Il palazzo Barracco di Crotone
“Una strada in salita assai larga e praticabile alle vetture, circonda il fianco sud della collina e conduce alla cittadella, la quale occupa il punto culminante. Qui sono le principali abitazioni della nobiltà; e vi s’incontra una piccola chiesa … poi il sontuoso palazzo di marmo del barone Barracco, col suo giardino”.[i]
Dai Nola Molise alle clarisse
Il 5 marzo 1622, Gio. Battista di Nola de Molise stipula un atto presso il notaio Gio. Antonio Protentino. Egli, anche a nome del fratello il dottore Geronimo, che però è assente e dovrà ratificare, dichiara di possedere una casa palaziata in parrocchia del SS.mo Salvatore, “confinante da una parte, con le case di Isabella Mangione, figlia ed erede di Dianora de Nola, e dall’altra parte, le case terranee dello stesso Gio. Battista, il cortile detto di Nola e vie pubbliche. La casa palaziata consiste in due camere, con appartamenti inferiori e superiori e medi”.
Gio. Battista di Nola abiterà in una “continenza di case nella parocchia del SS. Salvatore avanti il regio castello via mediante la chiesa del SS.mo Salvatore”. Le case dette “di Nola” passeranno in proprietà al monastero di Santa Chiara. Infatti, il 23 giugno 1656 il Nola Molise faceva testamento in Napoli per mano del notaio Giovanni de Simone. Egli istituì erede universale e particolare la chiesa di San Francesco Saverio di Palazzo della Compagnia di Gesù, sopra tutti i suoi beni mobili e stabili, eccettuati però i “beni stabili ed annue rendite esistentino nella città di Cotrone, e suoi convicini”, che nell’istesso giorno con altro atto, egli aveva donato al monastero di Santa Chiara di Crotone. Per maggiore chiarezza Giovan Battista di Nola Molise confermò nuovamente la donazione al monastero di Santa Chiara nel suo testamento.[ii] Alla fine del Seicento sono così descritte: “Una continenza di case nella parocchia del SS.mo Salvatore avanti il R.o Castello via mediante la chiesa del SS.mo Salvatore furno del q.m Gio. Batt.a di Nola”. Le case sono gravate di annui carlini quindici, che le clarisse devono pagare all’arcipretura, e di annui ducati tre al canonicato di S. Paolo. Le clarisse le daranno in fitto a diverse persone (Michele Picciuto, Alonso Madonna, Anna Stricagnolo, Massenza di Fano, Anna Librandis, Catarina Squillace, Domenico Liotta, Eliseo di Falco), ricavandoci una cinquantina di ducati all’anno.[iii]
Dalle clarisse ai Farina
Nel settembre 1738 le clarisse, essendo badessa Eufrasia Presterà e vicaria Anna Aragona, fanno presente alla Sacra Congregazione ed al vescovo di Crotone Gaetano Costa, che le case dette di Nola per essere antichissime, sono talmente deteriorate e malridotte che minacciano rovina, e chiedono perciò di venderle, impiegando il denaro nell’acquisto di un altro immobile: “Trovandosi il sudetto comprensorio di case distrutto dal tempo di maniera che molte d’esse minacciano una evidente rovina e non avendo esso venerabile monastero denaro contante, ò altri effetti da poterle riparare colla spesa di sopra docati quattro cento, che secondo il parere degl’esperti sono necessarissimi spendersi presentemente, per riparare le rovine, oltre le spese maggiori che vi vorrebbero in appresso”. Ottenuto il permesso, il 28 ottobre 1738 per atto del notaio Antonio Asturi, le clarisse vendono per ducati 1100 le case di Nola a Domenico Aniello Farina, un mercante di grano originario di Nocera dei Pagani, che è anche “regio cassiero del regio fundaco e dogana” di Crotone.[iv]
Nell’atto di acquisto le case sono così descritte: “una pertinenza di case sita e posta entro questa sudetta Città nella parrocchia del SS.mo Salvatore, nel luogo detto il Largo del Castello, consistente detto comprensorio in più e diverse case e casette tutte unite, che formano un casamento grande, isolato, senza confinanza di mura d’altre case, ma tutte connesse e concatenate l’una coll’altra, confine dalla parte di tramontana la strada e chiesa d’essa venerabile Parocchia, via mediante, dall’altra parte di levante confine colla muraglia della Città e prospettiva del castello, ampla strada mediante. Dalla parte di mezzogiorno con il largo e veduta del detto castello e dalla parte di ponente con le case furono del q.m Rever.do D. Carlo Bonelli, oggi del Pio Monte de’ Morti di questa già detta Città, via mediante, volgarmente detto il comprensorio sudetto: Le case di Nola”.
Dall’atto risulta che il comprensorio di Case è “solamente ippotecato et obligato alla servitù d’annui docati sei enfiteutici perpetui”, cioè carlini trenta dovuti al canonicato di San Paolo, carlini 15 al convento di S. Francesco di Paola, e carlini 15 all’arcipretura della cattedrale. È inoltre stabilito “che il piggione di detto comprensorio di case ut s.a vendute a detto Sig. Farina, che al presente si ritrovano affittate debba correre dalli tredici del prossimo passato mese di settembre anno corrente mille settecento trenta otto intieramente à beneficio di esso Sig. Domenico Aniello Farina”.[v]
Ben presto il Farina aumenta il suo potere economico. Il 16 gennaio 1740 il suo procuratore in Napoli Pio Schiavone, prende in fitto per sei anni, ad iniziare dal primo maggio dello stesso anno, da Francesco Antonio Vitale, l’ufficio di regio vicesecreto del regio fondaco e dogana di Crotone.[vi] In questi anni, assieme a Francesco Gallucci ed a Pietro Asturelli, egli ottiene un vignale a canone perpetuo, che appartiene al beneficio dell’Immacolata Concezione, sul quale costruirà quattro magazzini, trasformando il casamento in palazzo, com’è già è documentato nel 1743/1744: “pal(azzo) di don Anello Farina vicino alla parrocchial chiesa del SS.mo Salvatore”.[vii]
Dal Catasto Onciario del 1743 sappiamo che Domenico Anello Farina, cittadino nobile vivente di anni 34, abita con la moglie Laura Asturi di anni 30, con i figli Francesco Antonio di anni 3 e Giuseppe Antonio di anni uno, e con le figlie Maria Angela di anni 6, e Liboria di anni 5. Vi sono inoltre le serve Vittoria Federico di anni 3, e Elisabetta Agresta di anni 23, i due servi Francesco Califato di anni 45 e Gio. di Renzo napolitano di anni 35, ed il fattore di campagna Francesco Antonio Matranga di anni 42.
Il Farina abita in casa propria in parrocchia di S. Salvatore, ed “esercita la mercatura comprando grani e formaggi per conto dei mercadanti della Città di Napoli”. Egli inoltre loca alcune abitazioni in detta sua casa. Possiede una chiusa in località Gazzaniti e due magazzini per uso di conserva di grani, costruiti di recente in località Le Forche.
Ha numeroso bestiame: Bovi aratori n.28, vacche d’armento n. 16, somari n. 18, bovi vecchi detti mazzoni n. 2, giovenchi n. 2, cavalli per uso sella n. 2, mule n. 2 e una somara.[viii]
Morto Domenico Aniello Farina, nel 1753 il palazzo è abitato dai suoi figli ed eredi, risultando isolato da tutti e quattro i lati, e vicino alla casa dei Monteleone. Nel marzo di quell’anno, termina con un accordo tra le parti, una lunga lite che vede fronteggiarsi da una parte, Crescenzo Farina, Antonio Asturi e Pietro Asturelli, in quanto curatori dei figli ed eredi di Domenico Aniello Farina e, dall’altra, i fratelli Monteleone. L’oggetto della contesa riguardava il fatto che dopo che il Farina aveva costruito il suo palazzo, anche i fratelli Monteleone avevano “già posto in opera la modernizzazione della loro casa in atto che voleano renderla perfezionata”. Il Farina, tuttavia, si era opposto “allegando molti capi d’impedimenti”, non accettati dai Monteleone.
Dopo una lunga e costosa lite senza esito, i contendenti, per risparmiare le spese ed i rancori, raggiunsero tramite i loro avvocati un accordo, che prevedeva che i Monteleone “potessero alzare la di loro casa e che detta altezza per l’olivello del canale di detta loro casa, che sporge alla strada, tra la casa sudetta e quella d’essi Farina non avanzasse più di un vitro e mezo delle due vitriate della casa d’esso di Farina e proprio quelle che affacciano alla riferita casa di detti di Monteleone, come ancora possano detti Monteleone fabricare detta loro casa con girarla di fabriche ma che queste non avanzassero le misure che porta l’olivello per non rendere altro preggiudizio, inoltre possano detti Monteleone fare in detta loro casa le quinte necessarie per uscire l’acqua, però non possano appartarsi dalle misure per quello commodamente necessitano per tal causa”. Per vigilare sull’osservanza di quanto concordato, i curatori dei Farina imposero il mastro Gerolamo Asturi, il quale doveva seguire i lavori.[ix]
Succede nell’eredità del palazzo il figlio di Domenico Aniello, il barone Francescantonio Farina, il quale ne risulta proprietario per tutto il resto del Settecento. Oltre al palazzo, del quale “loca il quarto di basso”, il Farina, “del secondo ordine e pubblico negoziante”, possiede numerose altre proprietà, tra le quali un giardino in località la Ritondella, le terre dette l’Olivella, l’Oretta e Pirajno, il vignale la Saccara, le gabelle Merdotta e la Mendolicchia, un mulino, quattro magazzini in località le Forche, un ingente capitale dato in prestito e “applicato a negozio”, e numeroso bestiame. Paga ancora un censo di ducati sei annui all’arciprete sopra il palazzo, e carlini quindici al soppresso convento di San Francesco di Paola.[x]
Dai Farina ai Barracco
“La chiesa (del SS.mo Salvatore) è isolata da tutti i lati … confina a oriente, ove tiene altra porta, strada dirimpetto il palazzo Farina …”.[xi] Il barone Farina, primo mercante di Crotone a dire del Galanti, durante i moti del 1799 rimase fedele al re. Dal 25 marzo al 4 aprile 1799, egli ospitò nel suo palazzo il cardinale Ruffo, e fu incaricato di riscuotere le cauzioni versate dai rei di stato del Crotonese.[xii] Nell’agosto di quell’anno ottenne dal regio tesoriere di Calabria Ultra, il barone Luca Vincenzo di Francia, l’incarico di “poter dissimpegnare le funzioni, introiti, e frutti di questo porto consistenti del nuovo dazio dell’ancoraggio e lanternaggio spettanti alla regia corte e per essa alla real tesoreria”. Per svolgere questo incarico, il Farina ebbe uno stipendio di ducati 16 al mese. Egli doveva anche adempiere alle spese ed ai pagamenti che erano a carico della tesoreria, tra questi quello dei militari e dei cavallari.[xiii]
Nel gennaio dell’anno dopo (1800), gli eredi di Carlo Marra vendono per ducati nove “l’aere del vignano” della loro casa, “consistente in una camera superiore, e suo basso osia catojo con vignano, e scala di pietra dalla parte di fuori scoperti”. La casa dei Marra è situata “poco distante dalla chiesa parrocchiale del SS.mo Salvatore, e molto vicina al palazzo del Farina, e proprio nella punta del luogo chiamato il Fosso. L’accordo ha lo scopo di preservare al palazzo la vista del mare e dei monti, infatti, i Marra si impegnano “a non aggiungere, o alzare fabrica veruna in detto vignano”.[xiv]
È dell’inizio dell’Ottocento il passaggio del palazzo dal Farina al barone Alfonso Barracco. Il Barracco è già presente in Città alla fine del Settecento. È del 23 gennaio 1800, un atto con il quale egli si impegna a consegnare ai fratelli De Riso ed ai Bianco di Catanzaro, 1700 tomoli di grano del raccolto del 1799, che perverrà dalla sua massaria. Il grano dovrà essere consegnato dal catanzarese Antonio Casaburi, abitante in Crotone, che svolge la carica “di regio uditore ed assessore politico e militare di questa real piazza di Cotrone ed amministratore dei beni di Alfonso Barracco, per parte del regio fisco”.[xv] Il palazzo passerà da Alfonso Baracco al figlio Luigi, con tutti i suoi pesi.[xvi]
Il barone Luigi Barracco, figlio di Alfonso e di Emanuela Vercillo, e sposato con l’aristocratica crotonese Chiara Lucifero, nel 1828 attua una permuta con una casa in parrocchia del SS. Salvatore, il cui atto è stipulato nel 1839, per ricostruire ed ampliare il suo palazzo: “18.12.1839, Decreto col quale accordasi il real beneplacito per la permuta stabilita fin dal 1828 di una casa della chiesa parrocchiale del SS.mo Salvatore in Cotrone con due casette del barone Luigi Barracco”.[xvii] Sempre nel novembre del 1828 è l’indulto per un oratorio privato a favore dei fratelli Alfonso, Stanislao, Francesco, Domenico e Maurizio, dei baroni Barracco, e delle sorelle Carolina, Emanuela ed Eleonora. Proseguendo nel suo progetto, dopo il terremoto dell’otto marzo 1832, il 12 marzo 1833, nonostante l’opposizione del vescovo Leonardo Todisco Grande, un real decreto ordina la demolizione della chiesa del SS.mo Salvatore resa esecutiva l’otto agosto 1834. Ormai la via è spianata.
Sempre in questi anni (1833), il Barracco ospitò nel suo palazzo il nuovo re Ferdinando II di Borbone, in visita alle province del regno. Nel 1834 Alfonso, primogenito di Luigi. al quale succederà dopo la di lui morte avvenuta nel 1849, si unì con Emilia Caraffa, ponendo le premesse per il trasferimento dei Barracco nella nuova residenza napoletana (nel 1848 Stanislao Barracco, fratello di Alfonso, era eletto nel Parlamento napoletano per il distretto di Crotone). Dopo l’Unificazione, alla quale il barone Alfonso Barracco contribuì con una somma di 10.000 ducati a favore dell’impresa garibaldina, i Baracco si trasferirono a Roma. Nel frattempo, il grande palazzo di Crotone andava incontro a lenta ma costante rovina, a causa della presenza ormai rara dei suoi proprietari.
L’anno dopo il Plebiscito del 21/10/1860, che sanzionò l’Unificazione, il barone Giovanni Barracco era eletto nel collegio di Crotone. Il barone sarà eletto nel collegio di Crotone anche nel 1874 e nel 1880, scontrandosi più volte, prima col democratico Gaetano Cosentino – il quale tuttavia riuscirà ad avere la meglio sul barone nel 1867, nel 1870 e nel 1876 – e poi sconfiggendo dopo una contestazione, nelle elezioni politiche del 1880, Raffaele Lucente.
Situato in posizione dominante, dal palazzo si può godere una veduta generale e spaziosa della città, del mare, della campagna e dei monti.
Affacciante su piazza Castello, esso è collegato alla città da numerose strade: vi passavano le strade: da Sculco a Barracco in piazza castello; da Cosentini a Barracco a Giunti; dalla chiesa del SS. Salvatore a Barracco a Capocchiani (1868).[xviii] Nel 1919 troviamo che è abitato dal barone Enrico Barracco, figlio ed erede di Alfonso, sposato con Maria Doria, e dagli eredi di Roberto Barracco. Così alla fine dell’Ottocento Francesco Lenormant descriverà il barone Barracco: “Uno dei nobili di Crotone, il barone Barracco, passa pel più ricco proprietario fondiario di tutta Italia; io non ardisco qui di manifestare il numero dei milioni, con cui la voce pubblica valuta la sua fortuna”.[xix]
Note
[i] Lenormant F., La Magna Grecia, Frama Sud 1976, Vol. II, p. 179.
[ii] ASCZ, Riassunz.ne degl’istrumenti scritti in carta comune, che si appartenevano al monast.ro di Donne Moniche di S. Chiara della Città di Cotrone 1789, b. 383/20.
[iii] AVC, Acta Sanctae Visitationis ab Ill.mo ac R.mo D.no Episcopo D. Marco Rama Ordinis Eremit.rum S.ti Augustini, A. D. 1699 confectae, ff. 127v-129.
[iv] ASCZ, Busta 665, anno 1736, f. 47.
[v] ASCZ, Busta 911, anno 1738, ff. 23-30.
[vi] ASCZ, Busta 911, anno 1740, f. 18.
[vii] ASCZ, Busta 912, anno 1744, f. 62.
[viii] ASN, Cam. Som., Catasto Onciario Cotrone, 1743, vol. 6955, f. 66.
[ix] ASCZ, Busta 1266, anno 1753, ff. 101-103.
[x] AVC, Catasto Onciario Cotrone, 1793, f. 62.
[xi] Spogli degli apprezzi de’ fondi di luoghi pii di Cotrone, 1790.
[xii] Cingari G., Giacobini e Sanfedisti in Calabria nel 1799, 1957, p. 267.
[xiii] ASCZ, Busta 1347, anno 1799, ff. 41v-46.
[xiv] ASCZ, Busta 1347, anno 1800, ff. 1v-4r.
[xv] ASCZ, Busta 1347, anno 1800, ff. 4-12.
[xvi] Francesco Antonio Farina oggi D. Luigi barone Barracco paga al seminario un annuo censo 1:20 sopra il palazzo come per istrumento del notaio Nicola Partale del 17 dicembre 1799.
[xvii] Valente G., La Calabria nella Legislazione Borbonica, Chiaravalle Centrale, 1977, p. 326.
[xviii] Pesavento A., La città senza storia. Sviluppo urbano e nuova immagine della città di Crotone (1860-1900). Documento riportato integralmente in appendice.
[xix] Lenormant F., La Magna Grecia, Frama Sud 1976, Vol. II, p. 179.
Creato il 4 Marzo 2015. Ultima modifica: 14 Novembre 2022.
Complimenti per l’accurato lavoro svolto, basilare per chi si interessa alla ricerca storica e non solo. Non so se è possibile sfruttare la pagina per chiedere alcune delucidazioni, io ci provo:
1. Tutti i documenti riportati con le diciture tipo (ANC. 912, 1744, 62), (Catasto, 1793, f. 62) e (1347, 1800, 4 – 12) sono conservati presso l’Archivio storico del comune di Crotone?
2. In riferimento a Palazzo Barracco il “disegno antico” pubblicato dove viene conservato? Di che hanno è? In quale circostanza è stato elaborato?
3. Le case che il reverendo Jo.es Jacobus Syllano nel 1668 affermava di possedere in parrocchia di Santa Maria de Prothospatariis, presso largo Sant’Angelo, sono riconducibili all’attuale palazzo Fonte – Vatrella?
Mi scuso per le domande e complimenti ancora per l’impressionante lavoro.
Gent.le Angelica Tufaro, la ringrazio per i suoi complimenti. La sigla ANC si riferisce all’Archivio di Stato di Catanzaro, mentre il catasto del 1793 si trova all’Archivio di Stato di Napoli. Noi possediamo in copia questi documenti. Per quanto riguarda le sue domande circa il disegno del palazzo Barracco ed altro, può telefonare ad Andrea Pesavento che ha scritto questo lavoro, allo 0962.963378 in orario pasti. Saluti, Pino Rende
Grazie mille per la cortese risposta.
Buongiorno!
Chiedo scusa se la di sturbo, ma un nuovo dubbio mi assale:
gli atti che presentano la dicitura AVC e La Platea della Mensa Vescovile di Crotone sono sempre conservati presso l’Archivio di Stato di Catanzaro?
Con la dicitura AVC indichiamo l’Archivio Vescovile di Crotone. Le platee del Cinquecento della Mensa Vescovile di Crotone sono all’Archivio di Stato di Napoli. Saluti Pino Rende.
Grazie mille per la cortese e utile risposta.
Saluti Angelica Tufaro.