La chiesa di San Giuseppe e la congregazione dei nobili di Crotone
Dopo un inverno rigido e piovoso arriva la primavera del 1718 ma, per “l’orridezza delli tempi”, i massari ed i coloni non riescono a maggesare. Rotto il ciclo agrario ed inselvatichiti i terreni, prevedendo di non arare né seminare in autunno, essi in aprile vendono i buoi alla fiera di San Marco e, ricorrendo ad una antica consuetudine, sciolgono i contratti triennali. Frattanto una epidemia si prolunga fino ad inverno inoltrato e la paura della carestia avanza.
Nella primavera del 1719, mentre si inasprisce la lotta tra gli speculatori per l’accaparramento dello scarso grano della imminente raccolta, i mastri d’ascia o falegnami, Onofrio di Sanda, Gio. Battista Villaroya, Mattia Asturi, Sebastiano Foggia, Gio. Battista di Sanda, Tommaso Franco, Antonio Russo, Domenico Strina, Sabbatello Macrì e Niccodemo Puglise, ottenuto dal governo cittadino “per publica conclusione”, un suolo sotto “il Cavaliero” in parrocchia di Santa Margarita, “che riguarda via mediante l’angolo del magazeno e vaglio de SS.ri Gallucci d’una parte, e le muraglia di detta città verso ponente dall’altra”, chiedono l’autorizzazione al vescovo di costruire una chiesa intitolata al loro protettore San Giuseppe,[i] “con più sepolture per loro, i discendenti e i benefattori”.
La richiesta è esaudita il primo maggio 1719, festa del santo tutelare, dal vicario capitolare Felice Suriano, essendo la sede vacante per la morte avvenuta il 9 ottobre 1718 del vescovo Michele Guardia, e non essendosi ancora insediato il nuovo vescovo Anselmo de la Pena, la cui nomina avverrà infatti il 30 settembre 1719. L’assenso è tuttavia concesso con la condizione che siano salvaguardati i diritti parrocchiali e vescovili, e cioè che i sacramenti non siano amministrati in essa se non con espressa licenza del parroco, e non si costruisca sepolcro se non dopo aver avuto il permesso del vescovo. Inoltre, terminata la chiesa, in essa non si potrà celebrare se prima non sarà benedetta dall’ordinario o da un suo delegato e se ne avrà avuta licenza.
I mastri si impegnano a portare a termine in breve tempo la costruzione del luogo sacro, a mantenerlo in tutto il bisognevole, ed a costruirvi l’altare con sopra l’immagine di San Giuseppe sposo di Maria, ornandolo e fornendolo di tutte le suppellettili sacre, ed a far celebrare due messe nel giorno del loro patrono, una nella festività dello Sposalizio della Vergine ed altre nei giorni festivi. Con l’aiuto finanziario anche di altre persone, i lavori procedono velocemente: ai primi di maggio si inizia “a disponere i pedamenti”, ed alla metà di giugno la costruzione è già alta quattro palmi.[ii] Si impegna particolarmente nell’erezione il mastro Onofrio de Sanda, diacono selvatico[iii] appartenente ad una vecchia famiglia cittadina di mastri carpentieri.[iv] A suo ricordo è ancor oggi visibile l’iscrizione scolpita sull’architrave del portale: D.O.M./ AD DIVO JOSEPHO 1719/ CURA HONUPHRII DE SANDA/ TEMPLUM PIORUM AELEMOSINIS ERECTUM.[v]
Tuttavia l’oratorio, anche se probabilmente finito, non è menzionato tra i luoghi pii cittadini visitati nell’estate dell’anno dopo dal vescovo Anselmo de la Pena, segno che a quel tempo esso non era stato ancora aperto al culto.[vi] Poco tempo dopo, il nobile Gregorio Ayerbis d’Aragona[vii] dei marchesi della Grotteria, discendente di sangue regio e “delli secondi geniti de’ principi di Cassano di Puglia”, figlio di Giacinto e di Agnese Berlingieri, sorella dell’arcivescovo di Santa Severina, e sposato con Maddalena Lucifero, figlia del marchese Fabrizio e di Teresa Barricellis, chiede e ottiene di poter costruire a sue spese, una cappella da dedicare a San Gregorio “per sua mera devozione e suffragio dell’anima di suo padre e sua”.
Il 18 gennaio 1723 i lavori alla cappella “sfondata” sono già cominciati, ed il patrono intende procedere e “perfezzionarla con il suo altare decente ed ornato”. Essa è stata costruita “con aprire il muro di detta chiesa vicino l’arco maggiore in cornu evangelii” e, volendo ora l’Aragona fondarci una cappellania, stipula presso il notaio Stefano Lipari di Crotone, un atto col quale si impegna a dotarla di una rendita annua di ducati 15 su un capitale di ducati 300, vincolando le entrate di un suo fondo rustico e ponendo numerose condizioni. Egli, inoltre, si obbliga a versare annualmente al rettore della chiesa due libre di cera bianca lavorata il giorno 17 novembre, festa del santo. La cappella, fornita di altare e con “l’effiggie e natura di S. Gregorio Tomaturgo”,[viii] è quindi abbellita con una statua lignea raffigurante S. Gregorio, opera di Nicola Fumo e datata 1721.
In seguito “in cornu epistole” verrà costruita la cappella degli Sculco, dove il 2 novembre 1734 sarà tumulato il corpo del fondatore, Tommaso Domenico Sculco, originario di Papanice, figlio di Giuseppe e di Antonia Maria de Paz Palomeque, padrone di Cortina e di buona parte di Papanice, che conserverà fino alla fine il suo attaccamento al rito greco.[ix] In memoria i figli Francesco, Carlo e Bonaventura e la moglie Vittoria Lucifero, figlia di Giuseppe e di Livia Suriano, e sorella del marchese di Apriglianello Fabrizio Lucifero, posero la seguente epigrafe:
D.O.M./ THOMAE DOMINICO SCULCO CROTONIATAE/ E DYNASTARUM GENTE/ SACELLI HUIUS FUNDATORI/ VIRO EXIMIAE PIETATIS AC ANTIQUIS QUIBUSQUE MORIBUS EXCULTO/ IN PUBLICIS PRIVATISQUE REBUS/ USU PRUDENTIA ATQUE AUCTORITATE CLARISSIMO/ FRANCISCUS FR. CAROLUS EQUES HIEROSOL. AC BONAVENTURA FILII/ ET VICTORIA LUCIFERO UXOR/ EHU PATRI OPTIMO ET PIENTISSIMO CONIUGI PP./VIXIT ALIIS POTIUS QUAM SIBI ANNOS LXX MENSES VII DIES XXV/ OBIIT CUM LUCTU PENE PUBLICO KALENDIS NOVEMBRIS AERAE VULGARI/ MDCCXXXIV
La cappella verrà ornata oltre che dalla statua lignea di S. Nicola, anche da un’urna col corpo di S. Celestino; quest’ultima portata da Roma nel 1741 (?), dal figlio del fondatore, Bonaventura Sculco che, avviato alla carriera ecclesiastica, ottenne nel giugno 1745 il vescovato di Bisignano.
Nei primi giorni del mese di giugno 1745 il marchese di Apriglianello Francesco Lucifero, figlio di Fabrizio e di Teresa Barricellis, chiede il permesso al procuratore e cappellano della chiesa, Giovanni Andrea de Sanda, figlio di Onofrio, ed al vicario generale, l’arcidiacono Domenico Suriano, di erigere un’altra cappella gentilizia. Ottenutolo, il mese dopo si impegna a farla edificare a sue spese con patronato laicale, nella parte laterale in “cornu epistole”, a fianco a quella della famiglia Sculco, simile per forma e della stessa lunghezza e larghezza, a quelle già esistenti e dedicate a San Nicola, arcivescovo di Mira e poi detto di Bari (Sculco), e a San Gregorio Taumaturgo (Aragona), con la condizione che “l’altezza di questa non occupi o impedisca lume alla finestra di detta chiesa sotto della quale deve edificarla”.
La cappella nuovamente eretta sarà dedicata a San Michele Arcangelo, ed il marchese si impegna a “perfezionarla e complirla di stucco all’uso moderno … con il suo altare decente ed ornato con pietra sagra, tovaglie, candalieri, croce, fiori, carta di Gloria, In Principio, lavabo … coll’effigie in quadro o statua di detto glorioso San Michel’Arcangelo … con ponerci avanti o nelle parti laterali di sotto l’infimo gradino dell’altare sepoltura con lapide sepolcrale e di sopra l’iscrizione ed arma di sua nobile famiglia” (arme dei Lucifero: D’azzurro alla fascia d’oro accompagnata nel capo da due stelle dello stesso in una punta da una crescente montante di argento). Egli inoltre verserà al rettore o cappellano della chiesa ducati 22 e mezzo per il costo del muro della chiesa, dove si dovrà fabbricare la nuova cappella, “apprezzato per canne sette e mezzo di fabbrica a ragione di carlini 30 la canna”, ed ogni anno fornirà due libbre di cera bianca lavorata nel giorno 29 settembre, festa di S. Michele.[x]
Al tempo del vescovo Domenico Zicari (1753-1756), l’oratorio di San Giuseppe (come anche gli altri due presenti in città, di S. Vincenzo e dell’Immacolata Concezione), è decentemente fornito di suppellettili sacre ed è mantenuto dalle elemosine.[xi] In questo periodo la chiesa è restaurata, ornata ed abbellita, per opera del sacerdote Giovanni Andrea de Sanda, figlio di Onofrio, e su sua supplica consacrata il 13 giugno 1756 dal cutrese Domenico Morelli, vescovo di Strongoli (1748-1792). Per tramandare l’evento fu messa l’epigrafe: D.O.M./ TEMPLUM HOC DIVO IOSEPHO DICATUM/ STUDIO AC PIETATE SACERDOTIS IOANNIS ANDREE/ DE SANDA/ MIRIFICE EXCULTUM/ IPSO SUPPLICITER PETENTE/ ILL.MUS AC R.MUS D. DOMINICUS MORELLI/ STRONGOLEN AEPISCOPUS/ RITU SOLEMNI CONSECRAVIT/ DIE XIII MENSIS IUNII 1756.
Pochi anni dopo, il 21 luglio 1759, Francesco Antonio Sculco, figlio ed erede di Tommaso Domenico, discendente dagli “antichi Duchi di S. Severina e de nobili patrizii di questa città di Cotrone”, erige e dota una cappellania laicale per la celebrazione di due messe basse perpetue settimanali e, l’anno dopo, nomina come primo rettore e cappellano il figlio secondogenito e chierico beneficiato Tommaso.
Francesco Antonio Sculco, persona onesta e caritatevole, fu seppellito nella sua cappella di San Nicola ed i fratelli, recependo una sua preghiera: “Vengo inoltre a priegare d.i miei amatissimi Fratelli Carissimi D. Carlo Sculco e D. Bonaventura vescovo di Bisignano, che conforme io in tante maniere m’interessai per li loro onorevoli personali avanzi così eglino abbiano da dimostrare il loro affetto per me in un marmo accanto del mio sepolcro e sia lungi ogni suono di mendicate lodi, che alla povertà delle mie azzioni non convengono, ma serve unicamente per un modello d’un vero e reciproco fraterno amore”,[xii] posero la lapide “Nel 1765 è sepolto dalla pietà dei suoi fratelli: Bonaventura vescovo di Bisignano, e Carlo Sculco, cavaliere di Malta, e del congiunto Tommaso Sculco, il signor Francesco Antonio Sculco, patrizio cotronese, morto a 67 anni”.[xiii]
Nella Relazione ad Limina del 1775 il vescovo di Crotone Giuseppe Capocchiani (1774-1788) così la descrive: “Eretta dalle fondamenta con proprio denaro e con le elemosine di alcuni fedeli dal concittadino Onofrio de Sanda, in verità ora gode di esigue rendite e tuttavia si presenta sufficientemente fornita di sacre suppellettili donate sia dalla devozione dei fedeli sia per l’opera meritoria del presbitero Gio. Andrea de Sanda, figlio del fondatore. Vi si celebrano tre messe quotidiane istituite da tre pii fedeli che vi hanno costruito le cappelle con i loro gentilizi sepolcri”.[xiv] “La chiesa è sotto il titolo di San Giuseppe sposo di Maria dipendente da Monsignor vescovo di cui è rettore il R. sacerdote seculare D. Gio. Andrea di Sanda dentro la quale vi sono erette tre cappelle gentilizie. La prima sotto il titolo di S. Nicolò della famiglia Sculco. La seconda sotto il titolo di S. Michele Arcangelo della famiglia Lucifero. La terza sotto il titolo di S. Gregorio Taumaturgo della famiglia Aragona e delle suddette tre cappelle ne ha cura il medesimo rettore della chiesa D. Gio. Andrea di Sanda”.[xv]
Dopo il terremoto del 1783, la chiesa ed i suoi beni passarono in amministrazione alla Cassa Sacra che nel 1785, procedette ad alcune vendite e, sempre con dispaccio del 9 giugno 1785, in S. Giuseppe fu trasferita temporaneamente la cura della parrocchiale del SS. Salvatore, chiesa che era “tutta rovinata e quasi cadente”.[xvi]
All’atto della soppressione la chiesa di San Giuseppe possedeva:
1 – Beni stabili: a) Il vignale “S. Giuseppe” di tre quarti di tomolo di terra rasa ed aratoria atto a semina che nel 1790 risulta affittato per annui carlini venti.
2 – Censi bullari: a) Carlo Albano un capitale di Ducati 400 al 4 %. b) Francesco Antonio Varano Ducati 80 al 5%. c) Michele D’amico e Diego Antonio Ruffo ducati 36 al 5%. d) Santo Palermo ducati 14 al 5%.
3 – Case e magazzini: a) Una casa in parrocchia dei SS. Pietro e Paolo venduta a R. Zurlo nel 1785 per ducati 279. b) Una casa in parrocchia di S. Maria venduta dalla Cassa Sacra nel 1785 al notaio D. Pietro Vatrella per ducati 129. c) Un magazzino nel “Fosso” venduto nel 1785 al marchese Giuseppe Lucifero per ducati 202:45.
Nel 1790, dopo la vendita fatta dalla Cassa Sacra delle due case e del magazzino che rappresentavano la metà del capitale della chiesa, ad essa rimasero i quattro censi bullari ed il vignale. La situazione economica in quell’anno era: a) Rendita di corpi esistenti (Vignale e 4 censi) ducati 24 e grana 50. b) Rendita dei corpi alienati e venduti nel 1785 e non ancora pagati (2 case e un magazzino) ducati 24 grana 45 e cavalli 4.
La chiesa vantava quindi una rendita di quasi 50 ducati, ed un credito di ducati 773 e grana 5 delle case vendute e non ancora pagate.[xvii] Nello stesso anno 1790, l’amministrazione passò dall’ispettore della Cassa Sacra D. Domenico Ciaraldi a D. Giacomo D’Aragona. In tale occasione fu consegnato anche l’edificio che così è descritto: “Atrio con tre scaloni. Una porta grande fornita, ed un’altra laterale con fermatura a calescemio. Altare maggiore fornito tutto di sacri aredi con quadro della “Sacra famiglia”, al di sopra un quadretto con l’effigie del Padre Eterno e sotto l’altare un quadro rappresentante la Pietà. Nel corpo di detta chiesa vi esistono diverse effigie con n. 9 quadri de’ misteri della nascita di Gesù. Ad ambi le parti di detto altare esistono due sedili per uso di coro ed vicino a medesimi vi sono due porte, una che porta al campanile con due campanelle piccole e altra che conduce alla sacrestia. Nel piano di detto altare vi è la statua di S. Francesco di Paola. Una lampada d’ottone. Nel entrare a mano sinistra vi è una cappella con nicchia colla statua di S. Gregorio, altare fornito di sacri arredi, due finestre e con tela e ferriate e regia ed pavimento di matoni di Cripido. A mano destra entrando vi sono due altari, ossia cappelle la prima col quadro di S. Michele, altare fornito come sopra, il pavimento come sopra, un lampadario di cristallo, un campanello nel muro con finestra con inferriata. Seconda cappella con nicchia e statua di S. Nicola, altare fornito di sacri supellettili, sotto del quale vi è un’urna col corpo di S. Celestino il pavimento di Crisione, una vetrata con ferriata e ripa. A mano sinistra entrando vi sono quattro statue di alabastro rappresentanti le virtù cardinali al muro una tela colla effigie della Madonna tutto lacero. Due confessionili ben guarniti, banchi n. 6 per uso di chiesa, un pulpito, Orchesta con suo organo, un campanello, finestre n. 7 con vetriate e sue ripe di ferro, il pavimento di mattoni ed il soffitto a lamia. Sacrestia. In detta uno stipo grande con suoi tirattori tutto buono. Altro piccolo stipo, un bancone, un genocchiatoio, due crocifissi, un banco, quadri di diverse effigie numero 15 tutti buoni, il soffitto di legname nuovo, una finestra con porta di legno”.[xviii]
Tre anni dopo alla chiesa soppressa di San Giuseppe rimanevano solo i ducati 400 sopra i beni di Carlo Albano ed il vignale.[xix] La chiesa del SS.mo Salvatore fu ben presto ricostruita dalle fondamenta più ampia, e la chiesa di San Giuseppe, durante il vescovato di Ludovico Ludovici (1792-1797), risulta riaperta al culto, fornita e non bisognevole di restauri. Essa è tenuta in diligentissima cura dal vescovo, che nelle feste vi fa celebrare delle messe alle quali si aggiungono quelle dei patroni delle cappelle gentilizie.[xx] Nel 1805 risulta che era stata assegnata dal marchese di Fuscaldo con regio beneplacito, alla cura del Capitolo e del clero della cattedrale.[xxi]
In seguito divenne sede della congregazione dei nobili[xxii] detta di Santa Maria dei Sette Dolori o della Addolorata.[xxiii] La congregazione fondata il 3 gennaio 1712 da Francesco Suriano, in luogo di prefetto, Fabrizio Lucifero, primo assistente, e Giacinto Aragona, maestro di novizi, ebbe dapprima sede in un oratorio dentro il convento dei frati minori conventuali.[xxiv] Venuta meno, fu ripristinata nell’aprile 1750 (prefetto Gregorio Montalcini, primo assistente il marchese Carlo Berlingieri e secondo assistente Felice Bruno Suriano),[xxv] ed i suoi statuti furono approvati da re Ferdinando IV con regio assenso del 26 maggio 1764. L’anno dopo Francesco Antonio Sculco istituiva per testamento un Monte di Pegni o di Prestanza per la gente povera, dotandolo di ducati mille. Il monte detto anche della Pietà o dei Poveri che, previo pegno, imprestava denaro specie ai coloni ed ai massari, fu dapprima amministrato dalla famiglia Sculco,[xxvi] e poi dai priori pro tempore della congregazione dei nobili dei Sette Dolori e da un rappresentante della famiglia fondatrice.[xxvii]
In effetti fu raggiunto un accordo tra gli Sculco e la confraternita. Quest’ultima divenne titolare di un’unica e sola gabella detta “La Volta della Torre di Giuliano”, in proprietà però comune ed indivisa col monte di Prestanza e con il cavaliere Tommaso Sculco, con i quali aveva partecipato all’acquisto.[xxviii]
I confrati della congregazione, alla quale si era ammessi solo se nobili di nascita, si riunivano di solito alla domenica e nelle festività nel loro oratorio, per recitare l’ufficio piccolo della Vergine Maria, per ascoltare la messa ed il sermone del padre spirituale ed esercitare funzioni religiose. Le poche rendite erano utilizzate per seppellire gratis nobili poveri.[xxix] Essa con l’appoggio del superiore del convento dei conventuali, sostenne una lite con il vescovo Bartolomeo Amoroso (1766-1771) il quale, in virtù del Concordato tra la Santa Sede ed il re delle Due Sicilie, voleva sottoporla alla sua giurisdizione, visitandola e costringendo i confrati a rendere conto dell’amministrazione ad un delegato ecclesiastico.[xxx]
Il tentativo del vescovo Amoroso non ebbe successo ed al tempo del suo successore, il crotonese Giuseppe Capocchiani (1774-1788), la confraternita, di cui era priore Fabrizio Suriano, per lo spirituale era diretta dal padre superiore del convento dei conventuali, il padre maestro Ruggiero.[xxxi] Soppressa assieme al convento dopo il terremoto del 1783,[xxxii] il suo oratorio fu trasformato in un teatro[xxxiii] ma, con la Restaurazione, riprese vita nella chiesa di S. Giuseppe.[xxxiv] I confrati portarono nella nuova sede il quadro prezioso dell’Addolorata e lo posero sopra l’altare maggiore. Sempre in questi anni una nuova cappella, con altare dedicata a San Francesco di Paola, fu edificata dalla famiglia Galluccio (Arme dei Galluccio: D’argento, al gallo di rosso, col bisante di azzurro, caricato da una stella d’oro, posta nel cantone sinistro del capo e col motto: Sempre vigile).
Frattanto, l’otto agosto 1834 veniva comunicato l’ordine di demolire la chiesa della parrocchia del SS.mo Salvatore, già deciso con reale decreto del 12 marzo 1833. Si ritenne opportuno passare la parrocchia nella chiesa di San Giuseppe, senza spostare la congregazione, oppure concedere a quest’ultima la chiesa di San Vincenzo Ferreri. Ma i nobili si opposero e, nel giugno 1836, mentre la processione del “Corpus Domini” con il Capitolo, il clero, i seminaristi e le congregazioni[xxxv] in processione solenne col SS.mo Sacramento entravano nella chiesa, i confrati D. Giuseppe Berlingieri e D. Luigi Zurlo-Galluccio “commisero delle gravi irriverenze smorzando le torce, proibendo il suono delle campane e sconcertando con i piedi i mortaretti approntati a spararsi nella benedizione e processione e ritirandosi in sacrestia all’atto della benedizione, urlando varie parole inaccettabili al maestro delle cerimonie del Capitolo con protesta di far trovare le porte chiuse al SS.mo in altre processioni”.[xxxvi]
Dalla visita del vescovo Todisco Grande dell’anno dopo, sappiamo che nella chiesa oltre all’altare maggiore vi erano altri quattro altari. Sulla destra entrando, vi era la cappella di San Michele dei Lucifero e poi quella di San Nicola degli Sculco. A sinistra, vi era dapprima quella di San Francesco di Paola dei Gallucci e poi, presso l’altare maggiore, quella di San Gregorio della famiglia Aragona.
La confraternita ancora esisteva nel 1854 e molto probabilmente cessò poco dopo l’Unità d’Italia. Con il suo venir meno il luogo sacro cominciò a decadere anche perché l’edificio era carente nelle fondamenta. Nel 1877 la chiesa fu restaurata e resa decente e ricca di arredi. Furono rifatti in marmo il pavimento e l’altare maggiore; il tutto a spese del barone Luigi Berlingieri, come si rilevava dalle insegne di questa famiglia collocate ai piedi dell’altare (Arme dei Berlingieri: D’azzurro, a tre bande d’argento, scaccata di rosso, accompagnate in capo dal lambello a tre pendenti dello stesso).
Dopo una breve interruzione fu riaperta al culto il 15 agosto 1878 ma già nell’agosto dell’anno dopo, pur essendo “ricca di belle statue e specialmente di un crocifisso a grandezza naturale”, venne interdetta perché minacciava rovina.[xxxvii] Nel 1883 si tentò di ripararla, essendo crollati il campanile e l’arco della navata maggiore. L’erudito Nicola Sculco all’inizio del Novecento, così la descrive: “Degna di ogni riguardo è questa chiesa che prima era diretta ed amministrata da una congrega detta dei Nobili; essa ha dovuto subire molti restauri, perché priva di fondazioni. Il prospetto in stile rinascimento è di particolare interesse. Nell’interno si ammirano pregevolissime statue. Sopra l’altare maggiore, la Addolorata, quadro ad olio, ritenuto come vero capolavoro, tanto che un signore romano offrì ducati mille. Un artistico crocifisso in grandezza naturale, apparteneva al convento dei cappuccini, ma poi passò alla congrega dei nobili. La famiglia Soda vi costruì un altarino nella cappella Gallucci ove fu collocato. Sulle pareti sono appesi dei grandi quadri non pregevoli. Nella navata della detta chiesa nell’antico pavimento esistevano due pietre sepolcrali con iscrizioni, e che appartenevano alla famiglia Coccari ed Asturi Giovanbattista, che furono disperse. Esiste solamente la lapide sepolcrale che trovavasi a piè della scala che va all’organo. Posa in sarcofago a piè dell’altare della cappella gentilizia di nostra famiglia, il corpo del glorioso Taumaturgo S. Celestino; fu portato da Roma nel 1741 da Bonaventura Sculco, vescovo di Bisignano. L’ara che trovasi nell’atrio fuori la chiesa, fu dissepolta negli scavi di fondazione delle cappelle. Giaceva sconosciuta, e Galluccio D. Nicola seniore, se ne servì da paracarro nell’angolo del suo palazzo. D. Alfonso Lucifero seniore, priore della Congrega, nel 1854 mosso a carità di patria, la rivendicò, facendola situare sul luogo in cui presentemente si trova. Le quattro cappelle gentilizie appartengono a quattro famiglie patrizie crotonesi: Ayerbis Aragona della Grotteria, estinta, Lucifero, Galluccio, Sculco. Nella cappella Sculco, lateralmente sono incastrati nel muro due marmi con iscrizioni latine. … Nella parte esterna fra gli archi si vede appena una traccia di un affresco …”.[xxxviii]
Note
[i] Una cappella dedicata a San Giuseppe dei mastri carpentieri esisteva già nel luglio 1709 in cattedrale. ASCZ; Busta 611, anno 1709, f. 14.
[ii] ASCZ, Busta 660, anno 1719, ff. 101-102.
[iii] Una denuncia presentata il 21 marzo 1734 alla curia vescovile di Crotone ha per oggetto il mastro Onofrio de Sanda, diacono selvatico abitante in parrocchia di Santa Margarita. Il De Sanda è accusato di aver violentemente bastonato il settantenne “carrozziero” Carlo Solino presso le forge davanti all’ospedale. AVC, s.c.
[iv] Ricordiamo Paulo e Honofrio de Sanda, mastri carpentieri alla metà del Seicento. ASCZ, Busta 229, anno 1662, f. 60; Busta 253, anno 1670, f. 156.
[v] Sempre riferita all’opera svolta dal De Sanda fu murata in quell’anno su un’edicola votiva dedicata a S. Giuseppe l’iscrizione ancor oggi visibile in via Media sez. S. Pietro: “HEC ICO PONITUR ANNO 1719/ ET PRIMO FUNDATS PROPRIE ECCLIES S./JOSEF PROCURATORE HONUPHRIO DE SANDA”.
[vi] Al tempo della visita del vescovo, esisteva un beneficio intitolato a S. Giuseppe di juspatronato della famiglia del fu Sillano Ottavio, senza altare e cappella e mancante di rettore, gravato di due messe settimanali, ed avente come dotazione un deposito di ducati 200 che erano in potere di Giacinto Aragona. AVC, Anselmus de la Pena, Visita, 1720, f. 83.
[vii] Gregorio Ayerbis d’Aragona, regio secreto e mastro portolano,”discendente di Sangue Reggio e come tale gode tutte le prerogative e privilegi e ciò come secondi geniti della casa de’ Principi di Cassano”. Aveva come arme “Quattro pali d’oro in campo rosso”. ASV, Secr. Brev. 2700, ff. 280-281.
[viii] ASCZ, Busta 614, anno 1723, ff. 6-10. L’Aragona nel 1728, ottiene di poter celebrare una messa quotidiana nella sua cappella privata nel palazzo di sua abitazione in parrocchia di San Pietro, alla quale possano assistere i genitori, i figli, i consanguinei e gli affini. ASV, Secr. Brev. 2700, ff. 280-281.
[ix] “Thomas Sculco ex par. SS. Apostolorum Petri et Pauli sine sacramentis extremum reddidit spiritum sub die prima m. novembris et sepultus fuit sub die 2 (1734) in ecclesia S. Joseph”. AVC, Libro dei Morti.
[x] ASCZ, Busta 912, anno 1745, ff. 107-109.
[xi] ASV, Rel. Lim. Crotonen.,1754.
[xii] Francesco Antonio Sculco si unì con Chiara Suriano ed ebbe due maschi: Giuseppe, primogenito, che sposò Antonia Berlingieri ed il secondogenito Tomaso che fu avviato alla religione di Malta. Morto il primogenito lasciando due soli figli: Nicola e Vittoria, Francesco Antonio Sculco mutò il testamento a favore del secondogenito che non professò. Prima di morire “considerando li gravissimi interessi che vengono a patire ne’ loro bisogni li poveri di questa città”, decide di fondare un monte di pegni, dotandolo di ducati 1000 e affidandone l’erezione al fratello Bonaventura, vescovo di Bisignano. Inoltre dispose che in suffragio del figlio Giuseppe, finita la celebrazione nella sua cappella di S. Nicola di una messa quotidiana per mille giorni, “o nell’oratorio di mia casa o nella mia cappella di S. Nicola, dentro la chiesa di San Giuseppe”.. si celebrasse una messa alla settimana. ASCZ, Busta 1129, anno 1767, ff. 9-32.
[xiii] Epigrafe alla parete della cappella di San Nicola della famiglia Sculco: CINERIBUS. ET. MEMORIAE./ FRANCISCI. ANTONII. SCHULCHI./ PATRICII. CROTONENSIS./ FIDE. PIETATE. RELIGIONE. CLARISSIMI./ ET. PRISCA. PROBITATE. EXIMII./ QUI . ANNOS. NATUS. LXVII./ FATIS. CESSIT./ BONAVENTURA. BESIDIENSIUM. EPISCOPUS./ CAROLUS. EQUES. HIEROSOLYMITANUS./ FRATRES. MAERENTISSIMI./ THOMAS. EIDEM. SACRO. ORDINI. ADSCRIPTUS./ DULCISSIMI. PARENTIS. INTERITU. INCONSOLABILIS./ IN. HOC. GENTILITIO. SACELLO./ M.C.L. PP.
[xiv] ASV, Rel. Lim. Crotonen. 1775.
[xv] AVC, Nota delle chiese e luoghi pii ecclesiastici e secolari esistenti nel distretto della giurisdizione del regio governatore della città di Cotrone, Cotrone 18 febbraro 1777.
[xvi] Valente G., Diocesi e vescovi di Crotone, Crotone 1949, pp.19-20.
[xvii] Lista di carico formata dal Sig. Ispettore D. Domenico Ciaraldi avv. fiscale della Cassa Sacra e consegnata a D. Giacomo d’Aragona, 1790.
[xviii] AVC, Stato attuale delle fabbriche, 1790.
[xix] AVC, Catasto Onciario di Cotrone,1793, f. 186.
[xx] ASV, Rel. Lim. Crotonen., 1795.
[xxi] AVC, Elenco luoghi pii laicali, 1805.
[xxii] Già all’inizio del Seicento oltre alla arciconfraternita del SS. Sacramento ed alla confraternita delle Cinque Piaghe, erette in cattedrale, vi erano le confraternite di S. Maria de Monte Carmelo nel convento dei carmelitani, e del SS.mo Rosario nel convento dei domenicani, “entrambe frequentate da una grande moltitudine di nobili” (ASV, Rel. Lim. Crotonen., 1606). In seguito ne sorsero altre con chiesa propria: SS.ma Pietà, SS.ma Annunciata e Santa Caterina (ASV, Rel. Lim. Crotonen., 1610), ed una composta da nobili detta dell’Immacolata Concezione nel convento dei conventuali. Quest’ultima verso la metà del Seicento venne meno (ASV, Rel. Lim. Crotonen. 1640).
[xxiii] Nel 1807 in parrocchia di S. Margarita vi erano “due chiese confraternite; una cioè sotto il titolo dell’Immacolata Concezzione, e l’altra sotto il titolo de Sette Dolori di Maria Santissima, … quali chiese non sono coadiutrici alla Parrocchia”. AVC, Stato delle chiese e benefici, 1807.
[xxiv] La congregazione dei nobili sotto il titolo dei Sette Dolori di Maria pagava ancora nel 1790 al convento di S. Francesco d’Assisi un censo annuo di un ducato per il suolo concesso. Lista di carico formata dal Sig. Ispettore D. Domenico Ciaraldi avv. fiscale della Cassa Sacra e consegnata a D. Giacomo d’Aragona, 1790, f. 30v.
[xxv] In quell’occasione la confraternita dei nobili cedette ai conventuali il loro vecchio oratorio che venne trasformato in sacrestia, ottenendo in cambio un altro luogo dietro al cappellone dei Montalcini. ASCZ, Busta 668, anno 1750, ff. 32-33.
[xxvi] Nel 1777 il monte era amministrato dal cavaliere gerosolimitano D. Tommaso Sculco. AVC, Nota delle chiese e luoghi pii ecclesiastici e secolari esistenti nel distretto della giurisdizione del regio governatore della città di Cotrone, Cotrone 18 febbraro 1777.
[xxvii] Visita del vescovo di Cotrone Todisco Grande 1837, AVC, 74.
[xxviii] Per l’acquisto della gabella furono sborsati i seguenti capitali: ducati 100 dalla Congregazione dei Nobili, ducati 1000 dal Monte di Prestanza e ducati 450 dal cavaliere Francesco Sculco. Lista di carico formata dal Sig. Ispettore D. Domenico Ciaraldi avv. fiscale della Cassa Sacra e consegnata a D. Giacomo d’Aragona, 1790, f. 30.
[xxix] ASV, Rel. Lim. Crotonen., 1775.
[xxx] ASV, Rel. Lim. Crotonen. 1769.
[xxxi] AVC, Nota delle chiese e luoghi pii ecclesiastici e secolari esistenti nel distretto della giurisdizione del regio governatore della città di Cotrone, Cotrone 18 febbraro 1777.
[xxxii] Al tempo della soppressione “Le rendite della abolita Congregazione sotto il titolo de’ Sette dolori de nobili debbono considerarsi come quelle di una confidenza particolare istituita dal fu D. Francescantonio Sculco il quale il 12.9.1765 col suo testamento dispose la fondazione ed erezione di un monte de Pegni o sia di Prestanza per la gente povera col capitale di duc. 1000 da amministrarsi da Priori pro tempore di questa congregazione e da un individuo della famiglia Sculco, Stato presente delle rendite e de pesi della congregazione detta de’ Nobili de’ Sette dolori della città di Cotrone.” AVC. Cart. 118, 1789.
[xxxiii] ASV, Rel. Lim. Crotonen., 1795.
[xxxiv] Il 13 gennaio 1835 papa Gregorio XVI invia un breve al vescovo di Crotone in favore della confraternita di nobili “sub invocatione B. Mariae Perdolemtis”, alla quale viene concessa la facoltà di custodire il sacramento della SS. Eucarestia nella sede della confraternita. Russo F., Regesto XIV, p. 34.
[xxxv] Al tempo del vescovo Leonardo Todisco Grande (1833-1849) erano rimaste a Crotone le sole tre confraternite dei Sette Dolori di B.M.V., della Immacolata Concezione di B.M.V. e delle Anime del Purgatorio, e quella del SS.mo Sacramento. Synodales Constitutiones et Decreta ab Illustrissimo et Reverendissimo Domino D. Leonardo Todisco Grande, Napoli 1846, p. 55.
[xxxvi] AVC, Visita del vescovo di Crotone Todisco Grande, 1836.
[xxxvii] Juzzolini P., Santuario di Maria SS. del Capo delle Colonne in Cotrone, Cotrone 1882, p. 73.
[xxxviii] Sculco N., Ricordi sugli Avanzi di Cotrone, 1905, pp. 72-75.
Creato il 10 Marzo 2015. Ultima modifica: 12 Ottobre 2022.