Paesaggi crotonesi: La collina e la pianura di Maccoditi
“Vi era un’altro Tempio dedicato alla Dea della Vittoria construtto ancora à conseglio di Pittagora, sito sopra un’altro monte, che all’hora era dentro la Città, hoggi è più d’un miglio, e mezzo distante da quella, quale monte si chiamava Egregorio, il quale fu Duce de Sibariti, et fu preso da Crotonesi nella guerra de Sibari, et malamente ferito, et condotto nella sommità di questo monte; dopo, che fu dal suo corpo tutto il sangue uscito, prima, che spirasse disse queste parole, Io da una parte moro contento; perche moro per servitio della mia patria, dall’altra parte moro disperato; perche lascio la mia moglie, e figli schiavi de Cotronesi miei capitali inimici; dopò morto fu sepellito nell’istesso Monte, che perciò il Monte da detto Egregorio il nome prese, et ivi fu fabricato questo Tempio; hoggi detto Monte si chiama Maccoditi, et è proprio quello ch’oggi è detto la Torre di Mangioni gentil’huomini di detta Città, questo anco fu fatto dopò, che i Crotonesi vinsero le sopradette due Città Temsa, et Cleta, et dalle spoglie di quelle fecero anco il corpo di questa statua della Vittoria tutta di argento, et la testa di oro, come habbiamo detto di quella di Marte; conforme il tutto ho letto nel scritto à mano del detto Camillo Lucifero.”[i]
La grande lapide
In una descrizione dei confini del feudo di Apriglianello del maggio 1475 si legge: “Ad oriente, la pietra posta per termine sulla via pubblica dal segretario Macchiafava; a settentrione dal monticello che dicesi “Mercodito” alla gran lapide che trovasi al piede di detto monticello, presso la via pubblica, e quindi fino al passo di “Coccariaci”, che va al fonte, il quale trovasi tra il casale di S. Stefano ed il casale di Strongolito … (e proseguendo) per via pubblica, che mena a Crotone, sino al vallone Lampus e da qui sino alla pietra termine, avanti designata”.[ii]
Il documento evidenzia che ancora alla fine del Quattrocento, erano visibili le pietre terminali, poste da Matteo Marchafaba al tempo dell’imperatore Federico II, per indicare i confini del feudo di Apriglianello. Il feudo Apriliano infatti, compare per la prima volta in un atto del 1240, quando Johannes, abbate del monastero benedettino di Santa Eufemia, afferma di avere fatto l’anno prima con Matteo Marchafaba, funzionario della dogana imperiale “de secretis” e maestro dei questori in Calabria, su incarico di Federico II, la permuta del castrum e di metà della città di Nicastro, appartenente al monastero benedettino, con alcune terre demaniali e cioè la terra di Nocera e la metà del “casalis Apriliani, cum omnibus militibus, burgensibus et cum omnibus pertinentiis appendicis, et iuribus suis”.[iii]
La collina di Maccoditi, così come è indicata, risulta situata a sinistra del fiume Esaro e del suo affluente Lampus, ora detto Papaniciaro, tra la via pubblica, che da Papanice scende verso Crotone lungo la valle Lamposa, ed il torrente “Cucurreaci”, l’attuale Passo Vecchio. Nei documenti risulta confinante con vie pubbliche e vicino alle località Palazzo, Palazzotto, Palazzello, Garrubba, Scimenez, Valle della Donna, Acqua della Fico, Cerza, Lesca, Zimfano, Destra di Beltrano, Zimparello e Torre Tonda. Attualmente è identificabile presso le località “Vigna Cameriere” e “Vigna Morelli”.
Le mura greche
Il monticello di “Maccuditi” domina la pianura dell’area industriale, dove è stato individuato un blocco urbano della città greca, limitato e protetto da mura. Alexander Willem Byvanck all’inizi del sec. XX (1912-1914), per primo riuscì a darci una visione parziale delle fortificazioni della città greca ed ad individuarne i resti ancora visibili.[iv] Egli ne trovò le tracce sulla sponda dell’Esaro in località San Francesco (dove c’era la “Polveria”), sulla dorsale di una piccola balza nei pressi della località “Vigna Nova”, e sopra una piccola collina (Maccoditi), sulla quale oggi si trovano le vasche di decantazione dell’acquedotto industriale (vicino alla contrada detta ora “Vela”). Anche di recente sul citato luogo di Maccoditi sono stati trovati poderosi ruderi di opere fortificatorie, che risalirebbero al IV-V secolo. a.C.
Maccuditi e Maiorano
Nei documenti del Cinquecento e del Seicento il territorio è chiamato quasi sempre Maccoditi; dalla fine del Seicento invece, con il passare del tempo, diventa Maccoditi e Majorana. L’esempio tratto dalle visite di due vescovi crotonesi e dal catasto di Crotone del 1793 evidenzia che i toponimi “Maccoditi” e “Maccoditi e Majorana” indicano la stessa località.
Nella “Visita” del vescovo Marco Rama (1699) troviamo che la cappella dell’Immacolata Concezione, situata nella cattedrale di Crotone, possedeva per legato del fu Hieronymo Suriano “dui vignali conf(in)e il territorio detto Maccodita ed il giardino della S.ra D. Isabella Albani di salmate sei. In denaro docati dudici, in grano salme sei.”[v] Nella “Visita” compiuta circa vent’anni dopo dal vescovo Anselmo dela Pena (1720), il beneficio dell’Immacolata Concezione della famiglia Suriano fu Cesare, con altare e cappella in cattedrale, possedeva “due vignali di salme sei confine la vigna di esso beneficiato e confine Maccoditi e Maiorana di D. Antonio del Castillo e di D. Francesco Antonio Suriano. In grano tt. 36, in denaro D(ocati) 12.”[vi] Alla fine del secolo la cappellania dell’Immacolata Concezione, S. Bruno e S. Antonio di Padova della famiglia Suriano possiede due vignali detti “Maccodito e Majorano” (1793).[vii]
Giardini, chiuse, gabelle, vigne e vignali.
Durante il Cinquecento accelera il fenomeno della scomparsa dei casali, delle grangie, dei monasteri e delle chiese rurali. L’abbandono dei piccoli insediamenti sparsi sul territorio costiero, e l’emergere della città fortificata di Crotone come unico centro di attrazione, determina una ristrutturazione territoriale ed una trasformazione significativa del paesaggio. Accelerano i fenomeni di acquisizione e di frammentazione degli estesi possedimenti feudali ed abbaziali, che hanno per protagoniste le casate dell’aristocrazia crotonese e gli enti ecclesiastici del luogo. Le terre seminative si espandono erodendo la selva e nei luoghi irrigabili si estendono i giardini dei nobili della città. La località “Maccuditi” già alla fine del Cinquecento, presenta un paesaggio alquanto vario. Accanto alle gabelle ed ai vignali, dove è praticata la rotazione triennale della semina e del pascolo, ci sono le chiuse ed i giardini con alberi da frutto, vigne e ortaggi.
La gabella ed il giardino dei Berlingieri
La morte dell’aristocratico crotonese Scipione Berlingieri, seguita poco dopo da quella della moglie Bernardina Susanna, permetterà ai proprietari delle terre confinanti, cioè i Susanna ed i Lucifero, di estendere le loro proprietà.
Nel 1591 moriva Scipione Berlingieri e parte dell’eredità andò al figlio Anselmo, parte alla moglie Bernardina Susanna e alle figlie Adriana, Vittoria e Ippolita. Già nell’ottobre 1590, prima della morte del padre, vi era stato un accordo tra i figli di Scipione Berlingeri, così Anselmo aveva ceduto alle sorelle ogni diritto sulle gabelle di Maccuditi e l’Esca. I beni della vedova e delle figlie furono amministrati dal dicembre 1591 all’agosto 1594, da Mutio Susanna, fratello di Bernardina. Tra le proprietà gestite dal Susanna vi erano le gabelle di Maccodite e L’Esca ed il “giardino, costa et chiusa et torre de Maccodite”. Il Susanna cominciò con prendere in affitto il giardino, le cui vigne davano 14 salme di mosto, pagando per l’annata del 1593 ducati 70. Morta Bernardina nel novembre 1593, il fratello e amministratore Mutio ne approfitta e si fa vendere il “giardino, costa et chiusa et torre” per il prezzo di 1000 ducati, obbligandosi con le orfane a versare l’otto per cento del capitale ogni anno, finché non riuscirà ad estinguere il debito. Cessata l’amministrazione alla fine del 1594, i ducati mille non sono ancora stati pagati.[viii]
A quel tempo la proprietà dei Berlingieri era circondata da quella dei nobili Lucifero, Susanna e Montalcino. Infatti Gesimina Lucifero dichiara di possedere il territorio detto “La valle della Donna iux.a terras d.ni Julii Susanna dictas la Fratia jux.a Maccodite heredum q.m d.ni Scipionis Berlingerii”,[ix] e Fabrizio Lucifero, figlio di Pompeo e di Isabella Lucifero, possiede la “gabella nomata Lo palaczo sitam et positam in territorio Crotonis loco dicto lo Palaczo jux.a terras q.m D.ni Scipionis Berlingerii loco dicto Maccodite et via p(ubli)ca”.[x]
Il giardino passò dai Susanna a Pietro Ormazza e poi, molto probabilmente, fu portato in dote da Antonina Ormazza che andò sposa a Gio Francesco Pelusio. Rimasta vedova e senza figli Antonina Ormazza vendeva il giardino. Dopo un accordo stipulato nell’ottobre 1658, ottenuto il regio assenso nel gennaio 1659, nel settembre 1661, mediante atto del notaio Hieronymo Felice Protentino, la vedova Antonina Ormazza vendeva per ducati 500, ad Ottaviano Cesare Berlingieri, “un suo giardino, con due pezze di vigne con uno vignale di terre vacue, quale fu del qm. Fran.co Pelusio, con torre, puzzo, et una casa terrana discoperta, con scala di pietra a ponte tutta disfatta, posto detto giardino loco Maccuditi juxta L’Olivella di Mutio Lucifero et il vignale di Gio. Tomaso Rigitano”. Nell’atto di vendita risulta che il fondo era gravato da alcuni censi perpetui, cioè annui carlini 15 dovuti al tesorerato della cattedrale di Crotone, che erano dovuti sopra il vignale appartenuto al fu Cicco Pelusio, un tomolo di grano all’anno al primiceriato della cattedrale, e annui carlini 15 al beneficio di San Leonardo della famiglia Susanna, che erano dovuti sopra le vigne dette di Caparra, situate dentro il giardino e confinanti con il vignale di Gio. Tomaso Rigitano e l’Olivella.[xi]
Morto nel 1684 Ottaviano Cesare Berlingieri, che aveva sposato Luccia Suriano, il giardino e le vigne passarono ai figli. Alla fine del Seicento era di Annibale Berlingeri e fratelli, i quali pagavano ancora sopra il giardino un annuo censo di carlini 15 al beneficio di S. Leonardo dei Susanna,[xii] e sopra le vigne un annuo tomolo di grano perpetuo.[xiii]
Vent’anni dopo il giardino e le vigne appartengono a Francesco Cesare Berlingeri, figlio di Annibale e sono ancora gravate da censi.[xiv] Esse rimarranno di proprietà della famiglia Berlingeri per tutto il Settecento, come risulta dal pagamento dei censi dovuti al primiceriato ed al beneficio della famiglia Susanna, che ritroviamo annotati sia nel catasto onciario del 1743,[xv] che in quello del 1793.[xvi] I due fondi alla morte del marchese Francesco Cesare Berlingeri, avvenuta nel 1749, passarono al figlio Carlo. Alla morte di Carlo, avvenuta nel 1781, la “vigna con torre detta di Berlingeri”, ed il “territorio detto la Destra di Beltrano vicino la sopradetta vigna”, andarono al figlio Anselmo[xvii] e, nel 1785, al figlio ed erede Cesare.
La gabella di Maccuditi
Se una parte delle proprietà che Scipione Berlingieri aveva a Maccuditi era passata ai confinanti Susanna, l’altra passò al potente vicino di casa Lucifero. Alla fine del 1594 cessava l’amministrazione di Mutio Susanna in quanto, nel novembre di quell’anno, veniva concluso il matrimonio tra Adriana Berlingeri, figlia di Annibale e di Bernardina Susanna, e Fabrizio Lucifero, figlio di Pompeo e di Isabella Lucifero.
Nei capitoli matrimoniali trattati e conclusi si legge: “Item la sop(radet)ta S.ra Adriana asserisce tenere pro communi, et indivisi con le s(igno)re Vittoria, et Hippolita berlingerie sue sorelle fra le altre robbe, denari, nomi di debitori, attioni, et ragg(io)ni Una gabella posta nel territorio di Cotrone nomata Maccodite jux.a le terre libere dette la chiusa del giardino di maccodite che al p(rese)nte è di detto s.r Mutio Susanna, da una parte, et dall’altra parte la via publica, dall’altra le terre del S.r Aniballe Susanna et altri confini; et de più unaltra gabella contigua nomata lesca confine la sop(radet)ta gabella di maccodite, et da tutte l’altre parti le vie publiche, pervenute a detti S.ri in vigore di transattione fatta fra esse, et il S.r Anselmo Berlingerio loro fratello mediante decreto dela regia corte di detta città, et contratto stip(ulat)o per mano del q.m egr(egi)o not(ar)o Gio. Tomase Bombino et unaltro stipulato per mano del medesimo sub die 18 mensis 8bris 1590 quartae Ind(ition)is”.[xviii]
Il 6 settembre 1610 Fabritio Lucifero divideva i suoi beni tra i due figli Jo. Francesco e Mario. A Mario donava una “clausura vinearum cum vinealibus intus cum gabella contigua in loco dicto maccoditi”, confinante con il viridario appartenuto al fu Lelio Lucifero, e la gabella confinante con le terre degli eredi di Annibale Suriano.[xix] I Lucifero continuarono a possedere la gabella di Maccuditi. Alla metà del Seicento essa apparteneva a Gio. Francesco Lucifero, fratello di Lucretia Lucifero che era andata sposa al barone di Apriglianello Gio. Dionisio Suriano. Nel testamento del barone del 30 gennaio 1647, si legge: “Item dechiaro come questi anni passati fu fatto instrumento di vendita della Gabella di maccuditi fra il S.r Gio. Fran.co Lucifero mio cognato, e mè, quale instrumento fu fatto simulato per altri rispetti et non have havuto effetto alcuno, che per dechiaratione di questa ver et indennità del detto S.r Gio. Fran.co ho fatto questa dechiaratione”.[xx]
In seguito, le terre passarono di proprietà del castellano Diego del Castillo, che aveva sposato Vittoria Lucifero, figlia di Mutio Lucifero. Nel testamento di Giacinto Suriano, figlio di Annibale e di Ciccia de Nobile, rogato il 4 agosto 1674 si legge: “Item declara tenere una diferenzia con la Sig.ra Ippolita Suriano sua zia come tutrice dell’heredi del qm D. Diego del Castiglio per l’affitto delle terre di Maccoditi e Maiorana si rimette alla giustitia et a quello farà il sig.r fra fran.co Suriano suo zio e sig.r Gerolimo Suriano. Item dechiara dover di dare a d.a sig.ra Popa sua zia docati cinquanta come appare dalla d.a obligatione d’affitto di maccoditi et maiorana fatto in facci di d.o sig.r fra fran.co et d.a sig.ra Popa vole che se li paghino”.[xxi] Le terre passarono poi a Maria ed Antonio del Castillo, figli del castellano Diego. Metà furono portate in dote da Maria del Castillo che sposò Pietro Suriano.
Nell’agosto 1708 Pietro Suriano, sposato con Maria del Castillo, sorella di Antonio e figlia del castellano Diego, lascia ai figli il chierico Francesco Antonio e Giuseppe “le terre dette Maccuditi e Majorana salme venti in comune, et indivisi con altre venti salme del S. D. Antonio Castiglia, similmente parte delle doti di d(ett)a q.m Maria (Castiglia) madre di d(ett)i pupilli confine il palazzello e la D… di d(ett)o S.r D. Aniballe Berlingeri”.[xxii]
Nell’ottobre 1717 i fratelli Francesco Antonio e Giuseppe Suriano dotano la sorella, che deve andare sposa al barone di Apriglianello Fabritio Lucifero. Tra i beni dotali vi sono “salmate venti di terre nelle terre dette Maccuditi e Majorano in comune, et indivisi con altre salmate venti del S.r D. Antonio del Castillo, confine le terre dette il Palazzello del S.r D. Fran.co Lucifero, e le terre dette L’Esca del S.r D. Ant(oni)o Barricellis”. Le terre date in dote sono stimate del valore di ducati 1000.[xxiii] Nel 1720 le 40 salme di Maccoditi e Maiorana appartengono metà ad Antonio del Castillo e metà a Francesco Antonio Suriano.[xxiv]
Una plurisecolare lite per il “viridario” di Giovannella Pica
Nel 1555 si celebrava il matrimonio tra il nobile crotonese Santo Antenori e Lucretia Lucifero, figlia del fu Gio Paolo e di Giovannella Pica, vedova e risposata con Gio. Tomaso Campitelli. La dote promessa dalla madre dotante Giovannella Pica ascendeva a mille ducati, parte in denaro, parte in rendite su capitali, e parte in terre. Passati alcuni anni e non soddisfatte le doti, Fabio Antenori, figlio di Santo e di Lucretia Lucifero si rivolse alla Gran Corte della Vicaria contro l’ava materna Giovannella Pica.
Dopo una lunga lite il 23 ottobre 1587 fu raggiunto un accordo. Giovannella Pica promise alla figlia Lucretia, madre di Fabio, di pagare una rendita di 200 ducati su un capitale di 2500 ducati, obbligando i principali e primi frutti dei suoi beni, tra i quali vi era il giardino sito nel territorio di Crotone nel luogo detto Maccuditi, con la condizione che se fosse passato un anno e non fossero stati pagati i ducati 200, l’accordo sarebbe decaduto.[xxv] A quel tempo il giardino di Maccuditi non apparteneva più a Giovannella Pica. Dopo essere passato in proprietà di Lelio Lucifero seniore, figlio di Giovannella Pica e di Gio. Paulo seniore, sposato con Hippolita Pipino, alla morte di Lelio Lucifero, il giardino era stato venduto dalla vedova Pipino ai Montalcini. Nel 1586, infatti, Lelio Lucifero seniore possedeva il “viridario” in località Maccuditi, che confinava con la gabella ed il giardino di Scipione Berlingieri. Dovendo nel marzo 1586 partire per Napoli, il nobile affidò l’amministrazione dei suoi beni a Gio. Andrea Puglise. Dal rendiconto delle spese effettuate dal Puglise durante la sua amministrazione, che si prolungò dal 14 Marzo al 23 giugno 1586, ricaviamo le seguenti partite riguardanti la manutenzione, la cura e la custodia del giardino, che era circondato da una muraglia ed all’interno vi erano una stalla e una sena:
“A di 16 aprile a Luca Artuso di Cutro per servire al giardino di guardiano a bon conto d(uca)ti quattro./ A di 20 d’aprili a Giorgio Remutato giard(ina)ro ducati quindeci in conto di quello, che dovea havere per suo soldo, per havere servito tre anni passati al giardino di detto qm S.r Lelio./ A 21 d’Aprile 1586 pag(a)to ad Antonuccio de Lillo car(li)ni vinti uno, per havere faticato giornati quattord(ic)i con li bovi de detto S.r lelio dentro il giardino, a grana quind(i)ci il giorno … per governo del giardino./ A di 22 d’Aprili a Gio. Maria Pudano, et compagni ducati und(e)ci et car(li)ni setti per havere portato cannesci e mezzadi al giardino per riparatione di quello, a car(li)ni deciotto la canna./ A 13 di maggio a m(astr)o Pietro Ant(oni)o Catania fabricatore ducati quattro tari quattro et grana dieci per havere faticato in remendare le muraglia del giardino di esso q. S.r Lelio, per molti giorni./ A 14 di detto mese di Maggio ut supra 1586 a Pietro garzone ch’era stato al giardino, ducati sei et grana diece che li dovea il q. S.r lelio, per essere stato al giardino p(redit)to.
A 25 di maggio 1586 a m(ast)ro Ursino di Napoli car(li)ni cinq(ue) per lo prezzo di chiova di curso n.o cento cinquanta et altri cento chiova, di fallacche servetterno alla sena di detto giardino./ A di detto al m.co Horatio Pugliese car(li)ni cinque per lo prezo de cinque tavole serviero per la siena di detto giardino./ A di detto in alia al p(redit)to Hor(ati)o car(li)ni quattro e mezo per lo prezo de cinque piedi di porta di detta siena./ A di detto si fa esito de car(li)ni nove per lo prezo de uno trabe grosso comprato alla porta, che si portò allo giar(di)no per ponerlo alla stalla./ A di 8 Giugno a Fran(ces)co Liotta giardinaro accordato al giardino che serve dal p(rim)o del p(rese)nte mese di Giugno fin l’ultimo di ottobre di detto anno d(uca)ti undeci poiche Lucartuso che stava a detto giardino se ne era fuggito, et per accordio fu pagato detto Fran(ces)co anticipato per assistere ut supra a sue spese./ A 20 giugno a m(ast)ro Gio. Dom(eni)co Pandati carpentiero d(uca)ti quattro et mezo, per sua fatica per havere fatto la rota, et arbore novo alla sena del giardino con li catusi.”[xxvi]
Morto nel giugno 1586 Lelio Lucifero senza lasciare figli, la vedova Ippolita Pipino lo vendeva a Lelio Montalcino. Alla morte di Lelio Montalcino il “viridario” rimase alla vedova Victoria d’Aragona d’Ayerbis e alle figlie Joanna e Lucretia Montalcino, come risulta da un atto notarile rogato nel 1664, con il quale Victoria d’Aragona d’Ayerbis, vedova di Lelio Montalcino, e le figlie Ioanna e Lucretia Montalcino, indebitate con i fratelli Diego e Francesco Suriano, assegnano a questi il frutto o l’affitto del loro “viridario” in località Maccuditi.[xxvii] In seguito il viridario rimase a Lucretia Montalcino, che andò sposa a Francesco Antonio Pelusio. Il giardino fu oggetto di molteplici e lunghe liti.
Il 10 aprile 1710 Lucretia Montalcino e Sigismonda Pipino ricostruiscono una delle secolari liti, che avevano avuto per oggetto il viridario: “… essendo passato all’altra vita Lelio Lucifero di q(uest)a Città marito della q.m Ippolita Pipino lasciò in vim legat. a d(ett)a Ippolita sua moglie docati trecento annui, q(ua)le Ippolita dovendo conseguire tre annate per d(ett)o legato s’indrizò nella Reg(i)a Corte di q(uest)a Città di Cotrone contro l’herede di d(ett)o q.m Lelio suo marito, et havendo fatto eseguire un giardino con vigne, e case nella pertin(enti)a della med(e)ma Città nel luogo d(ett)o Maccoditi, e fattolo nell’anno 1593 esporre venale fu comprato da Annibale Montalcino avo d’essa S.ra D.a Lucr(eti)a Montalcino per prezzo di D(oca)ti nove cento trenta, quali furono pagati a d(ett)a Ippolita Pipino dalla q(ua)le fu promessa l’evittione e restitutione del prezzo in caso di molestia, q(ua)le giardino con vigna, e case posseduto per pochi anni da d(ett)o Annibale Montalcino fu poi evitto da Gio. Ag(osti)no Sillano di detta Città nell’anno 1607 come herede di Gio. Teseo Syllano creditore anteriore di d(ett)o q.m Lelio Lucifero, e fu costretto d(ett)o Annibale Montalcino per liberare d(ett)o giardino già evitto per decr(e)to del S(acro) C(onsilio) per D(oca)ti nove cento trenta sette che doveano havere d(ett)i heredi di Gio. Teseo Syllani transigersi con d(ett)i heredi di Syllani in D(oca)ti cinque cento cinquanta per li quali ne ottenne la cessione di loro raggioni in D(oca)ti sei cento cinquanta. Nell’anno 1610 perchè detta Ippolita s’havea ritenuta alcune vigne, oltre le vendute col giardino a d(ett)o Annibale vendè quelle al med(e)mo Annibale per prezzo di D(oca)ti quattro cento, e nell’istesso Instr(umen)to confessò il med(e)mo Annibale dovere a d(ett)a Ippolita per causa d’imprestito altri D(oca)ti due cento; onde per tutti d(ett)i D(oca)ti sei cento si costituì un annuo cenzo di D(oca)ti quaranta otto annui la rag(io)ne dell’otto per cento.
Nell’anno poi 1616 venne a morte d(ett)a Ippolita, et istituito herede universale Pelio Pipino suo nep(ot)e di d(ett)i D(oca)ti sei cento ne legò D(oca)ti quattro cento a Fabio Pipino figlio di Pelio e D(oca)ti due cento legò ad Alfimatia Crescente sua figlia.
Onde nell’anno 1637 d(ett)o Fabio Pipino come legatario di d(ett)i D(oca)ti quattro cento s’indrizò per d(ett)a somma in giuditio d’assist.a contro Lelio Montalcino herede di d(ett)o Annibale suo P(at)re, e possessore di d(ett)o giardino per li D(oca)ti quattro cento e terze, seu censi decorsi, et havendo poi ottenuto cessione d’Homobono e Deodato Leone heredi di d(ett)a Alfimatia Crescente la cessione dell’altri D(oca)ti due cento ut s(upr)a pretese d(ett)i D(oca)ti sei cento tutti, una con d(ett)i interessi decorsi.
All’incontro d(ett)o q.m Lelio Montalcino P(at)re d’essa q.m Lucretia allegando l’evittione patita, e pagamenti fatti di D(oca)ti sei cento cinquanta all’heredi di Sillani e di D(oca)ti quattro cento venti due ad Alfimatia Crescente appose dover conseguire e perciò non solo ritenersi d(ett)o giardino per li D(oca)ti sei cento cinq(uan)ta delli quali n’ottenne la cessione di d(ett)i Sillani, ma anco dover conseguire mag(io)r somma da d(ett)o q.m Fabio Pipino come herede di Pelio suo P(atr)e her(ed)e di d(ett)a Ippolita e di più fece istanza ritenersi d(ett)o giardino per d(ett)i D(oca)ti trecento venti tre per cessione dell’istessa somma fattali d’Oratio Antinori col’interessi dell’anno 1595 come creditore di d(ett)o q.m Lelio Lucifero anteriore a d(ett)a Ippolita et ancora oppose d(ett)a retenzione per li crediti che Vitt(ori)a Antinori sua madre rappresentava contro d(ett)o Annibale suo marito, e dal S(acro) C(onsilio) fu dato il t(ermi)ne sopra la conventione e riconvent(io)ne.
Essendosi compilato un voluminoso processo, e litigatosi fin dal anno 1654 restò pend(ent)e q(ua)le giuditio.
Nell’anno poi 1697 il q.m Gio. Fran(ces)co Pipino figlio, et herede di d(ett)o Fabio s’indrizò per la stessa causa contro essa D. Lucre(ti)a et q.m Giovanna Montalcino figli et heredi di d(ett)o q.m Lelio cum beneficio legis e perchè s’era ord(ina)ta sin dall’anno 1652 la relatione de crediti pretesi si da d(ett)o q.m Fabio Pipino, come da d(ett)o q.m Lelio Montalcino opposero tutto cioè li d(ett)i Montalcino al d(ett)o Fran(ces)co Pipino, e benche si fusse fatto il solito precetto solvant tertias non impedita relatione creditor. utriusq. partis, e si fece detta relat(io)e dallo scrivano della causa e dal d(ett)o anno 1697 non s’è più parlato di d(ett)a causa: onde stantino le d(ett)e pretenzioni dell’una e l’altra parte, et altre ragioni e pretenzioni …”.[xxviii]
Le liti per il possesso del giardino alla metà del Settecento non erano ancora terminate, anzi scendevano in campo nuovi protagonisti. Mentre il giardino cambiava di proprietario, le fazioni cercavano nuovi e facoltosi alleati per sopportare gli oneri dispendiosi causati dal prolungamento dei processi.
L’educanda nel monastero di Santa Chiara di Crotone Laura Antenori, il 15 dicembre 1749 faceva una donazione in favore del decano della cattedrale di Crotone, il potente aristocratico Filippo Suriano. Laura Antenori come erede del fratello Orazio juniore e della sorella Faustina, tutti e tre “figli ed eredi di Gio Paolo Antenori, che fu figlio ed erede del qm Orazio seniore, figlio ed erede del qm Fabio, che fu figlio ed erede di detto qm Santo Antenori e della qm Lucretia Lucifera”, dichiarava che le spettavano “li precalendati crediti di capitali e terze decorse e decorrende contro l’eredi, eredità e beni di detto qm Lelio Lucifero, che fu figlio, ed erede di detti qq.mm Gio. Paolo e Giovannella Pica”. Essa affermava che nel 1715 il fratello, il chierico Oratio Antenori, aveva donato tutti i suoi crediti di capitali e terze a Gio. Pietro Messina con la condizione che proseguisse la lite e si trattenesse ciò che recuperava, eccetto il giardino nel luogo detto Maccuditi, “che per intiero il detto chierico qm D. Oratio si riserbò per di lui beneficio”. Passati molti anni e non raggiunto alcun risultato, Laura Antenori, erede del fratello Orazio, nel 1748 fece retrocessione e nel dicembre dell’anno dopo nuova donazione, questa volta in favore del decano Filippo Suriano e sempre con le stesse condizioni: il giardino, se recuperato, doveva rimanere a lei.[xxix]
Nel frattempo, però, il giardino di Maccuditi aveva cambiato proprietario. Il 7 ottobre 1715 Lucrezia, seu Checa, Montalcino, moglie di Francesco Antonio Pelusio, donava al nipote il chierico Francesco Aragona “un giardino arbustato, e con vigne assieme in quello habitatione con terre vacue, pozzo” e torre. Il 26 dicembre 1763 su richiesta di Alfonso d’Aragona e di Domenico Rodriguez i mastri muratori Gerolamo Asturi ed Antonio Bertuccia, ed i mastri falegnami Dionisio Sacco e Giuseppe Antonio Negro apprezzano “la torre, casetta di campagna ed altre fabriche che si trovano nel giardino e podere di esso D. Alfonso (d’Aragona) sito nel distretto e tenimento di questa città, luogo detto Maccuditi, confine il giardino e podere de Sig. Manfredi ed altri fini. Il tutto è stimato del valore di ducati 684 e grana 85; cioè dai mastri muratori ducati 568 e grana 35 e dai mastri falegnami ducati 116 e grana 50.”[xxx] Nel febbraio 1764 il giardino di Maccuditi fu venduto dai coniugi Alfonso d’Aragona e Cassandra Milelli a Domenico Rodriguez.[xxxi]
Proprietari all’inizio del Settecento
Secondo le informazioni contenute negli atti della visita del vescovo Marco Rama (1699), la cappella dell’Immacolata Concezione per legato del fu Hieronymo Suriano possiede “dui vignali conf.e il territorio detto Maccodita ed il giardino della S.ra D. Isabella Albani di salmate sei. In denaro docati dudici, in grano salme sei.”[xxxii] La chiesa parrocchiale di S. Pietro e Paolo possiede “un vignale nom.to Maccoditi dentro le terre del q.m Gio. Tomaso Bombino, poi di Mutio Scavello adesso di Dom.co de Laurentiis. Uno tumolo di grano l’anno.”[xxxiii] Il tesorerato esige “un annuo censo sopra un vignale nel territorio d.o Maccudite fu del sacerdote D. Felice Mazzulla, hoggi dell’heredi annui tt.a quattro e mezo di grano.”[xxxiv] Il canonicato di S. Silvestro possiede “un vignale a Maccoditi di D. Antonio Castiglia, sempre in denaro carlini diece.”[xxxv] La chiesa della SS.ma Annunciazione esige “un annuo censo sopra il giardino di Maccoditi e gabella detta la Conicella, hoggi l’uno e l’altra giardino e vigne con terreno vacante e torre del tesor.ro D. Franc.o e D. Pietro Duarte fratelli conf.e le vigne di D. Pietro Suriano”.[xxxvi]
Dalla visita del vescovo Anselmo dela Pena (1720), apprendiamo invece, che il cantorato esige “un canone sopra il vignale delle terre di Maccoditi di Dom.co Cavarretta e Fratelli annui carlini 8.”[xxxvii] Il tesorerato esige “un canone sopra il vignale di Maccoditi confine la gabella detta la Cerza, e vigne di Muzio Manfredi fu del q.m D. Gio. Batt.a Suriano, hoggi di Matteo e Dom.co Cavarretta fratelli annui tt.a quattro e mezo di grano.”[xxxviii] Il canonicato di S. Silvestro possiede “un vignale a Maccuditi di D. Antonio Castiglia sempre in denaro annui carlini diece.”[xxxix] Il beneficio dell’Immacolata Concezione della famiglia Suriano fu Cesare con altare e cappella in cattedrale, possiede “due vignali di salme sei confine la vigna di esso beneficiato e confine Maccoditi e Maiorana di D. Antonio del Castillo e di D. Francesco Antonio Suriano in grano tt. 36 in denaro D. 12.”[xl]
I catasti
Dagli atti del catasto onciario del 1743, apprendiamo che Dionisio Lucifero di anni 21, è sposato con Francesca Toscano di anni 25, e possiede “la metà di Maccoditi e Majorana conf.e la destra di Beltrano e Zimparello di tt.a 175”, nonché “una chiusura di vigne con terre ortalizie e giardino, torre fabriche utili ed altro luogo detto Maccoditi conf.e la vigna di D. Pietro Barricellis che fu dotale della q.m Rosa Berlingieri sua prima moglie.”[xli] Francesco Lucifero marchese di Apriglianello, sposato con Elisabetta de Mayda, possiede parte di Maccoditi e Majorana.[xlii] L’arcidiacono Domenico Girolamo Suriano possiede “una chiusura vitata e alborata conf. Maccoditi e Majorana di tt. 16.”[xliii]
Negli atti del catasto onciario cittadino del 1793, troviamo un “giardino loco Maccodito e Majorano” proprietà di Annibale Montalcini.[xliv] Gli eredi del fu Giuseppe Messina fu Marzio posseggono “una chiusa nel luogo detto Maccudito e Majorano dei quali si deducono an. 10 per tante messe legate ante concordatum nell’altare dell’Immacolata Concezione, ch’era nel convento di S. Francesco Assisi di questa città che si celebrano per l’anima della qm Lucretia Montalcino infissi su detta chiusa di Maccoditi e Majorana.”[xlv] Una “gabella detta Maccoditi e Majorano” proprietà del barone Francesco Antonio Lucifero, figlio ed erede del qm Dionisio Lucifero.[xlvi]
Il marchese Giuseppe Maria Lucifero figlio del fu Francesco, possiede la porzione di Maccodito e Majorano.[xlvii] Leonardo Messina del fu Gennaro possiede una vigna a Maccodito e Majorano.[xlviii] Michele Messina possiede una gabella detta Maccodito e Majorano del soppresso Monte della Immacolata Concezione detto delle 50 messe.[xlix] La chiusa di Maccoditi e Majorano di proprietà del convento dei frati conventuali nel 1793 è gestita dalla Cassa Sacra. La cappellania dell’Immacolata Concezione, S. Bruno e S. Antonio di Padova della famiglia Suriano, possiede due vignali detti Maccodito e Majorano.[l]
Torre a Maccuditi
Nel 1718 Gio. Battista Barricellis lascia in eredità alle figlie Francesca ed Anna i suoi beni. Avvenuta la divisione, a Francesca sposata con Giuseppe Suriano, spetta “il giardino, loco detto Maccuditi, con vigne, torre, et altre fabriche, copelli, alberi fruttiferi, frutti pendenti, botti, tine, che si trovano in essa eredità per servizio di dette vigne, e giardino”. Il giardino confina con il giardino del signor Ferdinando Peluso, le vigne di Cataldo Raimondo e le vigne del fu Gio. Geronimo La Nocita. Il tutto è valutato per ducati 1280.[li]
Nell’aprile 1731 la vedova Francesca Barricellis dona i suoi beni al figlio Fabritio Suriano, mantenendo l’usufrutto. Tra essi vi è il “giardino con vigne alberi fruttiferi, terreno vacuo, torre fabbriche, pozzo ed altro” situato a Maccuditi e confinante con le vigne di Cataldo Rajmondo, la vigna detta la Torre Tonda di Presterà e la vigna del fu Ferdinando Pelusio. Nell’agosto del 1752 Francesca Barricellis rinuncia all’usufrutto in favore del figlio in quanto il giardino risulta “quasi totalmente distrutto per la siccità in tanti anni occorsa in modo che il frutto non uguaglia la spesa che annualmente si fa per la di lui cultura”. Esso confina con le vigne del fu Cataldo Raimondo e quella del fu Ferdinando Pelusio.[lii]
Nel 1755 l’arcidiacono Geronimo Suriano ed il nipote Fabritio Suriano, figlio ed erede di Francesca Barricellis, possiedono in comune una vigna con torre e scala di cantoni a Maccuditi, valutata ducati 1000.[liii]
Nel 1769 Fabrizio Suriano vuole vendere al decano Felice Messina ed al fratello Gennaro Messina, una vigna nel luogo Maccoditi e Majorano, “confine con due vignali nominati Maccoditi e Majorano del semplice beneficio sotto il titolo della SS.ma Concezzione famiglia Suriano eretto con altare e cappella entro questa chiesa cattedrale di cui al presente rettore e beneficiato il can. co D. Prospero Gallucci, la vigna di questi sig.ri Montalcini stricto mediante et altri confini”. La vigna è stimata “per il terreno, viti, alberi, casino e pozzo e chiusura”, del valore di ducati 1205 e grana trentatre ed un terzo.[liv]
Altra torre di Maccuditi
Michelangelo ed il fratello Domenico de Laurentis possedevano un vignale detto Maccoditi nel luogo detto il Palazzotto confinante con la gabella detta la Garruba del signor Gallucci e il vignale di Scimenez, pervenuto due parti a Domenico per provisione di doti una da … e l’altra dalla signora Maria Scavello, zia della medesima, la prima in virtù di capitoli matrimoniali e la seconda di donazione e a detto Michelangelo detta terza porzione pervenutali per vendita fattali dalla signora Berardina Scavello anche zia di sua moglie. Questo vignale era stato venduto nel 1597 da Gio. Geronimo Bombino a Tito Scavello col peso di carlini 5 annui perpetui dovuti alla chiesa di Santa Naina. In seguito, i beni della chiesa di Santa Naina furono assegnati alla chiesa parrocchiale di S. Pietro e Paolo, così il parroco di quella chiesa invece dei carlini 5, pretendeva un tomolo di grano e avviò una lite.[lv] Infatti, alla fine dei Seicento, la chiesa parrocchiale di S. Pietro e Paolo esigeva dal vignale di Maccoditi che era stato del fu Gio. Tomaso Bombino, poi di Mutio Scavello, e adesso di Domenico de Laurentiis, un tumolo di grano l’anno.[lvi]
Pietro Paolo de Laurentis possiede “un podere seu giardino con più e diversi alberi frutiferi, vigne, torre, pozzo e pila di fabrica per uso orto, terre ortalizie e terre vacue, chiusura con fossi ed altre commodità”. Il giardino confina con la gabella Santa Chiarella delle vigne del monastero di Santa Chiara, la gabella la Cersa del Seminario ed il giardino con terre ortalizie di Gerolamo e Dionisio Venturi. Il 14 gennaio 1750 lo dona al decano Filippo Suriano.
Note
[i] Nola Molise G. B., Cronica dell’antichissima e nobilissima città di Crotone, Napoli 1649, p. 53.
[ii] Vaccaro A., Kroton, MIT Cosenza 1966, vol. I, p. 284.
[iii] Fiore G., Della Calabria Illustrata, I, pp. 122-123.
[iv] Byvanck A. W., Aus Bruttium, Leoscher e C., Rum (1914) pp. 141-167. Estr. da “Romischen Mitteilungen des Deutschen Archaeol. Instituts”, 1914.
[v] AVC, Acta Sanctae Visitationis ab Ill.mo ac R.mo D.no Episcopo D. Marco Rama Ordinis Eremit.rum S.ti Augustini, A. D. 1699 confectae, f. 100v.
[vi] AVC, Anselmus de la Pena, Visita, 1720, f. 39.
[vii] AVC, Catasto Onciario Cotrone 1793, f. 152v.
[viii] ASCZ, Busta 49, anno 1594, ff. 222-236.
[ix] ASCZ, Busta 49, anno 1594, ff. 132-137.
[x] ASCZ, Busta 49, anno 1594, f. 297.
[xi] ASCZ, Busta 229, anno 1661, ff. 45-48.
[xii] Il beneficio di S. Leonardo della famiglia Susanna esige un annuo censo “sopra il giardino del q.m Ottavio Cesare Berlingieri fu di Pietro Ormazza hoggi d’Aniballe Berlingieri e fratelli”. AVC, Acta Sanctae Visitationis ab Ill.mo ac R.mo D.no Episcopo D. Marco Rama Ordinis Eremit.rum S.ti Augustini, A. D. 1699 confectae, f. 148.
[xiii] Il primiceriato esige un annuo censo “sopra le vigne di Cesare Berlingeri furono di Gio. Fran.co Piluso, hoggi d’Aniballe e F.lli Berlingeri un annuo tumolo di grano perpetuo”. AVC, Acta Sanctae Visitationis ab Ill.mo ac R.mo D.no Episcopo D. Marco Rama Ordinis Eremit.rum S.ti Augustini, A. D. 1699 confectae, f. 138v.
[xiv] Il beneficio della famiglia Susanna sotto il titolo di S. Leonardo esige un annuo censo “sopra il giardino di D. Cesare Berlingeri annui carlini 15” (AVC, Anselmus de la Pena, Visita, 1720, f. 40). Il primiceriato esige un annuo censo “sopra la vigna di D. Cesare Berlingeri confine quella di Fran.co Asturello e la gabella detta la Manca di Beltrano hoggi di d.o Berlingeri un tt.o di grano annuo perpetuo pagabile alla raccolta” (AVC, Anselmus cit., f. 25v).
[xv] ASN, Cam. Som., Catasto Onciario Cotrone, 1743, vol. 6955, f. 210.
[xvi] AVC, Catasto Cotrone 1793, ff. 142v, 170v.
[xvii] ASCZ, Busta 1329, anno 1781, ff. 160-167.
[xviii] ASCZ, Busta 49, anno 1594, ff. 305-306.
[xix] ASCZ, Busta 49, anno 1610, ff. 42-43.
[xx] ASCZ, Busta 229, anno 1655, ff. 143-147.
[xxi] ASCZ, Busta. 333, anno 1674, ff. 53-58.
[xxii] ASCZ, Busta 497, anno 1708, ff. 46-51.
[xxiii] ASCZ, Busta 659, anno 1717, ff. 193-194.
[xxiv] AVC, Anselmus de la Pena, Visita, 1720, f. 39.
[xxv] ASCZ, Busta 913, anno 1749, ff. 270-273.
[xxvi] ASCZ, Busta 108, anno 1614, ff. 193-211.
[xxvii] ASCZ, Busta 310, anno 1664, ff. 40-43.
[xxviii] ASCZ, Busta 635, anno 1710, ff. 17-18.
[xxix] ASCZ, Busta 913, anno 1749, ff. 270-273.
[xxx] ASCZ, Busta 862, anno 1764, ff. 51-52.
[xxxi] ASCZ, Busta 862, anno 1764, 81-82.
[xxxii] AVC, Acta Sanctae Visitationis ab Ill.mo ac R.mo D.no Episcopo D. Marco Rama Ordinis Eremit.rum S.ti Augustini, A. D. 1699 confectae, f. 100v.
[xxxiii] AVC, Acta Sanctae Visitationis ab Ill.mo ac R.mo D.no Episcopo D. Marco Rama Ordinis Eremit.rum S.ti Augustini, A. D. 1699 confectae, f. 114v.
[xxxiv] AVC, Acta Sanctae Visitationis ab Ill.mo ac R.mo D.no Episcopo D. Marco Rama Ordinis Eremit.rum S.ti Augustini, A. D. 1699 confectae, f. 136v.
[xxxv] AVC, Acta Sanctae Visitationis ab Ill.mo ac R.mo D.no Episcopo D. Marco Rama Ordinis Eremit.rum S.ti Augustini, A. D. 1699 confectae, f. 139v.
[xxxvi] AVC, Acta Sanctae Visitationis ab Ill.mo ac R.mo D.no Episcopo D. Marco Rama Ordinis Eremit.rum S.ti Augustini, A. D. 1699 confectae, f. 162.
[xxxvii] AVC, Anselmus de la Pena, Visita, 1720, f. 22.
[xxxviii] AVC, Anselmus de la Pena, Visita, 1720, f. 23v.
[xxxix] AVC, Anselmus de la Pena, Visita, 1720, f. 27v.
[xl] AVC, Anselmus de la Pena, Visita, 1720, f. 39.
[xli] ASN, Cam. Som., Catasto Onciario Cotrone, 1743, vol. 6955, f. 43.
[xlii] ASN, Cam. Som., Catasto Onciario Cotrone, 1743, vol. 6955, f. 98.
[xliii] ASN, Cam. Som., Catasto Onciario Cotrone, 1743, vol. 6955, f. 194.
[xliv] AVC, Catasto Onciario Cotrone 1793, f. 2.
[xlv] AVC, Catasto Onciario Cotrone 1793, f. 44v.
[xlvi] AVC, Catasto Onciario Cotrone 1793, f. 58.
[xlvii] AVC, Catasto Onciario Cotrone 1793, f. 76v.
[xlviii] AVC, Catasto Onciario Cotrone 1793, f. 100.
[xlix] AVC, Catasto Onciario Cotrone 1793, f. 101v.
[l] AVC, Catasto Onciario Cotrone 1793, f. 152v.
[li] ASCZ, Busta 660, anno 1720, ff. 152-164.
[lii] ASCZ, Busta 913, anno 1752, ff. 132-134.
[liii] ASCZ, Busta 858, anno 1755, f. 6.
[liv] ASCZ, Busta 917, anno 1769, f. 98.
[lv] ASCZ, Busta 611, anno 1713, ff. 77-78.
[lvi] AVC, Acta Sanctae Visitationis ab Ill.mo ac R.mo D.no Episcopo D. Marco Rama Ordinis Eremit.rum S.ti Augustini, A. D. 1699 confectae, f. 114v.
Creato il 9 Marzo 2015. Ultima modifica: 18 Novembre 2022.