Dalla cattedrale medievale all’attuale basilica minore di Crotone
La tradizione popolare indica S. Pietro, l’attuale SS. Pietro e Paolo, come primitiva chiesa di Crotone. Potrebbe convalidare questa affermazione la posizione dell’edificio posto quasi al centro della città medievale; mancano tuttavia finora altri riscontri. L’attuale basilica cattedrale, intitolata all’Assunzione della Beata Vergine e sotto la protezione di S. Dionisio l’Areopagita, si eleva in quella parte della città interna alle mura ricostruite ed ampliate più volte e da ultimo dagli Spagnoli nel Cinquecento.
Numerose antiche chiese sono dedicate all’Assunta.[i] Il Martire, riportando la vita di S. Bartolo, afferma che nel 1122, il beato Policronio fu presente alla consacrazione della cattedrale di Crotone.[ii] Tralasciando questa dubbia testimonianza, possiamo tuttavia documentare che, alla fine del sec. XII, esisteva a Crotone una cattedrale intitolata alla “Sanctissimae Deiparae”.[iii] Il vescovato di Crotone (di cui si ha notizia fin dal VI sec.), suffraganeo della metropolia di Reggio, allora conservava la lingua greca. Passato infatti nell’Ottavo secolo sotto l’ubbidienza del patriarca di Costantinopoli si era grecizzato completamente.
Rito e lingua greca persistettero anche quando i Normanni nella seconda metà dell’Undicesimo secolo, imposero l’ubbidienza papale. Il passaggio dal rito e dalla lingua greca a quella latina procederà lentamente e non senza contrasti nei secoli XII e XIII. Ne sono prova la concessione fatta da Onorio III nel 1217 al vescovo crotonese “Johannes grecus”, di poter celebrare nelle due lingue, e la presenza sul seggio vescovile di Nicola di Durazzo (1254-1275), esperto in lingua e teologia greca e latina, che svolse opera di intermediazione tra il pontefice e l’imperatore di Costantinopoli per l’unificazione delle due chiese.
Sappiamo che nel Medioevo il vescovo di Crotone possedeva alcune tenute e riscuoteva le decime;[iv] egli doveva però restaurare a sue spese la cattedrale e concorrere con altri feudatari, alla fortificazione del “castrum” di Crotone.[v]
In origine la cattedrale dovette essere unica parrocchia, infatti vi era la fonte battesimale e vi si conservavano gli olii santi, il SS.mo Sacramento e l’unico libro dove si annotavano i battesimi ed i morti. In seguito con l’aumento della popolazione e con l’approvazione vescovile, sorsero piccole cappelle all’interno delle mura. L’eucarestia, l’olio santo e l’acqua santa, rimasero tuttavia in amministrazione e custodia esclusiva della cattedrale. Farà eccezione l’abbazia di S. Maria de Prothospatariis che, essendo di regio patronato, godrà di una certa autonomia non priva di conflittualità. La città fu suddivisa in parrocchie che, alla fine del Cinquecento, da 12 (oltre alla cattedrale vi erano le parrocchie di S. Petro, S.ta Narghina, S. Nicola deli Greci, S. Stefano, S.ta Vennera, S.ta Dominica, S. Giorgio, S. Angelo, S.ta Maria, S. Ioanne, S. Nicola deli Cropi), furono ridotte dal vescovo Lopez a 5 (S. Pietro, SS. Salvatore, S.ta Veneranda, S.ta Margarita e S. Maria), rimanendo all’arciprete della cattedrale solo la cura degli abitanti fuori mura.
Per sostenere le spese dei lavori di restauro della cattedrale e del palazzo, per amministrare il sacro e per il suo mantenimento, il vescovo poteva contare sulle entrate della mensa, provenienti dall’affitto di fondi rustici, di case e botteghe, da canoni su terreni e vignali, da censi su case e vigne e da alcune prerogative.[vi] Un economo si incaricava dell’amministrazione e inviava le rendite al vescovo, residente quasi sempre a Roma, essendo il governo della diocesi lasciato ad un vicario. La cattedrale, come anche l’episcopio e gli altri luoghi sacri, godeva del diritto di asilo, che sarà oggetto di numerosissime controversie,[vii] e sulle sue porte venivano appesi i cedoloni di scomunica, gli editti ed i bandi emessi dalla curia vescovile.
Dopo aver bombardato e costretto alla resa la città, centro della rivolta del marchese di Crotone Antonio Centelles, il 25 febbraio 1445 re Alfonso d’Aragona riconfermò al vescovo Cruchetto di Monte S. Pietro (1444-1457) i privilegi, essendo le pergamene originali andate perdute durante l’incendio, causato dagli eventi bellici, che aveva distrutto la cattedrale intitolata alla Vergine Maria ed il palazzo vescovile (alla fine del Seicento rimanevano al vescovo tre diritti: Il “jus mortuori”, la mastrodattia e l’approvazione del predicatore). Il re, inoltre, reintegrò la mensa di alcuni territori usurpati dal marchese ribelle.[viii]
Alla fine della dominazione aragonese, a causa dell’assenteismo vescovile, la cattedrale risulta trascurata, dall’aspetto squallido e mancante di parte del tetto.[ix] Su questo piccolo edificio, molto antico ed in rovina, all’inizio del Cinquecento, fu iniziata la costruzione di una nuova chiesa più grande e bella, adeguata al nuovo ruolo che la politica imperiale spagnola aveva delineato per la città. Il vescovo crotonese Antonio Lucifero (1508-1521) utilizzò perciò i ruderi del tempio di Hera Lacinia, ed edificò a fianco del corno del Vangelo, la cappella con altare di patronato familiare, dove mise la sua arme e fu seppellito.[x]
Risale all’inizio del Viceregno il primo riferimento al protettore della città, San Dionisio: era compito dell’università fornire ogni anno l’olio per la lampada del santo.[xi] È da un dipinto del patrono della città, così come ci è tramandato dal Nola Molise, che abbiamo la prima rappresentazione, anche se molto sommaria, della cattedrale. Essa ci appare situata a sinistra entrando dalla porta principale della città, porta che era inserita in un massiccio e caratteristico torrione. Probabilmente di stile gotico, aveva la facciata rivolta a ponente, stretta ed abbastanza elevata, dove si intravede il grande portale, sormontato dal rosone. Dietro l’edificio sacro a sinistra, si eleva dominante l’altissimo e forte campanile, con cupola sfero-conica molto allungata e terminante con una grande croce.[xii]
Con il concordato del 1529 tra papa Clemente VII e Carlo V, il vescovato di Crotone e quelli di Tropea, Reggio e Cassano, furono conferiti in patronato all’imperatore ed ai suoi successori.[xiii] Il diritto del sovrano di presentare l’aspirante al seggio crotonese, favorì l’insediamento di presuli spagnoli e napoletani, all’occasione fedeli al potere e a volte, con interessi lontani dalla diocesi e quindi spesso assenti e restii ad impegnarvi denaro.
Il nuovo edificio rimase ben presto incompleto e trascurato. I lavori riprenderanno solo dopo la metà del secolo, su iniziativa del vescovo Antonio Sebastiano Minturno (1565-1570), il quale “fe voltare la lamia sopra l’altaro maggiore con uno arco dello coro et fatta molta fabbrica in le ale et mura di essa ecclesia”, comprò molte “travi, tavole et altre legname”, per costruire il tetto che però rimase incompiuto.[xiv] Nel 1566 concesse a Silvestro Biamonte ed a Paolo Perrecta, di dedicare nella parte nuova un altare o cappella con sepolcro a Santa Maria di Loreto ed a San Nicola,[xv] e sempre nella nuova ala sinistra, cominciarono i lavori della cappella gentilizia dell’antica e nobile famiglia Nola Molise, in modo da trasferirvi l’altare con sepolcro che era situato nella parte vecchia.[xvi] A ricordo il nobile Andrea Nola Molise volle scolpire un epitaffio sulla lastra tombale del vescovo, mentre ancora oggi, la sua bella insegna episcopale in marmo bianco lavorato, campeggia all’esterno sull’ala dell’Epistola, iniziata durante il suo breve ma importante vescovato, che lasciò una grande eredità alla chiesa crotonese.
Si deve infatti a questo presule l’introduzione in cattedrale del culto della Vergine del Capo. L’immagine, che dalla chiesa di Santa Maria di Capo delle Colonne, era stata portata in quella di Gesù Maria del convento di San Francesco di Paola, fu posta in una nuova cappella in cattedrale, ed il vescovo ordinò che ogni sabato si celebrasse in suo onore l’ufficio composto da Sant’Agostino con le sacre litanie di Loreto.[xvii]
Morto il vescovo, cessò ogni attività. Un memoriale dell’università di Crotone al cappellano maggiore del regno, lo sollecita perché interceda presso il re Filippo II, per rendere possibile l’impiego di parte delle rendite della mensa, sede vacante, per pagare i debiti e procedere. Il sovrano concesse che ducati 200 prima, 300 poi, venissero consegnati a due deputati dell’università per essere spesi in lavori urgenti.[xviii] Si riprese così a costruire, anche se lentamente per altri tre anni, fino alla consacrazione del nuovo vescovo, lo spagnolo Cristoforo Bororal (1574-1578), e poi si proseguì in modo discontinuo. Sappiamo che durante il vescovato del napoletano Marcello Majorana (1578-1581), furono terminate alcune cappelle gentilizie tra le quali quella dei Nola Molise,[xix] e che durante il vescovato del domenicano spagnolo Giovanni Lopez (1595-1598), fu demolito l’altare di Santa Maria degli Angeli “perché dava impedimento alla chiesa”, e fu ricostruito dove era l’antica cappella della Visitazione vicino alla “Portella”.[xx]
Con sei dignità, tredici canonici, venti preti e circa sessanta chierici, all’inizio del Seicento, durante il vescovato di Carolo Catalano (1610-1622), l’edificio era in condizione precaria. Pur avendo la sacrestia, il campanile e le suppellettili sacre necessarie al culto, presentava numerose lesioni, tanto che per ripararlo e ricostruirlo in parte in forma migliore, bisognava spenderci parecchio.[xxi] Metà nuovo e metà vetusto, dalla parte del coro era decente, con la cappella e l’altare privilegiato della Vergine, ornati ed impreziositi dalla grandissima devozione popolare, e con le nuove cappelle gentilizie, il rimanente mostrava chiaramente i segni della decadenza e della trascuratezza, evidenziati dalle tre campane del campanile abbandonate sul pavimento.[xxii]
Vi avevano sede le due confraternite del SS.mo Sacramento e delle Cinque Piaghe,[xxiii] e vi erano numerose cappelle, tra le quali quelle di Santa Maria delle Grazie dei Lucifero,[xxiv] alla parete della quale era appeso un venerato Crocifisso ligneo,[xxv] quella episcopale di Santa Maria del Capo, quella della Resurrezione della famiglia Leone,[xxvi] e quella già ricordata dei Nola Molise. Quest’ultima in marmo bianco lavorato con colonne sopra leoni, con cornicione, altare, immagine della Madonna del Carmine ed arme di famiglia, era posta tra le cappelle della Circoncisione dei Sillano e della Natività dei Pelusio. Vi erano inoltre numerosi sepolcri e “monumenti” di famiglie nobili e benestanti.[xxvii]
Dominava il coro la grande immagine del protettore della città, San Dionigi l’Areopagita, raffigurato in cattedra con le insegne vescovili e reggente sulla destra la città.[xxviii] Verso la fine del suo breve vescovato, lo spagnolo Didaco Caveza de Vacca (1623-1626), abbattute alcune pareti del vecchio edificio, getta le fondamenta per elevarne uno completamente nuovo di forma più ampia ed elegante.[xxix] I lavori proseguirono anche se a rilento durante il vescovato di Niceforo Melisseno Comneno (1628-1632).[xxx] Del vescovo Melisseno rimane ancor oggi il grande calice d’argento indorato e incastonato di gemme fornito di patena, dono di Filippo IV.
All’inizio del vescovato dello spagnolo Giovanni Pastor dell’ordine dei minori (1638-1662), la cattedrale non era ancora finita. Essa era senza scale davanti alle porte e senza pavimentazione, le pareti erano tutte rustiche, mancava di parte del tetto e non vi era la cappella del SS.mo Sacramento, che doveva essere edificata nella parte nuova. Aveva la fonte battesimale formata da un unico e grande blocco in pietra, ed il pulpito, sul quale salivano i predicatori per divulgare la parola di Dio, essi erano scelti dal vescovo ma alimentati e pagati dall’università.[xxxi]
Il presule, consacrato alla fine di agosto del 1638, l’aveva trovata danneggiata dalle scosse di terremoto che, iniziate il 22 marzo di quell’anno, si erano prolungate fino all’estate, facendo crollare tra l’altro il campanile. Poiché per ripararla e completarla occorreva un cospicuo sforzo finanziario, egli si rivolse ad Urbano VIII, ottenendo di poter utilizzare a tale scopo le “poenas maleficiorum”[xxxii] (in questi anni viene eretta dalla confraternita dei SS. Crispino e Crispiniano, detta dei mastri scarpari, una cappella sotto il titolo dei SS. martiri Crispino e Crispiniano, con quadro, altare e sepolture).[xxxiii]
Il successivo terremoto del 6 novembre 1659, fa crollare il nuovo campanile e rovina l’edificio ancora incompleto.[xxxiv] In attesa di edificare un nuovo campanile, si pongono le campane un po’ sopra la facciata e si riparano la sacristia, il soffitto ed il pavimento.[xxxv] Resa agibile la chiesa, il vescovo, con alcune rendite non utilizzate della cappella del SS.mo Sacramento, fa installare nella parte più elevata del coro un organo grande e bello.[xxxvi]
Il vescovo successivo, il patrizio napoletano Hieronymus Carafa (1664-1683), completa il decoro. La cattedrale, parte nuova e parte vecchia,[xxxvii] che altro cielo non aveva se non le nude tegole, è ricoperta con un soffitto a cassettoni fatto con tavole lisce che il vescovo inizia a far pitturare con figure sacre. Erige a sue spese un magnifico altare dedicato alla Vergine Assunta ed al martire Dionisio, quest’ultimo principale patrono della città, la cui immagine in tela era nel prospetto della tribuna maggiore, e la cui festa si celebrava il 9 novembre a spese dei cittadini. La sacrestia in tavole di legno, situata presso la porta principale ed a cui si accede dall’ala del Vangelo, è ricostruita più ampia dalle fondamenta in un luogo migliore ed è arredata con armadi in noce. Il trono è rifatto: elevato, maestoso e sorretto da quattro robuste colonne. La cappella della Vergine del Capo è resa più bella, ed il coro è fornito di un triplice ordine di stalli in noce lavorato.[xxxviii]
Essendo le entrate della mensa tenuissime, anche a causa delle magre annate, contribuisce alle spese della fabbrica il capitolo della cattedrale.[xxxix] Il vescovo dona due calici con piedi di ottone e con la sua arme, ed a ricordo fa murare l’epigrafe: D. O. M./ Clemente X P. M. Ecclesiam/ Regente/ Carolo II Hispaniar. Rege/ Regnante/ Hyeronim. Carafa Patricius/ Neapolitanus/ Sponsam Suam Ecclesiam Croton./ Decoravit/ A. D. MDCLXXII.
I nuovi lavori compiuti, ma specie il nuovo trono vescovile che sovrastava quello del magistrato dell’università, diventarono ben presto occasione di lite. Dopo il vicariato del crotonese Geronimo Suriano (1683-1690) si insediò il nuovo vescovo, l’agostiniano spagnolo Marco de Rama (1690-1709), e subito sorsero contrasti sia nell’ordine di precedenza nelle cerimonie che per un nuovo sedile costruito dai governanti. L’università di Crotone, sindaco dei nobili Fabrizio Lucifero, fu accusata di non aver rispettato gli accordi nel sostituire il sedile, che da tempo antichissimo godeva, situato attaccato all’ “arco maggiore della nave della chiesa al corno del Vangelo”, dove trovavano posto i magistrati cittadini. Al posto del vecchio, in legname ordinario e senza fregi, ne aveva innalzato uno in noce, molto elevato, ornato con le sculture delle effigi di S. Dionisio, della città e con l’arme del re, occupando metà della navata e sopravanzando la cattedra vescovile.[xl]
All’inizio del Settecento la cattedrale a forma latina e rivolta ad occidente, ha un grandissimo pronao con decenti ali. Essa è stata unita al palazzo vescovile, in modo di potervi accedere senza passare per la piazza. All’ingresso del coro sotto la tribuna maggiore, c’è un elegante altare maggiore in marmo e dietro di esso, il coro con un triplice ordine di stalli in noce, scolpito con maestria (l’inferiore per i chierici, il mediano per i sacerdoti, i diaconi e i suddiaconi, il superiore per il vescovo, il vicario, le dignità, i canonici ed i parroci,[xli] alla cui parete pende l’immagine del protettore della città.
A destra dalla parte del corno del Vangelo, c’è l’antica cappella di Santa Maria delle Grazie dei Lucifero con l’arme del vescovo Antonio Lucifero. A sinistra dalla parte del corno dell’Epistola, risplende la cappella della Vergine del Capo, patrona della città e meta venerata della popolazione del Marchesato, con la sua effigie, decorata di gioielli in oro, argento e perle, e con le reliquie dei martiri Aurelio e Feliciano, poste dentro a teche di cristallo. In essa si conserva il tabernacolo in legno indorato del SS.mo Sacramento dell’Eucarestia e ci sono le statue lignee colorate di S. Francesco di Paola, di S. Antonio di Padova, ed una raffigurante il Bambino con al collo una medaglia d’argento, dono quest’ultima del vescovo Pastor (altare privilegiato in perpetuo per indulto di papa Gregorio XIII nel 1579 e consacrato nel 1653 da Annibale Syllano, nobile crotonese e vescovo castrense che donò due calici in argento).
Altri 21 altari ornano le pareti (SS.ma Concezione; SS. Crispino e Crispiniano; S. Maria di Costantinopoli; SS. Rosario; Epifania, rinnovata dall’arcivescovo di Santa Severina, Carlo Berlingieri: XPO A MAGIS ADORATO AC S.M./ MAGDAL.AE FAM.AE SUAE PATRONAE/ CAROL.S BERLINGERI.S AR.CHIEP./ S. SEVERINAE D.T.A. 1696; S. Maria de Mirtis; S. Maria di Monte Carmelo; S. Bernardino di Siena; Circoncisione; Natività; Annunciazione; Assunzione; S. Maria delle Grazie; Resurrezione; SS. Trinità; S. Matteo; SS. Vincenzo e Anastasio; S. Homobono; S. Tommaso; S. Maria delle Grazie e SS. Bartolomeo e Hieronymo; Cinque Piaghe, dove per concessione del vescovo Rama si venerava una statua lignea di antichissima e venerabile memoria, che prima pendeva alla parete della cappella di S. Maria delle Grazie dei Lucifero), dove trovano posto anche le statue lignee di S. Maria del Rosario, di S. Dionisio, di S. Gennaro, di S. Michele Arcangelo, ed i quadri raffiguranti S. Ignazio, S. Francesco di Sales, Mons. Caraffa, Mons. Rama, la Madonna del Capo, S. Maria Maggiore e tre miracoli della Vergine del Capo.
La sacrestia era fornita di numerosi oggetti sacri in argento: una croce per le processioni capitolari, un incensiero, un bacolo pastorale, una bussola, una bugia, un campanello, un secchio e alcuni calici (quello grande donato da re Filippo IV al vescovo Melisseno e altri con l’arme dei vescovi Minturno, Caraffa e Sillano). Vi erano inoltre numerose mitre, parati, pluviali, dalmatiche, pianete, ecc.[xlii]
Il vescovo napoletano Michele Guardia (1715-1718) riesce finalmente a completare l’opera; alza il presbiterio[xliii] e pone nell’altare maggiore le reliquie dei santi Celestino, Clemente, Innocenzo e Liberato, istituisce la cappella del SS.mo Sacramento, dove conserva il corpo del Signore in un tabernacolo dorato, a lato del coro dalla parte del Vangelo dove era quella dei Lucifero (la cappella è dotata di vari fondi rustici dal nobile Gio. Batt.a Antinoro), dona numerosi oggetti sacri e solennemente la consacra. A ricordo murò una lapide: CONSECRAVIT/ ILL. ET/ REMS DNS MICHAEL/ GUARDIA EPS/ CROTONEN. RITU/ SOLEMNI XIII KAL./ NOVEMB. MDCCXV, e per ricordare l’avvenimento si celebrò negli anni successivi ogni 20 ottobre la festa della Dedicazione.
Egli inoltre restaurò il coro, quasi completò la ricostruzione del pavimento in laterizio, e diede inizio ai lavori di copertura del soffitto a cassettoni, e donò un grande calice d’argento e due acquasantiere in marmo nero.[xliv] Lasciò erede universale la sua sposa, ordinando agli esecutori testamentari di applicare il denaro, l’argento e l’oro “alla fattura e perfettione della tempiata della chiesa vescovile”.[xlv] L’opera fu ripresa dal vescovo successivo, il benedettino Anselmo de la Pena (1719-1723), il quale nella sua visita alla cattedrale, effettuata ai primi di luglio del 1720, ordinò all’economo della mensa di riprendere quanto prima possibile i lavori di copertura del soffitto a cassettoni della navata, ornandolo con tavole levigate e completando l’opera iniziata dal suo predecessore, ma rimasta incompleta per la sua morte.[xlvi]
Mancava ancora il campanile e la campana maggiore batteva dall’atrio della cattedrale. Il vescovo Gaetano Costa (1723-1753), “ottenuti” dal suo predecessore mille ducati, fa scavare nel 1726 profondissime fondamenta, dove innalza una massiccia torre quadrata con mura larghe ciascuna sei palmi. Ben presto però, per l’imperizia del costruttore, il nuovo edificio cominciava a cedere, minacciando di rovinare parte della cattedrale. Per proteggere la facciata, troppo appesantita ed inclinata, si decise di rafforzarla con grandissimi massi. L’accorgimento si rilevò provvidenziale, infatti essa potette sostenere le numerose scosse del terremoto del 1744 che produssero seri danni ad altri edifici sacri della città. Finito il sisma, riprese la costruzione del campanile con costruttori capaci, e nel 1747 l’opera già sovrastava il tetto della chiesa.[xlvii]
Tre anni dopo il campanile era terminato ed erano anche finiti alcuni lavori al coro.[xlviii] Il vescovo Costa lasciava una cattedrale restaurata e rifatta in più parti in forma migliore, aveva collegato con una scalinata interna il palazzo vescovile con la cattedrale, costruito il sepolcro dei vescovi nella cappella della Vergine del Capo (1727),[xlix] nel coro l’ordine degli stalli era stato ampliato a quattro (per le sei dignità, i 18 canonici, i 34 sacerdoti ed i 10 chierici), e nella sacrestia vi era dell’ottima argenteria sacra.[l]
Egli stabilisce che parte della sua eredità “e specialmente del contanti, s’habbia d’applicare in fornire di stucchi la croce, o la nave” della cattedrale.[li] Utilizzando il suo lascito, il vescovo Domenico Zicari (1753-1757), essendo la sacristia molto angusta e ristretta, la ampliò comprando per tale scopo due bassi confinanti.[lii] Durante il vescovato del napoletano Mariano Amato (1757-1765), presta la sua opera in cattedrale il professore e maestro di musica e cappella della città di Napoli, Francesco Bifaro, il quale si è assunto l’onere di suonare l’organo ed accompagnare il coro in canto gregoriano nelle funzioni religiose più importanti.[liii]
Durante il vescovato del crotonese Giuseppe Capocchiani (1774-1788) furono riparati il tetto, il pavimento e le finestre. Attorno alle porte fu elevato un muro, in modo da formare quasi una stanza esterna, per la quale liberamente si accedeva e tuttavia serviva ad attenuare il soffio violentissimo e freddo del vento boreale, che altrimenti sarebbe penetrato nella chiesa, disturbando le funzioni religiose e spegnendo le candele sugli altari.[liv] Fu edificata la cantoria e fu istallato l’organo. Il tabernacolo in legno indorato dell’altare del SS.mo Sacramento fu rifatto in marmo e consacrato.[lv]
Alla fine del Settecento la cattedrale molto grande e divisa in tre navate, apre cinque porte (tre nella facciata e due nelle pareti laterali), ed è illuminata da trenta finestre. Essa ha la forma di un parallelogramma[lvi] ma è “un edificio di nessun gusto e sembra un vero magazzino”.[lvii] Senza simmetria, nella navata destra, dalla quale si accede all’ampia sacrestia, vi sono tre altari mentre in quella di sinistra ve ne sono nove. In mezzo c’è l’altare maggiore davanti al quale si eleva la cattedra vescovile circondata dal presbiterio, dietro c’è il coro quadrato, arredato elegantemente dal quadruplice ordine di stalli.
Di regio patronato, amministrata dal vescovo ed “uffiziata dal suo R.mo Capitolo composto di Dignità, Canonici e Clero seculare”, aveva le cappelle ecclesiastiche del SS. Sacramento (vi era annessa la confraternita laicale del SS. Sacramento, composta da mastri calzolai), della Vergine del Capo (protettrice principale della città), del SS. Crocifisso, della Madonna del Rosario, di S. Homobono (vi era annessa la confraternita laicale dei mastri sartori), e dei SS. Crispino e Crispiniano (vi era la confraternita dei mastri calzolai) e quelle laicali dell’Epifania (fam. Berlingieri), della Madonna del Carmine e di S. Antonio Abate (fam. Gallucci), della Madonna di Costantinopoli (fam. Berlingieri) e dell’Immacolata Concezione (fam. Suriano), e inoltre vi era quella di S. Dionisio Areopagita anche protettore principale della città, di cui ne aveva cura l’università e per essa i sindaci pro tempore.[lviii]
A causa del tetto che lascia passare la pioggia, le pareti sono umide ed il pavimento è rotto. Il vescovo Ludovico Ludovici (1792-1797) ottiene le somme di alcune rendite poste sotto sequestro dalla Cassa Sacra e fa rifare il tetto, risana le pareti rovinate dall’umidità ed il pavimento, fornisce le cappelle delle suppellettili mancanti, e la chiesa di numerosi oggetti sacri provenienti dai conventi soppressi dopo il terremoto del 1783 (dodici calici e due pissidi in argento e dieci calici e tre pissidi parte in argento e parte di altro metallo, alcuni cibori, un tabernacolo, un ostensorio e molte vesti sacre).[lix]
Rocco Coiro (1797-1812) continuò nel restauro del tetto[lx] e Domenico Feudale (1818-1828) fece compiere dei lavori di consolidamento e di risanamento.[lxi] Durante il vescovato di quest’ultimo, nel 1824, furono intrapresi, sotto la vigilanza di una commissione formata dal marchesino Anselmo Berlingieri, dal barone Francesco Galluccio e da D. Nicola Cosentino, deputati scelti dal vescovo, i lavori di costruzione della volta a stucco e dei rivestimenti della cattedrale, secondo i disegni del capomastro Tommaso Pirozzi[lxii] e due anni dopo fu riparato il tetto.[lxiii] I lavori furono ripresi dopo il terremoto del 1832 da Leonardo Todisco Grande (1833-1849), il quale, per evitare crolli, abolì i cassettoni ed abbassò la volta. Operò in questi anni l’architetto civile Tommaso Pirozzi, il quale diresse anche i lavori di restauro della cappella del Carmine della famiglia Gallucci.[lxiv]
Durante il vescovato di Aloisio Maria Lembo (1860-1883), furono rifatti i rivestimenti delle pareti e restaurati la cupola ed il pavimento. Il vescovo fece fare la volta a lamia della navata maggiore e consacrò la cattedrale e l’altare maggiore il 14 agosto 1875, tempo di giubileo:[lxv] D. O. M./ CATHEDRALE HOC TEMPLUM/ RUINOSUM POENE ET ADSPECTU INDECORUM/ FORNICIBUS PAVIMENTO ALIISQUE PARTIBUS/ AB INTEGRO REFECTIS/ THOLO INSTAURATO/ ORNATIBUS COETERISQUE NECESSARIIS ADDITIS/ ALOYSIUS M. LEMBO EPCPUS CROTONENSIS/ SUMPTIBUS SUIS CONDECORAVIT/ RITUQUE SOLEMNI UNA CUM ARA MAXIMA/ CONSECRAVIT POSTRIDIE IDUS AUGUSTI/ ANNO IUBILAEI MDCCCLXXV.
Sempre in questi anni fu consolidata la struttura, rinforzando le colonne e creando degli enormi pilastroni. Vennero completati il presbiterio e la cattedra episcopale, furono atterrati tutti i sepolcri che, chiusi da lapidi di marmo rotte ed indecenti, creavano un’aria malsana (solo la lapide con l’arme dei Berlingieri, in buono stato, fu collocata nella cappella del SS. Sacramento). Il pavimento fu perfezionato a marmoidea e reso più spazioso, ed il campanile fornito di nuove campane.[lxvi] L’opera continuò durante il vescovato di Giuseppe Cavaliere (1883-1899) che continuò a togliere dal pavimento numerosi marmi sepolcrali con stemmi gentilizi ed iscrizioni, che andarono dispersi, e proseguì la pavimentazione in marmo, sovrapponendola a quella precedente in mattonelle d’argilla.[lxvii]
Egli costruì il pulpito marmoreo dove mise la sua insegna: TU AUTEM LOQUERE/ QUAE DECENT SANAM DOCTRINAM/ DNUS: JOSEPH CAVALIERE/ EPISCOPUS CROTONEN/ A. D. MDCCCXCVIII, fece decorare la cappella e, fondendo ed utilizzando i preziosi dati in voto, incoronò nel 1893 sul sacrato, la Vergine del Capo ed il Bambino con corone di brillanti e smeraldi.
Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del nuovo secolo fu rifatta la cupola del campanile, rovinata da un fortunale, fu costruito il pulpito e restaurata la cappella della Madonna del Capo (progetto dell’architetto Pietro Paolo Farinelli), che viene consacrata nel 1901 ed è abbellita dai pittori De Falco e Boschetto.
Nel 1931 fu decorata la cappella di San Dionigi e nel 1935 (I Congresso mariano regionale) l’icona della Madonna con 12 stelle in brillanti. Nel secondo dopoguerra Pietro Raimondi (1946-1971) ripara i danni causati dall’evento bellico e restaura il coro ligneo secentesco. Dopo il Concilio Vaticano II, l’arcivescovo Giuseppe Agostino, recependo i canoni della nuova liturgia, che prevede che il celebrante rivolga il viso all’assemblea riunita, nel 1976 demolisce il vecchio altare maggiore in marmo e, rifatto, lo consacra, ristruttura tutta l’area del presbiterio e del coro e la abbellisce con un grande Crocifisso in terracotta (opera dello scultore romano Giovanni Ranocchi), fa intonacare le pareti e restaura la cappella dell’Epifania, facendovi trasportare la vecchia fonte battesimale, e quella della Vergine del Capo.
Nel 1984 la cattedrale è elevata a basilica minore e due anni dopo si inaugurano le due nuove porte in bronzo, realizzate dallo scultore crotonese Ludovico Graziani. Sempre in quell’anno si restaura e si impreziosisce l’immagine della Madonna del Capo, con una cornice nuova in argento lavorato e pietre preziose, opera dell’orafo Gerardo Sacco. Nel 1983 essa aveva subito un furto che l’aveva privata di molti preziosi e, sempre in quell’occasione, la cattedrale perse alcuni oggetti d’arte che erano custoditi in sacrestia. Ultimamente altri interventi hanno ridato maggiore evidenza al coro e agli antichi stalli lignei ed è stata ripristinata la pavimentazione.
Note
[i] Taccone Gallucci D., Regesti dei romani pontefici per le chiese della Calabria, Roma 1902, p. 393.
[ii] Martire D., La Calabria sacra e profana, Cosenza 1878, pp.17-18.
[iii] Trinchera F., Syllabus graecarum membranarum, Napoli 1865, p. 312.
[iv] Reg. Ang. Vol. II, 97-98.
[v] Reg. Ang. Vol. VI, 109-110.
[vi] Fonti Arag., Vol. II, 220-221. AVC, Acta Sanctae Visitationis ab Ill.mo ac R.mo D.no Episcopo D. Marco Rama Ordinis Eremit.rum S.ti Augustini, A. D. 1699 confectae, ff. 65v-80.
[vii] Il governatore con i suoi famigli arresta F. Rocca, che di notte va cantando e suonando in luoghi scandalosi della Piscaria. Passando vicino alla cattedrale il Rocca, nel tentativo di toccare la scalinata, dà uno strattone e cade assieme al famiglio che lo teneva e comincia a gridare: “Chiesa mi chiamo”. Egli rivendica il diritto di rifugio, affermando di aver toccato con un piede l’ultimo gradino del luogo sacro (ASCZ, Busta 336, anno 1692, ff. 13-16). Una squadra della regia udienza provinciale cattura U. Ferriolo accusato di aver frodato il fisco ma, mentre lo sta portando in carcere, il prigioniero fugge e si rifugia in cattedrale. I soldati lo riprendono ma intervengono alcuni ecclesiastici e lo liberano (ASCZ, Busta 663, anno 1731, ff. 101-102).
[viii] Zangari D., Capitoli e grazie concessi dagli Aragonesi al vescovo e all’università e uomini della città di Cotrone durante il sec. XV, Napoli 1923, p. 3 sgg.
[ix] Nel 1491 l’università di Crotone chiede al re che, poiché il vescovo trascura la sua chiesa, di poter utilizzare la terza parte delle entrate annuali della mensa per riparare la cattedrale e le case vescovili, e comprare le cose necessarie al culto. Trinchera F., Codice Diplomatico Aragonese o sia lettere regie: ordinamenti et altri atti governativi di sovrani aragonesi in Napoli, Napoli 1874, Vol. III, pp. 35-36.
[x] Ughelli F., Italia Sacra, Venezia 1721, t. IX, 390.
[xi] “Al m.co ber.no maneri per spesar oglo per la lampa de s.to dionisio grana 10”. ASN, Introyto erario di Cotrone, 1516/1517, f. 26.
[xii] Nola Molise G. B., Cronica dell’antichissima e nobilissima città di Crotone, Napoli 1649, p. 203.
[xiii] Taccone Gallucci D., Regesti dei romani pontefici per le chiese della Calabria, Roma 1902, p. 375.
[xiv] ASN, Conto del m.co Julio Cesaro de Leone sopra le entrate del vescovato de Cutrone, 1570 et 1571.
[xv] La cappella come per legato testamentario di Sylvester Perrecta, fu costruita “intus episcopatum novum”, e dotata con le terre dette “L’acqua di Cristo”. AVC, Cotrone 8.9.1566, Cart. 114.
[xvi] “Sacellum cum sepulchro Magnificorum nobilium virorum ex antiqua familia de Nola Molisi nuncupata ab utriusque Iuris Doctoribus Ioanne Vincentio, Ioanne Dominico, Hieronymo, Ioanne Andrea, et Ottavio de Nola Molisi fratribus patriciis Crotoniatis unanimiter e veteri in novum Episcopium translatum. anno. M. D. LXX.” Nola Molise G. B., Cronica dell’antichissima e nobilissima città di Crotone, 1649, X- XI.
[xvii] Ughelli F., Italia Sacra, Venezia 1721, t. IX, 383. Fiore G., Della Calabria Illustrata, II, p. 304. De Mayda B., Splendore della misericordia di Maria SS. di Capocolonne ossia i miracoli, Valle di Pompei, 1918, p. 13.
[xviii] ASN, Conto del m.co Julio Cesaro de Leone sopra le entrate del vescovato de Cutrone, 1570 et 1571.
[xix] Nel cornicione della cappella c’era la scritta: “Deiparae Mariae Virgini D. Bernardino ac B. Fran. Paulensi a Nola Molisiorum Familia Dicavit Ann. D.ni MDLXXX”. AVC, Beneficio della fam. Nola Molise, 1702.
[xx] AVC, Richiesta del canonico D. Joannes Paulus Labrutis al vescovo Lopez. Cotrone 12.11.1596, Cart. 113.
[xxi] ASV, Rel. Lim. Crotonen. 1610.
[xxii] ASV, Rel. Lim. Crotonen. 1614, 1617.
[xxiii] ASV, Rel. Lim. Crotonen. 1603. Durante il Seicento la confraternita delle Cinque Piaghe verrà meno, mentre continuerà ad esistere quella del SS.mo Sacramento, i cui confrati nelle processioni avevano l’onore di precedere tutti quelli delle altre confraternite, essendo la confraternita del SS.mo Sacramento la più antica. Essi indossavano un sacco bianco con cappuccio sciolto davanti al viso. Il rettore, tuttavia, essendo per antica consuetudine uno dei canonici, non indossava il sacco ma la veste canonicale e camminava tra i canonici. AVC, Acta Sanctae Visitationis ab Ill.mo ac R.mo D.no Episcopo D. Marco Rama Ordinis Eremit.rum S.ti Augustini, A. D. 1699 confectae, f. 45 sgg.
[xxiv] Russo F., Regesto, V, 394, 446.
[xxv] Nel 1655 J. Terrioti lascia per testamento una casa, con la condizione che con le rendite del denaro ottenuto dalla sua vendita, si compri l’olio per servizio del Crocifisso che è nel muro dentro la cappella della Madonna della Grazia dei Lucifero. ASCZ, Busta 229, anno 1657, ff. 73-75.
[xxvi] Russo F., Regesto, VI, 220.
[xxvii] Nel dicembre 1622 il R.do M. A. Barricellis economo della cattedrale per morte del vescovo Catalano, vende per carlini 35 a J. V. Leotta, un luogo in cattedrale affinché egli possa costruire per sè ed i suoi eredi un monumento. Il luogo è vicino al sepolcro dei Foresta e degli Scavello “lungo de vacuo nove palmi e alto quanto piacerà e largo 5”. ASCZ, Busta 117, anno 1622, f. 142.
[xxviii] Il quadro è ancora nel coro all’inizio del Settecento. AVC, Anselmus de la Pena, Visita, 1720.
[xxix] ASV, Visita ad Lim. Crotonen., 1640.
[xxx] ASV, Vis. ad Limina Crotonen. 1638, 1667,
[xxxi] ASV, Rel. Lim. Crotonen., 1638.
[xxxii] Il 6 ottobre 1638 Urbano VIII concede al vescovo Pastore di utilizzare le “poenas maleficiorum” della sua curia vescovile, per riparare il palazzo vescovile e la cattedrale. ASV, Secr. Brev. 864, ff. 289-290.
[xxxiii] La cappella nel marzo 1657 viene dotata con un annuo censo da Gio. Francesco Mazzulla. Allora erano procuratori della confraternita Leonardo Vetero, Josepho de Oppido, Carolo Terranova e Mattheo Buda. ASCZ, Busta 229, anno 1657, ff. 45v-46.
[xxxiv] Copia d’una lettera scritta da monsignor vescovo di Catanzaro in Calabria. BAV, Vat. Lat. 8076, ff. 301-305.
[xxxv] ASV, Rel. Lim. Crotonen. 1667.
[xxxvi] ASV, Rel. Lim. Crotonen. 1640.
[xxxvii] I Mezacroce possiedono una sepoltura in cattedrale nel “vescovato vecchio”, confinante con quella dei Negro (ASCZ, Busta 334, anno 1671, f. 87). A. La Nocita possiede una sepoltura sita nel “vescovato vecchio”, e proprio nella nave della chiesa vicino la porta maggiore (ASCZ, Busta 659, anno 1716, f. 69).
[xxxviii] ASV, Rel. Lim. Crotonen. 1678.
[xxxix] Il capitolo, essendo le entrate della chiesa tenuissime, decide di versare duc. 60, provenienti dalla rendita di una gabella, per contribuire alla fabbrica della cattedrale. ASCZ, Busta 334, anno 1672, f. 6.
[xl] Il nuovo sedile era situato nell’arco maggiore della nave della chiesa al corno del vangelo, attaccato all’arco, era alto 13 palmi e mezzo, lungo 12 meno 1/3 e largo 6, con due gradini. Nella spalliera erano scolpite l’effigie di S. Dionisio, l’arme del re e l’effigie di Crotone. Il bancone dove sedevano le massime autorità cittadine era diviso da tre bracciali. AVC, Relazione del canonico A. Fernandes, Cotrone 14.5.1694, Cart.114.
[xli] Al tempo del vescovo Rama vi erano 6 dignità (arcidiacono, decano, cantore, tesoriere, arciprete-penitenziere e primicerio), 18 canonici (SS. Annunciazione, S. Giuseppe, S. Maria della Scala, S. Basilio Magno-S. Gregorio, S. Antonio da Padova, S. Silvestro, S. Sofia, S. Paolo, S. Cataldo, S. Carlo, SS. Filippo e Giacomo, SS. Rustico ed Eleuterio, SS. Vincenzo ed Anastasio, S. Biase, S. Carlo, S. Nicola, S. Giovanni Battista e S. Francesco d’Assisi-Cinque Piaghe), e 5 parroci (S. Maria de Prothospatariis, SS. Pietro e Paolo, SS. Salvatore, S. Veneranda e S. Margarita). AVC, Acta Sanctae Visitationis ab Ill.mo ac R.mo D.no Episcopo D. Marco Rama Ordinis Eremit.rum S.ti Augustini, A. D. 1699 confectae, ff. 18-19.
[xlii] Durante la visita del 1699, il vescovo Rama ordinò all’economo tra le altre cose, di far riparare il tetto della cattedrale e di ripristinare le numerose lastre sepolcrali spezzate. AVC, Acta Sanctae Visitationis ab Ill.mo ac R.mo D.no Episcopo D. Marco Rama Ordinis Eremit.rum S.ti Augustini, A. D. 1699 confectae, ff. 9v, 76 sgg.
[xliii] Al tempo in cui fu alzato il presbiterio, venne concesso dalla curia vescovile a Leonardo di Cola, di poter costruire un sepolcro sopra il presbiterio, nella parte sinistra dalla parte del corno dell’Epistola di rimpetto all’altare maggiore. ASCZ, Busta 1345, anno 1777, ff. 58-59.
[xliv] AVC, Anselmus de la Pena, Visita, 1720, f. 7 sgg.
[xlv] Michele Guardia fu sepolto il 9.10.1718 nel sepolcro dei vescovi dentro la cappella della Madonna del Capo. ASCZ, Busta 707, anno 1718, ff. 31-33.
[xlvi] AVC, Anselmus de la Pena, Visita, 1720, f. 8.
[xlvii] AVC, Rel. Lim. Crotonen. 1747.
[xlviii] ASV, Rel. Lim. Crotonen. 1750.
[xlix] Capialbi V., La continuazione dell’Italia Sacra dell’Ughelli per i vescovadi di Calabria. Cotrone ed Isola, Arch. Stor. Cal. 1914, p. 511.
[l] ASV, Rel. Lim. Crotonen. 1754.
[li] Gaetano Costa morì il 26.1.1753. AVC, Testamento di Fra Gaetano Costa del 28.12.1752. Libro dei Morti.
[lii] I due bassi facevano parte del palazzo venduto dal marchese Francesco Cesare Berlingieri ai Maccarrone. ASCZ, Busta 858, anno 1755, ff. 263-268.
[liii] Il Bifaro si impegna ad esercitare la carica di maestro di cappella per tre anni, a iniziare dal primo novembre 1758, con uno stipendio annuale di duc. 82, che verrà pagato parte dal pio monte dei morti e dal capitolo, e parte dalle cappelle del SS.mo Sacramento, della B. V. del Capo e del SS.mo Rosario. ASCZ, Busta 859, anno 1758, ff. 163-165.
[liv] ASV, Rel. Lim. Crotonen., 1778.
[lv] ASV, Rel. Lim. Crotonen., 1769. Capialbi V., La continuazione dell’Italia Sacra dell’Ughelli per i vescovadi di Calabria. Cotrone ed Isola, Arch. Stor. Cal. 1914, p. 513.
[lvi] ASV, Rel. Lim. Crotonen. 1795.
[lvii] Galanti G. M., Giornale di viaggio in Calabria, SEN 1982, p. 120.
[lviii] AVC, Nota delle chiese e luoghi pii ecclesiastici e secolari esistenti nel distretto della giurisdizione del regio governatore della città di Cotrone, 1777.
[lix] ASV, Rel. Lim. Crotonen. 1795.
[lx] Capialbi V., La continuazione dell’Italia Sacra dell’Ughelli per i vescovadi di Calabria. Cotrone ed Isola, Arch. Stor. Cal. 1914, p. 515.
[lxi] Capialbi V., La continuazione dell’Italia Sacra dell’Ughelli per i vescovadi di Calabria. Cotrone ed Isola, Arch. Stor. Cal. 1914, p. 516. La diocesi di Crotone è così descritta: “Ha un Capitolo esemplare, composto di sei dignità e di dieceotto canonici con dodeci mansionari e con parecchi sacerdoti d.i sopranumerari. Ha cinque parocchie co’ rispettivi Parochi. Ha una magnifica cattedrale di architettura gotica, ricca di vasi sagri e di sagre suppellettili; ha un vasto Episcopio attaccato alla Cattedrale, ed un gran seminario …”. AVC, Lettera del Capitolo e clero della chiesa cattedrale di Cotrone al Papa, Cotrone15.8.1818.
[lxii] Ai lavori di costruzione della volta a lamia finta della cattedrale, prestò la sua opera fra gli altri, il mastro falegname Antonio Ruggieri. AVC, Platea Mensa Vescovile, Cotrone 1824.
[lxiii] Nel febbraio 1826 fu accomodata la copertura della cattedrale e dell’episcopio. Operarono i mastri muratori Domenico Primerano, Raffaele Suppa e Domenico Cafè. AVC, Platea Mensa Vescovile, Cotrone 1826.
[lxiv] AVC, Cappella del Carmine, Cotrone 18.6.1858, Cart. 118.
[lxv] Juzzolini P., Santuario di Maria SS. del Capo delle Colonne in Cotrone, Cotrone 1882, p. 84.
[lxvi] Mungari P., Una svolta nel lontano passato, in Capire per vivere n. 5, 1985, p. 25. De Mayda B., Splendore della misericordia di Maria SS. di Capocolonne ossia i miracoli, Valle di Pompei, 1918, p. 68.
[lxvii] Mungari P., Una svolta nel lontano passato, in Capire per vivere n. 5, 1985, p. 25.
Creato il 9 Marzo 2015. Ultima modifica: 12 Ottobre 2022.
Tutto ciò che ho letto è stato molto esplicativo, ma spesso, mi sono perso nelle spiegazioni perché, a mio avviso, ci vorrebbero dei collegamenti ipertestuali o arricchire il testo con più immagini.
Grazie per i suoi suggerimenti. Saluti, Pino Rende