta la salma et nelle terre sterili et situati in luoghi montuosi, ciascheduna salma si considera per tumula seu moggia quattro o cinque di terre, et a questi si suole dare il prezzo di docati quaranta sino a cinquanta la salma, più o meno, secondo la loro situatione et qualità. Et nelle terre infertili, sterili et sciollosi, si considera a tumula sei la salma et a questi le si da il prezzo di docati venti o venticinque la salma.”[xi] Conferma tale fatto anche l’inventario dei beni lasciati in eredità nel 1614 dal colono Giovanni Francesco Calegiurio, dove si legge che il testatore lasciò ai figli ed eredi “diece salmate fra majisi et scigature nella gabbella detta la Volta d’Armeri”.[xii]
Dai Petrollillo ai Mazzulla
Poco dopo la metà del Seicento il territorio rimasto ai Petrolillo passa in proprietà dei Mazzulla. Jo.e Fran.co Mazzulla il 22 febbraio 1655 compera da Marco Antonio e Gio. Fran.co Petrolillo “una continentia di terre detta d’Armerì, con dui vignali contigui di rendita di salme ventisette e meza di grano, alla ragione di tt.a sei per salma alla misura napoletana quando s’affitta in grano et all’istessa ragione d’entrada quando s’affitta in herbaggio, juxta le terre dette S. Stefano et le terre del jus patronato delli Stricagnoli, et il vallone d’Armerì”. Il 25 ottobre 1655 lo stesso Mazzulla erige “un monte di maritaggio di figliole povere di questa città”, discendenti ed appartenenti alla famiglia del fondatore , assegnando in dote la gabella con i vignali.[xiii]
La gabella nel Settecento
All’inizio del Settecento il territorio di Armerì è così diviso: le dodici salme e mezzo di terra dentro Armerì, confine la gabella nominata “S.to Stefano delli Petrolillo”, a suo tempo vendute dai Petrolillo al decano Pelusio, sono possedute dal “Monte Piorum Operariorum”, detto L’anime del Purgatorio.[xiv] Mentre il rimanente appartiene al Monte di maritaggi di Giovanni Francesco Mazzulla, che “possiede una gabella nominata Armerì in q(ues)ta Città confine la Gabella nom(ina)ta S.to Stefano delli Petrolilli di salme 40. dentro la q(ua)le vi ne sono salme 12 del Pio Monte de’ Morti; ad ogni uso D(ocati) 85.[xv]
La proprietà risulta inalterata anche al tempo del catasto onciario: “Il Monte de maritaggi di D. Mazzulla possiede il territorio d’Armerì di tt.a 200 confine il Passovecchio”, mentre “Il Monte de’ Morti dell’Anime del Purgatorio possiede una porzione di terre nella gabella di Armerì del Monte di Mazzulla”.[xvi]
In seguito, nel 1769, la parte appartenente al Monte dei Morti passò in proprietà al capitolo della cattedrale di Crotone: “Il Capitolo di Crotone possiede perchè ceduto dai fratelli del Pio Monte dei Morti per concessione avuta tra la curia vescovile ed i fratelli in atto di visita fatta dal vescovo Bartolomeo Amoroso con decreto del 13 aprile 1768 ed in esecuzione del real dispaccio, Napoli 20 maggio 1769, : Salme dodeci e mezza di terra nella Gabella detta Armerì di salme 40: comuni ed indivise col monte di Maritaggi di Mazzulla”.[xvii]
Al tempo della Cassa sacra
Alla fine del Settecento la gabella era ancora ripartita tra il capitolo di Crotone ed il monte di Mazzulla, ma già il barone Francesco Gallucci, con la complicità dei funzionari regi, aveva cominciato ad avanzare le sue pretese. Nella descrizione al tempo della Cassa Sacra, la gabella detta Armerì “confina ad Oriente e tramontana il Vallone detto Salso vecchio d’Armerì, occidente il vescovo, mezzogiorno il barone Lucifero. Di tt.a 180 di cui la metà di proprietà del Monte di Mazzulla e l’altra del Capitolo di Cotrone”.[xviii] Pochi anni dopo “Il Monte di Mazzulla della città di Cotrone possiede Armerì. Gabella di tt. cento novanta di terre rase atte ad ogni uso in d.to territorio. Confina colla gabella detta Passo Vecchio del Beneficio della Famiglia Capocchiano, e colla Gabella appellata S. Stefano della Famiglia di Ventura. Per due terze parti appartiene al Monte, e per l’altra terza porzione al Reverendo Capitolo di detta Città. Si trova affittata per un triennio principiato dal di 15 agosto 1787 a D. Francesco gallucci per l’estaglio di D. 150, e per la rata di detto Monte il fittuario deve corrispondere a 8 settembre del corrente anno D. cento quattro e grana cinquanta”.[xix]
I Gallucci ricompongono la gabella
Con la Restaurazione i Gallucci diventano proprietari di tutta la gabella. Nel 1819 la parte di Armerì di proprietà del Monte Mazzulla è svenduta all’asta pubblica in Napoli ed è acquistata dal barone Nicola Galluccio.[xx] Pochi anni dopo, nel 1826, il capitolo di Crotone permuta la parte rimanente, cioè circa 1/3 di Armerì di salmate 12 ½, col fondo S. Ippolito di salmate 13 ½ del barone Francesco Gallucci.[xxi]
Note
[i] Nola Molise G. B., Cronica della antichissima e nobilissima città di Crotone, Napoli 1649, p. 60.
[ii] ASCZ, Busta 49, anno 1612, f. 24
[iii] Trinchera F., Syllabus graecarum membranarum, Napoli 1865, pp. 206-211.
[iv] Longo L. (a cura), La platea del monastero del SS. Stefano e Brunone, Ed. Orizzonti Meridionali, Cosenza 1996, pp.65-67 (Platea 1533-1536 della Certosa di S. Stefano del Bosco).
[v] Lenormant F., La Magna Grecia, Frama Sud 1976, Vol. II, p. 185.
[vi] Valente G., Calabria Calabresi e Turcheschi nei secoli della pirateria 1400-1800, Chiaravalle Centrale 1973, p. 115 in nota.
[vii] Sculco N., Ricordi sugli avanzi di Cotrone, Cotrone 1905, pp. 38-39.
[viii] ASCZ, Busta 253, anno 1671, ff. 7-12.
[ix] ASCZ, Busta 117, anno 1623, ff. 114-114v.
[x] ASCZ, Busta 119, anno 1637, ff. 72-75.
[xi] ASCZ, Busta 911, anno 1739, f. 29.
[xii] ASCZ, Busta 113, anno 1614, ff. 68-71.
[xiii] ASCZ, Busta 229, anno 1655, ff. 182-185.
[xiv] AVC, Anselmus de la Pena, Visita, 1720, f. 52.
[xv] AVC, Acta Sanctae Visitationis ab Ill.mo ac R.mo D.no Episcopo D. Marco Rama, A. D. 1699 confecta, f. 64. AVC, Anselmus de la Pena, Visita, 1720, f. 54.
[xvi] ASN, Cam. Som., Catasto Onciario Cotrone, 1743, vol. 6955.
[xvii] AVC, Beni e rendite assegnate e incorporate al R.mo Capitolo della chiesa Cattedrale di Cotrone.
[xviii] AVC, Spogli di Cassa Sacra, 1783.
[xix] AVC, D. Aragona Reg. Ammin. Lista di Carico, Cotrone 1790, f. 31v.
[xx] Lucifero A., Cotrone dal 1800 al 1808, Cronaca Municipale, Cotrone Stabilimento Pirozzi, 1922.
[xxi] Valente G., La Calabria nella legislazione borbonica, Effe Emme 1977.
Creato il 9 Marzo 2015. Ultima modifica: 15 Novembre 2022.