Il palazzo dei Messina di fronte alle mura di Crotone
Luca Messina abitava in casa propria in parrocchia di Santa Veneranda, che confinava con la casa di Lucrezia Messina.[i] Egli risulta legato da vincoli di parentela con la famiglia Mazzulla. Per tale legame ereditò il diritto alla nomina ed alla presentazione del rettore, del beneficio dei Mazzulla sotto il titolo di San Michele Arcangelo in Cattedrale, che amministrava anche il monte di maritaggi dei Mazzulla. Il diritto sarà contrastato dalla mensa vescovile.
Il vescovo di Crotone Marco Rama, rifacendosi anche agli atti di un processo celebrato nel 1699 nella curia vescovile, non riconosceva infatti a Luca Messina la piena proprietà del beneficio affermando che, dopo la morte del beneficiato, la collazione e la presentazione del beneficio sarebbero appartenute alla curia vescovile. Anche per tale motivo, il 5 aprile 1702 il papa Clemente XI inviava un breve all’arcivescovo di Santa Severina ed ai vescovi di Crotone e di Strongoli, affinché fosse restituito a Luca Messina ogni bene, che gli spettava di diritto dell’eredità del sacerdote Felice Mazzulla.[ii] Tra i figli di Luca Messina sono ricordati: Salvatore, Epifanio e Caterina. I primi due ereditarono i beni e le prerogative paterni, Caterina andò sposa a Fabio Ferraro[iii].
Dalla casa al palazzo
Il chierico Salvatore de Messina, figlio ed erede del padre Luca, fu rettore del beneficio di iuspatronato della famiglia Mazzulla, senza altare e cappella in cattedrale sotto il titolo di San Michele Arcangelo, perciò egli resse anche l’amministrazione del monte de’ maritaggi detto di Gio. Francesco Mazzulla.[iv] Alla fine del Seicento egli ne è in possesso. Le cariche passeranno, dopo un periodo in cui furono oggetto di contrasto,[v] al fratello, il chierico e poi sacerdote Epifanio, che le amministrerà per molti anni.[vi]
Salvatore Messina esercitò in seguito l’ufficio di regio vicesecreto del regio fondaco e dogana di Crotone. Possedeva, assieme al fratello Epifanio, la casa paterna, situata in parrocchia di Santa Veneranda, e delle vigne con un giardino vicino al ponte di Esaro.[vii] Accumulò una discreta ricchezza ed assunse un certo prestigio sociale, evidenziati dall’ampliamento delle sue proprietà nel luogo detto “il Ponte dell’Acqua”, con l’acquisto nel 1715 dal parroco Natale La Piccola, di una vigna con due vignali uniti “con più e diversi alberi fruttiferi viti, casella, vaglio di fabrica, pozzo, chiusura, e fosse, seu conserve da metter biade”,[viii] e due anni dopo con la compera di uno schiavo.[ix] Fu in questi primi anni del Settecento che, per opera di Salvatore Messina e del suo congiunto, il canonico di S. Sofia Domenico Messina,[x] la casa assunse la forma di palazzo con l’acquisizione di alcune case vicine. Testimonia questa espansione l’acquisto compiuto nel settembre 1716 della confinante casa dei fratelli Biondi, eredi di Isabella Corea. La casa, composta da un alto ed un basso, confinava con la casa dei Messina e le case di Gio. Paolo Coronea.[xi]
Da Salvatore a Luca Messina
Salvatore Messina morì in giovane età. Poco prima di morire, nel 1721 aveva venduto ad Anna Suriano i terreni comprati dal parroco La Piccola,[xii] che erano stati valorizzati da Domenico Suriano, di cui probabilmente era prestanome.[xiii] Lasciò numerosi figli: Luca, Carlo, Giuseppe, Francesco, Gio. Domenico, Teresa, Aloisia e Bettuzza o Elisabetta. Elisabetta e Aloisia, o Luisa, presero la via del monastero. Gio. Domenico vestì l’abito certosino e Giuseppe divenne sacerdote.
Il 9 aprile 1732 con atto del notaio Pelio Tiriolo, il sacerdote secolare Epifanio de Messina, fratello del fu Salvatore de Messina, tutore e curatore pro tempore dei minori Luca, Teresa, Aloisia, Giuseppe, Bettuzza, Carlo, Francesco e Gio. Domenico de Messina, figli ed eredi di Salvatore Messina, a nome proprio e dei pupilli, chiese un prestito per poter completare le doti spirituali di Elisabetta ed Aloisia de Messina, che stavano per finire l’anno di noviziato e prendere il velo nel monastero di Santa Maria Maddalena di Squillace.
Il prestito ascendeva a 260 ducati e fu concesso da Matteo Pipino, in qualità di procuratore del capitolo della cattedrale di Crotone. Il Messina si impegnò a pagare al capitolo un annuo censo di ducati 15 e tari 3 (6% sul capitale), gravando le proprietà sue e dei figli ed eredi di Salvatore Messina, che erano costituite da “una continenza di vigne e terre vacue, torre, e pozzo per uso di sena alborato con alberi e viti fruttiferi”, e dal palazzo di abitazione, composto da “più e diverse camere superiori et inferiori, loggetta di fabrica, astrachello, et altre commodità”. L’edificio è descritto situato in parrocchia delle Sante Veneranda ed Anastasia, confinante con le case a suo tempo possedute da Lucrezia Messina, ora del capo artigliere della città e castello di Crotone Diego Massa, e con la casa che era stata di Gio. Paolo Coronea. Esso, inoltre, si affacciava in “frontespitio alle muraglie e al regio castello della città.[xiv] L’atto sarà ratificato, una volta maggiorenni, da Giuseppe, Luca e dagli altri fratelli De Messina nel 1743.[xv]
Allora i figli ed eredi di Salvatore Messina abitavano ancora nel palazzo, che era stato del padre, in parrocchia di Santa Veneranda e Anastasia. Esso confinava con la casa palaziata, che da Diego Massa era pervenuta ad Ippolita Massa, moglie di Pietro Asturelli, il quale l’aveva venduta nel 1742 a Felice Cavaliere che, a sua volta, nello stesso anno l’aveva donata al fratello, il massaro Gasparo Cavaliere, sposato con Antonia di Perri.[xvi]
Dal catasto onciario della città di Cotrone, formato in quell’anno 1743, risulta che il palazzo dei Messina in parrocchia di Santa Veneranda e Anastasia, era abitato dal trentatreenne nobile vivente Luca Messina, uno dei figli ed eredi di Salvatore Messina, dalla moglie ventitreenne Antonia Mirielli, e dai loro figli Salvatore di tre anni e Francesco Saverio di due. Nello stesso palazzo avevano dimora anche i fratelli di Luca, cioè il sacerdote Giuseppe di 27 anni, lo scolaro Francesco di 21 anni, ed il novizio dell’ordine certosino Gio. Domenico Messina. Sempre dal catasto veniamo a conoscenza che Luca Messina abitava in casa propria e conservava la chiusura di vigne nel luogo detto il Ponte.[xvii]
Poco prima della metà del Settecento l’area cominciò a mutare aspetto per la costruzione e l’espansione di alcuni vicini palazzi. Per tale motivo il palazzo dei Messina venne a confinare stretto mediante, con la casa portata in dote da Minerva Letterio al “mastro sartore” Francesco Maccarrone che, stretto mediante, confinava con il palazzo che stava costruendo il mercante Antonio Grasso. Quest’ultimo aveva sposato Rosolia Cavaliere ed aveva cominciato ad allargare la sua dimora al largo del castello, acquisendo alcune piccole casette vicine.[xviii]
Gli eredi di Luca Messina
Nel 1758 viveva ancora il sacerdote secolare Epifanio Messina, mentre per morte di Luca Messina i beni, cioè il palazzo e la vigna, erano passati alla vedova ed ai suoi figli. Il palazzo, come anche la vigna, appartenenti a Epifanio ed ai figli ed eredi di Luca Messina, erano ancora gravati dal vecchio censo annuo di ducati 15 e grana 60, dovuti al capitolo.[xix] Sempre in tali anni la case dei figli ed eredi di Salvatore Messina confinavano, stretto mediante, con la casa dotale di Minerva Letterio, vedova di Francesco Maccarrone,[xx] e con il palazzo ed alcune casette di Antonio Grasso che erano presso il largo del castello.[xxi]
Nel 1768 venivano rogati alcuni atti presso il notaio di Crotone Nicola Rotella tra Giuseppe Grasso da una parte, e dall’altra il sacerdote Epifanio Messina, erede del padre Luca, il nipote Francesco Messina, erede del padre Salvatore, e Antonia Mirielli, vedova di Luca Messina; quest’ultima con i figli Anna, il suddiacono Salvatore e Saverio.
Il Grasso, che vuole inglobare nel suo palazzo, elevandole, alcune sue casette, si accorda con i vicini: gli eredi Messina. Quest’ultimi sono proprietari, per le loro rispettive porzioni, del vicino palazzo, situato in parrocchia di Santa Veneranda e Anastasia, confinante con le case dell’eredi del fu Gaspare Cavaliere e “di rimpetto alli regi muri, e d’un lato di rimpetto al palazzo del signor Giuseppe Grasso”. Poiché tra il palazzo dei Messina ed il palazzo del Grasso “li tramezza un spiazzo con alcune casette di esso Sig. Grasso”, volendo il Grasso fabbricare nello spiazzo e riedificare le sue casette, elevarle e poi unirle al suo palazzo, “in eguale altezza del medesimo, o più a sua disposizione”, ciò recherebbe pregiudizio al palazzo dei Messina, “occupandoli il lume ed aria d’una finestra e d’un balcone di ferro”. Per tale motivo egli chiede la cessione di questa servitù ai vicini.
I Messina acconsentono alle richieste del Grasso, anche perché costui si è dimostrato in varie occasioni loro benefattore. Essi gli cedono perciò la servitù richiesta, con alcune condizioni, e cioè di lasciare “libera la fenestra del portone, seu loggia, e tirare le fabriche a dirittura della medesima fino al cantone di quella … e lasciare quel vicolo della larghezza, che si attrova, ed anche della stessa larghezza lasciare il vicolo alle fabriche di detto spiazzo faciende”, ed acconsentono “anco che con dette nuove fabriche faciende si venisse al loro palazzo impedire in qualunque modo, o maniera la veduta di mare, monti, o altro, o impedire il lume alla fenestra e balcone di sopra descritti, e di farci quelle fenestre che li piacerà, anco che non ci fusse la dovuta distanza dalla Legge prescritta, dovendovi lasciare quel vicolo della larghezza, che si attrova, ed anche della stessa larghezza lasciare il vicolo alle fabbriche di d.o spazio faciende, e non più del medesimo”.
Il Grasso potrà così costruire come vorrà ed impedire la veduta del mare e dei monti e fare quelle finestre che gli piacerà, il tutto però dopo aver sborsato ducati 40 al sacerdote secolare Epifanio Messina ed a Giuseppe, figlio ed erede di Luca, ed altri ducati 70 alla vedova Antonia Mirielli, vedova di Luca Messina, ed ai suoi figli Anna, il suddiacono Salvatore e Saverio.[xxii]
Dai Messina ai Lucifero
Sui beni dei Messina gravava ancora il vecchio censo dovuto al capitolo per il capitale di ducati 260 concessi fin dal 1732, anche se il tasso era sceso dal sei al cinque per cento. In seguito, il censo passerà assieme alla vigna a Raffaele Suriano.[xxiii]
Dal catasto onciario di Cotrone del 1793 risulta che il venticinquenne nobile vivente Vincenzo Messina abitava nel suo palazzo, del quale ne locava due quarti. Dava in fitto anche una casa con una casetta attaccata situata in parrocchia di Santa Veneranda e confinante con la casa di Giuseppe Cavaliere. Possedeva inoltre un’altra casa, comprata dal fu Carmine Montefusco.[xxiv]
Nella prima metà dell’Ottocento il palazzo dei Messina passò ai Lucifero. Alla metà di quel secolo il palazzo con tale nome si affaccia alle mura della città tra il palazzo Zurlo Soda e quello detto di Cosentino, vicino alla porta del castello (1868). Esso risulta la dimora del marchese Antonio Lucifero (1830-1899), figlio di Alfonso, il quale sposò Teresa Capocchiani e fu tra l’altro, ispettore degli scavi di antichità (1881). Ad Antonio seguì il figlio Armando (1855-1933), che lo abitò in via Risorgimento.
Note
[i] All’inizio del Settecento la casa apparteneva a Lucrezia Messina, nel 1720 era di Diego Massa. AVC, Acta Sanctae Visitationis ab Ill.mo ac R.mo D.no Episcopo D. Marco Rama Ordinis Eremit.rum S.ti Augustini, A. D. 1699 confectae, 146v. AVC, Anselmus de la Pena, Visita, 1720, 39v.
[ii] Russo F., Regesto, IX, 49664a.
[iii] ASCZ, Busta 333, anno 1672, f. 25v.
[iv] Il 25 ottobre 1655 il sacerdote Gio, Francesco Mazzulla istituiva un monte di maritaggi a favore dei discendenti sia di linea maschile che femminile del padre Marcello Mazzulla. Il monte aveva il compito di dotare una ragazza, o aiutare negli studi un ragazzo, discendente dalle famiglie Mazzulla e Messina. Il ministro del monte doveva essere il rettore del beneficio di San Michele Arcangelo dei Mazzulla in cattedrale. ASCZ, Busta 229, anno 1655, ff. 182-185. AVC, Acta Sanctae Visitationis ab Ill.mo ac R.mo D.no Episcopo D. Marco Rama Ordinis Eremit.rum S.ti Augustini, A. D. 1699 confectae, ff. 37v-38, 63.
[v] Nel gennaio 1713 il canonico Raimondo Torromino è economo del monte de maritaggi della famiglia Mazzulla per decreto della curia capitolare. ASCZ, Busta 611, anno 1713, f. 5.
[vi] Nel 1756 il sacerdote Epifanio Messina è ancora rettore del Monte di maritaggi Mazzulla e del beneficio di S. Michele Arcangelo della famiglia Mazzulla. ASCZ, Busta 1267, anno 1756, f. 10. Nel 1777 è rettore del monte il sacerdote Giacinto Messina. AVC, Nota delle Chiese e Luoghi pii Ecclesiastici e secolari esistenti nel distretto della giurisdizione del Regio Governatore della città di Cotrone, 1777.
[vii] AVC, Anselmus de la Pena, Visita, 1720, 73.
[viii] Il 13 giugno 1715 Salvatore Messina compera dal parroco Michele La Piccola, una vigna con due vignali per ducati 710. La somma fu versata in parte, per la rimanente il Messina si impegnò a pagare un annuo censo di ducati 16 e grana 72 su un capitale di ducati 277. ASCZ, Busta 659, anno 1715, ff. 43-45.
[ix] ASCZ, Busta 659, anno 1717, f. 56.
[x] La sorella del canonico Domenico Messina, Maria Messina, aveva sposato Luciano Mazzulla. ASCZ, Busta 612, anno 1717, f. 74.
[xi] Il 16 settembre 1716 Elisabetta Biondo ed il fratello Andrea, figli ed eredi di Isabella Corea, vendono una casa situata in parrocchia di Santa Veneranda al canonico Domenico Messina. ASCZ, Busta 612, anno 1716, f. 132.
[xii] Nel 1721 Anna Suriano compra da Salvatore Messina la vigna, il vignale, giardino, fossi, chiusura e torre, nel luogo detto il Ponte d’Acqua per ducati 1033. ASCZ, Busta 661, anno 1721, f. 84.
[xiii] Domenico Suriano dichiara che il giardino e vigne, comprati da Salvatore Messina dal parroco La Piccola, sono di proprietà del solo Salvatore Messina, anche se a suo nome furono fatti in dette vigne e giardino “avanzi con piante di vigne, alberi, e fabriche nella torre, che trovavasi principiata”. ASCZ, Busta 666, anno 1721, ff. 37-38.
[xiv] ASCZ, Busta 664, anno 1732, ff. 90-92.
[xv] AVC, Platea del Capitolo, 1743, f. 4v.
[xvi] Felice Cavaliero compra da Ippolita Massa, moglie di Pietro Asturelli, una casa palaziata in parrocchia di Santa Veneranda e Anastasia, confinante con quella dei figli ed eredi di Salvatore Messina e dall’altra, la casa di Domenica Coronea. La casa consisteva in una camera superiore divisa in due con parete di tavole in mezzo, ed un basso anche diviso in due con muretto di mattoni, scala con cinque scaloni di pietra e gli altri scaloni di tavole, ed un portone di cantoni. ASCZ, Busta 911, anno 1742, f. 166.
[xvii] ASN, Cam. Som., Catasto Onciario Cotrone, 1743, vol. 6955, f. 149.
[xviii] ASN, Cam. Som., Catasto Onciario Cotrone, 1743, vol. 6955, f. 34. ASCZ, Busta 854, anno 1746, f. 46.
[xix] AVC, Platea Capitolo 1758/1759, f. 10.
[xx] AVC, Platea Capitolo 1758/1759, f. 24.
[xxi] Minerva Letterio, vedova di Francesco Maccarrone, possedeva una casa dotale sita e posta vicino al largo del castello in parrocchia di Santa Veneranda. La casa era attaccata alla casa della sorella, la fu Fiore Letterio, ora dotale d’Isabella Riccio, figlia d’essa Fiore e moglie di Francesco Gerace. Confinava ancora, stretto mediante, con le case di Antonio Grasso d’una parte e dall’altra, sempre stretto mediante, con quelle dei figli ed eredi del fu Salvatore de Messina. ASCZ, Busta 853, anno 1754, f. 229.
[xxii] ASCZ, Busta 1129, anno 1768, ff. 180-186.
[xxiii] Il capitolo nel 1793 esigeva sopra la vigna che fu dei fratelli qm Saverio e Francesco de Messina, oggi del qm Raffaele Suriano, per capitale di ducati 260, annui ducati 13. AVC, Catasto Onciario, Cotrone 1793, f. 249.
[xxiv] AVC, Catasto Onciario Cotrone, 1793, f. 134.
Creato il 6 Marzo 2015. Ultima modifica: 24 Ottobre 2022.