I forzati a Crotone
Con dispaccio reale del 2 luglio 1753 il re Carlo III di Borbone dava l’avvio alla costruzione del porto e molo di Crotone, incaricando a dirigere l’opera l’ingegnere militare Giuseppe Laurenti, e utilizzando come manodopera i forzati. La presenza dei forzati, sia a Capo Colonna, che nella marina di Crotone, è segnalata fin dall’autunno dello stesso anno.
Al loro arrivo in città essi furono dapprima rinchiusi nelle prigioni della torre Marchesana, situata all’interno del castello poi, molto probabilmente, si utilizzarono delle baracche costruite al tempo del terremoto del 1743/1744, situate nella marina vicino al porto,[i] che costituirono il “quartiere dei forzati”.
L’arrivo
Il 15 novembre di quell’anno 1753 Andrea Petitt, governatore del castello di Crotone, dichiarava di aver ricevuto da Nicolò Fabiani, regio tesoriere di Calabria Ultra, per mano di Pietro Asturelli ducati 2 e grana 33 per le spese fatte “alla porta del calavozzo della torre della Marchesana, per serrarvi li forzati venuti da Capocolonna la sera de 22 settembre prossimo passato”.[ii] Sempre sul finire di quell’anno il forzato Francesco Testa di San Severo, che si trovava nel luogo “fuori il castello nella marina dirimpetto al Real Porto”, col permesso del comandante della piazza ed in presenza dell’ufficiale di guardia, il tenente Vincenzo Nicotera, e di altri testimoni dava il suo assenso al matrimonio di due figli.[iii]
A Capo Colonna, nel maggio 1754, sotto la sorveglianza del sovrastante piemontese Agostino Mazzia, era già in atto il reperimento delle pietre. Qui stava sorgendo un piccolo villaggio. Esso comprenderà la torre ripristinata del Mariello, alcune abitazioni, una taverna, il magazzino e la chiesa di San Carlo Borromeo.[iv] I forzati, con “algozzini”, “guardapalco” e altri lavoratori, eseguivano gli ordini del soprastante Pascale Landi e del capopeone Dionisio Alfì. Con sparo di mine, mazze di ferro e picconi, si frantumava la scogliera e si preparava la pietra, che la lancia, il sandalo e le marricane, imbarcavano e scaricavano nel luogo del costruendo porto.[v] Tutta l’attività riguardante la costruzione si svolgeva sotto la direzione e la vigilanza di una Regia Giunta del Porto.[vi]
Forzati e soldati
Assieme ai forzati arrivarono in città anche alcuni soldati addetti alla loro custodia. A causa del tipo di lavoro particolarmente duro e pericoloso, aumentarono gli infortunati, gli ammalati ed i morti. All’inizio di settembre del 1754, i religiosi dell’ordine dei Bonfratelli di S. Giovanni di Dio, che gestivano l’ospedale della città sotto il titolo della SS.ma Pietà, non riuscendo più a far fronte alla nuova situazione, davano in appalto l’assistenza medica.
Essi, infatti, riuniti presso la camera priorale dell’ospedale, “considerando lo stato dell’ospedale, ove di continuo vi occorrono dell’infermi, et ammalati, et anche il peso, che tiene di somministrare l’ospedale alli soldati ammalati, che di quelli di questa guarnigione s’infermano, m’ancora a forzati, che qui si attrovano, che devono lavorare alla costruzione del Porto si dovrà fare in questa Marina, et alli soldati, che sono sopravenuti non di guarnigione in questa città, ma puramente applicati alla custodia di essi forzati, seu condannati, quali sono al numero di cento, e li soldati alla custodia al numero di quaranta, et infermandosi questi, hanno di bisogno d’una continua assistenza di medico”, decidevano di appaltare per tre anni l’assistenza ai malati al medico della città Giuseppe Vitale.[vii]
In seguito, verrà eretto un vero e proprio ospedale regio, distinto ed autonomo da quello dei Fatebenefratelli, che avrà solo il compito di curare i soldati ed i forzati addetti “al regio travaglio della costruzione del porto”. Nel 1764 esso è già esistente. Infatti, il 13 dicembre di quell’anno, Pietro Bova, originario di Aversa, ma da più tempo abitante a Crotone, con l’impiego di assentista del regio ospedale dei militari, faceva testamento nella casa palaziata dove abitava in affitto, che apparteneva al canonico Filippo Manfreda e confinava col palazzo dei Manfreda, dove aveva sede l’ospedale regio.[viii]
Morto il Bova, nel mese di febbraio 1765 veniva compilato un inventario dell’ospedale. Esso era commissionato da Antonio Maria di Lauro, assentista generale dei regi ospedali del regno, all’incaricato Giuseppe Grasso ed al controllore del regio ospedale di Crotone Gregorio Cannoniere.[ix] L’ospedale regio si dedicherà per tutta la seconda metà del Settecento, alla cura dei militari e dei forzati, addetti alla costruzione del porto. Esso era situato vicino alla cattedrale nel quarto inferiore del palazzo del signor Manfredi.[x] Era governato dal castellano e vi prestava assistenza spirituale un cappellano regio scelto dal cappellano maggiore. Coloro che morivano nell’ospedale regio, venivano seppelliti fuori città nella chiesa sotto il titolo della SS. Pietà.[xi]
La costruzione del porto
Il numero dei forzati impegnati nella costruzione del porto e vigilato da una cinquantina di soldati, i quali non erano di guarnigione alla città ma solamente avevano il compito di vigilare i forzati, “seu dannati”, rimarrà costante per alcuni anni.[xii] Essi erano dislocati parte nella marina della città, vicino al costruendo porto, e parte a Capo Colonna. I forzati che dimoravano a Capo Colonna avevano il compito di spezzare gli scogli. Le pietre ricavate poi venivano caricate nello “scaro di Capo Colonna” su bastimenti, che facevano la spola con il costruendo porto, dove giunte venivano scaricate dai marinai e dagli altri forzati che si trovavano sulla Marina.[xiii]
In seguito, la presenza dei forzati addetti ai lavori del porto fu potenziata con l’arrivo di altri forzati, parte dei quali vennero condotti da Taranto, dove avevano lavorato a pulire il fosso del castello. Ai primi di novembre 1758, il patrone Gennaro Scotto, che si trovava nel porto di Crotone con una martingana “armata di manganelli”, e con tredici marinai di equipaggio, e stava procedendo ai lavori di “annettamento del porto”, ed al trasporto al porto di Crotone del materiale ricavato dalla scogliera di Capocolonna, ricevette l’ordine dalla Regia Giunta del Porto, che a sua volta doveva eseguire un ordine della regia corte, di recarsi a Taranto. Qui egli doveva imbarcare alcuni forzati, che vi si trovano e stanno pulendo il fosso del castello, e trasportarli nella marina di Crotone, dove dovevano prestare la loro opera ai lavori del porto. Una volta compiuto questo viaggio, lo Scotto doveva ritornare a Taranto per scortare due “barcaccie” con sei marinai per ciascuna, con due “sandali” che ugualmente dovevano servire per “l’annettamento del porto ed altri servizi”.[xiv] Da alcuni documenti successivi si viene a sapere che tra il novembre 1758 ed il gennaio 1759, lo Scotto dapprima trasportò 46 forzati con la truppa di accompagnamento e le due “barcaccie” con i loro marinai e patrone e poi ripartì da Crotone per Taranto, dove riportò la truppa ed imbarcò altri 41 forzati che assieme ai “sandali” portò a Crotone.[xv]
Un’occasione di guadagno
Fin dal loro arrivo i forzati costituirono un’occasione di guadagno e di lucro per i possidenti locali. Alcuni mercanti della città, utilizzando i prestanome, ne approfittarono e, previo accordo con gli assentisti napoletani, ottennero il subappalto della somministrazione delle razioni. Le numerose proteste dei forzati per la qualità e la scarsità delle razioni attivarono delle inchieste, che misero in luce la trama di interessi, che legava alcuni mercanti crotonesi agli speculatori napoletani, e che aveva lo scopo di perpetrare frodi ai danni dei forzati, fornendo a loro alterate “le razioni di pane, carne, oglio ed altro”.[xvi]
Tra coloro che maggiormente trassero profitto dalla presenza dei forzati è da segnalare il “publico negoziante della città di Cotrone” Giuseppe Micelotti. Il Micelotti tramite un suo messo ed internunzio, stipula in Napoli più volte contratti di subappalto di durata quinquennale con gli assentisti napoletani, che hanno in appalto “l’armamento e mantenimento delle Regie Galere e della somministrazione delli generi di viveri, da darsi all’istesse regie galere, vascelli, galeotti, sciabecchi …”.
Il contratto prevede tra le altre clausole, quella di “consignare a tutti li rimieri, seu persone condannate alla galera e loro individui, così per quelli attualmente esistenti, come per quelli che in futuro … (verranno) nella città di Cotrone e Capo Colonna o altro luogo della giurisdizione della città di Cotrone l’intiere diarie razioni di viveri, che li vengono passate dalla Regia Corte … quali diarie e razioni si compongono in pane, oglio, fave, sale, legna e oglio per il caldaro come altresì espressamente compreso in esse diarie razioni, le bigliole e scope, oglio e bambace per li fanali, accomodi di caldari e ferramenti e tuttaltri utensili bisognanti per d(ett)a somministrazione per l’uso e servizio di d(et)ti rimieri, loro conservazione, accomodi, ed ogn’altro, che per la medesima somministrazione occorre potesse”.
Ogni intiera razione veniva pagata quattro grana, e nel prezzo era anche compreso che l’assentista oltre alla razione giornaliera, doveva corrispondere anche i quattro caldari, consistente ogni caldaro in carne e vino nella quantità e peso stabiliti, dono del re ai rimieri, da consegnarsi ogni anno nelle festività di Epifania, Pasqua, Pentecoste e Natale.[xvii]
Alcuni galeotti sono nel quartiere dei forzati, addetti al “travaglio del porto”;[xviii] altri trecento a Capocolonna assieme a “individui asallariati”,[xix] sotto la guida del capomastro Saverio Viviano,[xx] tagliano le “petriere”,[xxi] sorvegliati da una cinquantina di soldati.[xxii]
L’opera, soggetta a continui insabbiamenti, si trascina tra frodi ed inganni, sotto la direzione dell’ingegnere Gennaro Tirone e di suo nipote.[xxiii] Il malaffare è così evidente che basterà poco tempo a Johann Hermann Von Riedesel, che arrivò al porto di Crotone con una speronara nel maggio 1767, per poter affermare che “Il re vi fa costruire un porto e sono ormai parecchi anni che si lavora; la spesa ascende circa a centottantamila ducati napoletani, e intanto le navi non trovano sicurezza per gettare l’ancora né per difendersi dai venti, sicché è evidente che il re è stato tratto in inganno”.[xxiv]
Numerose sono le proteste contro coloro che amministrano i lavori. Nel 1776 alcuni forzati, che lavorano a Capo Colonna, inviano al re una denuncia contro il sopraintendente del porto Salvatore Arrighi. L’Arrighi è accusato di aver utilizzato il lavoro di alcuni forzati e del materiale, che doveva servire per la costruzione del regio porto, per uso e lucro personale. Secondo il contenuto dell’accusa l’Arrighi aveva fatto costruire dal mastro ferraio Giuseppe Forte e dal mastro falegname Pasquale Arduino, entrambi forzati in Capo Colonna, utilizzando il ferro, l’acciaio ed il legname appartenenti al “real travaglio”, coltelli, sciabole, baionette ed altri utensili, che poi aveva venduto al taverniere di Capo Colonna Domenico Francipane ed ad alcuni capimandra. Sempre l’Arrighi, secondo l’accusa, aveva poi utilizzato il lavoro dei forzati ed il legname del regio porto, per riparare una stanza e fare un finestrino alla sua abitazione.[xxv]
Altre proteste hanno per oggetto le condizioni di vita, compresa l’assistenza religiosa, che ad alcuni viene assicurata ed ad altri negata. Una lettera del castellano di Crotone Giuseppe Friozzi al vescovo della città Giuseppe Capocchiani, in data 10 aprile 1778, faceva presente che, mentre il re aveva dato il suo assenso a stipendiare un sacerdote con sei ducati al mese, affinché assistesse le anime dei forzati addetti al “regio travaglio delle petrere”, quelle del distaccamento dei cinquanta soldati, che li custodivano e degli altri individui “asalariati”, che si trovavano a Capo Colonna, non aveva invece pensato a dare la stessa assistenza spirituale ai forzati che si trovavano nella marina della città, e che erano addetti al “travaglio del porto”. Il castellano, poiché si avvicinava la Pasqua, sollecitava il vescovo ad inviare quanto prima un prete idoneo, in modo da preparare i forzati ad adempiere il precetto pasquale, anche perché il luogo dove si trovavano questi forzati, cioè la Marina che era situata fuori le mura della città, era sotto giurisdizione immediata del vescovo.[xxvi]
Fu in questi anni che furono utilizzati i forzati anche per riparare i danni causati dalle forti piogge, che avevano fatto straripare l’Esaro ed i suoi affluenti. Così il fatto è raccontato: “Accadde … un’alluvione grande, e i torrenti menarono intorno alle mura della città, ed in mare un così strabbocchevole numero di serpi di varie specie ammonticchiati in globi, che svilluppandosi minacciavano d’infestarla tutta se non si fosse prevenuta questa sventura con situare gran fochi passo passo all’intorno, e con mettere sulle mura tutti i galeoti, che stavano al travaglio, con far coni, ed altri legni, uccidendo quelle spaventevoli bestie, che cercando uscire dal sottoposto mare, salivano a schiere per le muraglie”.[xxvii]
Lotta per gestire i lavori
Con il passare del tempo si consolida la presenza dei forzati che, seppure confinati, cominciano ad interagire con la società circostante. Spesso vengono utilizzati in modo strumentale dai vari personaggi, che ruotano attorno ai lavori del porto, nell’intento di perseguire mire economiche personali a scapito di altri.
Nell’agosto 1781 il forzato Antonio Galiano, originario di Eboli, che si trovava rinchiuso nel quartiere dei forzati, inviava una supplica al castellano, chiedendo di poter salire al castello, perché doveva riferire alcuni fatti importanti. Il castellano, dopo aver ascoltato il forzato, incaricò il notaio Gerardo Demeo di redigere un atto, con la dichiarazione del forzato. Da tale documento si viene a conoscenza come anche i forzati erano divenuti partecipi ed alleati, anche se in maniera strumentale, delle opposte fazioni che erano in aspra lotta per contendersi la gestione dei lavori del porto.
Il Galiano, “forzato addetto al travaglio del Real Porto”, infatti dichiarò al notaio che un altro forzato di nome Francesco Antonio Russo, aveva denunciato al re alcuni componenti della Real Giunta del Porto. Per tale motivo venne inviato l’uditore della regia udienza di Catanzaro Andrea de Leone, il quale aveva il compito di verificare la denuncia e prendere delle informazioni. Prima dell’arrivo dell’uditore, il Galiano, che si trovava “dentro il vaglio del quartiere de’ forzati”, dove vi era anche il forzato Francesco Antonio Russo, autore della denuncia, vide che dalla parte di fuori, si avvicinava il soprastante del porto Carlo Polenzia. Il Galiano si accorse che il Russo dalla parte di dentro del quartiere ed il Polenzia dalla parte di fuori si parlavano. Egli riuscì a sentire che il soprastante ed il Russo si accordavano su quello che il forzato doveva dire all’uditore contro l’ingegnere Gennaro Tirone. L’intento era di screditare l’ingegnere in modo che fosse rimosso, e così il Polenzia sarebbe divenuto il direttore dei lavori e poi in cambio avrebbe favorito il Russo, che lo aveva aiutato.
In seguito, andato via l’uditore, il Polenzia ritornò al quartiere dei forzati ed il Russo gli mostrò alcuni scritti, riguardanti sempre la denuncia. Il Polenzia li esaminò e poi li restituì dicendogli che andavano bene e che li mandasse in Napoli al re.[xxviii] Alcuni giorni prima di tale dichiarazione, un altro forzato, Biase Spina, originario di Lauria, aveva dichiarato allo stesso notaio, sempre in relazione alla denuncia del Russo, ed all’arrivo previsto dell’uditore De Leone, che il soprastante Polenzia si era accordato con il forzato Antonino Mano, affinché corrompesse il dichiarante ed alcuni altri forzati, tra i quali Gio. Carcagno e Tommaso Roscito. Secondo il soprastante essi dovevano deporre il falso ed accusare l’ingegnere Gennaro Tirone ed il nipote di costui e soprastante Andrea Tirone. Lo Spina faceva inoltre presente che il Polenzia, per raggiungere lo scopo di screditare l’ingegnere Tirone e suo nipote e meglio accordarsi con alcuni forzati, si era avvalso dell’amicizia del tenente Vincenzo Martinez, che era addetto con i soldati alla custodia dei forzati.
Il Polenzia, approfittando dell’amicizia e della funzione che svolgeva il tenente, aveva convocato più volte nella camera del corpo di guardia, abitazione del tenente, il denunciante Francesco Antonio Russo, col quale si era accordato su come doveva deporre contro l’ingegnere ed altri della giunta. Lo Spina aggiungeva che aveva dichiarato il tutto perché, essendosi confessato, il religioso non lo avrebbe assolto se prima non avesse rivelato l’intrigo.[xxix] Sempre in occasione dell’arrivo dell’uditore Andrea de Leone, i forzati Antonino Mano e Tommaso Roscitto denunciavano di aver subito delle minacce da parte di Francesco Antonio Russo, affinché testimoniassero contro l’ingegnere Tirone per favorire Carlo Polenzia e Michele Canfora.[xxx]
Il bagno penale
La presenza dei forzati si prolungherà anche dopo il terremoto del 1783. Nel dicembre 1785 una lettera del vescovo diretta a Napoli al marchese Carlo Demarco, “segretario di Stato dell’Ecclesiastico”, lo informava sul numero delle anime e dei preti. Tra i religiosi vi era anche il sacerdote D. Antonio Maleno, “il quale coll’approvazione del Sig.r D. Fran.co Pignatelli vicario Gen.le delle Calabrie è addetto al servizio de’ Forzati, ed altri individui del travaglio di questo porto”.[xxxi]
I lavori di costruzione del porto continuavano, anche se in modo discontinuo, alla fine del Settecento. I forzati erano presenti sia a Capo Colonna che nella marina di Crotone. Il re, accogliendo le richieste più volte inoltrate dai vescovi di Crotone, a sue spese faceva costruire fuori le mura nella marina presso il porto una nuova chiesa dedicata a Santa Maria di Capo delle Colonne, per comodo dei forzati e per devozione di tutti coloro che risiedevano nelle vicinanze. La nuova chiesa sorta per la presenza dei forzati, che si aggiungeva a quella già esistente sotto il titolo di S. Carlo Borromeo a Capo delle Colonne, verrà solennemente benedetta nel 1795 dal vescovo di Crotone Ludovico Ludovici.[xxxii]
Ritroviamo i forzati pochi anni dopo durante la Repubblica Partenopea del 1799, quando sono parte attiva nel moto crotonese. Nella notte del 3 febbraio di quell’anno i marinai del bastimento francese, che si trovava rifugiato al porto, sbarcarono sul molo e, come prima azione, sorpresero il vicino corpo di guardia del Bagno Penale dei forzati, facendo prigionieri i custodi.[xxxiii]
A ricordo dei forzati rimane ancora oggi presso il porto il toponimo “Largo Bagno”. Secondo quanto scrive Nicola Sculco la struttura, composta da un ampio fabbricato con due cancelli, un cortile, uno stanzone, il corpo di guardia e l’alloggio dei custodi, venne abbandonata nel 1849 e fu ceduta dal genio militare al farmacista Luigi Pantusa.
Note
[i] Nel 1744 per proteggere la popolazione dal terremoto vengono costruiti nella marina della città sei baracconi e 52 baracche in legno. ASCZ, Busta 666, anno 1744, f. 54.
[ii] Nel maggio 1756 facevano parte della Regia Giunta del Porto Michele Cornè, comandante del regio castello, Gio. Battista Rodio, regio governatore politico della città, Carlo Berlingieri, marchese di Valle Perrotta, il barone Giuseppe Antonio Oliverio ed il regio ingegnere e capitano Giuseppe de Laurenti. ASCZ, Busta 1125, anno 1756, f. 192.
[iii] Nell’occasione si fece un cancello di ferro alla porta del calavozzo, si mise un catinaccio alla porta e si tagliarono le finestre alla porta. ASN, Torri e castelli, Vol. 47, f. 352.
[iv] “Parimente si esercita la cura delle anime da un cappellano regio nella chiesa sotto il titolo di S. Carlo Borromeo esistente nel promontorio detto il Capo delle Colonne sei miglia distante dalla città per gli forzati ed altri individui addetti al regio travaglio della costruzione del porto. Ed detto cappellano si deputa da monsignor cappellano maggiore ed è il R. sacerdote secolare D. Francesco Antonio Riccio”. AVC, Nota delle chiese e luoghi pii, 1777.
[v] ASN, Dip. Som. Fs. 521, fs. 1.
[vi] ASCZ, Busta 856, anno 1753, f. 105.
[vii] ASCZ, Busta 1266, anno 1754, ff. 150-153.
[viii] ASCZ, Busta 916, anno 1764, f. 161v.
[ix] ASCZ, Busta 1128, anno 1765, ff. 36-38.
[x] ASCZ, Busta 1328, anno 1779, f. 52v.
[xi] Nel 1777 era castellano Giuseppe Fiozzi e cappellano Vincenzo Smerz. AVC, Nota delle chiese e luoghi pii, 1777.
[xii] “La sesta (chiesa è) sotto il titolo della SS. Pietà appartenente al canonicato di S. Carlo della cattedrale, di cui è possessore il R. canonico D. Domenico Terranova, ed in questa chiesa si portano a seppellire quei che muoino nel regio spedale de’ soldati e i forzati addetti al regio travaglio della costruzione del porto.” AVC, Nota delle chiese e luoghi pii, 1777.
[xiii] Nel 1757 facevano la spola tra lo scaro di Capo Colonna ed il porto costruendo per la “carrea delle pietre”, due bastimenti; uno patronizzato da Tobbia Assante e l’altro da Gennaro Scotto. ASCZ, Busta 1323, anno 1757, ff. 45-47, 69-71.
[xiv] ASCZ, Busta 1323, anno 1758, ff. 107-110.
[xv] ASCZ, Busta 1323, anno 1759, ff. 3-5.
[xvi] In Crotone il 4 dicembre 1764 Francesco de Luna, magazziniere di Pietro Orazio Zurlo, dichiarava che, dal maggio 1761 ad agosto 1762, somministrò le razioni di pane, carne, olio ed altro, ai forzati addetti alla costruzione del porto, ma che egli non era altro che un prestanome degli Zurlo, i quali tenevano i contatti con l’assentista Riccio e con i napoletani Francesco e Giuseppe Erbicella. ASCZ, Busta 916, anno 1764, f. 147v.
[xvii] Il 17 agosto 1771 in Napoli, veniva steso il contratto tra l’assentista Giulio di Buono e Gaetano Condurro, messo ed internunzio di Giuseppe Micelotti (ASCZ, Busta 1344, anno 1771, ff. 80-83). In data 11 novembre 1777 in Napoli è rogato il contratto tra l’assentista Pietro Paolo Tramontano e Prospero Fortunato, messo ed internunzio di Giuseppe Micelotti (ASCZ, Busta 1345, anno 1777, ff. 77-79).
[xviii] Un regio ospedale nel palazzo di Manfredi presso la cattedrale cura i forzati e i soldati che, se muoiono, sono seppelliti nella chiesa della Pietà fuori mura. ASCZ, Busta 1328, anno 1779, f. 52v. AVC, Nota delle chiese e luoghi pii, Cotrone 1777.
[xix] “Non absimilis pariter cura animarum exercitum apud Promotorium Lacinium … in ecclesia inibi a Serenissimo Hispaniarum Rege sub titulo S. Caroli Borromaei a fundamentis erecta. In eo namque Promontorio cum custodibus militibus vitam agunt tercentum circiter individui ad opus damnati, qui pulvere bellica rupes collidunt, parentque saxa ad construendo novum Portus, quae sumptu Regis fuit, necessaria. Ist haec quippe cura animarum exercetur ab uno ex tribus Presbyteris secularibus, quos, praevio examine, Capellano Majori proponit, designatque ordinarius”. ASV, Rel. Lim. Crotonen., 1775.
[xx] ASCZ, Busta 1666, anno 1781, f. 81
[xxi] Nel 1771 N. Zurlo protesta per i danni che la “petriera” fin dal 1753, ha causato al territorio “li Piani di Nao”, ora in suo possesso. Il taglio della pietra ha reso tt.a 12 di terre, non più adatte al pascolo ed alla semina. ASCZ, Busta 1589, anno 1771, ff. 30-31.
[xxii] Nel 1760 alla custodia dei forzati in Capocolonna c’era il reggimento nazionale d’Abruzzo Citra, e nel 1776 il secondo battaglione del reggimento Lucania. ASCZ, Busta 1323, anno 1760, ff. 46-48; Busta 1330, anno 1782, ff. 61-62.
[xxiii] Il Tirone dirigeva i lavori dal casino presso la marina del porto. ASCZ, Busta 1666, anno 1781, f. 81.
[xxiv] Zangari D., Viaggiatori stranieri in Calabria. I) Johann Hermann Von Riedesel (1740-1785), in Rivista di Cultura Calabrese, a. IV, 1924, p. 21.
[xxv] ASCZ, Busta 1330, anno 1782, ff. 61-62.
[xxvi] Lettera del castellano Giuseppe Friozzi al vescovo di Crotone Giuseppe Capocchiani. “Ill.mo e R.mo Sig.re P.ne. Li vado precisato porgere a V. S. Ill.ma la mia più fervorosa supplica, acciò si voglia compiacere col solito suo zelo servirsi di dar ordine a chi compete per la cura dell’Anime, massime per i poveri forzati esistenti in questa marina al travaglio di questo R.l Porto, per pratticar li giorni festivi un soggetto capace a poterli insinuare con qualche Apostolico discorso a praparirli di fare il Santo Precetto Pasquale per esser li med.i non assistiti d’alcun prete particolare idoneo per istruirli di adempire ad un obbligo tanto sacrosanto a praticarsi da ogni fedele Cristiano, e come che la Maestà de Re N. S. non ha stimato, come in Capocolonna vi mantiene à suo costo un Sacerdote adorno di circostanze, che devono concorrere all’incessante obbligazione del suo serio impiego con l’assegnamento di docati sei al mese, ed al med.o li restano franche le messe per esercitare la sua incessante obbligazione alla cura di quelle povere anime de forzati, e colà anche destinato il distaccamento di cinquanta soldati per la custodia de sud.i forzati, aver la cura di tutte quelle anime, e di tutti l’altri individui asalariati a quel R.l Travaglio delle Petrere; intanto avendo considerato forse a S. M., che in questa Marina esser giurisdizione immediata a V. S. R.ma non abbia a ciò penzato, ma bensi da molti anni, che io mi attrovo qui a servire S. M., esser tenuta tal cura à carico del Primicelio, di esserli a cuore di far assistere alli sud.i ben inteso di questa marina. Voglio sperare che V. S. Ill.ma si voglia benignare à tale mie suppliche, di pratticare lo che conviene a quelle povere sud.e anime, à finchè sodisfino loche è di Divino Precetto; Mi comprometto troppo del Suo fervorosissimo Zelo à degnarsi di farmi sentire per mia quiete, e disimpegno in adempimento di ciò, che mi son dato l’onore di supplicarla, e senza più con il magior ossequioso Rispetto Me li Rassegno. Di V. S. Ill.ma, e R.ma. Castello li 10. Ap.le 1778.”
[xxvii] De Leone A., Giornale e notizie de’ tremuoti accaduti l’anno 1783 nella provincia di Catanzaro, Napoli 1783, p. 137.
[xxviii] ASCZ, Busta 1329, anno 1781, ff. 108-109.
[xxix] ASCZ, Busta 1329, anno 1781, ff. 97-98.
[xxx] ASCZ, Busta 1330, anno 1782, ff. 61-62.
[xxxi] Lettera del vescovo di Crotone al marchese D. Carlo Demarco, Segretario di Stato dell’Ecclesiastico, Napoli. “Eccellenza. Si è degnata V. Ec. di rimettermi il ricorso del Diacono D. Vincenzo M.a Albano di questa Città, il quale domanda il permesso di … a Roma per la dispensa dell’età ne… al sacerdozio; affinchè io informi, e del numero delle anime, e de’ preti, e se … corra l’urgente necessità della Chiesa. In risposta pertanto son umilmente a riferirle, che il numero delle anime di questa Popolazione si ragira a 4800 in circa. I preti poi tra paesani, e forastieri, quali sono i Religiosi secolarizzati, arrivano al numero di 52; i quali se fossero tutti validi, ed abili al servizio delle anime, eccederebbero di poco il numero di uno per ogni cento anime. Ma il fatto si è, che tra i detti 52 preti ve ne sono cinque dell’intutto inabili, e sono nel grembo del Capitolo il Can.co D. Dionisio Soda, da un pezzo giubilato per la sua decrepita età, ed il Parroco D. Giuseppe Vajanelli, che oltrepassa gli anni 85 di età, ed è confinato in un letto; fuori del Capitolo il Sacerdote D. Fran.co Cimino in età di anni 80 che rare volte per i suoi acciacchi può celebrar la S. Messa, il sacerdote D. Bruno Dardena già Capuccino, e come invalido restato in questa Città senza aver potuto andar al suo destino, ed è in età di anni 70 in circa; ed il P. Antonio da Taverna minor osservante vecchio pedagroso, e chiragroso, che per lo più fa la sua vita in un fondo di letto, e come invalido restato in questa città senza aver potuto nè anche esso andar al suo destino. Parimente fuor di Capitolo vi è il sacerdote D. Gius.e Diaco Cappellano curato del Regio Castello di Cotrone, il quale serve agl’individui addetti al mentovato Regio Castello, ed a nulla serve per la popolaz.ne. Vi è ancora il sacerdote D. Fran.co Saverio Guerriero, il quale nè anche può servire alla popolaz.ne, giacchè è attuale Cappellano del Regio Ospedale de’ soldati paggellato da Mons. Capp.no Maggiore; similmente vi è il sacerdote D. Ant.o Maleno, il quale coll’approvz.ne del Sig.r D. Fran.co Pignatelli vicario Gen.le delle Calabrie è addetto al servizio de’ Forzati, ed altri individui del travaglio di questo Porto. Sicchè, levando dal numero de’ sacerdoti i suddetti otto, parte inabili, e parte non servibili alla popolaz.ne, ne segue, che il numero de’ sacerdoti si restringe a 44. I quali ad uno per cento anime non sono sufficienti per il num.o delle anime di Cotrone ascendente, come si è detto di sopra, a 4800 in circa, e da ciò ne viene in conseg.nza la risposta all’ultima parte del Real ordine, cioè se ci sia l’urgente necessità della Chiesa e mi pare, che vi sia, giacchè vengono a mancare quattro altri sacerdoti per un sacerdote per cento, corrispondente alle anime della mentovata popolazione; anzi mi animo …gere a V. Ec., che la popolaz.ne di Cotrone in tempo d’inverno, e di primavera è quasi il doppio per il gran numero de’ massari e pastori, che calano dalle montagne, e per il gran numero de’ marinari, che capitano in questo Porto, onde cresce sempre più il bisogno d’aver sacerdoti, che aiutino le anime. Sottometto il tutto alla saviezza di V. Ec. ed all’autorità suprema di S. M., ed intanto con profondissimo inchino passo a rassegnarmi, Cotrone 3 decembre 1785.”
[xxxii] Descrivendo le sette chiese esistenti nel 1795 fuori le mura, il vescovo Ludovici così si esprime: “Quinta in maris littore prope Portum hoc anno a fundamentis erecta fuit Clementissimi Regis Nostri expensis, et a me solemniter benedicta pro eorum commodo, qui ad opus publicum damnati portum ipsum construunt, et pro aliorum ibi commorantium devotione … Septima in eodem Promontorio sul invocatione Sancti Caroli Borromei extat, ubi Eucharistiae Sacramentum, sanctumque infirmorum oleum asservantur quo tempore insumunt ibi labores suas damnati supradicti, et de his tunc in spiritualibus curam tenet Presbyter quidam ab Episcopo Regiae Aulae provisus praevio ordinarii examine”. ASV, Rel. Lim. Crotonen., 1795.
[xxxiii] Lucifero A., Il 1799 nel Regno di Napoli, Cotrone 1910, p. 94.
Creato il 13 Marzo 2015. Ultima modifica: 24 Ottobre 2022.