Case e botteghe di Crotone alle Barberie
Le botteghe dei “Barberi”
Fin dall’inizio del Seicento, appena entrati dalla Porta Maggiore della città, esisteva a destra il luogo detto “li Barberi”.[i] Nell’agosto 1657 Alfonso Giuliano donava alla figlia Portia, “per potersi più commodamente maritare”, alcuni immobili posti in parrocchia di Santa Margherita, tra i quali “uno palazzotto posto in d.a parocchia confine le case della R.a Dohana affacciante sopra le poteche delli Barberi alla porta della città confine un’altra casa simil.e promessa in dote a d.o Mutio Bernale dopo la morte di esso Alfonso”.[ii]
Alcuni anni dopo Mutio Bernale, che aveva sposato Hippolita Giuliano, figlia di Alfonso, risultava in possesso delle proprietà del suocero. Infatti, nell’agosto 1674 donava al figlio, il chierico Hierolimo Bernale, alcuni suoi beni e cioè: due botteghe in piazza, “una casa in una camera col il suo basso”, attaccata alla Regia Dogana della città, in parrocchia di Santa Margherita, ed un vignale. Tali beni erano concessi al figlio, perché, in quanto chierico, una volta compiuti i 22 anni, potesse ascendere agli ordini sacri. In cambio di questa donazione Hierolimo dovrà però astenersi da ogni pretesa, sia sui beni paterni che materni, ed altresì rinuncerà in favore del fratello Domenico, ad ogni suo diritto sulla parte dell’eredità rimasta dell’avo, il fu Alfonso Giuliano. Egli inoltre dovrà assicurare gli alimenti alla signora Porzia Giuliano, figlia di Alfonso Giuliano, vita sua durante.[iii]
Mutio Bernale, padre di prete, morirà l’otto giugno 1705.[iv] Allora questa parte della città poteva essere così descritta. Appena entrati dalla porta principale, dove c’è “lo corpo de la guardia”, dirimpetto vi è la regia dogana.[v] Sempre di fronte alle regie mura, accanto alla regia dogana, ci sono una casa palatiata del canonicato di San Francesco d’Assisi e delle Cinque Piaghe, le botteghe dette “delli barberi”, appartenenti all’ospedale, una bottega appartenente alla chiesa parrocchiale dei SS. Pietro e Paolo, che è “nel mezo di quelle dello spedale”, ed il “convento de Bonfratelli”, con la chiesa di Santa Maria della Pietà.[vi]
Su ognuna delle sette botteghe “de Barbieri”, che parte erano affittate a barbieri, e parte a calzolai e sarti, sei appartenenti all’ospedale ed una alla chiesa parrocchiale dei SS. Pietro e Paolo, l’arciconfraternita del SS. Sacramento esigeva un censo annuo di carlini cinque. Al pagamento di solito erano obbligati coloro che le avevano in affitto ma, se questi non avessero versato, avrebbero dovuto pagare i proprietari. I proprietari, a loro volta, dichiaravano di affittare le botteghe ad un canone annuo che variava tra i 5 e i 7 ducati e mezzo, a secondo delle richieste.[vii] In seguito le case che affacciavano sopra le botteghe dei Barberi, appartenute ai Giuliano e poi ai Bernale, passarono in proprietà ai Tronca, per dote di Lucrezia Bernale. Nel 1720 Diego Tronca, figlio di Lucrezia Bernale, ne risulta in possesso.[viii]
A metà Settecento i proprietari sono gli stessi. Il convento ospedale dell’ordine de Buon Fratelli di S. Giovanni di Dio conserva le sue botteghe: tre per uso de ferrari sotto il convento e sei per uso di barbieri, il canonicato di S. Francesco d’Assisi e le Cinque Piaghe del canonico Giuseppe Messina, ha una casa in parrocchia di Santa Margherita, confinante con il convento di San Giovanni di Dio, e la chiesa parrocchiale dei SS. Pietro e Paolo conserva la sua bottega.[ix]
Sempre in tale periodo il notaio Antonio Asturi aveva la sua curia nella “fila delle Barberie e proprio detta curia ch’è la terza bottega appresso la venerabile chiesa del convento dell’ospedale dell’ordine de Bonfratelli di S. Giovanni di Dio in Cornu Evangelii”,[x] ed il mastro Martino di Sole che ha ottenuto l’assenso regio di poter fare una bottega sotto il torrione dell’orologio cittadino, dovendo ora fare una porta per entrarvi, ha dal priore e dai frati del convento di S. Giovanni di Dio, previo il pagamento di un annuo censo, “un picciolo suolo e luogo diruto che prima era coverto e posseduto dal riferito convento per commodo di alloggiare li pellegrini”.[xi]
Il casamento di Salvatore Mazza
Il capomastro delle opere del regio porto della città di Crotone, il napoletano Salvatore Mazza, che già aveva lavorato a Viareggio, da più anni accasato e dimorante in città, abitava in una casa palaziata, che aveva acquistato da Diego Tronca, in parrocchia di Santa Margarita, nei pressi del convento di San Giovanni di Dio. Il convento dell’ospedale di Santa Maria della Pietà possedeva tre botteghe di rimpetto alle regie mura della Porta, attaccate alla casa palaziata del Mazza, le finestre della quale sporgevano al di sopra delle stesse botteghe, che confinavano da una parte, con la regia dogana e dall’altra, con le case dotali di Michele Fiscardi. Il convento possedeva, inoltre, altre tre botteghe, l’ultima delle quali era attaccata alla chiesa del medesimo convento.
Volendo il Mazza far magnifica la sua casa palaziata, propose di rendere abitabili e di miglior forma le vicine botteghe, i muri ed i tetti delle quali stavano per rovinare, in modo tale che esse divenute “più amene”, con una “nuova affacciata”, e divenuta “la Piazza più lustra”, avrebbero accresciuto il loro valore. Facendo presente il suo desiderio, consegnò una supplica il 5 maggio del 1765, al padre provinciale dell’ordine di San Giovanni di Dio, il padre Agostino de Cardines, che si trovava in santa visita a Crotone, chiedendo che gli fosse permesso di fabbricare sopra le mura delle dette botteghe, ed unendole alla sua casa fare un solo “accasamento”. In compenso egli si impegnava a fare tutti i lavori a sue spese, rifacendo ed ingrossando i muri delle botteghe, in modo da renderli capaci di sostenere la nuova costruzione superiore. Avrebbe anche increspata tutta la facciata, rifatto di legname ed altro materiale, con mattonate il pavimento sopra le botteghe, e sostituito la muratura, che era di creta, con una di calce.
Il padre provinciale prese in esame la supplica ed espresse parere favorevole: “purché il nuovo fabbricato non recasse danno al convento, né ci fosse alcuna alienazione delle botteghe”. Il 5 luglio dello stesso anno, egli inoltrò la richiesta al padre Andrea Cilli, vicario e superiore del convento dell’ospedale di San Giovanni di Dio, ordinandogli “di fare la solita conclusione e la trascrizione nel solito libro” e, per maggior sicurezza del convento, si stipulasse un atto pubblico da un notaio.
Il superiore del convento, convocati in forma capitolare i religiosi locali del convento, lesse ed illustrò la supplica del Mazza e l’ordine del provinciale, e quindi chiese di approvare, qualora si ritenesse utile per il convento. La proposta sottoposta al parere dei frati prevedeva la concessione al Mazza di quattro botteghe con tutto il loro materiale, legname ed altro, che le componevano. Il Mazza dal canto suo si impegnava a rifarle a sue spese, irrobustendone le mura, in modo che esse potessero sostenere la costruzione superiore. Doveva poi far mettere tutto il legname occorrente e munire ogni bottega di una nuova porta. Egli, inoltre, si impegnava a far sì che il nuovo edificio, che costruiva sopra le botteghe, non avesse alcuna entrata o finestra in alcuna bottega e, durante la costruzione delle botteghe fino al loro completamento, doveva corrispondere all’ospedale il fitto mancato.
Esaminata e discussa la questione, i padri conclusero all’unanimità che il mastro Salvatore Mazza doveva fare a sue spese e secondo i suoi desideri “sopra le mura di dette tre botteghe altre fabriche per uso di abitazione, ingrossare le mura antichi davanti dal primo pedamento, e tirarli sin dove li piacerà tutti di calce, e non di creta, ingrossarli a dovere dalla parte di fuori e dalla parte di dentro ancora, unitamente colli moretti, che dividono le dette botteghe, con intonacarli e bianchirli di bianco e fare a sue spese il pavimento di legname e mattonate di sopra e sempre renderle ottime per non apportare menomo incomodo all’abbitatori ed affittuari di quelle”.
Al Mazza veniva lasciato tutto il materiale vecchio delle tre botteghe. Gli veniva però imposta la condizione che, se entro 15 anni dalla data del contratto, fossero avvenute delle lesioni nelle mura delle botteghe a causa della nuova costruzione, il mastro, o i suoi eredi e successori, era tenuto a sue spese a ripararle o ricostruirle anche dalle fondamenta. Altresì, passati i 15 anni, se i muri avessero avuto bisogno di qualunque lavoro di restauro o di ricostruzione per qualsiasi causa, essi dovevano essere riparati, o riedificati, a spese comuni “dalla parte del pavimento in abbasso”, mentre dal pavimento in su solo a spese del Mazza o dei suoi successori.
Il Mazza, dopo essersi accordato con i frati del convento di San Giovanni di Dio, trattò col parroco della chiesa parrocchiale dei SS. Pietro e Paolo, Giuseppe Vajanella, in quanto proprietario di un’altra bottega, che si trovava in mezzo alle tre dell’ospedale, e sulla quale doveva ugualmente costruire. Accordatosi le parti con gli stessi patti e condizioni, il 16 settembre dello stesso anno presso il notaio Gerardo De Meo, fu stipulato l’accordo tra il mastro Salvadore Mazza, il vicario Andrea Cilli del convento dell’ospedale di Santa Maria della Pietà, ed il parroco della chiesa parrocchiale dei SS. Pietro e Paolo, Giuseppe Vajanella.
Nell’atto notarile venivano concesse le quattro botteghe in modo che il Mazza potesse “edificare e far edificare camere con nuovi muri di quell’altezza che aggraderà, far formare finestre, ed altro necessario per render le camere sudette faciende nuove in miglior forma, che poranno riuscire farsi”, con i patti e le condizioni a suo tempo stabiliti. Inoltre, il Mazza per sua devozione, si obbligava a costruire nel convento a sue spese, su semplice richiesta del superiore del convento, un campanile con tre pilastri “di buonissima qualità, per reggere e mantenere almeno due campane di rotola venti circa”, facendoci sopra “due archetti col monticello per ponerci la croce”, in modo da mettervi le due campane, che si trovavano nell’ospedale.[xii]
La città si espande
La città stretta tra le mura era in crescita. Gli spazi vuoti al suo interno diminuivano, le case si elevavano e gli affitti crescevano. Poiché non era possibile costruire all’esterno della porta, restavano i suoli pubblici presso le regie mura, ormai prive di ogni potere difensivo.
Nel 1769, i notai Gerardo De Meo, Gio.Domenico Siciliano e Vitaliano Pittò, ed i barbieri Benedetto Stabile e Vincenzo Zurlo, facevano presente agli amministratori cittadini “come essendo questa città tutta murata, ed in maniera tale angusta, che non vi è luogo di potervi fare edifici, per la qual cosa non tanto facile, si ritrovano luoghi, e botteghe in affitto senza portar grande interesse a cittadini”. Chiedevano perciò la concessione di un suolo pubblico presso le mura, impegnandosi al pagamento di un canone perpetuo.
La loro richiesta fu accolta dal governo cittadino, e avuto anche l’assenso regio, in quanto i loro edifici costruendi dovevano essere addossati alle regie mura, edificarono cinque botteghe. Ogni “barracca” era formata di tavole e coperta con tegole, mentre il suolo complessivo richiesto all’università misurava palmi 14 x 70. Esse furono edificate proprio nello spiazzo di rimpetto ad altre curie e botteghe di barbieri e all’ospedale di S. Giovanni di Dio, “nel luogo detto il sedile delli massari”.[xiii]
Numerose altre botteghe verranno costruite negli anni seguenti, da una parte e dall’altra della porta maggiore della città. Esse utilizzavano il suolo comunale ed erano appoggiate alle regie mura.[xiv] Da un’indagine condotta all’inizio del marzo 1776, risultò che, nel 1770, ci furono quindici concessioni per l’occupazione di suolo accosto alle mura regie per la costruzione di baracche e di botteghe, due nel 1774, ed altre nove, comunque, prima della rilevazione.[xv]
Gli eredi Mazza
Tra la ventina di botteghe, che erano attive nella vicinanza della porta maggiore, vi era anche quella concessa nel marzo 1770, al mastro Salvatore Mazza, il quale nell’aprile 1774, cominciò a costruirvi accanto una casa. Poco dopo Salvatore Mazza moriva. Nel novembre 1775 il mastro Gioacchino Mazza, figlio di Salvatore ed uno degli eredi, era intento a proseguire l’opera del padre. Egli, infatti, stava proseguendo la costruzione di un casamento accanto alla sua bottega, situato a man dritta nell’entrare la Porta Maggiore. L’edificio era situato di fronte all’ospedale, costruito sul suolo universale ed appoggiato alle regie mura. L’intera costruzione, così come misurata da alcuni esperti, era lunga palmi 94, larga palmi 23, e alta palmi 28.[xvi]
Sul finire del Settecento rimanevano i figli ed eredi di Salvatore Mazza e del figlio Gioacchino.[xvii] Una sua figlia Angela aveva sposato un mastro d’ascia di mare, addetto alle opere del porto, il napoletano Giovanni Lemnis o Liguori. Essa abitava in parrocchia di Santa Margherita, sopra le mura della Porta della città. Gli eredi del fu Gioacchino Mazza possedevano ed abitavano in una casa comprata dal fu Diego Tronga e davano in fitto una casa con la taverna sottostante vicino alla porta Maggiore della città.[xviii]
Allora il monastero di San Giovanni di Dio ed il parroco della chiesa parrocchiale di San Pietro, Giuseppe Vajanelli, pagavano alla cappella del SS. Sacramento sopra le “botteghe delle Barberie”, rispettivamente carlini trenta e carlini cinque.[xix] All’inizio dell’Ottocento le botteghe dette “della Barberia”, erano ancora degli antichi proprietari. La cappella del SS.mo Sacramento eretta dentro la chiesa Cattedrale esigeva ancora i censi enfiteutici da pagarsi nell’agosto di ogni anno. Per la sua bottega il parroco di San Pietro versava 50 grana, mentre per le sei botteghe il convento di San Giovanni dava tre ducati.[xx]
Note
[i] ASCZ, Busta 49, anno 1610, f. 46v.
[ii] ASCZ, Busta 229, anno 1657, f. 107v.
[iii] ASCZ, Busta 333, anno 1674, f. 61.
[iv] AVC, Platea del Capitolo 1704/1705, f. 15.
[v] “La porta di questa Regia Dohana di Cotrone frontespitio la porta maggiore di questa città”. ASCZ, Busta 663, anno 1729, f. 104v.
[vi] AVC, Acta Sanctae Visitationis ab Ill.mo ac R.mo D.no Episcopo D. Marco Rama, A. D. 1699 confecta, f. 114; Anselmus de la Pena, Visita, 1720, ff. 26v, 30.
[vii] AVC, Acta Sanctae Visitationis ab Ill.mo ac R.mo D.no Episcopo D. Marco Rama, A. D. 1699 confecta, f. 88; Anselmus de la Pena, Visita, 1720, f. 47.
[viii] AVC, Anselmus de la Pena, Visita, 1720, ff. 41 sgg.
[ix] ASN, Cam. Som., Catasto Onciario Cotrone, 1743, vol. 6955, ff. 215, 277.
[x] Il notaio Antonio Asturi aveva la sua curia “nella fila delle Barberie, ch’è la terza bottega appresso la chiesa del venerabile Ospedale della città”. ASCZ, Busta 911, anno 1743, f. 140; Busta 914, anno 1757, f. 117v.
[xi] ASCZ, Busta 1267, anno 1759, f. 256.
[xii] ASCZ, Busta 1324, anno 1765, ff. 134-144.
[xiii] ASCZ, Busta 1129, anno 1769, ff. 100-108.
[xiv] Nel febbraio 1776 Michele Messina possedeva due botteghe appoggiate alle regie mura, dirimpetto a quelle date in fitto dall’ospedale, cioè “una appresso la prima a man dritta nell’entrare la Porta Maggiore di questa sud.a città, e l’altra che viene ad essere la quinta nella fila delle medesime”. L’appoggio alle mura misurava palmi 14 in lunghezza e palmi 20 in altezza (ASCZ, Busta 1327, anno 1776, f. 67). Il mastro armiere Vincenzo Blaccarà edifica una bottega, con sopra una camera e con due piccoli camerini a lato, sul suolo appartenente al Fondo Reale “a man deritta nell’entrare la porta maggiore vicino l’istessa” (ASCZ, Busta 1327, anno 1776, f. 145).
[xv] Le botteghe appartenevano a Mastro Vincenzo Naccarati, Salvatore Mazza, Gio. Spataro (prima apparteneva a Benedetto Stabile), Federico Lettiero, Raffaele Perri, Annibale Montalcini (prima era di Vincenzo Arrighi), Giuseppe Micilotto, mastri Antonio Brunelli e Dionisio Lo Jaco, Raffaele Suriano, Vincenzo Cavarretta e Tammaso Marino, notaio Gio. Domenico Siciliano, Michele Messina, prima era del notaio Vitaliano Pittò, mastro Vincenzo Zurlo, prima era di Michele Messina, mastro Giuseppe Rizzo, Gregorio Alfì, Agostino Morelli, notaio Gerardo de Meo, Valerio Camposano, mastro Vincenzo Marino, Gio. Antonio Simonetti e mastro Domenico La Piccola. ASCZ, Busta 1327, anno 1776, ff. 155-156.
[xvi] Poiché il luogo dove sorgeva il casamento in costruzione di Gioacchino Mazza “è solitario, e pericoloso in tempo di notte di ladri e di cattiva aere per caggione del spuzzore che vene dalle beccherie vicine per l’animali che si macellano”, il Mazza ottiene un trattamento di favore con il pagamento di un annuo censo perpetuo di ducati 9 a favore del Real Fondo. ASCZ, Busta 1327, anno 1775, f. 228.
[xvii] Gli eredi di Vincenzo Naccarati posseggono una casa di loro abitazione unita a quella del q.m Salvatore Mazza, vicino la Porta Maggiore di questa città ed appoggiata alle regie mura. AVC, Catasto Onciario Cotrone, 1793, f. 43v.
[xviii] AVC, Catasto Onciario Cotrone 1793, f. 43v.
[xix] AVC, Cassa Sacra, Lista di carico, 1790, f. 28.
[xx] AVC, Platea delle rendite e pesi della Ven. Cappella del SS. Sagramento, 1824, f. 4.
Creato il 16 Marzo 2015. Ultima modifica: 24 Ottobre 2022.
Un tuffo nel passato! Complimenti
Grazie, buona lettura.