Dalle case dei Rosa al palazzo Grasso che fu dei Rizzuto, e passò infine ai Morelli di Crotone
Poco dopo la metà del Seicento Susanna Rosa era proprietaria di alcune case situate in parrocchia di Santa Veneranda “nel piano del regio castello”.[i] In seguito esse passarono a Michel Gio. Rosa e sul finire di quel secolo, erano di Ciccia Capicchiano.[ii] Poco dopo divenivano proprietà di Antonio Grasso[iii] che, nel 1720, possedeva le case che erano state dei Rosa, situate in parrocchia di Santa Veneranda al largo del castello.[iv]
Come risulta dal Catasto Onciario di Cotrone del 1743, il “cittadino negoziante” Antonio Grasso di anni 57 ed il figlio “nobile vivente”, il regio giudice a contratto Giuseppe di anni 29, erano tra i più grandi possidenti di capitale e mercanti di grano della città. La loro attività era quella del prestito ad interesse, applicando il denaro “in negozi di grani ed altre industrie”. Antonio e la moglie Rosolia Cavalieri, con i loro figli Carmena e Giuseppe e la moglie di quest’ultimo Beatrice Rinaldi, vivevano assieme in una loro abitazione, situata in parrocchia di Santa Veneranda.[v]
I Grasso fecero fortuna durante le carestie, come fu durante quella che, dal 1741, si prolungò fino al 1744.[vi] Proprio in quelle sterili annate, nel giugno 1743, Antonio Grasso, avendo intenzione di ampliare le sue case, poste al largo del regio castello, e confinanti stretto mediante, alla casa dotale di Francesco Maccarrone,[vii] poiché gli occorreva del suolo pubblico per farvi una scala, per poter accedere al progettato nuovo quarto superiore, ne fece richiesta ai governanti della città. Gli ufficiali pubblici, portatisi sul luogo e visto che la strada era abbastanza ampia, e che la nuova costruzione non avrebbe recato alcun disturbo, decidevano di concedere una striscia di terreno di palmi 14 di larghezza davanti la casa, da iniziarsi dai muri della stessa, e di lunghezza per quanto la casa si estendeva.[viii]
Il palazzo Grasso
Tre anni dopo, nel 1746, iniziava la costruzione. A causa di alcune difficoltà, i lavori proseguirono per alcuni anni, tanto che, nel luglio 1751, il palazzo non era stato ancora terminato. All’opera parteciparono i mastri muratori: Onofrio, Giuseppe e Antonio Gerace, Bonomo Rocca e Tomaso Altomare; i mastri falegnami: Bruno Lucà e Francesco Antonio Strina, il carcararo Domenico Arcuri, ed i manipoli Gaetano Leto e Dionisio Pasciari.
Al pagamento degli operai e del materiale da costruzione (pietra, calce, arena, acqua, travi, tavole, ecc.), si interessò soprattutto il figlio di Antonio, Giuseppe Grasso. Quest’ultimo dichiarerà, evidentemente per ostacolare la pretesa di altri sull’eredità del palazzo, di aver speso fino al luglio 1751, oltre tremila ducati, mentre il genitore non vi aveva messo nemmeno un tornese! La spesa sostenuta da Giuseppe era stata così elevata, in quanto, per poter innalzare, aveva dovuto rinforzare le mura, che costituivano le vecchie case del padre Antonio, perchè disfatte e non adatte a sorreggere il nuovo fabbricato.[ix]
Morto il padre Antonio nel 1751(?), ereditò il palazzo il figlio Giuseppe, regio giudice e ricco mercante di grano, proprietario di tre magazzini, poco fuori la porta della città.[x] Dopo alcuni anni, Giuseppe riprese ad ampliare l’edificio. Poiché vicino al suo fabbricato, dirimpetto alle mura della città, vi era “un certo spiazzato o sia suolo vacuo, ed inutile per la città di larghezza palmi venti e quarantadue di lunghezza”, volendo egli fabbricare in tale luogo ed unirlo al suo palazzo, ottenne nel dicembre 1764, la concessione dagli amministratori cittadini, previo il pagamento di un annuo canone di ducati quattro e grana 50. Avuto per maggior sicurezza anche il regio assenso e quello del comandante della piazza e castello, egli ebbe così la possibilità di “potersilo fabbricare e far fabricare a suo modo e piacere”, e a “poter alzar fabriche a parezza del cennato suo palazzo, venendo in tal forma adorna e prospicua la strada”.[xi]
Quattro anni dopo venivano rogati alcuni atti presso il notaio Nicola Rotella, tra Giuseppe Grasso da una parte, e dall’altra il sacerdote Epifanio Messina, erede del padre Luca, il nipote Francesco Messina, erede del padre Salvatore, e Antonia Mirielli, vedova di Luca Messina; quest’ultima con i figli Anna, il suddiacono Salvatore e Saverio.
Con tali atti il Grasso, che vuole inglobare nel suo palazzo, elevandole, alcune sue casette, si accorda con i vicini: gli eredi Messina proprietari, per le loro rispettive porzioni, di un palazzo situato in parrocchia di Santa Veneranda e Anastasia, confinante con le case dell’eredi del fu Gaspare Cavaliere e situato “di rimpetto alli regi muri, e d’un lato di rimpetto al palazzo del signor Giuseppe Grasso”. Poiché tra il palazzo dei Messina ed il palazzo del Grasso “li tramezza un spiazzo con alcune casette di esso Sig. Grasso; e volendo questo fabricare in d.o spiazzo e redificare d.e casette ed unire le fabriche con d.o suo palazzo in eguale altezza del medesimo, o più a sua disposizione”, poiché ciò recherebbe pregiudizio al palazzo dei Messina, “occupandoli il lume ed aria d’una finestra e d’un balcone di ferro”, i Messina acconsentono alla richieste del Grasso, anche perché questo si è dimostrato in varie occasioni loro benefattore.
Essi gli cedono perciò la servitù richiesta, con alcune condizioni, e cioè di lasciare “libera la fenestra del portone, seu loggia, e tirare le fabriche a dirittura della medesima fino al cantone di quella … e lasciare quel vicolo della larghezza, che si attrova, ed anche della stessa larghezza lasciare il vicolo alle fabriche di detto spiazzo faciende”. In compenso il Grasso potrà costruire come vorrà ed impedire la veduta del mare e dei monti e fare quelle finestre che gli piacerà, il tutto però dopo aver sborsato ducati 150.[xii]
Giuseppe Grasso morì prima del 1780,[xiii] lasciando il suo palazzo al nipote Giuseppe Rizzuto il quale, come si rileva dal Catasto Onciario di Cotrone del 1793, alla fine del Settecento ne era in pieno possesso. Allora Giuseppe Rizzuto aveva 41 anni, possedeva un magazzino nel luogo detto Le Forche, e affittava alcuni membri e bassi, del palazzo che aveva ereditato dallo zio e dove abitava. Assieme al palazzo ed al magazzino, egli aveva ereditato i pesi che gravavano su di essi, cioè il pagamento dei canoni annui per le concessioni dei suoli avuti dalla università cittadina: “Non si devono dedurre l’annui D. 50 in virtù degli ordini del passato Vic.o Generale Pignatelli di peso per tante messe lasciati dal qm. Gius.e Grasso fu suo zio sopra detto Palazzo Ereditario di sua abitazione, perché detto peso di messe furono fondate post Concordatum. E più deve pagare a questa Uni.tà ogni anno grana 45 e sono per il Jus Soli di d.o palazzo, e più per il Jus Soli di d.o magazino deve pagare a questa sud.a Uni.tà altri grana 42”.[xiv]
Descrizione del palazzo Grasso all’inizio dell’Ottocento
All’inizio dell’Ottocento il palazzo è ancora di proprietà di Giuseppe Rizzuto, il quale tuttavia non vi abita. Così è descritta la casa del Signor Giuseppe Rizzuto (3 agosto 1816): “Questo palazzo è situato nel miglior punto di aria di Cotrone, perché sito alla piazza del castello, affacciante a mare, e propriamente sopra la marina del porto: ciò che forma oltre la salubrità una veduta deliziosa. Consiste in un piano nobile superiore, ed un quartino di cinque stanze inferiore. Il piano nobile è composto da tredici membri; sei delle quali hanno i balconi, e finestre sporgendo sulla marina del porto: altra nella piazza del castello, e le sale ed anticamere hanno la facciata a ponente con un vasto orizzonte. Il quartino inferiore ha la sua facciata a mare. Tiene un cortile assai dicente, e tutto a se, e migliore di quello della casa Orsini. La scala è coperta agiata, luminosa, e delle più belle che sono nelle case di Cotrone. Vi sono moltissimi bassi da servire da stalle, e magazzini di proviste. Una porzione di questa casa, ossia dell’appartamento nobile si abita dal Giudice di Pace, che ne ha l’affitto a mese; l’altra porzione del detto appartamento si abita dalla famiglia del Sig. Cosentini, che ne ha l’affitto per uno anno. Questi possono cederne l’uso, perché possono trovare in Cotrone altri locali adattati ai loro stretti bisogni. Questa casa ha bisogno di una riattazione interna, dopo la quale si renderà brillantissima, ma la riattazione è minore di quella che necessita alla casa del S.r Orsini.
Numero delle stanze componenti il piano superiore della casa del signor D. Giuseppe Rizzuti.
Quarto di diritta abitato del Signor Giudice di Pace: Saletta, Piccola Anticamera, Camera grande a pontone, un piccolo camerino per passetto, camera grande di letto, retrostanza …
Quarto di sinistra abitato dal signor Cosentini: Sala, 1.a Anticamera, 2.a Anticamera a ricevere, camera di letto con arcone, 1.a retrostanza, 2.a retrostanza, cucina grande.
Quatunque la detta casa fosse al presente divisa in due quarti pure la stessa è suscittibile di tutte quelle mutazioni che si credono necessarie. Vi sono molti bassi da adattare al bisogno del sig. Sotto Intendente, vi è una commoda scala con portone. La detta casa volendosi ingrandire si potrebbe commodamente fare col acquistare le casette contigue del massaro Giuseppe Bruno voltando un piccolo arco nel vicolo che le divide. Nota. È situata in uno dei più bei siti della città, vicino al castello. Ha un solo piano. Vi vogliono diverse riparazioni interne”.[xv]
La famiglia dei Rizzuto
I Rizzuto o Rizuto sono già presenti a Crotone alla metà del Cinquecento, con Marco Antonio e Bernardino. Essi allora abitavano in parrocchia di S. Nicola deli Cropi. Sul finire del Seicento troviamo i fratelli Domenico, Giuseppe, Lucrezia e Margarita. Domenico si sposò con Elena La Nocita, abitò in parrocchia dei SS. Pietro e Paolo ed ebbe come figli Michele e Giovanni. Il mastro Michele Rizzuto alla morte del padre continuò ad abitare nella casa che era stata del genitore.[xvi]
Giuseppe fu canonico e rettore del canonicato sotto il titolo di San Vincenzo e Anastasio, possedeva alcuni magazzini dirimpetto la porta della città ed una vigna. Abitava anche lui nella casa in parrocchia di SS. Pietro e Paolo. Fu ministro e consultore della chiesa del Pio Monte de morti dei Pii Operari e tutore del nipote Giovanni.
In tale veste compare in un atto rogato il 26 gennaio 1724 presso il notaio Pelio Tiriolo. Con tale atto il guardiano ed i frati del convento di San Francesco d’Assisi di Crotone, cedono al canonico Giuseppe Rizzuto, in qualità di tutore del nipote Giovanni Rizzuto, quest’ultimo figlio ed erede del fu Domenico Rizzuto, due case matte. Le case sono descritte come unite insieme e situate in parrocchia di Santa Veneranda ed Anastasia, confinanti con la casa palaziata dei coniugi Isabella Rogano e Leonardo Messina,[xvii] dirimpetto la muraglia della città. Le case matte erano pervenute al convento per lascito del fu frate del convento Angelino Ximenes, ma esse non portavano utile, in quanto le pigioni che fruttavano, non erano sufficienti nemmeno per le riparazioni. Non avendo gli Asturelli denaro contante, ottengono di entrare in possesso delle case impegnandosi a pagare in perpetuo ducati quattro al convento.[xviii]
Alcuni anni dopo, poiché sia i Rizzuto che i confinanti Messina, vogliono elevare le loro abitazioni, per non dare origine a liti, raggiungono un accordo. Nel 1741, Giuseppe e Giovanni Rizzuto da una parte, e Felice Messina, con i suoi fratelli e sorelle, dall’altra, impegnano se stessi ed i propri eredi e successori. Sia i Rizzuto che i Messina potranno alzare le loro case, costruendo nuove camere senza essere impediti, anche se la nuova costruzione occupasse “la vista e lume per obliquum” dei vicini.[xix] Due anni dopo i Rizzuto possedevano la casa di loro abitazione e le due case matte attaccate.[xx]
Alla fine del Settecento troviamo Domenico, Antonio e Giuseppe Rizzuto. Il canonico Domenico fu rettore del canonicato dei SS. Filippo e Giacomo in cattedrale, procuratore del monastero di Santa Chiara e del seminario. Il palazzo dei Rizzuto, da Giovanni passò ad Antonio, il quale ancora alla fine del Settecento, pagava su di esso il canone di ducati quattro annui al monastero dei conventuali di San Francesco d’Assisi.[xxi] Sempre a quel tempo, parte del palazzo e precisamente la parte sottostante, era stata data in affitto.[xxii] Giuseppe, proprietario del palazzo che era stato di Giuseppe Grasso, fu sindaco del popolo nel 1780. Acquistò nel 1785 dalla Cassa Sacra la gabella Palumbara che rivendette quasi subito ad Antonio Marzano.
Le vicende del palazzo Grasso nell’Ottocento
Il palazzo, o casa, ereditato da Giuseppe Rizzuto in una pianta della città del Genio Militare del 1872 è indicato come palazzo Cosentini, e confina da una parte, con il piano del castello e dall’altra, con il palazzo dei Lucifero. Sul finire dell’Ottocento esso fu ampliato e ristrutturato dai Morelli, i quali si appropriarono della confinante strada pubblica e di case vicine (architetto Salvatore Bianciardi – 1885).
Note
[i] La chiesa parrocchiale di Santa Veneranda e Anastasia esigeva sulle case che furono di Susanna Rosa, un annuo censo di carlini 14 e grana 4, per istrumento stipulato dal notaio Isidoro Galasso il 27 luglio 1660. AVC, Anselmus de la Pena, Visita, 1720, f. 62.
[ii] AVC, Acta Sanctae Visitationis ab Ill.mo ac R.mo D.no Episcopo D. Marco Rama Ordinis Eremit.rum S.ti Augustini, A. D. 1699 confectae, f. 117v.
[iii] I fratelli Antonio, Ignatio e Caterina Grasso, erano figli di Laura La Nocita. ASCZ, Busta 707, anno 1718, f. 21.
[iv] AVC, Anselmus de la Pena, Visita, 1720, f. 62.
[v] ASN, Cam. Som., Catasto Onciario Cotrone, 1743, vol. 6955. f. 34.
[vi] I Grasso assieme a Berardino Suriano, Francesco Antonio Sculco ed a Pietro Zurlo, risultano nel 1743 i maggiori proprietari di grano. ASCZ, Busta 793, anno 1743, ff. 2-4.
[vii] Morto Francesco Maccarrone, la casa passerà alla vedova Minerva Letterio. Essa era situata vicino al largo del regio castello, in parrocchia di Santa Veneranda ed Anastasia, e confinava stretto mediante, con le case di Antonio Grasso da una parte, e stretto mediante dall’altra, con quelle degli eredi di Salvatore de Messina. ASCZ, Busta 857, anno 1754, f. 229.
[viii] ASCZ, Busta 854, anno 1746, f. 46.
[ix] ASCZ, Busta 1124, anno 1751, ff. 41-43.
[x] Giuseppe Grasso pagava ogni metà di agosto per ogni magazzino, carlini 12 di censo per il “jus soli” alla mensa vescovile, come da istrumento del notaio Antonio Asturi del 25 agosto 1742. AVC, Platea Mensa Vescovile, Cotrone, 1780, f. 19.
[xi] AVC, Busta 1128, anno 1765, ff. 79-81.
[xii] ASCZ, Busta 1129, anno 1768, ff. 180-186.
[xiii] AVC, Platea Mensa vescovile, Cotrone, 1780, f. 19.
[xiv] AVC, Catasto Onciario Cotrone 1793, f. 87v.
[xv] ASCZ, Intendenza opere pubbliche Busta 64, F. 1086.
[xvi] AVC, Acta Sanctae Visitationis ab Ill.mo ac R.mo D.no Episcopo D. Marco Rama Ordinis Eremit.rum S.ti Augustini, A. D. 1699 confectae, f. 72.
[xvii] La casa palaziata dei coniugi Isabella Rogano e Leonardo Messina era in parrocchia Santa Veneranda, e confinava con le case dell’eredi del fu Domenico Rizzuto, le case di Leonardo e Giuseppe Scarriglia, la via pubblica e altri confini. ASCZ, Busta 614, anno 1726, f. 37.
[xviii] AVC, Atto del notaio Tirioli, Cotrone 26, 1, 1724, Cart. 111.
[xix] ASCZ, Busta 666, anno 1741, f. 126.
[xx] ASN, Cam. Som., Catasto Onciario Cotrone, 1743, vol. 6955, f. 120.
[xxi] D. Antonio Rizzuto, per canone sopra la casa in parrocchia di S. Veneranda, deve in febbraio an.i D. quattro. AVC, Lista di Carico, 1790, f. 38.
[xxii] Antonio Rizzuto loca alcune casette sotto il suo palazzo, Catasto Onciario, Cotrone, 1793, 8v.
Creato il 16 Marzo 2015. Ultima modifica: 14 Ottobre 2022.