Il convento dei Domenicani di Crotone, la confraternita del SS. Rosario e la cappella del SS. Rosario in cattedrale
Il convento fuori le mura
Il convento dei domenicani di Crotone è di antica fondazione. Esso era già esistente alla metà del Quattrocento. Allora era situato fuori le mura della città accanto ad un bordello ed esposto alle minacce dei banditi e dei pirati. Per questo motivo Pio II nel 1458, accogliendo una richiesta fatta dal clero, dal popolo e dall’ordine provinciale dei domenicani, ordinò con un breve all’arcivescovo di Santa Severina, Simone Biondo, di intervenire per trasferire i frati da quel luogo nel monastero delle clarisse di patronato dei nobili di Crotone, che era rimasto vuoto e che si trovava all’interno delle mura. Il trasferimento sarebbe dovuto avvenire previo il consenso dei patroni del monastero e con la soppressione del titolo abbaziale e dell’ordine di Santa Chiara, inoltre ai domenicani si sarebbe dovuto concedere la chiesa ed il convento con le sue entrate, chiesa che avrebbe assunto il titolo di San Vincenzo.[i]
Il trasferimento tuttavia non avvenne. Sempre sul finire del Quattrocento i domenicani ampliarono le loro proprietà. Nel 1494, per concessione dei canonici di San Giovanni in Laterano, essi acquisirono la chiesa di San Marco, situata fuori le mura della città, con tutte le sue rendite e diritti. Da tale data il convento domenicano di Crotone godette la protezione del Capitolo e dei canonici di San Giovanni in Laterano, a cui versarono ogni anno nove paoli.
Con l’arrivo degli Spagnoli e l’intensificarsi delle incursioni turchesche, essendo il loro convento ancora situato fuori le mura in un luogo solitario, ottennero nel 1519 una concessione regia per Fernando del Arcon, regio consigliere e capitano d’armi nelle province di Calabria, che permetteva loro di poter fondare un convento dentro le mura della città.[ii] I domenicani, tuttavia, rimasero ancora nel loro antico convento con chiesa di Santa Maria delle Grazie. Nella chiesa situata fuori le mura, sulla via che dalla città conduceva a capo delle Colonne, nel maggio 1520 trovarono riparo per un improvviso e violento temporale i pellegrini che si recavano a Capo delle Colonne per chiedere la grazia della pioggia.[iii]
Per tutto il Cinquecento il convento continuò la sua normale vita comunitaria e religiosa, come si rileva da alcuni documenti.[iv] Al suo interno prese sede la confraternita del SS.mo Rosario.[v] Sempre durante il Cinquecento e precisamente nel 1558, la casa sarà accettata come convento. Nella seconda metà del Cinquecento si susseguono le donazioni ed i legati. Lelio Lucifero prima di partire per Napoli fa dono di un paio di buoi.[vi] Sempre in questo periodo il monastero tramite il prestito di piccoli capitali cominciò a gravare case e vigne[vii] dei cittadini, ricavando censi annui in denaro ed in grano.[viii] Capitali, case e terre che provengono da legati, da donazioni e dalla celebrazione di messe in suffragio.[ix] I fondi vengono dati in fitto a semina o a pascolo, con pagamento in grano o in denaro, mentre il denaro viene concesso in prestito al tasso annuo tra l’otto e il dieci per cento. Traggono beneficio dei terreni e del denaro del convento soprattutto il ceto nobiliare/ecclesiastico della città[x] che subaffittano i terreni ai coloni, ai quali anticipano con contratti capestro, anche i semi ed il denaro occorrente per poter coltivare.
Il convento dei Domenicani rimase fuori le mura della città per tutta la seconda metà del Cinquecento e per i primi decenni del Seicento, infatti al tempo del vescovo Thomas de Montibus (1599-1608), a Crotone vi erano sei conventi; di questi due, quello dei minori conventuali e delle clarisse, erano dentro le mura e quattro, i rimanenti, dei domenicani, dei minori dell’osservanza, dei minimi e dei carmelitani, fuori.[xi]
Il convento sul “Cavaliero”
Situato fuori mura, vicino al convento degli Osservanti e quello dei Carmelitani, il convento ben presto divenne preda dei pirati. Saccheggiato una prima volta nel 1633, i frati lo abbandonarono e ne costruirono uno nuovo dentro le mura della città. All’inizio dell’anno dopo il nuovo convento è quasi terminato, infatti i domenicani, avendo bisogno di denaro, sono costretti a vendere un casaleno “diruto”, situato in parrocchia di Santa Vennera, per poter completare la nuova costruzione, “essendo il loro convento pigliato da turchi et quello disfatto di manera che è reso inhabitabile, tanto più per esser lontano dalla città da un miglio incirca et posto nel lido del mare, sono stati forzati entrarsene dentro la città dove hanno eretto un altro convento con la chiesa per poternoci habitare, così come s’è già incominciato a fabricare con molto loro spesa et dispendio”.[xii]
Passato il pericolo, dopo poco essi andarono nuovamente ad abitare nel vecchio convento fuori le mura; ma il 23 giugno 1638 ritornarono i Turchi, che lo devastarono assieme al vicino convento dei carmelitani ed entrambi furono dati alle fiamme: “le camere et scritture abbrugiate, et profanati, et tolti li vasi sacri. I sacerdoti fatti schiavi, et uno nomine fra Jacono Barba magiore ucciso nel medesimo convento, et il di più posto in ruina”. Dopo questo evento funesto, per concessione regia e con l’assenso della Sacra Congregazione, i frati decisero di ritornare nel loro convento in città; convento che era stato costruito dai domenicani su alcune case di loro proprietà, vicino alle mura ed era costituito da una chiesa sotto il titolo di San Domenico, che era lunga circa 40 palmi e larga 20.[xiii] Tutto il convento dentro la città sarà costituito dalla chiesa e da quattro case contigue, poste a filo e situate presso “il Cavaliero”, o bastione Don Pedro, in parrocchia di Santa Veneranda.[xiv]
Perciò nei primi anni del vescovato di Giovanni Pastor (1638-1662) dentro le mura della città vi erano il monastero delle clarisse, il convento dei minori conventuali, nella cui chiesa ha sede la confraternita dell’Immacolata Concezione, ed il convento dei predicatori, nella cui chiesa c’è la confraternita del SS.mo Rosario. Fuori le mura rimanevano i quattro conventi: dei minori dell’osservanza, dei carmelitani, nel quale c’era la confraternita della Beata Maria de Monte Carmelo, dei minimi di San Francesco di Paola e dei cappuccini.[xv] I domenicani rimasero nel convento presso il Cavaliero per circa dieci anni. Durante tale periodo si dedicarono allo “augmento di salute dell’anime di fideli, predicando, et insegnando la parola d’Iddio a Popoli d’essa città”.
I domenicani ritornano fuori le mura
Continuava in questo periodo ad aver sede presso la nuova chiesa la confraternita del Rosario, ma venuto come vicario il frate Giovan Battista Corso di Castelvetere “offeso per infermità nel intelletto, poco curando l’evidenti pericolo, l’utile, et salute dell’anime”, questi trasferì di nuovo i frati nell’antico convento presso la spiaggia, “con scommodo infinito, et evidenti pericolo d’essere da ladri saccheggiati o catturati da turchi”. Per poco, il 24 gennaio 1650 i ladri vi penetrarono e tolsero ogni suo avere e scassarono “tutte le cascie del deposito et di poveri frati”.
Dopo questo fatto rimasero nel convento solo il padre baccilero, fra Michele Bonello di Cotrone e un oblato, mentre i due frati locali, il sacerdote Francesco di Rogliano ed il converso Giovanni di Sinopoli se ne andarono. Una relazione del vicario Michele Bonello del 22 febbraio 1650, descrive la situazione dei domenicani di Crotone e dei loro conventi. Da essa veniamo a conoscenza che, nel convento all’interno delle mura, la confraternita aveva continuato a recitare il rosario, anche dopo che i frati erano ritornati al loro convento fuori mura, ma poi il vescovo Giovanni Pastor lo impedì.
Il convento fuori mura, dove i frati erano ritornati, era distante dalla città circa mille passi ed era situato in luogo disabitato, “fuori di bosco vicino la spiaggia del mare”. La chiesa era dedicata a Santa Maria della Grazia, aveva la navata lunga palmi 105 e larga 42 ed il coro in quadro di palmi 30. In essa v’erano due cappelle: quella del SS.mo Rosario era lunga palmi 21 e larga 19, l’altra era scoperchiata. L’edificio, costruito in calce ed arena, aveva il muro, dove s’apriva la porta maggiore, che minacciava rovina e la navata era scoperchiata, tanto che non si poteva celebrare. Il convento era circondato da un basso muretto e non aveva chiostro. Il dormitorio era composto da quattro celle “con parte superiore et inferiore”. Al suo interno vi era un largo dove era stato edificato un magazzino per conservare il grano, ma questo ed una cella erano detenuti dal vescovo. Il sigillo del convento era piccolissimo e rotondo rappresentava un albero.[xvi]
Nonostante la precarietà della situazione il 18 giugno 1651, il priore del monastero di Santa Maria della Grazia, “posto fuori le mura della città”, fra Michele Cotrone, si riunisce assieme ai confrati della confraternita del Rosario in cattedrale per eleggere i nuovi priori della confraternita.[xvii]
La soppressione
L’anno dopo, 1652, il convento, essendo povero e poco popolato, fu soppresso, assieme a quello dei carmelitani, da Innocenzo X. Al momento della soppressione esso possedeva alcuni fondi (alcuni vignali attaccati al convento, la gabella Santo Spirito ed un pezzo di terra a San Leonardo presso Le Castella), delle case e dei magazzini, ed esigeva diversi censi. Il tutto dava una rendita annua di circa 150 ducati, la maggior parte della quale proveniente dai censi (circa il 60%) e dall’affitto delle terre (35%), mentre il rimanente proveniva dall’affitto di case, di magazzini e dalle elemosine.[xviii]
Con la scomparsa del convento le sue rendite furono dapprima amministrate da un procuratore[xix] e, poiché vi erano alcuni legati pii per le anime dei defunti, furono incaricati dalla Sacra Congregazione alcuni sacerdoti a soddisfare l’obbligo delle messe. Così al suo arrivo il vescovo Geronimo Caraffa (1664-1683) troverà che gli oneri delle messe dei due conventi soppressi, che erano una decina alla settimana, si celebravano negli altari eretti dentro la cattedrale, dopo la citata soppressione. Le rendite, tuttavia, erano appena sufficienti per pagare i sacerdoti, che erano incaricati a celebrarle, e per la ordinaria manutenzione dell’apparato degli altari.
Ciò secondo il vescovo, era dovuto al fatto che i due conventi, prima di essere soppressi, avevano dovuto subire il saccheggio e l’incendio ad opera dei Turchi. Per tale circostanza andarono perduti oltre alle suppellettili anche i libri che contenevano il rendiconto delle entrate, delle rendite e dei crediti, che vantava il convento. Inoltre, la situazione economica si era col tempo aggravata per la complicità tra gli amministratori dei beni dei conventi soppressi ed i nobili, che ne beneficiavano. Tale fatto aveva permesso a quest’ultimi di evadere per più tempo i pagamenti.[xx]
Solamente con le censure ecclesiastiche il vescovo riuscì a recuperare alcuni capitali e beni, le cui rendite per mandato della Sacra Congregazione dovevano essere adoperate per la costruzione e l’erezione del seminario. Poiché esse erano così poche, che appena bastavano per la celebrazione delle messe, dopo dieci anni dalla soppressione dei due conventi, esso non era stato ancora eretto.[xxi] L’azione energica del Caraffa che cominciò a rivendicare ed ad investigare sulla scomparsa dei beni e delle rendite appartenenti al soppresso convento, costrinse alcuni di coloro, che dalla complicità e dalla sparizione delle carte avevano tratto beneficio, a venire allo scoperto.[xxii] Ciò permise al vescovo di erigere il seminario nel 1669, il quale potette utilizzare le rendite dei due conventi soppressi, come prescritto, ma con le stesse dovette però assolvere gli oneri dei soppressi conventi, che erano 13 messe alla settimana negli altari eretti in cattedrale, e lo stipendio di due maestri, uno di grammatica e uno di canto gregoriano, per i dieci alunni del seminario.[xxiii]
Tra i beni assegnati al seminario, cioè terreni, case, magazzini e numerosi censi,[xxiv] vi era anche ciò che restava dei due conventi dei domenicani e cioè “Un magazzeno nel cavaliere dov’era la chiesa de PP. Domenicani”, e quattro case confinanti tra loro e con il magazzino e “le terre e coste di Santa Maria delle Gratie”, dove sorgeva il convento fuori mura.[xxv]
La cappella del SS.mo Rosario in cattedrale
A ricordo del soppresso convento di Santa Maria delle Grazie rimase, oltre al toponimo che indica il luogo dove sorgeva il convento fuori mura, solo la cappella del SS.mo Rosario, eretta in cattedrale, come prescritto dalla sede apostolica.
Essendo stati i beni e le rendite del convento assegnate al seminario, assieme agli oneri per celebrazione delle messe, alla cappella non rimase nulla. Non possedendo alcun bene, essa si reggeva solo sulle elemosine dei devoti. Per questa sua precarietà economica spesso mancava di rettore. Il vescovo Marco Rama alla fine del Seicento la visitò, e trovandola priva di cappellano, nominò il rettore del seminario, Francesco Oppido, cappellano e rettore della cappella del SS.mo Rosario con il compito di provvederla del necessario.
A quel tempo la cappella era corredata da poche e consunte suppellettili: “sei tovaglie d’altare, ed una lacera, uno avantaltare d’asprolino verde con punte d’oro usato, uno avantaltare di tela pittata, sei candelieri, carta di gloria e crocefisso di legno inargentati, una avanticona di tela celendrata torchina, una cascia di meza tavola nova, un campanello di bronzo, un libro di miracoli del Rosario vecchio, abiti di confraternita numero quattro, uno stendardo di damasco rosso con l’immagine del SS.mo Rosario il crocifisso, il panno ed una cascia lunga.”[xxvi]
Il tentativo del vescovo tuttavia ebbe vita breve, perché al tempo del vescovo La Pena la cappella si trovava nuovamente senza cappellano.[xxvii] In essa aveva sede la confraternita omonima che; dopo la soppressione del convento, rimase anch’essa priva di mezzi. Poiché l’atto di fondazione era stato simultaneo, i confrati delle due confraternite raggiunsero un accordo che prevedeva che quella dei carmelitani nelle processioni, venisse dietro l’arciconfraternita del SS. Sacramento, precedendo quella dei domenicani, mentre il vessillo di quella dei domenicani doveva precedere quella dei carmelitani. I confrati del SS. Rosario indossavano un sacco di color bianco ed il priore portava un almuzio nero con verga e insegne. Essi festeggiavano il primo ottobre.[xxviii]
Nel 1777 la cappella sotto il titolo della Madonna del Rosario di natura ecclesiastica era curata dal canonico della cattedrale Vincenzo Smerz.[xxix] In seguito la cappella, come altri luoghi pii laicali, passò sotto amministrazione della Cassa Sacra, poi dal marchese di Fuscaldo fu assegnata al capitolo e clero della cattedrale.[xxx]
Note
[i] Taccone Gallucci D., Regesti dei romani pontefici per le chiese della Calabria, Roma 1902, pp. 240-241.
[ii] ASV, S. C. Stat. Regul. Relationes, 25, ff. 723-726.
[iii] Juzzolini P., Santuario di Maria SS. del Capo delle Colonne in Cotrone, Cotrone 1882, p. 21.
[iv] “Ad Fri Santo delo Abbati de Mosoraca sta in lo monasterio de S.ta Maria de la Gratia de Cotroni” (1543). ASN, Dip. Som. Fs. 196, n. 4 a 6.
[v] Per prima usciva la confraternita del SS.mo Carmine, poi quelle della SS.ma Pietà, della Nuntiata, di S.ta Catarina e quindi quella dello SS.mo Rosario (1659). AVC, Cart. 78.
[vi] “Adi 3 di maggio (15)86 se fa detto m.co Gio. Andrea (Puglise) esito di d.ti trenta, che come procuratore del venerabile monastero di Santa Maria dela gratia si ritenne per lo prezzo d’uno paro di bovi, dati a detta chiesa, d’ordine di detto qm Sr Lelio (Lucifero) a tempo partì da Cotroni per Napoli.” ASCZ, Busta 108, anno 1614, f. 203.
[vii] L. A. Villirillo eredita una vigna gravata da un censo annuo di ducati 5, dovuti al monastero soppresso di S.ta Maria della Grazia per capitale di ducati 50. ASCZ, Busta 253, anno 1670, f. 16.
[viii] Il 15 dicembre 1591 gli eredi di Scipione Berlingieri versano al monastero tomola 4 e mezzo di grano e tredici ducati e mezzo per un censo che devono. ASVZ, Busta 49, anno 1594, f. 224.
[ix] Gli eredi alla morte di Bernardina Susanna danno cinque carlini al monastero per la celebrazione di 10 messe in suffragio (ASCZ, Busta 49, anno 1594, f. 231). Fabio Pipino lascia per legato 100 ducati all’8 % sull’affitto dei “Pignatari” al convento, per la celebrazione di alcune messe (ASCZ, Busta 497, anno 1704, f. 36).
[x] Il 30 agosto 1630 il domenicano Geronimo Cutanda concede un prestito di ducati 150 all’otto per cento ai nobili Geronimo e Filippo della Motta Villegas, e al capitano Fulvio Leone. Il censo concesso alla morte del Cutanda passerà in beneficio del convento (ASCZ, Busta 312, anno 1666, f. 102). Francesco Presterà prende in prestito dal convento ducati 200 al 9 per cento, ipotecando i suoi beni. In seguito, il Presterà restituisce il denaro, che è dato in prestito a Detio Suriano sempre alle stesse condizioni (ASCZ, Busta 253, anno 1671, f. 75v).
[xi] ASV, Rel. Lim. Crotonen., 1606.
[xii] ASCZ, Busta 108, anno 1634, f. 2.
[xiii] ASV, S. C. Stat. Regul. Relationes, 25, ff. 723-726.
[xiv] AVC, Acta Sanctae Visitationis ab Ill.mo ac R.mo D.no Episcopo D. Marco Rama, A. D. 1699 confecta, f. 129-130. AVC, Anselmus de la Pena, Visita, 1720, ff. 16-17.
[xv] AVC, Rel. Lim. Crotonen., 1640.
[xvi] ASV, S. C. Stat. Regul. Relationes, 25, ff. 723-726.
[xvii] Il 18 giugno 1651, essendo morto il priore della confraternita, il chierico Alonzo Mangione, nella chiesa cattedrale si riuniscono i confrati Fabritio Montalcino, il canonico Gio. Giacomo Syllano, il canonico Lelio Marzano, il chierico Gio. Paulo Labruto, Gioseppe Suriano, Stefano Labruto, il chierico Gio, Francesco Pelusio, D. Francesco Guarasco, Gio. Francesco Ricciulli, Gregorio Papasodaro, l’Abbate Gio. Pietro Suriano, Francesco Maria Montalcino, il chierico Mutio Vezza, Gio, Batt.a di Nola Molise, il chierico Fran.co Antinoro, Scipione Catizone, D. Antonio Longobucco, Nicolao Fran.co Scarnera e D. Gio. Pietro Junta. Su proposta del priore del convento domenicano, fra Michele da Cotrone, vengono eletti all’unanimità per priori della confraternita il D.r Mutio Vezza e per compagno Nicolò Francesco Scarnera e per la cerca della cassetta Fabritio Vetere. ASCZ, Busta 229, anno 1651, f. 43.
[xviii] ASV, S. C. Stat. Regul. Relationes, 25, ff. 723-726.
[xix] Nel 1664 era procuratore e rettore il canonico Antonio Cirrello. ASCZ, Busta 310, anno 1664, f. 30.
[xx] Luccia Lucifero si trova debitrice verso i soppressi monasteri in annui ducati 16 per un capitale di ducati 200, assieme a molte rate ed annate non pagate. Per accordo con il procuratore dei monasteri soppressi, il canonico Antonino Cirrello, e con l’assenso del vescovo Caraffa, estingue il debito, cedendo una casa palaziata. ASCZ, Busta 310, anno 1664, f. 30.
[xxi] ASV, Rel. Lim. Crotonen. 1667.
[xxii] Nel maggio 1666 Geronimo dela Motta Villegas che, da anni, ha in prestito un capitale del convento domenicano con la possibilità di affrancarlo, avvisa il procuratore dei conventi soppressi che, come previsto dal contratto a suo tempo stipulato, fra un mese consegnerà il denaro avuto in prestito. ASCZ, Busta 312, anno 1666, f. 102.
[xxiii] ASV, Rel. Lim. Crotonen., 1673.
[xxiv] Detio Suriano restituisce 200 ducati al procuratore dei monasteri soppressi, il reverendo Antonino Cirrelli, il quale li deposita in potere di Domenico Suriano, che deve reinvestirli. Poiché il vescovo Caraffa ha deciso che le rendite dei soppressi monasteri devono essere assegnate in beneficio del seminario, gli “ufficiali” del seminario, i reverendi Tiriolo, Venturi e Thelesio, si fanno consegnare il denaro dal Suriano e lo imprestano ai Vezza al 9 per cento, ipotecandone una casa, che è già gravata da un altro censo per un capitale di ducati 150 all’otto per cento, proveniente dai monasteri soppressi e delegato a beneficio del “mastro di scola di grammatica” del seminario. ASCZ, Busta 253, anno 1671, ff. 76-78.
[xxv] Al seminario passò anche la gabella Santo Spirito, il vignale a San Leonardo, ecc. AVC, Acta Sanctae Visitationis ab Ill.mo ac R.mo D.no Episcopo D. Marco Rama, A. D. 1699 confecta, ff. 129-130. AVC, Anselmus de la Pena, Visita, 1720, ff. 16-17.
[xxvi] AVC, Acta Sanctae Visitationis ab Ill.mo ac R.mo D.no Episcopo D. Marco Rama, A. D. 1699 confecta, ff. 102-103.
[xxvii] AVC, Anselmus de la Pena, Visita, 1720, f. 51v.
[xxviii] AVC, Acta Sanctae Visitationis ab Ill.mo ac R.mo D.no Episcopo D. Marco Rama, A. D. 1699 confecta, f. 47.
[xxix] AVC, Nota delle chiese e luoghi pii, Cotrone 1777.
[xxx] I luoghi pii assegnati al capitolo e al clero dal marchese di Fuscaldo erano: Le cappelle del SS. Crocifisso, di S. Maria del Capo, dei SS. Cosma e Damiano, dei SS. Crispino e Crispiniano, di S. Isidoro Agricola, del SS. Rosario, la chiesa di S. Giuseppe, il monte de’ morti del Purgatorio e la congregazione e monte de’ morti dell’Immacolata. AVC, Elenco dei luoghi pii laicali, 1805.
Creato il 10 Marzo 2015. Ultima modifica: 18 Ottobre 2022.