Alle origini della provincia di Crotone. Da Nicolò Ruffo, primo marchese di Crotone, alle fallite rivolte autonomistiche di Antonio Centelles
Nicolò Ruffo, figlio di Antonello, conte di Catanzaro, ereditò le grandi proprietà che avevano accumulato soprattutto i suoi avi Pietro I e Pietro II. Risale al 1378 la notizia che suo padre Antonello, deteneva in feudo Crotone[i] e anche alcuni casali di Santa Severina, ma non quest’ultima,[ii] mentre, in precedenza (1346), entrambe le città sono ricordate tra le poche università demaniali del regno.[iii]
Nella lotta tra Luigi I d’Angiò e Carlo III di Durazzo Nicolò parteggiò per quest’ultimo. Da un documento del 9 settembre 1384 veniamo a conoscenza che egli veniva nominato viceré delle Calabrie dalla regina Margherita, durante il suo vicariato per la spedizione di re Carlo III nelle Puglie. In tale veste, il conte di Catanzaro, il 10 gennaio 1385 era incaricato dalla regina, assieme ad altri baroni fedeli, di raccogliere denaro, “a titolo di donativo, corrispondente alla metà di una colletta”, per sostenere la gente in armi al servizio del re poiché continuavano nel ducato di Calabria i moti dei nemici e dei ribelli, guidati da Tommaso di Sanseverino.[iv]
Il primo maggio 1388, con due brevi, il papa Urbano VI lo nomina giustiziere e vicario nei beni temporali appartenenti e spettanti alla chiesa romana nella provincia del ducato di Calabria, e ordina all’arcivescovo di Santa Severina ed al vescovo di Squillace, di riceverne il giuramento di fedeltà per ragione del detto vicariato.[v]
Frattanto Ladislao, figlio di Carlo III e di Margherita di Durazzo, veniva incoronato il 23 maggio 1390 re di Sicilia dal cardinale Angelo Acciaiuoli, legato del nuovo papa Bonifacio IX, che intendeva così averne l’appoggio contro il papa scismatico Clemente VII ed i suoi alleati, il re Carlo VI ed il pretendente angioino al regno napoletano, Luigi II d’Angiò. Il nuovo re per i servizi prestati al padre e alla madre e per tenerlo alleato, il 18 ottobre 1390 creò Nicolò Ruffo marchese di Crotone, dando l’incarico dell’investitura ad Enrico Sanseverino, conte di Belcastro, Carlo Ruffo di Montalto e di Corigliano, Giordano Arena, signore della baronia di Arena, e a Benedetto Acciaiuoli, tutti membri del consiglio di reggenza. Al marchese di Crotone, inoltre, veniva concessa una rendita annua di 300 once d’oro e la conferma nella signoria d’Altavilla, di Cotrone, Strongoli, Martorano e dei casali di Scillone e Motta Grimaldi.[vi] Poco dopo, il 10 novembre 1390, al perdono per alcuni atti di violenza contro l’autorità regia, era aggiunta la conferma della donazione fatta da Carlo III, dei feudi di San Niceto, Satriano e Oliveto, terre che erano state devolute alla corte per la ribellione di Giovanna Ruffa.[vii] In seguito però il marchese passava a militare sotto le insegne di Luigi II d’Angiò contro i Durazzo, ma poi ritornava nelle file di Ladislao.
L’entrata delle truppe di Ladislao il 7 luglio 1399 in Napoli, segna la definitiva sconfitta e messa in fuga delle truppe e del pretendente angioino che lascia il Regno di Napoli. Con la fine delle ostilità il Ruffo, il 20 novembre 1399, ottiene la carica di viceré in Calabria, e il 2 giugno 1400 la riconferma dei privilegi, possessi e grazie. Tra il 1400 ed il 1401 egli fa delle concessioni ai frati minori, dando loro un monastero costruito a sue spese in onore delle Beate Margherita e Birgitta nel territorio di Crotone,[viii] mentre ai domenicani, che stavano fondando un convento in Catanzaro, concede dei privilegi. Ripresa in Calabria la lotta tra Angioini e Durazzeschi, la rivolta si estese a Crotone, Santa Severina, Strongoli, Policastro, Reggio, e a molte altre città.[ix] Ladislao cercò di giungere ad un accordo con Nicolò Ruffo, ed il 4 aprile 1404 gli confermò tutti i privilegi e le immunità[x] ma inutilmente. Verso la fine di giugno 1404 Ladislao mosse da Napoli verso la Calabria ed in breve, all’inizio di agosto era già di ritorno, privò il marchese di quasi tutti i suoi possedimenti comprendenti più di 15 terre e di 40 castelli tra i quali Santa Severina, Bisignano, Seminara, Grotteria e Castelvetere.[xi]
Le truppe del re ottennero la resa di Santa Severina e di Strongoli,[xii] Crotone fu assediata ma resistette a lungo, grazie anche all’aiuto prestato dal re Luigi II D’Angiò che, accogliendo la richiesta di aiuto del marchese, aveva inviato due grosse navi dalla Provenza, cariche di armati, per presidiare Crotone e Reggio.[xiii] Dopo un lungo assedio cadeva la città di Crotone e Nicolò Ruffo se ne andava in esilio in Francia.[xiv] I feudi del marchese di Crotone furono parte posti in demanio e parte il re li assegnò ai condottieri che lo avevano aiutato nella guerra. Così Pietro Paolo da Viterbo divenne il nuovo marchese di Crotone.
Il 6 agosto 1414 moriva Ladislao e saliva al trono la sorella Giovanna II d’Angiò Durazzo. Una nuova rivolta vedeva come contendenti il francese Giacomo conte di La Marche, marito di Giovanna II, e Ser Gianni Caracciolo. Pietro Paolo da Viterbo si schierò per il di La Marche. Nell’estate 1417 le truppe di Antonuccio dei Camponeschi di Aquila devastavano le proprietà di Pietro Paolo da Viterbo, marchese di Crotone e conte di Belcastro. Sempre in quell’anno moriva Luigi II d’Angiò e succedeva, ereditandone i diritti, il figlio Luigi III che, con l’appoggio del nuovo papa Martino V (1417-1431), il quale nel dicembre 1420, lo dichiarerà erede del regno di Napoli, del condottiero Muzio Attendolo Sforza e di parte del baronato, tentò la riconquista.
Luigi III, designato nel 1419 dal partito filoangioino erede di Giovanna II, e invitato a lasciare la Provenza e venire nell’Italia meridionale per far valere i diritti ereditari, quando tentò di raggiungere il regno, fu ostacolato dalla regina che adottò Alfonso V, re di Sicilia (di Aragona e Sardegna), e lo nominò erede e duca di Calabria (1421) e, chiamatolo, lo oppose all’angioino. Nell’agosto 1420 Luigi sbarcava a Castellammare e metteva il campo ad Aversa; dopo poco all’inizio di settembre sbarcava a Napoli l’esercito aragonese, seguito nel giugno dell’anno dopo dallo stesso re Alfonso che, accolto dalla regina, prese dimora a Castel Nuovo.
Si accendeva così la guerra tra i filoangioini ed i filoaragonesi, che vide impegnato in Calabria anche Nicolò Ruffo, il quale, rientrato in possesso dei suoi feudi, cercò di contrastare l’avanzata delle truppe aragonesi che, al comando di Giovanni de Ixar, affluivano dalla Sicilia. Mutio Attendolo Sforza, sostenitore di Luigi III, mandò in Calabria il figlio Francesco, col titolo di viceré. Allo Sforza si unirono molti feudatari, tra i quali il Ruffo, e numerose città tra le quali Santa Severina.[xv]
La guerra investì anche le terre del marchese di Crotone, situate alla frontiera, tra la Calabria meridionale, occupata dagli Aragonesi, e quella settentrionale, controllata dagli Angioini. Isola, città in dominio del marchese di Crotone Nicolò Ruffo, nel gennaio 1422 risulta abbandonata dai cittadini ed abitata solo da pochi pastori, mentre le proprietà della chiesa sono incolte e devastate.[xvi] Nella stessa condizione si trova il vicino casale di San Giovanni Minagò, che otterrà per questo la riduzione delle collette.[xvii] Frattanto Alfonso d’Aragona riusciva a riconquistare gran parte del regno, ma il primo luglio 1423 Giovanna II revocava la sua adozione in favore di Luigi III d’Angiò. Alfonso nell’ottobre di quell’anno ritornava in Aragona, anche perché i suoi stati erano minacciati dal re di Castiglia.
Nella nuova situazione Nicolò Ruffo, marchese di Crotone e conte di Catanzaro, consolidava e allargava il suo potere anche a spese della corte e della chiesa. Egli infatti occupa Rocca Fallucca, che appartiene al vescovo di Nicastro, ma è costretto poi a restituirla ottenendo la baronia di Barbaro.[xviii] Nel maggio 1424, il marchese nella città di Crotone, “ordinante et tractante”, cercava di porre fine alla lite tra Leonardo, abbate di San Giuliano di Rocca Fallucca, e Placido, abbate di Santa Maria di Corazzo.[xix]
Gli scontri tuttavia non cessarono. Approfittando della situazione favorevole, il marchese di Crotone si appropriava con la forza di diritti e terre. Egli, infatti, commetteva abusi nella città di Strongoli e si impossessava di Taverna. Per porre un argine a queste usurpazioni, erano costretti ad intervenire il duca di Calabria[xx] e la regina. Quest’ultima, infatti, dopo aver nominato, il 24 settembre 1424, Giorgio de Alemania, vicegerente del ducato di Calabria, gli ordinava di recuperare alla corte la baronia di Taverna, che era stata assediata e conquistata dalle truppe di alcuni feudatari, ed era detenuta principalmente da Nicolò Ruffo, marchese di Crotone e conte di Catanzaro.[xxi]
La definitiva conquista angioina della regione facilitava l’allargamento delle proprietà dei vincitori; così il castello e la contea di Terranova, liberata dagli occupatori Catalani, erano concessi da Luigi III a Battista Caracciolo, mentre le terre possedute da quest’ultimo, Roccella e Castelvetere, andavano ad allargare i già vasti possessi del marchese di Crotone.[xxii]
L’anno dopo la riconciliazione tra il Ruffo, il papa e la regina, è concretizzata nel matrimonio da celebrarsi entro un anno, e con la dote di 20.000 ducati, tra Antonio Colonna, principe di Salerno e nipote di Martino V, e Giovannella Ruffo, primogenita del marchese di Crotone, con le condizioni che vi sia l’assenso del papa, della regina Giovanna II, e del figlio di lei Ludovico III, e che nel caso di successione feudale, si escluda Polissena, altra figlia di Nicolò, moglie del conte di Valentinois,[xxiii] Luigi di Poitiers, signore di Saint Vallier, Clerieu e Chalencon, e padre di Margherita Poitiers, seconda moglie del marchese di Crotone.
Giovannella nello stesso anno sposerà il principe portando in dote 5000 fiorini d’oro in moneta e tremila in gioie, con la condizione che morendo il marchese senza figli maschi, il marchesato, il contado e tutti gli altri beni, andassero a Giovannella e, consumato il matrimonio, si dovesse inquartare l’arme con i Ruffo a destra e i Colonna a sinistra, ed i figli si chiamassero Colonna Ruffo.[xxiv] La rinnovata alleanza è consolidata dalla conferma fatta al Ruffo nel novembre 1425 dalla regina Giovanna II e dal duca di Calabria, dei privilegi e delle terre possedute, tra le quali la giurisdizione della terra di Taverna con i suoi casali.[xxv]
L’undici luglio dell’anno dopo, Martino V convalida al marchese di Crotone la reintegra fattagli dalla regina, del marchesato di Crotone e della contea di Catanzaro, con le loro dignità, titoli ed onori. Città e terre parte avute dal re Carlo III e dal figlio Ladislao, e parte provenienti dal patrimonio familiare, e cioè di “Cotroni cum marchionatus et Cathanzarii civitatis cum comitatus dignitate titulo et honore … Ypsigro cum pertinentiis Alytii, Milixa, Findi, Santi Stephani, Policastri, Rochebernarde, Mesorace, Castellorum Maris, Tacine et Santi Mauri de Caraba, Santi Juliani, Gimiliani, Tirioli et Rosarni … Cutri, Santi Iohanni de Monacho, Papanichifori, Cromiti, Apriliani, Mabrocoli, Misicelli, Lachani, Crepacorii, Massanove et Turris Insule … Castrum Maynardi, Barbari cum Cropano ac Santi Niceti baroniam cum pertinentiis et fortellitiis earumdem … Castriveteris cum menbro tenimenti Placanice et cultura Santi Fili ac Favato et Pollacano ac terram Roccelle, Sancti Victoris … terram qua dicitur Taberna cum eius districtu ac vassallis …”.[xxvi]
L’ascesa del marchese di Crotone era ormai inarrestabile. Alle conferme delle antiche concessioni e possedimenti seguivano incarichi prestigiosi, riduzioni nei pagamenti delle collette e acquisizioni di diritti, come quello di fida per le sue mandrie che pascolavano in Sila, nonostante la protesta delle popolazioni dei casali cosentini.[xxvii]
Morto Martino V, il nuovo papa Eugenio IV (1431-1447), da poco eletto, con una bolla datata 19 luglio 1431, accoglieva la richiesta fattagli dal ministro provinciale dei frati osservanti di Calabria che, su richiesta dell’università di Policastro e del marchese di Crotone, chiedeva per gli osservanti il convento di Santa Maria Eremitorio rimasto da tempo vuoto “propter malam temporum conditionem”.[xxviii] L’anno dopo lo stesso papa riconosceva e assicurava al marchese ed ai suoi possessi, la protezione della Sede apostolica.[xxix]
Frattanto Alfonso re d’Aragona e di Sicilia, ritentava la conquista, dapprima nel 1431/1432,[xxx] e poi dopo la morte della regina Giovanna II d’Angiò, avvenuta il 2 febbraio 1435, la quale aveva nominato erede Renato, conte di Provenza e duca di Angiò, fratello di Luigi III d’Angiò. Sempre nel 1435 Nicolò Ruffo di Calabria, marchese di Crotone, per grazia di Dio conte di Catanzaro e signore delle baronie di Altavilla e di Taverna,[xxxi] moriva lasciando solo figlie. Nello stesso anno succedeva la figlia Giovannella, sposata con Antonio Colonna, principe di Salerno e conte d’Alba e nipote di papa Martino V.[xxxii]
Morta costei l’anno dopo senza lasciare figli, subentrò la sorella Errichetta, figlia di Nicolò e della seconda moglie Margherita de Poitiers.[xxxiii] Il 5 novembre 1436 la nuova feudataria amministrava già i suoi vasti possedimenti, come testimonia una concessione rilasciata nel castello di Catanzaro, con la quale “Enrichetta Ruffa di Calabria Marchesa di Cotrone per la gratia di Dio Contessa di Catanzaro e delle Baronie d’Altavilla e Taverna Signora, concedo all’egregio huomo Teseo Morano di Catanzaro suo compagno carissimo in remuneratione di servigi da esso ricevuti per se e soccessori discendenti dal suo Corpo”, il castello e la terra di Melissa.[xxxiv]
La ricchezza e la bellezza della nuova marchesa attiravano molti pretendenti. Il primo settembre 1437, papa Eugenio IV, con due brevi, inviati uno al vescovo di Mileto, ed uno a Nicolò de Arena, o Concublet, conte di Arena, di Mileto e di Stilo,[xxxv] nonché a Errichetta Ruffo, concedeva a questi ultimi la dispensa per il matrimonio da celebrarsi in quanto cugini.[xxxvi]
Il contratto matrimoniale tra il maturo conte e la giovane Errichetta non tarderà ad essere steso e celebrato; infatti, in un documento dell’anno dopo, la Ruffo, oltre a fregiarsi del titolo di marchesa di Crotone, contessa di Catanzaro, e signora delle baronie di Altavilla e Taverna, vi aggiunge anche quello di contessa di Arena, Stilo e Mileto;[xxxvii] ma questi ultimi titoli acquisiti verranno mantenuti per poco.
Sempre nel 1438 la marchesa otteneva da re Alfonso la concessione dell’immunità dei diritti di dogana nell’estrazione di merci dal regno di Sicilia.[xxxviii] La Ruffo in questi anni confermava il suo potere ed acquisiva consenso con nuove donazioni. Nel 1438 concedeva a Artuso Mazza le proprietà confiscate al suo ribelle Ciccio Poerio.[xxxix] L’anno dopo donava il territorio di Alimati al monastero di Santa Maria di Altilia.[xl]
Con quest’ultimo documento “Herichetta Ruffa de Calabria”, che riappare col vecchio titolo di “Marchionessa Cotroni Dei gra. Catanzari ac Baroniarum Altavillae et Tabernae Domina”, “in castro nostrae civitatis Catanzarii”, il 25 giugno 1439 concede all’abbate del monastero florense di Santa Maria de Calabro Maria, Benedetto de Teriolo, un territorio appartenente alla sua curia in territorio di Rocca Bernarda, con l’onere da parte dell’abbazia di pagare ogni anno 15 tareni alla curia della terra di Rocca Bernarda, nella festa della B. M. V. nel mese di agosto. Dal documento veniamo a sapere che l’abbazia aveva avuto questo territorio per donazione fatta dal conte di Catanzaro Pietro Ruffo, e poi per riconferma del figlio di costui, il conte Giovanni, e lo aveva mantenuto fino al tempo che il terreno di Rocca Bernarda rimase in possesso della madre di Errichetta “D.na Margarita de Poytiers”.[xli] Sempre in questi anni la marchesa approvava alcuni privilegi dell’università di Cirò.[xlii]
Il tempo passava ed il matrimonio pur celebrato non veniva consumato anzi, come testimonia un breve inviato il 25 luglio 1440 dal papa Eugenio IV al vescovo di Tropea, la marchesa si era unita col catalano Antonio de Ventimiglia “alias de Centigla”.[xliii] Il matrimonio tra il conte di Arena e la marchesa di Crotone, infatti, non era giunto a conclusione, anche per gli impedimenti del re Alfonso, il quale aveva deciso di dare in moglie Errichetta a Innico d’Avalos, come ricompensa al suo fedele per le proprietà da questi perdute in Castiglia, avendo parteggiato per Enrico d’Aragona.[xliv]
Per portare a buon esito tale decisione, Alfonso aveva incaricato il viceré del ducato di Calabria, il valoroso capitano di ventura, Antonio Centelles, il quale tuttavia aveva trattato per proprio conto. Il Centelles, che aveva partecipato attivamente alla conquista della regione, e per questo vi aveva assunto un ruolo importante, tanto da svolgere nel 1438 come viceré di Calabria, importanti uffici per conto di re Alfonso,[xlv] si era impossessato di Santa Severina, città confinante con i beni della Ruffo. Sappiamo, infatti, che ai cittadini di quella città egli nel 1440 aveva concesso moltissime grazie.[xlvi] Così non passerà molto che il Centelles e la Ruffo consolideranno la loro unione, dopo che la marchesa riuscì ad ottenere il 6 aprile 1441 dal papa l’annullamento del suo precedente matrimonio.[xlvii]
Il nuovo marchese di Crotone, dopo aver unito le sue proprietà a quelle della moglie, cominciò ad allargarle occupando alcuni beni della mensa vescovile di Crotone[xlviii] e di alcuni monasteri, nello stesso tempo si rifiutava di pagare al re le tasse sui fuochi, usurpava le entrate sulle saline di Neto,[xlix] e si creava alleati concedendo poderi.[l]
Alfonso d’Aragona consolidava il suo potere. Le truppe aragonesi stringevano d’assedio Napoli, ed il 2 giugno 1442 vi penetravano. L’anno dopo il re otteneva l’investitura pontificia da papa Eugenio IV e, riconquistate le altre province del regno, entrava trionfalmente nella capitale. Insediatosi il 23 febbraio 1443, si assicurava l’appoggio dei grandi feudatari e dei baroni, concedendo loro nel parlamento di San Lorenzo (28 febbraio 1443), il privilegio di amministrare nei loro feudi la giustizia civile e criminale. Venivano abolite l’adoha e le collette, e si introduceva l’imposta del focatico, la tassa cioè di un ducato per famiglia, che andava a colpire la popolazione.[li]
I grandi possessi acquisiti dal marchese di Crotone, l’indole ribelle e l’appoggio che godeva presso il baronato locale, specie quello che assieme a lui aveva partecipato alla conquista della regione,[lii] le relazioni sempre più strette che egli intratteneva con i Veneziani, alleati di Francesco Sforza, il pericolo di una insurrezione anti aragonese che avrebbe, nello stesso tempo, coinvolto l’Abruzzo e la Calabria, spinsero il re Alfonso nell’autunno 1444, ad intervenire in Calabria, prima che la situazione precipitasse, per il vasto movimento che, giorno dopo giorno, si andava allargando tra i baroni e le popolazioni calabresi con l’avvio della ribellione.
I fatti che precedettero questa decisione si possono così sinteticamente descrivere. Alla fine di giugno 1444 il re stava allestendo la spedizione contro Francesco Sforza che, d’accordo col duca di Milano, Filippo Maria Visconti, ostile al papa Eugenio IV, si era impadronito della Marca di Ancona e di alcune terre dell’Umbria. Mentre le truppe aragonesi si concentravano alla Masseria della Regina, presso Capua, il Centelles, chiamato a partecipare, partiva dalla Calabria con 300 cavalli ma, giunto a Capua, veniva informato dallo zio Giovanni Ventimiglia, luogotenente del re, che quest’ultimo aveva intenzione di ucciderlo.
Ritornato velocemente nei suoi feudi, il Centelles si apprestò alla difesa mentre il re, affidato il comando della spedizione a persone di fiducia, ritornò a Napoli e inviò in Calabria con poteri di viceré a guerra Paolo di Sangro e Marino Boffa, ma estendendosi la ribellione si apprestò a condurre personalmente le operazioni militari.[liii] Per seguire attentamente la situazione, il re fece istituire due gruppi di corrieri composti ognuno da dodici uomini a cavallo che, quotidianamente, collegavano Napoli con la Calabria e viceversa.[liv] Nel frattempo, la Camera della Sommaria inviava il 12 settembre a Errichetta Ruffo, un ordine di comparizione per pagare lo “jus relevii” dei suoi feudi, ma la marchesa tramite il suo procuratore, si opponeva esibendo un privilegio concessole dallo stesso re che la esentava da tal pagamento.[lv]
Tutto faceva intendere che la volontà del re era quella di annullare ogni autonomia fiscale e amministrativa, abolendo quei poteri e prerogative che i marchesi di Crotone godevano ed esercitavano, sia per le concessioni regie avute in tempi difficili, sia per avere nel tempo consolidato ed ampliato il loro potere con alleanze e con matrimoni. Il re cominciò a isolare il Centelles attirando dalla sua parte con concessioni, in modo da averli alleati, alcuni feudatari della regione.[lvi] Il marchese di Crotone accortosi delle trame, fece presente che le terre che lui possedeva “aveale conquistate colle sue genti e col pericolo della sua vita contro le armi dell’angioino, e quel che avea conquistato colle armi, colle medesime lo avrebbe difeso fino all’ultimo sangue”.[lvii]
Sappiamo che nei primi giorni di ottobre, Alfonso aveva fatto comprare per sé e per il suo seguito numerosi cavalli, ed aveva fatto fare scorta di polvere da sparo e di palle per spingarde, inviandole poi via mare a Pizzo, assieme ad alcune artiglierie e con il mastro trabuchiero Giovanni Tavano di Napoli ed alcuni aiutanti.[lviii]
Il re alla fine di ottobre 1444 giunse in Calabria. Il Centelles si preparava a sostenere l’assalto delle truppe regie: fortificò e rifornì di armi e di viveri i castelli ed i luoghi strategici e, nello stesso tempo, fece terra bruciata davanti al nemico, ordinando l’abbandono degli abitati non difendibili, in modo da rendere difficile, o ostacolare, il vettovagliamento all’esercito di Alfonso.[lix] Dal 30 ottobre al 2 novembre il re era in Castrovillari,[lx] poi sceso alla marina ed entrato nelle terre del marchese, assaltò Cirò che quasi subito si arrese. L’otto novembre, negli accampamenti presso quella città, gli abitanti, che si erano dati “sponte et unanimiter”, ed i rappresentanti dell’università, chiesero ed ottennero la concessione e la convalida di alcuni capitoli e petizioni, tra i quali quelli di essere tenuti in demanio, e l’indulto per coloro che avevano alzate le armi contro “la bandera et gente de la vostra regale magesta”.[lxi]
Sempre in quel giorno nel campo presso Cirò, il re si assicurava le spalle e si faceva un alleato fedele concedendo, vita sua durante, a Blasio Stephano, la castellania del castrum o fortellizio di Melissa, terra confiscata al Centelles, con uno stipendio mensile per lui e per altri dodici soci o aiutanti.[lxii] Dopo essersi fermato qui alcuni giorni,[lxiii] il re proseguì per Crotone. Il 12 novembre gli accampamenti del re erano presso il fiume Neto. Qui Alfonso rendeva esecutivi i privilegi rilasciati giorni prima all’università di Cirò.[lxiv]
Ottenuto il controllo delle terre e dei passi sul Neto il re si diresse ad occupare quelli sul Tacina. Il 16 novembre l’accampamento regio è presso Rocca Bernarda,[lxv] la quale si difese tenacemente per alcuni giorni, ma “espugnatone il castello”, le truppe del re, dopo aver messo a ferro e fuoco quella terra, si diressero alla conquista di Belcastro.
Il 21 novembre il regnante è a Belcastro. In quel giorno Alfonso concedeva dei privilegi ai rappresentanti dell’università di Cropani.[lxvi] Dopo poco i cittadini di Belcastro si arrendevano “e gli furo aperte le porte non possette però espugnar il castello, e la torre detta di Castellaci”. Lasciate delle truppe di presidio alla città e per proseguire nell’assedio,[lxvii] il re si diresse su Santa Severina.[lxviii] Distrutti i già spopolati e abbandonati casali di Cutro, San Giovanni Minagò, San Mauro de Caraba, San Leone, Scandale e San Stefano, l’esercito aragonese circondò la città.
Particolarmente strenua fu la difesa del castello, dove erano asserragliate le compagnie d’armi sotto il comando dei due contestabili Giacomo Ferini e Consalvo Spaniulo, e del capitano della città Giovanni Calbero.[lxix] L’aragonese ottenne la città a patti. Alfonso, il 29 novembre, era ancora “in felicibus castris” presso Santa Severina. In quel giorno la città si arrendeva, ed il re approvava i capitoli e le grazie presentatogli dai rappresentanti dell’università. Ottenuto il perdono per i reati contro il re e la possibilità per i difensori di andarsene, mentre i loro beni confiscati sarebbero andati in utile alla città, i rappresentanti dell’università di Santa Severina, temendo di subire il saccheggio, una volta aperte le porte agli assalitori, col pretesto dei pochi viveri rimasti a causa dell’assedio, ottennero che il regnante potesse entrare in città accompagnato solo da una scorta ridotta.[lxx] Tra i privilegi concessi vi era l’incorporazione definitiva nel demanio regio, “la conferma di tutte le grazie concessale dai suoi predecessori, la esenzione tributaria per 25 anni e l’introduzione di una fiera annuale della durata di otto giorni”.[lxxi] Inoltre, venivano confermati i privilegi della chiesa di Santa Anastasia:[lxxii] all’arcivescovo, infatti, erano concesse le decime sulle saline di Neto e sulla bagliva di Santa Severina, il feudo di Santo Stefano ed il corso di Casalenovo.
Preso atto delle difficoltà di conquistare Crotone e Catanzaro, se non con un lungo assedio, nel primi giorni di dicembre il re fa mandare a Lamezia da Napoli, le bombarde dette del Generale e di San Giorgio, ed una cabria con una buona quantità di polvere e palle di pietra. Sempre con la stessa barca sbarcano quattro mastri muratori, che lavoreranno pietre per bombarde e trabucchi. Un’altra barca salpa per Crotone dove è accampato il re, per rifornirlo di pietre per bombarde, carri per artiglierie e nove casse di passatori.[lxxiii]
Occupati i passi del Neto e del Tacina e tutte le terre interne del Marchesato, dalle quali potevano arrivare i rifornimenti ed i rinforzi, ed isolato il Marchesato dalla contea di Catanzaro, il re strinse in una morsa Crotone e Le Castella, abitati sulla costa che erano state ben muniti dal Centelles, e che venivano di continuo vettovagliati via mare, in quanto luoghi importanti strategicamente per un sempre atteso aiuto veneziano. Nel frattempo, mentre attende la resa dei luoghi assediati, il re si dà alla caccia dei cervi.[lxxiv]
Capitano del presidio di Crotone era Bartolo Sersale originario di Sorrento, ma sposatosi e diventato cittadino crotonese. Secondo il Costanzo questi fu corrotto e “lasciò una parte delle mura senza guardia, dalla quale poi entrarono i soldati del re”;[lxxv] secondo il Pontieri un pugno di soldati aragonesi riuscì ad introdursi di notte in Crotone. Seguirono scontri sanguinosi, poi i cittadini aprirono le porte.[lxxvi] Mentre la fazione filoaragonese trattava con il re la capitolazione, i seguaci del Centelles guidati dal “correttore”, o governatore, Petro Carbone e da Antonio Scalia, dopo aver preso in città tutto quello che poteva essere a loro di aiuto, si chiudevano nel castello preparandosi ad un lungo assedio,[lxxvii] con la speranza di ricevere aiuti dai Veneziani e con la convinzione che prima o poi, il re se ne sarebbe andato, non potendo per lungo tempo rimanere con l’esercito lontano da Napoli.
Il giorno otto dicembre “sponte et unanimiter” si arrese la città di Crotone, dopo che il regnante l’aveva dichiarata unita al regio demanio e chiamata “magnifica e fedelissima”.[lxxviii] Il re la perdonava per la sua ribellione e tra le altre cose, liberava i prigionieri e riconsegnava ai cittadini le proprietà predate o confiscate dalla soldataglia.[lxxix] Iniziava la lunga resistenza del castello. Quello stesso giorno in Crotone, Alfonso confermava a Todisco e Beltrando Schipani di Taverna, per l’aiuto prestatogli, alcune concessioni feudali presso il casale di Pentone ed il titolo di familiari.[lxxx]
Il re sempre accampato nella città di Crotone, in attesa della caduta del castello, continuava a rilasciare privilegi e concessioni. Il giorno undici dicembre “in castris prope civitate Cutroni”, Alfonso concedeva al nobile Ciriello Malatacca di Casabona, l’immunità dai fiscali sui fuochi per la durata di 25 anni a favore del suo castrum di Zinga;[lxxxi] il giorno dopo annue once 100 a Roberto di Astore.[lxxxii] Il 19 dicembre inviava una lettera al camerario del regno di Sicilia citra farum e agli ufficiali della Camera della Sommaria, perché facessero osservare i privilegi della chiesa di Santa Severina. Pochi giorni dopo, il 22 dicembre, inviava da Crotone un’altra lettera al capitano di Santa Severina, ordinandogli di prestare aiuto al vicario di quella città nell’esazione delle decime.[lxxxiii] Il 25 dicembre “in castris obsidione contra castrum Cutroni”, Alfonso confermava la concessione di Campolongo e Soverito all’abbazia di Corazzo,[lxxxiv] ed il giorno 27 dicembre i capitoli all’università di Cirò.[lxxxv]
Finiva il 1444 ma non cessava la resistenza di Le Castella e del castello di Crotone. Ancora quindici giorni ed il 15 gennaio si arrendeva a patti Le Castella. Quel giorno i rappresentanti di quella terra si presentavano nell’accampamento del re presso Crotone per l’approvazione dei capitoli.[lxxxvi] Resisteva ancora il castello di Crotone. Infatti, “in castris contra castellum Cutroni”, il 20 gennaio 1445 Alfonso rendeva esecutive le 18 once sull’ufficio di credenziere presso i doganieri di Tropea in favore di Iohanne Espanit.[lxxxvii] Ancora un giorno e anche il castello di Crotone capitolava, dopo un accordo intervenuto tra il Carbone, ferito da una saetta, e re Alfonso. Secondo alcuni autori colui che fece da tramite fu un medico andato in castello per curare la ferita del Carbone.[lxxxviii]
Il 21 gennaio “in nostris felicibus castris prope civitatem nostram Cutroni”, il re concedeva a Guidone di Sorrento di poter estrarre 200 salme di frumento ogni anno dai porti marittimi, o caricatorii, di qualsiasi città o terra del ducato di Calabria.[lxxxix] Il 26 gennaio il re è ancora a Crotone; egli infatti quel giorno “in regiis felicibus castris prope civitatem Cutroni”, accogliendo la supplica di Benedictus, abbate del monastero della Beata Maria de Calabro Maria di Altilia, conferma i privilegi dell’abbadia.[xc]
Cessate le operazioni militari nel Marchesato, il re si diresse su Catanzaro. Il 5 febbraio, dagli accampamenti vicino e contro Catanzaro, egli approva gli statuti di Castelminardo. Mentre assedia la città ad una ad una si arrendono le terre del marchese di Crotone, che lo avevano seguito nella ribellione, ed il re concede a loro alcuni statuti: il 10 febbraio approva quelli di Roccella, il 12 quelli di Tiriolo ed il 15 quelli di Castelvetere.[xci]
Vista inutile ogni resistenza, il Centelles con moglie e figli si portò il 22 febbraio ai piedi del re; il 24 febbraio si arrendeva anche Catanzaro. Quel giorno re Alfonso “in castris felicibus prope civitatem Catanzarii”, accoglieva le richieste di quell’università e tra l’altro, concedeva alla città di essere franca ed esente d’ogni gabella della seta.[xcii] Il giorno dopo, sempre presso il campo di Catanzaro, il re concedeva dei privilegi al vescovo di Crotone, essendo, quelli che aveva, andati persi “cum ecclesia Cutronensi, et eius episcopale palatium igne arsa atque destructa penitus fuerunt”. Tra le concessioni vi era la reintegra della mensa vescovile di “certas possessiones quas Antonius de viginti milliis olim Marchio Cutroni occupaverat”, che spettavano e appartenevano invece al vescovo.[xciii]
Lasciata Catanzaro, il re ritornava verso Napoli. Il 5 marzo era già a Cosenza, dove in quel castello concedeva la contea di Rende al capitano genovese Barnaba Adorno,[xciv] e approvava gli statuti dell’università di Tropea.[xcv] A Cosenza rimase almeno fino all’undici marzo.[xcvi] La spedizione era finita; il marchese era stato sconfitto ed i suoi beni erano stati incamerati al regio demanio. Il re si lasciava alle spalle paesi distrutti e spopolati.
Crotone si presentava dopo la resa particolarmente malridotta, anche a causa di un incendio che l’aveva devastata, bruciando anche la cattedrale, dedicata alla Vergine Maria, ed il palazzo vescovile, causando tra l’altro, la perdita dei documenti e dei vecchi privilegi della chiesa.[xcvii] Le mura apparivano rovinate ed in alcune parti distrutte. Per permetterne la ricostruzione e la riparazione, il re aveva concesso delle facilitazioni fiscali, in modo da permettere all’università di usare a tale scopo i soldi, in quanto le fortificazioni avevano bisogno di una “riparatione non parva”.[xcviii]
Anche i paesi del Marchesato si presentavano devastati e spopolati. Il castello di Santa Severina aveva bisogno di urgenti lavori di riparazione, ma l’università chiedeva di abbandonarlo al suo destino perché non era indispensabile per la sua difesa o, comunque, che le spese non ricadessero sui cittadini ma fossero sopportate dal re.[xcix] Le Castella aveva chiesto l’esenzione da ogni tipo di tributo, e così un po’ tutte le terre del Marchesato, che avevano dovuto subire prima l’abbandono da parte degli abitanti, ordinato dal Centelles, e poi la devastazione da parte delle truppe di Alfonso. Il re confiscò le terre del Centelles e le pose in regio demanio, per facilitare il ripopolamento e la rinascita economica, concesse l’esenzione da alcuni tributi e dalla tassa sui fuochi per dieci anni, eccettuate Catanzaro e Le Castella che la ebbero per 15 anni.[c] A causa delle “guerras et turbolentiis”, vennero inoltre sospese le decime del formaggio e degli agnelli che l’arcivescovo di Santa Severina godeva sui pascoli di tutta la diocesi (Policastro, Mesoraca, Rocca Bernarda, Cotronei, ecc.).[ci]
Il Centelles e la moglie ebbero salva la vita ma privati dei feudi, furono costretti a vivere a Napoli. Ma per poco perché, lasciata Napoli, il Marchese andò ad offrire i suoi servizi a Venezia. Qui egli fece parte della compagnia di Micheletto Attendolo, capitano generale della Serenissima. Nel 1446 egli comandava 400 “lance”, e come condottiero di milizie equestri partecipò, nell’autunno di quell’anno in Lombardia, agli scontri tra le milizie della Serenissima e quelle del duca di Milano, Filippo Maria Visconti.[cii]
L’anno dopo tramava per ottenere l’appoggio veneziano per uno sbarco sulle coste del Marchesato.
Per prevenire tale evento re Alfonso, tra la fine di luglio e l’inizio dell’agosto 1447, ordinava al tesoriere di Calabria, Gabriele Cardona, di riparare il castello di Melissa, che era custodito da Biagio di Stefano con 12 aiutanti, e di fortificare e provvedere al castello di Crotone e agli altri castelli vicini.[ciii] Sempre in quei giorni, il primo agosto, il re concedeva la castellania del castrum, o fortilizio, di Santa Severina a Petro di Bocca de Faro.[civ]
Venuto meno il tentativo di ritornare in possesso dei suoi feudi calabresi e passato al servizio della Repubblica Ambrosiana, il 14 settembre 1448 il Centelles partecipò con due squadre di cavalleria, sotto il comando del condottiero Francesco Sforza, alla battaglia di Caravaggio, dove l’esercito veneziano, condotto da Micheletto Attendolo, subì una grave sconfitta. Dopo il tradimento di Francesco Sforza, che si accordava con i Veneziani, e la dichiarazione delle ostilità tra Venezia e Napoli, il Centelles con i suoi squadroni di cavalleria, dapprima lasciava i Milanesi per unirsi allo Sforza, poi rotta l’alleanza tra quest’ultimo e Venezia, cominciò a tramare in favore della Serenissima. Scoperto dallo Sforza, nel febbraio 1450 il Centelles fu arrestato presso Cantù e imprigionato, dapprima nel castello di Lodi e poi in quello di Pavia, da dove nel 1452, conclusa la pace tra Venezia e re Alfonso, quest’ultimo lo fece evadere e gli acconsentì di ritornare alla corte di Napoli.[cv] Qui egli si ricongiunse con la moglie Errichetta Ruffo e gli fu conferito l’ufficio di siniscalco.[cvi]
Morto re Alfonso (27.6.1458), il regno di Napoli passò al figlio Ferdinando, mentre al fratello di Alfonso, Giovanni, re di Navarra, andarono il regno di Aragona e la Sicilia. Il Centelles, assieme ai Catalani, che erano venuti a Napoli in gran numero al tempo di Alfonso, cospirò per dare la successione a don Carlos d’Aragona, principe di Viana e figlio di Giovanni, fratello del defunto re. Fallito il disegno, sostenne Giovanni d’Angiò, figlio di re Renato, e si rifugiò presso il principe di Taranto, Giovanni Antonio del Balzo Orsini, una figlia del quale, Leonora, aveva sposato il figlio del Centelles, Antonio.
Re Ferrante nel 1458 aveva confermato i privilegi della città di Crotone, tra cui quello di rimanere in regio demanio, già concessi dal re Alfonso, “essendono andati per Sindaci, e Procuratori di essa città li nobili Giovanni Pipino e Giovannotto Conestabile”.[cvii] Ma in seguito, nelle trattative avviate con il principe di Taranto, il re si impegnava a consegnare il Marchesato al Centelles, ma questi poco fiducioso delle promesse, e approfittando che in molti luoghi della Calabria le popolazioni si erano ribellate, si trasferì in Calabria per pigliarsi con la forza le terre che il re tardava a consegnargli.
Per sedare la ribellione filoangioina Ferdinando inviò Carlo di Monfort (o di Campobasso), conte di Termoli, e Alfonso d’Avalos (alla sua morte nell’aprile 1459 subentrerà Giacomo Galeotto), i quali riuscirono a sconfiggere i ribelli presso Cropani (dicembre 1458); ma la rivolta non era domata. Il Centelles trovò numerosi alleati tra i baroni ed i contadini che non volevano pagare le tasse, specialmente il focatico, tassa imposta fin dal 1443 al posto delle antiche sei collette.
All’inizio del 1459, oltre ad alcune terre del marchesato di Crotone, erano già passate dalla parte degli insorti numerose altre città, e tra queste gli antichi feudi del marchese, cioè Taverna, Catanzaro e Tiriolo. Ad esse si aggiungeranno Sant’Agata ed i casali cosentini. Proseguivano le trattative, così il principe di Taranto otteneva che i feudi del Centelles fossero consegnati a lui come intermediario. A questo fine il re inviava nel maggio di quell’anno Michele Manlio per consegnare il Marchesato ai commissari del principe, ma nello stesso tempo dava ordini di ritardarne la consegna.[cviii]
Mentre si trattava, proseguivano le operazioni militari e si svolgevano con fasi alterne. Alfonso d’Avalos sconfiggeva il 19 maggio 1459 presso Belcastro, i ribelli e li costringeva a ripiegare su Crotone, ma questi scontratisi con le truppe del tesoriere le sgominavano. Gli scontri proseguivano ed il 2 giugno un esercito composto da contadini del ducato di Squillace, del conte di Nicastro e del conte d’Arena e di altri baroni, subivano una grave sconfitta presso Maida da Alfonso d’Avalos che poi però doveva ritirarsi verso Cosenza.
Frattanto, nell’estate 1459, le terre del Marchesato venivano prese formalmente in consegna dagli emissari del principe di Taranto, anche se a Crotone, già da tempo in mano ai seguaci del Centelles, rimaneva ancora nel castello un presidio regio, che vi rimarrà fino ad agosto. Re Ferdinando prima di scendere con l’esercito in Calabria, reintegrò il Centelles nei suoi antichi feudi. Il marchese ebbe quindi pieno possesso del suo antico stato, di cui parte si era già con la forza impossessato, e che comprendeva Crotone, Santa Severina, Belcastro, Catanzaro, Tropea ed altri luoghi.[cix]
Re Ferrante il 4 settembre 1459, comparve in vista di Cosenza, e subito si diresse su Castiglione dove si era ritirato Cola Tosto, capo dei ribelli, con settecento compagni tra i più valorosi. Assalita la città le truppe del re riuscirono in breve ad espugnarla e la misero a sacco, dandola poi alle fiamme, mentre Cola Tosto con pochi dei suoi riparava nelle terre del marchese di Crotone.[cx] Il 20 settembre il re era accampato a Piano del Lago, dove ricevette l’omaggio del marchese Antonio Centelles, del fratello di costui Giacomo e di altri suoi fedeli, ma pochi giorni dopo il 23 settembre,[cxi] a tradimento il re li fece catturare e rinchiudere prima nel castello di Martirano e poi in quello di Cosenza.[cxii]
Il 24 settembre “in nostris felicibus castris” presso Rocca Fallucca, il re scrive alla regina, Isabella di Chiaromonte, di inviare subito tre galee a Crotone, con artiglierie e con i mastri Guillermo Monaco e Joanne Trabucheri.[cxiii] Stretto d’assedio Catanzaro, dove morì trafitto da una balestra Cola Tosto, e arresasi quella città, il re si diresse verso Crotone.
Il due ottobre egli è accampato presso il ponte del Crocchio, dove conferma all’abate del monastero della badia di Altilia, i privilegi già concessi dal padre Alfonso.[cxiv] Poi assediò Belcastro, i cui cittadini si arresero l’otto ottobre, dopo aver avuto la conferma dei privilegi tra i quali quello di rimanere in demanio e aver ottenuto alcuni sgravi fiscali.[cxv]
Intanto si arrendevano Santa Severina, Cirò ed altre terre; resistevano Le Castella e Crotone.[cxvi] Giunte le tre galee, ad esse si unì un’altra che già si trovava sui mari di Calabria, ed insieme posero il blocco e bombardarono Le Castella,[cxvii] la quale si arrese dopo che, il 14 ottobre, il re “in felicibus castris prope Belcastrum”, aveva accolto le richieste fatte da Michele Petro a nome di quella università.[cxviii]
Il 20 ottobre il campo del re era a Crotone. Molto probabilmente in quel giorno la città si arrendeva. La suocera del Centelles trattava la resa ottenendo la città di Amantea.[cxix] Ripreso il cammino di ritorno, il 22 ottobre il re è “in felicibus castris prope Feroletum”,[cxx] il 30 è a Cosenza[cxxi] dove, il primo novembre, obbliga i ribelli dei casali a pagare grosse taglie.[cxxii] Prima di partire da Cosenza, il 5 novembre, nomina viceré di Calabria il figlio Alfonso,[cxxiii] e l’otto novembre, poiché la suocera del Centelles è in discordia con i vassalli di Amantea, le assegna il castello di Rende.[cxxiv]
Sedata la ribellione in Calabria e imprigionato a Napoli il Centelles, il re lasciava la Calabria, ma una nuova rivolta sul finire del 1459, scuoteva la regione, per la ribellione di Marino Marzano, duca di Sessa e principe di Rossano, del principe di Taranto e di altri baroni. Lo stesso Centelles evaso da Castel Nuovo era ritornato in Calabria. Il re si accordava con i baroni e mandava Maso Barrese a sedare la rivolta.
Il Centelles, sul finire del 1461, passava dalla parte del re e partecipava alla definitiva sconfitta dei filoangioini. Il 24 giugno 1462 Ferrante, accogliendo la richiesta di perdono e di sottomissione di Antonio Centelles e della consorte Errichetta Ruffo, li reintegrava nei feudi confiscati a causa della ribellione, avendo alzato le loro insegne e le loro armi in favore degli Angioini, e perdendo per questo i loro beni che erano stati così donati dal re: il marchesato di Crotone al principe di Taranto, le città di Catanzaro e di Santa Severina, e le terre di Mesoraca, Castella, Roccabernarda, Policastro, Taverna, Roccafalluca e Tiriolo, erano state poste in demanio, la contea di Belcastro, la baronia di Cropani e le terre di Zagarise e Gimigliano, erano state date al principe di Bisignano e a Tommaso Carrafa. Le terre di Cirò e Melissa, la baronia di Castelmonardo con le motte di Montesori e Monterusso, e Polia, le terre di Rosarno e la baronia di San Lucido, con le motte o terre di San Giovanni e Montebello, le terre di Castelvetere e Roccella, a Galeotto Baldaxino, assieme ai casali e alle torri, e con la provvigione di 4000 ducati con la gabella della seta, Badolato, Motta di Caccuri e con altre terre.[cxxv]
Così Antonio Centelles e la moglie ebbero da re Ferdinando la città di Crotone con il titolo e la dignità di marchese, che era detenuta dal principe di Taranto, la città di Catanzaro con il titolo e la dignità di conte, la città di Santa Severina, e le terre di Mesoraca, Le Castella, Rocca Bernarda, Policastro, Taverna, Rocca Fallucca e Tiriolo, terre in demanio che erano amministrate da ufficiali del re, la città di Belcastro con il titolo e la dignità di conte, e la baronia di Cropani e Zagarise, e la terra di Gimigliano, terre occupate e detenute dal principe di Bisignano e da Maso Barrese, le terre di Cirò e Melissa, la baronia di Castelmonardo, con le motte o terre di Montesori, Monterusso e Pollia, la terra di Rosarno, la baronia di San Lucido, con le motte o terre di San Giovanni e Monte Bello, già recuperate e in possesso del Centelles, e le terre di Castelvetere e Roccella, che sono tenute da Galeotto de Baldexino. A queste terre che facevano parte dei vecchi possessi del marchese di Crotone e di sua moglie, il re aggiunse la baronia di Bianco e la Torre di Bruzzano, con le motte e castelli di Bovalino, Pietra Panduta e Crepacore.[cxxvi]
Non tutte queste città e terre ritorneranno subito in potere del Centelles. Antonio Gazo fu incaricato di consegnargli Belcastro, Zagarise e Cropani che deteneva militarmente il Barrese; Crotone fu esclusa dalla consegna, e Santa Severina con il titolo di Principe, fu data solo nel giugno 1464, assieme alla pensione annua di 1000 ducati sulle saline di Neto. Il Centelles attese alla riorganizzazione delle sue proprietà. Nel 1463 diede ad Antonio Cochi, milanese suo affine, il casale di San Mauro de Caraba,[cxxvii] permutò Borrello e Rosarno ottenendo dal Barrese Simeri,[cxxviii] donò Melissa a Giovanni de Michele, e il feudo di Umbro Demani ed i mulini della Canusa, in territorio di Rocca Bernarda, a Giovanni de Colle.[cxxix]
Il 21 aprile 1465, ormai vedovo, “Antonius de Viginti Milles alias Centelles, Princeps Sancte Severine Marchio Cotroni Dei (gratia comes) Catanzarii et Bellicastri”, di passaggio per il monastero di Santa Maria di Altilia, assieme al figlio primogenito Antonio e alle figlie, convalida al monastero il tenimento di Neto, già concesso dal conte Petro Ruffo e dal figlio di costui Giovanni Ruffo, e successivamente confermato dalla sua defunta “carissima consorte”, la marchesa di Crotone Enrichetta Ruffo, esentando l’abate Enrico de Moyo dal censo di tre ducati che annualmente il monastero doveva pagare alla sua curia.[cxxx]
Dopo l’accordo il Centelles aveva parteggiato attivamente per il re. Con il duca di Calabria aveva assediato Motta Accomera e Motta Rossa, e in seguito al campo di Fiumara, il duca gli aveva affidato il comando dell’esercito.[cxxxi] Rimasto vedovo, si risposò con Costanza Morano, che divenne contessa di Catanzaro e principessa di Santa Severina.[cxxxii] Nell’ottobre 1465 la figlia Polissena[cxxxiii] aveva sposato il figlio naturale di re Ferrante, Enrico, ma non passava molto che all’inizio dell’anno dopo, il Centelles veniva arrestato a Santa Severina e portato a morire a Napoli. La città di Santa Severina ritornava libera, ottenendo dal re alla fine di febbraio, l’approvazione dei capitoli presentati dai sindaci a nome dell’università, con i quali il re si impegnava a non dare più in feudo la città con i suoi casali, e ad annullare ogni diritto e titolo che potessero ancora vantare sulla città, Antonio Centelles, i suoi figli, fratelli e affini.[cxxxiv]
Note
[i] “Comes Catanzarii … Pro Civitate Cutroni milites tres uncias triginta unam cum dimidia.” Biblioteca comunale di Bitonto, Fondo Rogadeo, Ms. A 23, framm. reg. ang. 373, f. 85.
[ii] “Comes Catanzarii Pro … Casale Cutri pro valore unciarum octo … Casalibus Sancti Mauri et Papenichifari (sic) pro valore unciarum quindecim cum dimidia … Pro bonis in Cutrono et Sancta Severina pro unciis quatuor.” Biblioteca comunale di Bitonto, Fondo Rogadeo, Ms. A 23, framm. reg. ang. 373, ff. 84v-86v.
[iii] Minieri Riccio C., Notizie storiche tratte da 62 registri angioini dell’archivio di Stato di Napoli, Napoli 1877, p. 31.
[iv] Barone N., Notizie storiche tratte dai Registri di Cancelleria di Carlo III di Durazzo, ASPN a. XII, fasc. II, 1887, p. 207. Pacella F., Un barone condottiero della Calabria del sec. XIV-XV: Nicolò Ruffo marchese di Cotrone, conte di Catanzaro, ASPN, III, (1964), p. 48 sgg.
[v] Russo F., Regesto, II, 70.
[vi] “Magnifico Nicolao Ruffo Comiti Catanzarii Consiliario privilegium concessionis tituli Marchionis super eius civitate Cutroni attenta eius claritate generis et servitiis prestitits Regi Carolo tertio patri nostro et nobis …”. “Gayete 18.10.1390”. Minieri Riccio C., Notizie storiche tratte da 62 registri angioini dell’archivio di stato di Napoli, Napoli 1877, p. 99.
[vii] Pacella F., Un barone condottiero della Calabria del sec. XIV-XV: Nicolò Ruffo marchese di Cotrone, conte di Catanzaro, ASPN, III, (1964), pp. 54-55.
[viii] Il 1.11.1400 Bonifacio IX dà la facoltà al vicario della vicaria dei frati minori di Bosnia, di accettare il luogo costruito a spese di Nicolò Ruffo nelle pertinenze di Crotone. Russo F., Regesto II, 104.
[ix] Pacella F., Un barone condottiero della Calabria del sec. XIV-XV: Nicolò Ruffo marchese di Cotrone, conte di Catanzaro, ASPN, III, (1964), p. 64.
[x] Barone N, Notizie storiche tratte dai Registri di Cancelleria del re Ladislao di Durazzo, ASPN, fasc. III, 1887, p. 22.
[xi] Della Marra F., Discorsi delle famiglie, Napoli 1641, p. 330. Barone N., Notizie storiche tratte dai Registri di Cancelleria del re Ladislao di Durazzo, ASPN, fasc. III, 1887, pp. 24-25.
[xii] Bernardo S., Santa Severina nella vita calabrese, Napoli 1960, p. 67. Vaccaro A., Fidelis Petilia, 1933, p. 97.
[xiii] Summonte G., Historia della città e del regno di Napoli, Napoli 1748, t. III, 489. Costanzo A., Istoria del Regno di Napoli, Milano 1805, t. II, 184-85.
[xiv] Il 4 aprile 1404 re Ladislao di Durazzo conferma tutti i privilegi e le grazie concesse al marchese di Cotrone Nicola Ruffo di Calabria. Barone N., Notizie storiche raccolte dai Registri di Cancelleria del re Ladislao di Durazzo, in ASPN Fsc. III, 1887, p. 22.
[xv] Pacella F., Un barone condottiero della Calabria del sec. XIV-XV: Nicolò Ruffo marchese di Cotrone, conte di Catanzaro, ASPN, III, (1964), pp.75 sgg.
[xvi] Il papa Martino V il 14 gennaio 1422, essendo la città di Isola “civibus destituta non nisi a pastoribus habitant ac nemoribus et in dominio dilecti filii nobilis viri Nicholai marchionis Cotroni situata”, e poiché a sua chiesa è vacante per traslazione di Pietro a Catanzaro, mentre i suoi possedimenti sono incolti e devastati, incarica di amministrarla Francesco, vescovo di Squillace. ASV, Reg. Lat. 221, ff. 34-34v.
[xvii] Orefice I., Registro della cancelleria di Luigi III d’Angiò per il Ducato di Calabria 1421-1434, in ASCL 1977-1978, p. 294.
[xviii] Orefice I., Registro della cancelleria di Luigi III d’Angiò per il Ducato di Calabria 1421-1434, in ASCL 1977-1978, pp. 302, 304.
[xix] La lite verteva sul possesso dell’abbazia di S. Giuliano che, a causa delle guerre e dell’incuria, era stata abbandonata dai monaci. L’abbazia, che si trovava nei possedimenti del marchese di Crotone, era stata ottenuta dal papa dall’abbate Leonardo. L’abbate di Corazzo Placido affermava che l’abbazia di S. Giuliano era grangia della sua abbazia. Su richiesta dell’abbate di Corazzo e in presenza del vescovo di Squillace, il 6 giugno 1424 fu steso un atto che, mentre riconosceva all’abbate di S. Giuliano il possesso di quell’abbazia, lo obbligava però a versare metà dei frutti e dei proventi all’abbate di Corazzo (ASV, Vat. Lat. 7572, ff. 97-101). Il tentativo da parte dell’abbate di Corazzo di incorporarsi l’abbazia di San Giuliano però proseguì. L’anno dopo su supplica dell’abbate Leonardo e del marchese, il papa Martino V incaricava il vescovo di Catanzaro di informarsi, e se era il caso di dichiarare nulla l’incorporazione (Russo F., Regesto, II, 183).
[xx] Orefice I., Registro della cancelleria di Luigi III d’Angiò per il Ducato di Calabria 1421-1434, in ASCL 1977-1978, p. 307.
[xxi] Dito O., La Storia calabrese e la Dimora degli ebrei in Calabria, Cosenza 1916, pp. 205-206.
[xxii] Orefice I., Registro della cancelleria di Luigi III d’Angiò per il Ducato di Calabria 1421-1434, in ASCL 1977-1978. pp. 332-333.
[xxiii] Minieri Riccio C., Notizie storiche tratte da 62 registri angioini dell’archivio di stato di Napoli, Napoli 1877, pp. 94-95.
[xxiv] Della Marra F., Discorsi delle famiglie, Napoli 1641, pp. 330-331. Le due parti contraenti depositarono 2000 fiorini a garanzia delle nozze da celebrarsi entro un anno e mezzo, il Ruffo promise alla figlia 5000 fiorini d’oro in moneta e 3000 in gemme. Pacella F., Un barone condottiero della Calabria del sec. XIV-XV: Nicolò Ruffo marchese di Cotrone, conte di Catanzaro, ASPN, III, (1964), p. 82.
[xxv] Orefice I., Registro della cancelleria di Luigi III d’Angiò per il Ducato di Calabria 1421-1434, in ASCL 1977-1978. p. 346.
[xxvi] ASV, Reg. Vat. 355, ff. 287-287v.
[xxvii] Orefice I., Registro della cancelleria di Luigi III d’Angiò per il Ducato di Calabria 1421-1434, in ASCL 1977-1978. p. 366.
[xxviii] Mauro D., Momenti storici e tradizioni rurali della S. Spina di Petilia Policastro, Catanzaro 1984, pp. 172-173.
[xxix] Russo F., Regesto, II, 215.
[xxx] In una lettera di Giovanna II al duca di Calabria Ludovico III del 1431, la regina gli ordina di tenersi pronto a prestare aiuto a Luigi III, assieme ai baroni calabresi, tra i quali il marchese di Crotone, qualora il re aragonese portasse la guerra in quella provincia. Minieri Riccio C., Notizie storiche tratte da 62 registri angioini dell’archivio di stato di Napoli, Napoli 1877, p. 73.
[xxxi] Fiore G., Della Calabria Illustrata, I, 1691, p. 206.
[xxxii] In un documento del 1435 Giovanna Ruffo si sottoscrive: “Ego Joanna Ruffo de Calabria Principissa Salerni, Marchionissa Cotronis, Dei Gratia Comitissa Catacii, Baroniarum Altavillae et Tabernae Domina”. Fiore G., Della Calabria Illustrata, I, 1691, p. 206.
[xxxiii] Dal primo matrimonio Nicolò aveva avuto due figlie, Polissena, che sposò Luigi di Poitiers, il padre della sua seconda moglie, e Giovannella. Dal secondo matrimonio, che sarebbe stato celebrato in Francia nel 1414, ebbe altre due figlie: Errichetta e Gozzolina. Quest’ultima sposò Luca Sanseverino, principe di Bisignano. Pontieri E., La Calabria a metà del secolo XV e le rivolte di Antonio Centelles, Napoli 1963, p. 182.
[xxxiv] BNN, ms X. A, 8, f. 211. Per il Fiore la concessione avvenne nel 1438 (Fiore G., Della Calabria Illustrata, III, 240). I Morano possedevano il feudo di Santa Vennera ed i suffeudi rustici de li Cotronei, dela Fiumara e di Domino Federico; quest’ultimi concessi dai conti di Catanzaro. Zangari D., Le colonie Italo- Albanesi di Calabria, Napoli 1940, p. 135.
[xxxv] Fiore G., Della Calabria Illustrata, III, 179.
[xxxvi] ASV, Reg. Vat. 365, ff. 150-151.
[xxxvii] Fiore G., Della Calabria Illustrata, I, 1691, p. 206.
[xxxviii] Orefice R., L’archivio privato dei Ruffo principi di Scilla, Napoli 1963, p. 24.
[xxxix] Fiore G., Della Calabria Illustrata, III, 382.
[xl] Privilegio di Errichetta Ruffo per il tenimento denominato Alimati in Regia Sila, scritto in carta comune, che porta la data de 25 giugno 1439, Atti relativi alla rimessa de’ libri ed altre carte originali appartenenti al monastero de cisterciensi di Santa Maria di Altilia. ASCZ, C. S. – S. E. Cart. 60, fasc. 1333. Errichetta Ruffo, contessa di Catanzaro, aveva concesso al monastero le tenute di Neto, Caria, Menta e Bosco, “libere et immuni, eccetto solo con il peso di pagare 15 tari l’anno, che sono tre D.ti ogn’anno all’università della Rocca Bernarda per riconoscimento”. ASCZ, Platea del monastero di S.ta Maria di Altilia, 1661, ff. 21-22 in Miscellanea Monastero di S. Maria di Altilia (1579-1782), 529, 659, B. 8.
[xli] Copia del privilegio in ASCZ, Miscellanea Monastero di S. Maria di Altilia (1579-1782), 529, 659, B. 8.
[xlii] Tra i privilegi di cui l’università di Cirò aveva chiesto la conferma al re Alfonso, vi erano quelli concessi dal “marchese de Cutrone, madama la Principissa, madamma la marchisa ed altri signori”. Fonti Aragonesi I, 40.
[xliii] ASV, Reg. Lat. 372, ff. 220-221.
[xliv] Dito O., La Storia calabrese e la Dimora degli ebrei in Calabria, Cosenza 1916, p. 209.
[xlv] Antonio de Centelles e Ventimiglia era figlio di Costanza di Ventimiglia, contessa di Collesano, e di Gilberto de Centelles, che era passato con re Martino dalla Catalogna in Sicilia. Capialbi H., Instructionum Regis Ferdinandi Primi Liber, in Arch. Stor. della Calabria, 1916, p. 290. Nel 1438 il viceré Centelles a nome di Alfonso I, stipulò una convenzione con Carlo Ruffo, conte di Sinopoli. Pontieri E., La Calabria a metà del secolo XV e le rivolte di Antonio Centelles, Napoli 1963, pp. 268-269.
[xlvi] Bernardo S., Santa Severina nella vita calabrese, I.E.M. 1960, p. 70.
[xlvii] ASV, Reg. Vat. 365, ff. 410-411.
[xlviii] Zangari D., Capitoli e grazie concessi dagli Aragonesi alla citt… di Cotrone, Napoli 1923, p. 6.
[xlix] Pontieri E., La Calabria a metà del secolo XV e le rivolte di Antonio Centelles, Napoli 1963, p. 189.
[l] Ricordiamo la concessione fatta al nobile Giovanni da Cropani di alcuni poderi nella località Borda in territorio di Zagarise. Fiore G, Della Calabria Illustrata, III, p. 530 in nota.
[li] Pontieri E., Il parlamento del Regno di Napoli e la questione della successione di Ferrante I d’Aragona alla corona paterna, in Civiltà di Calabria, Effe Emme Chiaravalle C., 1976, p. 394.
[lii] Tra questi il capitano di ventura Giovanni della Noce che era stato compensato da re Alfonso con il titolo di conte di Rende. Miceli di Serradileo A., I conti di Rende in Calabria durante il regno di Alfonso I e di Ferrante d’Aragona (1440-1494), in Historica n. 2, 1974, p. 85. Pontieri E., La Calabria a metà del secolo XV e le rivolte di Antonio Centelles, Napoli 1963, p. 191.
[liii] Pontieri E., La Calabria a metà del secolo XV e le rivolte di Antonio Centelles, Napoli 1963, pp. 188 sgg.
[liv] Minieri Riccio C., Alcuni fatti di Alfonso I d’Aragona. Dal 15 aprile 1437 al 31 maggio 1458, in ASPN a. VI, 1881, fasc. II, p. 243.
[lv] Pontieri E., La Calabria a metà del secolo XV e le rivolte di Antonio Centelles, Napoli 1963, p.189.
[lvi] Il 15 settembre 1444 re Alfonso conferma a Luigi Caracciolo il possesso di Nicastro e di Montesoro. Fiore G., Della Calabria Illustrata, I, p. 128, e III, p. 241.
[lvii] Dito O., La Storia calabrese e la Dimora degli ebrei in Calabria, Cosenza 1916, pp. 209-210.
[lviii] Minieri Riccio C., Alcuni fatti di Alfonso I d’Aragona. Dal 15 aprile 1437 al 31 maggio 1458, in ASPN a. VI, 1881, fasc. II, pp. 245-246.
[lix] I rappresentanti dell’università il 21 novembre 1444, dichiaravano che Cropani era “alquanto disfatto per lo sfratto, impostogli da D. Antonio Centeglia”, e perciò chiedevano al re l’esenzione per dieci anni da ogni tassa. Fiore G., Della Calabria Illustrata, Napoli 1691, t. I, p. 213.
[lx] Pontieri E., La Calabria a metà del secolo XV e le rivolte di Antonio Centelles, Napoli 1963, p. 192. Il 2 novembre 1444 in Castrovillari, restituisce alcune terre a Filippo Giacomo de Casulis di Cosenza. Fonti Aragonesi I, p. 38.
[lxi] Fonti Aragonesi, I, pp. 39-44.
[lxii] Fonti Aragonesi, I, pp. 38-39.
[lxiii] Il re il giorno 8 novembre 1444, nel campo presso Ipsigro, approva gli statuti di una università non identificata. Pontieri E., La Calabria a metà del secolo XV e le rivolte di Antonio Centelles, Napoli 1963, p. 202.
[lxiv] Fonti Aragonesi, I, pp. 42-43.
[lxv] Il re quel giorno approva i capitoli presentatogli dai rappresentanti dell’università di Lucera. Mazzoleni J., Fonti per la storia dell’epoca aragonese nell’archivio di stato di Napoli, ASPN a. 1954, p. 352.
[lxvi] A Belcastro il 21 novembre 1444, il re concesse ai rappresentanti dell’università di Cropani di rimanere in demanio, che la città fosse franca per 10 anni da qualsiasi tassa, che i suoi cittadini potessero pascolare franchi nei territori di Taverna e di Belcastro, che i beni requisiti fossero restituiti, che alla chiesa collegiata di Santa Maria fossero date le terre di Connino, che all’abbazia di S. Maria di Acquaviva fossero confermate tutti i privilegi, ecc. Fiore G., Della Calabria Illustrata, Napoli 1691, t. I, p. 213.
[lxvii] D’Amato V., Memorie historiche dell’illustrissima famosissima e fedelissima città di Catanzaro, Napoli 1670, p. 98.
[lxviii] Costanzo A., Istoria del Regno di Napoli, Milano 1805, III, p. 132. Pontieri E., La Calabria a metà del secolo XV e le rivolte di Antonio Centelles, Napoli 1963, p. 132.
[lxix] Bernardo S., Santa Severina nella vita calabrese, I.E.M. 1960, pp. 70-71.
[lxx] Caridi G., Uno “stato” feudale nel mezzogiorno spagnolo, Gangemi Editore 1988, pp. 6-7.
[lxxi] Bernardo S., Santa Severina nella vita calabrese, I.E.M. 1960, pp. 70-71.
[lxxii] Scalise G. B. (a cura di), Siberene Cronaca del Passato per le Diocesi di Santaseverina – Crotone – Cariati, p. 230.
[lxxiii] Minieri Riccio C., Alcuni fatti di Alfonso I d’Aragona. Dal 15 aprile 1437 al 31 maggio 1458, in ASPN a. VI, 1881, fasc. II, pp. 246-247.
[lxxiv] Re Alfonso fa comprare filo di canapa per le reti necessarie alla caccia dei cervi. Minieri Riccio C., Alcuni fatti di Alfonso I d’Aragona. Dal 15 aprile 1437 al 31 maggio 1458, in ASPN a. VI, 1881, fasc. II, p. 247.
[lxxv] Costanzo A., Istoria del Regno di Napoli, Milano 1805, III, p. 133.
[lxxvi] Pontieri E., La Calabria a metà del secolo XV e le rivolte di Antonio Centelles, Napoli 1963, p. 193.
[lxxvii] Tra i capitoli e le petizioni chiesti al re all’atto della resa dai rappresentanti della città di Crotone, vi era la richiesta che “perche petro carbone lo correctore et antoni de scalia contra amne debito fecero piglyare certa roba et cose di citadini et habitaturi de la dicta cita et fecero certe usurpacioni peteno sia restituita a li prediti loro roba dovunche se trova tanto in castello quanto de fora. Et in casu non se trovasse siano satisfacti sopra la roba loro dovunche se trova sino ad tanto che li dicti citatini siano sevati illesi”. Zangari D., Capitoli e grazie concessi dagli Aragonesi alla citt… di Cotrone, Napoli 1923, p. 4 sgg.
[lxxviii] Nola Molise G. B., Cronica dell’antichissima e nobilissima città di Crotone, Napoli 1649, p. 195.
[lxxix] Zangari D., Capitoli e grazie concessi dagli Aragonesi alla citt… di Cotrone, Napoli 1923, pp. 4 sgg.
[lxxx] Fiore G., Della Calabria Illustrata, III, p. 423.
[lxxxi] Fonti Aragonesi I, p. 61.
[lxxxii] Fonti Aragonesi I, p. 39.
[lxxxiii] “L.ra Alfonsi Regis directa Camerario Regni Siciliae citra farum et officialibus Camerae Summariae, et aliis, super observatione privilegiorum concessionum, et gratiarum Ecclesiae S. Severinae et signanter decimarum suar. iuribus et introtionibus gabellae baiulationis praedictae civitatis S. Severinae et casalium ipsius et salinarum Naethi dictae Ecclesiae competentium. Datum in suis castris felicibus prope civitatem Cotron. die decimo nono mensis decembris octava inditione cum parvo sigillo Regio et eius suscriptione. In eod. 22 Item alia L.ra eiusdem Regis paulo post directa Capitaneo Civitatis S.tae Severinae, ut prestit auxilium et favorem Vicario Archiep.i in iuribus Eccl.ae et signanter in exacione decimarum.” Di Vari privilegi per la sede di Santaseverina, in Siberene Cronaca del Passato per le Diocesi di Santaseverina – Crotone – Cariati (a cura di Scalise G. B.), p. 238.
[lxxxiv] Rubino G., Le Castella in Calabria Ultra, Napoli 1970, p. 90.
[lxxxv] Fonti Aragonesi I, p. 39.
[lxxxvi] Rubino G., Le Castella in Calabria Ultra, Napoli 1970, p. 90.
[lxxxvii] Fonti Aragonesi I, p. 70.
[lxxxviii] Pontieri E., La Calabria a metà del secolo XV e le rivolte di Antonio Centelles, Napoli 1963, p. 194.
[lxxxix] Fonti Aragonesi I, p. 44. Sposato P., Partecipazione della nobiltà calabrese alla vita economica e commerciale della regione nella seconda metà del Quattrocento, ASCL, 1958, fasc. IV, pp. 307-308.
[xc] Privilegi della Badia di Altilia, ASN Archivio Ruffo di Scilla, Vol. 697, ff. 12-13.
[xci] Pontieri E., La Calabria a metà del secolo XV e le rivolte di Antonio Centelles, Napoli 1963, p. 202.
[xcii] Dito O., La Storia calabrese e la Dimora degli ebrei in Calabria, Cosenza 1916, pp. 209-210.
[xciii] Il vescovo di Crotone ottiene da re Alfonso i diritti di decima sugli animali che pascolano nella sua diocesi, il diritto di giudicare le cause sia dei chierici che dei laici il primo settembre (“ipse Episcopus cum ceteris suis clericis, pro tribunali sedeat”), di giudicare le cause civili tra cristiani ed ebrei e tra ebrei ed ebrei, il diritto di decima sulla dogana e di ancoraggio. Zangari D., Capitoli e grazie concessi dagli Aragonesi alla citt… di Cotrone, Napoli 1923, pp. 3-8.
[xciv] La contea di Rende era stata confiscata al ribelle Giovanni della Noce. Miceli di Serradileo A., I conti di Rende in Calabria durante il regno di Alfonso I e di Ferrante d’Aragona (1440-1494), in Historica n. 2, 1974, p. 87.
[xcv] Sergio F., Chronologica collectanea de civitate Tropea eiusque territorio, Napoli 1988, p. 32, Rist.
[xcvi] Fonti Aragonesi, I, pp. 44-45.
[xcvii] Zangari D., Capitoli e grazie concessi dagli Aragonesi alla citt… di Cotrone, Napoli 1923, pp. 4 sgg.
[xcviii] Il 3 agosto 1445 da Castronovo Napoli, re Alfonso conferma i capitoli della città e le permette di esportare ogni anno 500 tratte di grano esenti, per adoperare quel denaro nella riparazione delle mura. Il privilegio verrà negli anni successivi più volte riconfermato. Fonti Aragonesi, I, pp. 45-46. Sposato P., Partecipazione della nobiltà calabrese alla vita economica e commerciale della regione nella seconda metà del Quattrocento, ASCL, 1958, fasc. IV, pp. 13-14.
[xcix] Caridi G., Uno “stato” feudale nel mezzogiorno spagnolo, Gangemi Editore 1988, pp. 6-7.
[c] Pontieri E., La Calabria a metà del secolo XV e le rivolte di Antonio Centelles, Napoli 1963, pp. 277-278.
[ci] Le decime saranno ripristinate con privilegio concesso all’arcivescovo da re Alfonso da Castronovo Napoli il 9 febbraio 1446. Di Vari privilegi per la sede di Santaseverina, in Siberene Cronaca del Passato per le Diocesi di Santaseverina – Crotone – Cariati (a cura di Scalise G. B.), p. 238.
[cii] Miceli di Serradileo A., Sul temuto assalto veneziano alle coste ioniche della Calabria nel 1447 e 1449, in ASCL, 1972, p. 119.
[ciii] Fonti Aragonesi, I, p. 74.
[civ] Fonti Aragonesi, I, pp. 61, 62.
[cv] Miceli di Serradileo A., Sul temuto assalto veneziano alle coste ioniche della Calabria nel 1447 e 1449, in ASCL, 1972, pp.122 sgg.
[cvi] Errichetta Ruffo aveva ottenuto dal re Alfonso, dapprima la provvigione di 1000 ducati annui, alla quale poi se ne aggiunse un’altra “pro victu” di cento once d’oro annue, da prelevarsi sul fondaco del sale di Napoli (1.9.1450). Dopo il ritorno del Centelles le fu accordata una nuova pensione di 1400 ducati annui. Pontieri E., La Calabria a metà del secolo XV e le rivolte di Antonio Centelles, Napoli 1963, p. 199. Zangari D., Capitoli e grazie concessi dagli Aragonesi alla citt… di Cotrone, Napoli 1923, p. 9.
[cvii] Nola Molise G. B., Cronica dell’antichissima e nobilissima città di Crotone, Napoli 1649, p. 195.
[cviii] Il 17 giugno 1459 re Ferdinando scrive a Giovanni Barresi ed a Michele di Manlio di non consegnare il castello di Catanzaro ed il marchesato di Crotone al Centelles, e per lui ai commissari del principe di Taranto. Giampietro D., Un registro aragonese della Biblioteca Nazionale di Parigi, ASPN, 1884, p. 280.
[cix] Costanzo A., Istoria del Regno di Napoli, Milano 1805, III, pp. 190-191. Dito O., La Storia calabrese e la Dimora degli ebrei in Calabria, Cosenza 1916, pp. 218 sgg.
[cx] Costanzo A., Istoria del Regno di Napoli, Milano 1805, III, p. 191. Giampietro D., Un registro aragonese della Biblioteca Nazionale di Parigi, ASPN, 1884, p. 283.
[cxi] Dito O., La Storia calabrese e la Dimora degli ebrei in Calabria, Cosenza 1916, p. 221.
[cxii] Giampietro D., Un registro aragonese della Biblioteca Nazionale di Parigi, ASPN, 1884, p. 284. Pontieri E., La Calabria a metà del secolo XV e le rivolte di Antonio Centelles, Napoli 1963, p. 230.
[cxiii] Giampietro D., Un registro aragonese della Biblioteca Nazionale di Parigi, ASPN, 1884, p. 285. Rubino G., Le Castella in Calabria Ultra, Napoli 1970, p. 98.
[cxiv] “In nostris felicibus castris prope Pontem Crochi”, il 2 ottobre 1459, re Ferdinando conferma all’abate Enrico de Modio i privilegi della badia di Altilia, tra i quali il possesso del tenimento di Sanduca. Privilegi della Badia di Altilia, ASN Archivio Ruffo di Scilla, Vol. 697, f. 14.
[cxv] Fiore G., Della Calabria Illustrata, I, Napoli 1691, p. 213.
[cxvi] Giampietro D., Un registro aragonese della Biblioteca Nazionale di Parigi, ASPN, 1884, p. 284.
[cxvii] Pontieri E., La Calabria a metà del secolo XV e le rivolte di Antonio Centelles, Napoli 1963, p. 231.
[cxviii] Tra i capitoli approvati vi era la conferma al vescovo di Isola degli antichi privilegi. AVC, Processo Grosso, ff. 415-416.
[cxix] Giampietro D., Un registro aragonese della Biblioteca Nazionale di Parigi, ASPN, 1884, p. 285.
[cxx] Giampietro D., Un registro aragonese della Biblioteca Nazionale di Parigi, ASPN, 1884, p. 284.
[cxxi] Pontieri E., La Calabria a metà del secolo XV e le rivolte di Antonio Centelles, Napoli 1963, p. 231.
[cxxii] Pontieri E., La Calabria a metà del secolo XV e le rivolte di Antonio Centelles, Napoli 1963, p. 232.
[cxxiii] Dito O., La Storia calabrese e la Dimora degli ebrei in Calabria, Cosenza 1916, p. 222.
[cxxiv] Giampietro D., Un registro aragonese della Biblioteca Nazionale di Parigi, ASPN, 1884, p. 285.
[cxxv] Pontieri E., La Calabria a metà del secolo XV e le rivolte di Antonio Centelles, Napoli 1963, pp. 284-285.
[cxxvi] AVC, Processo Grosso, ff. 74-96. De Leo P., I patti tra la corona d’Aragona e il Centelles, A.S.C.L., LX (1993), pp. 93 sgg.
[cxxvii] Fiore G., Della Calabria Illustrata, I, Napoli 1691, p. 221.
[cxxviii] Capialbi H., Instructionum Regis Ferdinandi Primi Liber, in Arch. Stor. della Calabria, 1916, p. 291.
[cxxix] Fiore G., Della Calabria Illustrata, III, p. 326. Pontieri E., La Calabria a metà del secolo XV e le rivolte di Antonio Centelles, Napoli 1963, p. 252.
[cxxx] Il privilegio fu concesso “in dicto monasterio die 21 mensis Aprilis XIII Ind. 1465”. Privilegi della Badia di Altilia, ASN Archivio Ruffo di Scilla, Vol. 697, ff. 11 sgg.
[cxxxi] Capialbi H., Instructionum Regis Ferdinandi Primi Liber, in Arch. Stor. della Calabria, 1916, p. 291.
[cxxxii] Il Centelles, che si era impadronito del feudo di Santa Vennera dei Morano, avendo ucciso Teseo Morano, barone di Cotronei e di Melissa, in una lite durante la caccia, fu costretto dal figlio di Teseo, Gioannotto, che “con una grande compagnia d’Albanesi a cavallo perseguitò”, a sposare la sorella Costanza. Costanza Morano, principessa di Santa Severina, dopo la cattura del Centelles ebbe da re Ferdinando la terra di Simeri. BNN, ms X, A, 8, f. 210t-211r. Zangari D., Le colonie Italo- Albanesi di Calabria, Napoli 1940, p. 136.
[cxxxiii] Da Antonio Centelles ed Errichetta Ruffo nacquero Antonio, che partecipò alla Congiura dei baroni e poi mor schiavo dei pirati, Giovanna che sposò Maso Barrese duca di Castrovillari, e Polissena maritata ad Errico d’Aragona, marchese di Gerace, figlio naturale di Ferrante. BNN, ms. X, A, 8, f. 210t.
[cxxxiv] Il 25 febbraio 1466 da Castro Novo, Napoli, Ferrante concede lo stato demaniale a Santa Severina. Tra i capitoli chiesti dai sindaci a nome dell’università, vi era “Item supp.ca e pete l’uni.ta pred.ta a la Maesta V.ra se degni per amor de Dio cassare et annullare omne donat.ne et titulo havessero concesso e fatto a qualsivoglia persona dela città n.ra S.ta Severina et massimo lo titulo destivo a D. Antonio Centelles olim Marchese de Cotroni, et donat.ne de ipsa citta cum uno solemne exordio, declarando V.ra M.ta che la donat.ne pred.a non fo per levare la liberta antiqua de la deta citta, ma solum per stato et quiete de V.ra M.t … e V.ro Regno”. Scalise G. B. (a cura di ), Siberene Cronaca del Passato per le Diocesi di Santaseverina – Crotone – Cariati, pp. 160 sgg.
Creato il 9 Marzo 2015. Ultima modifica: 22 Maggio 2023.
Complimenti molto interessante .
Grazie per la sua attenzione.