Le chiese ed il clero di Policastro alla metà del Cinquecento
L’otto di giugno del 1559, il cantore della chiesa di Mileto Giovanni Tommaso Cerasia, vicario dell’arcivescovo Giovanni Battista Ursini, trovandosi impegnato nella visita dei luoghi pii appartenenti alla diocesi di Santa Severina,[i] discendendo dalla terra di Roccabernarda, pervenne a quella di Policastro. Lo attendeva un clero diffidente, poco incline all’osservanza dei precetti del nuovo Concilio Tridentino. Giunto con il suo seguito “ante fores T(er)rae p.ti Polic.ri”, il vicario non trovò ad accoglierlo alcuna “Comitivas Clericorum”, né fu ricevuto con quella solennità che gli sarebbe stata dovuta per antica e solita consuetudine. Entrato quindi nell’abitato senza l’accompagnamento della croce e della consueta processione, egli si portò alla “m(aio)rem ecc.am” di Policastro per procedere nella sua visita.
Anche qui egli non trovò alcuna “Comitivam” né alcun “apparatum”, né trovò presente l’arciprete di Policastro a rendergli omaggio ed obbedienza. Entrato nella chiesa aspergendo l’acqua benedetta, visitò la SS.ma Eucarestia e pregò. Visitato l’altare maggiore e sedutosi, impartì un sermone al “populum” che, intanto, si era congregato nella chiesa. Prendendo la parola, egli spiegò che era sua intenzione visitare le chiese ed i presbiteri, conoscere quale fosse il governo spirituale e temporale delle chiese, quali sacramenti e quali divini offici vi fossero amministrati, e di quali beni ed ornamenti disponessero. Egli disse, inoltre, che era sua intenzione conoscere quale fosse la condotta di “ministrorum et populi”, per cui avrebbe provveduto alle necessarie correzioni ed emendamenti, perseguendo “Concubinarios, et adulteros, Usurarios, fornicatores, sortilegos, Divinatores” e simili.
Egli, inoltre, in forza dei propri diritti e delle consuetudini, si dichiarava pronto ad ascoltare benignamente ogni “protestas plebi”, e ad assolvere, ingiungendo la penitenza con misericordia. Quindi, dopo avere esortato il popolo ed il clero alla penitenza, incitando gli astanti alle sante virtù, a sfuggire il male e i vizi, e a fare il bene, senza fare agli altri ciò che, invece, non si sarebbe voluto subire, fece osservare un “intervallo”.
Si passò quindi alla celebrazione della messa. Considerato però, che nessun presbitero di Policastro volle celebrarla e cantarla, questa fu celebrata dal canonico di Santa Severina D. Fabio dela Mendula, in presenza di diversi “Clericorum”, “Nobilium et aliorum dictae T(er)rae”. Dopo tale celebrazione, accompagnato dal vicario foraneo di Policastro Battista Venturino, il vicario arcivescovile fu accompagnato assieme al suo seguito, in una casa del notaro Francesco de Venturo posta all’interno delle mura, dove avrebbe fatto residenza durante il prosieguo della sua visita.
S. Nicola de Plateis
Dopo la “Cenam”, quando era quasi l’ora decima nona, il vicario si recò nella “ecc.am s.ti Nic.ai de plateis m(aio)rem ecc.am dictae T(er)rae Archipresb(ite)ratus nuncupatum”, e pronunciata l’orazione innanzi al “S.mus Corpus Xpi”, si accostò all’altare maggiore, dove, assistito da alcuni presbiteri, compì gli offici della visitazione come si trovava scritto “in pontificali”. Quindi passò a visitare il “S.mus Sacram.tus” posto alla destra dell’altare maggiore, “propem arcum lapideum” in una “fenestra lapidea” che, superiormente ed anteriormente, era dotata di una “Clausura lignea”, chiusa con un “Catenaczo parvo”, mentre, nella parte inferiore, era coperta da un “panno albo veterrimo et bructo”.
Sopra questa finestra si trovava una “imago salvatoris n(ost)ri” con le “imagines” dei santi Pietro e Paolo. Davanti vi era un altare fabbricato di pietra con altare portatile, con tre tovaglie ed un “Coperim.to” di tela colorata. Il vicario trovò che davanti al SS.mo Sacramento non vi erano “lampas”, ma solo una ardeva “in me(dio) arci magni per dirictus altaris maioris Cum uno lamparo lign(eo)”.
Fatta aprire la finestra lignea, il vicario rinvenne al suo interno la Santa Eucarestia posta in una “bussulam depictam” con la pittura “q.asi ruinatam”, come si era già riscontrato in occasione della visita precedente. Aperta la bussola vi trovò quattro “particulas” con sopra una “Carta rotunda”. Dentro la finestra il vicario trovò anche un “tabernaculum argenteum” con il piede di ottone dorato, usato per portare l’eucarestia agli infermi che, secondo quanto riferirono alcuni presenti, apparteneva alla “Compag.ia de lo Corpus d(omi)ni”. Furono anche rinvenuti un “tabernaculum vitreum” usato durante la processione del “Corpus xpi”, un altro tabernacolo di vetro che dissero essere di “do. Mar.ni accectae”, ed una “Cassiulam avolei parvulam”, nella quale si trovavano riposte le reliquie di San Nicola e dell’apostolo Bartolomeo.
A questo punto, considerato che anche in occasione della precedente visita del 15 gennaio 1556, l’arciprete era già incorso in sansioni e gli era stato ingiunto di rifare la “Cassulam” – ingiunzione alla quale non aveva ancora ottemperato – il vicario arcivescovile lo minacciò di scomunica e di condannarlo al pagamento di 25 once e lo precettò affinchè, entro quattro mesi, rifacesse una “Casciulam avolei vel ad minus deauratam” del valore di ducati cinque. Tale custodia si sarebbe dovuta riporre non più all’interno della “fenest.a”, che era in cattive condizioni, ma nella “Custodiam” posta sopra l’altare maggiore, che si sarebbe dovuta rifabbricare in pietra da parte dei “Confr(atr)es sacratis Corporis Xpi”.
Egli, inoltre, condannò l’arciprete al pagamento di 25 once perchè non aveva trovato la lampada accesa davanti alla “Imaginem dicti S.mae Eucharistiae” mentre, stando a quanto tutti dicevano, qualla che si trovava “in arco maiori” era mantenuta accesa dai confrati. Le stesse pene il vicario minacciò anche per il futuro, qualora l’arciprete non avesse provveduto a tenere accese davanti al “S.mum Eucharistii” due lampade, una delle quali doveva essere mantenuta a carico del rettore della chiesa e, l’altra, a carico dei confrati.
Il vicario passò quindi alla visita del vicino altare maggiore, dove rinvenne una “arcam magnam” con abiti vecchi e “ubi dixerunt esse sacramenta ecc.ae”. Qui, infatti, in un “Vaseo piltreo”, furono rinvenuti gli oli sacramentali: “sanctum Crisma, oleum sanctum et oleum CatheCumenorum”. Considerato che tali oli non erano stati conservati per come si doveva, il vicario condannò l’arciprete al pagamento di dieci ducati. Nell’inventario degli altri beni presenti nell’arca, furono trovati: un calice d’argento con patena e piede di rame dorato, un altro calice d’argento con patena e piede di rame dorato che apparteneva al “S.mi Sacram.ti Corporis Xpi”, una “planetam” di velluto rosso anch’essa appartenente al “S.mi Sac.ti Corporis Xpi”, ed un calice di peltro con patena “diruta” dello stesso materiale, che furono distrutti dal vicario arcivescovile il quale ingiunse all’arciprete di rinnovarli entro il termine di 20 giorni.
Furono inoltre trovati: un vestimento completo con una “Casula” nera “sine amictu”, un’altra casula nera che dissero essere del “sanctss.i sac.ti eucharistie”, un vestimento completo con una pianeta di raso giallo, un “missale”, due “Polificatorii”, di cui uno dipinto di seta rossa che era del “s.mi sacram.ti”, una casula rossa di velluto, tre altre casule rosse di velluto figurate, un “Piviale” di raso turchino, un “antifonarium pergamilis parvum”, un “bactisterium pergamilis”, un “plumacium” con certi panni vecchissimi, un “graduali” ed un “antifonarium festivum” che appartenevano “de Communi et Clero”.
Procedendo nella visita, il vicario visitò l’altare maggiore di pietra, dove rinvenne anche un altare “ligneum” che avevano voluto erigere i confrati. Nel muro vi era una “Custodia aperta” e “tota Cap.la” era costruita in pietra. Sopra l’altare vi era la “imago glo(rio)siss.a Virginis Mariae Cum imaginis salvatoris de Cruce depositi Cum duobus ang(e)lis hinc, inde, Cum toto misterio passionis d(omi)ni n(ost)ri Ih(es)u Xpi : est imago hinc inde s.torum glo(ro)siorum ap(osto)lorum Petri et pauli, de super imago s.ti sebastiani”. Vicino l’altare era posto un “Campanellus parvus”. Nella “capp.la mag.a” vi era un “chorum” con “aliquibus scannis”, ma privo di un “discolum”, dove poter riporre i “libri” per i canti. Il vicario ingiunse all’arciprete affinche, entro il termine di un mese, fosse realizzato il “discolum ut honorificae possunt Cantari divinia off.a”.
La visita del vicario proseguì presso la “fontem baptisimalem” “lapideum”, che fu trovata chiusa da un “Coperim.to tabularum”. Apertolo, il vicario trovò nell’acqua battesimale “unum ossum Crisomoli”, quindi, interrogati alcuni presbiteri di Policastro a riguardo di chi avesse la “Curam baptizandi”, in fede questi asserirono che tale cura spettava al “vener.le do. Nic.m misianum” che per la sua negligenza, fu condannato al pagamento di ducati quattro. Il vicario, inoltre, sotto la minaccia della scomunica e del pagamento di 25 once, ammonì i presenti affinchè durante il battesimo, fosse posta sulla testa degli “infantes” una “vestem candidam”, escludendo categoricamente che il sacramento potesse essere amministrato “in domibus” ma solo in chiesa. Il vicario ordinò che si rifacesse la serratura della porta. Nella chiesa si rinvennero diverse travi ed un “pergulum”.
La visita proseguì presso la “Cap.lam sub vocabulo o(mn)ium sanctorum”, dove fu trovato un altare lapideo “non Consecratum”, con tre tovaglie ed un “Coperim.to” vecchissimo, con sopra la “imago glo(ri)ose Virginis Mariae, S.ti io: bact.s, et Confessoris Fran.ci”. L’altare possedeva: un vestimento di tela completo, un “missale”, un calice che essendo vecchissimo, fu distrutto dal vicario con l’ordine che fosse rifatto, un’arca ed un campanello. L’altare di iurepatronato della famiglia Campana e di cui era rettore D. Hieronimus Campana, era provvisto di “Certas T(er)ras loco dicto la sullaria”.
A questo punto il vicario chiese all’arciprete dove si trovasse la croce della chiesa e questi rispose che la deteneva la “Confraternitatis s.mi Corporis Xpi”. La croce fu quindi portata al suo cospetto. Questa era “argentea Cum aliquibus pomis Argenteis Circum Circa, unum pomum de rame aureatum” ed assieme a questa, furono mostrati al vicario gli altri beni della confraternita: due “Tonicelle” di seta verde, un “baldacchinum” di seta di diversi colori ed un piviale di seta rossa. Il vicario ammonì l’arciprete e, dietro la minaccia di scomunica e del pagamento di 10 once, gli ordinò che, entro il termine di due mesi, dovesse far fare tre tovaglie per l’altare maggiore. Egli inoltre, ordinò ai confratelli della confraternita che, entro il termine di due mesi, acquistassero sei tovaglie per il servizio del loro altare, sotto la pena della scomunica e del pagamento di cento libre di cera alla camera arcivescovile. A questo punto, dato che nella precedente visita era stato ordinato a Nardo de Cola di rifare un vestimento desunto, il vicario chiese che quello nuovo fosse portato al suo cospetto. L’ordine fu eseguito.
La visita proseguì presso l’“oratorium sive altari” sotto l’invocazione di S.to Bartholomeo, dove fu trovato un altare di pietra con sopra un altare portatile. L’altare possedeva tre tovaglie, un vestimento di tela completo ed una “Cona constructa in tela Cum tribus figuris” raffigurante la “imago glo(rio)siss.ae Virginis Mariae, et s.ti bartholomei et beati Franc.ci de paula”. Il vicario ingiunse che, entro il termine di quattro mesi, l’altare fosse provvisto di un “Coperimen.tum” di tela e che entro lo stesso termine, si provvedesse anche all’acquisto di un messale e di un calice. Era cappellano dell’altare D. Hieronymus Campana, il quale affermò che l’altare era di iurepatronato della famiglia Blascho. Sotto la minaccia delle solite pene il vicario ordinò al cappellano di esibire entro tre giorni, i suoi titoli di concessione, assieme a quelli di dotazione, fondazione ed erezione dei patroni. Successivamente, il cappellano fu abilitato ad esibire questi titoli entro il termine di un mese.
Quindi si passò alla visita della “Capp.lam” sotto l’invocazione della “glo(rio)sae Virginis Mariae de lo Rito”, dove si trovò un altare “lapideum Cum duobus Columnis”, con sopra la “imago glo(rio)sae Virginis M.ae”, che era dell’arciprete di Policastro, il quale affermò che l’altare era di iurepatronato della famiglia dela Mendulara. Il vicario ordinò che entro tre giorni fossero esibiti tutti i titoli che comprovassero i relativi diritti. Sopra detto altare vi era la “Crux salvatoris n(ost)ri in Cruce pendentis quae est s.mae Eucharistiae”. L’altare possedeva una vigna “a miliati”.
Proseguendo la visita, fu visitato un altro altare dotato di due “Columnas lapideas”, sopra il quale si trovava la “imago salvatoris n(ost)ri in Cruce pendenti quae est de ecc.a”.
Quindi si passò alla visita dell’ “oratorium sive altare” sotto l’invocazione di “s.tae M.ae de lo rito”, nel quale fu rinvenuto un altare lapideo “cum duobus columnis” con sopra la “imago glo(rio)se Virginis Mariae”, pulito ed ornato che era di iurepatronato di Franc.o Nigro.
Successivamente, il vicario arcivescovile giunse alla “Cap.lam seu ora(torium)”, “lapideum”, sotto l’invocazione di “s.ti Andreae”, di iurepatronato della famiglia Trahina, di cui era rettore D. Fran.o Canzonerio. L’altare possedeva un’arca che conteneva i seguenti beni: un vestimento sacerdotale di tela completo con pianeta di tela dipinta, un’altra casula di tela bianca, tre tovaglie, un coperimento d’altare di tela ed un “plumacium pictum”.
Alla fine della sua visita, rilevato che la chiesa si trovava ancora senza sacrestia e senza campanile, il vicario arcivescovile, considerate anche le numerose sollecitazioni prodotte nei confronti dell’università di Policastro, che sarebbe stata tenuta a contribuire alla riparazione dell’edificio, in virtù della sacra obbedienza e sotto pena della scomunica e del pagamento di cinquanta libre di cera alla camera arcivescovile, ingiunse alla detta università di contribuire alla spese di riparazione occorrenti con 12 ducati all’anno per tutto il prossimo triennio.
SS.ma Annunziata
All’indomani, il nove di giugno, dopo la celebrazione della messa, il vicario arcivescovile procedette alla visita della “ecc.am sub Invocatione glo(rio)sae Virginis Mariae de annuntiata”, “et est Confratria”, di cui erano cappellani D. Nicolao Misiano, D. Minico Melle o Mellus e D. Cicco Appa. Egli trovò l’altare maggiore della chiesa “eum lapideum fabricatus non Consecratus”, corredato con tre tovaglie, mentre un’altra era posta sopra uno “scabellum” ed un coperimento di tela lavorata di tela. Sopra l’altare era raffigurata l’immagine della Gloriosa Vergine Maria, che si asseriva essere quella di “s.tae Mariae de lo succurso”. L’altare era dotato di 2 candelabri di legno, un vestimento sacerdotale di tela completo con una “Casula” di raso giallo, un calice di peltro “Cum patena et Corporalibus”, un “Missalem” con sopra un “lintheamen” di tela mentre, nelle sue vicinanze, era posto un crocefisso a tutto tondo (“de relevo”).
Vicino all’altare si trovava una “arca”, al cui interno furono rinvenuti un “lintheamen”, una casula di velluto verde, un vestimento sacerdotale di tela completo, un “plumacium”, diversi “amictos”, stola e “manipulos”, tre tovaglie, un “Coperim.tum” di tela, un altare portatile, altre tovaglie ed un “mandile”. Dentro un’altra arca si ritrovarono, invece, una casula di tela vetusta, due coperimenti di tela vetusti ed un’altra casula di tela. A questo punto il vicario ammonì i cappellani, e minacciando la pena della scomunica e del pagamento di 25 once, ingiunse loro entro il giorno successivo, di esibire i documenti di concessione relativi alla confraternita, presentando tutti i vestimenti posseduti dai procuratori di quest’ultima. Egli inoltre, in questo frattempo, ordinò a tutti di astenersi dal celebrare la messa.
La visita proseguì presso l’altare “dicto Illorum de maurello”, sotto l’invocazione di “s.ti Aug.ni”, sopra il quale esisteva una “copertura sive Cappellum de ligno”. Sotto pena della scomunica e della privazione dell’altare, fu ordinato a “Illorum de maurello” di ripristinare entro il termine di 4 mesi, tutto il necessario per la celebrazione della messa.
Successivamente, il cantore rinvenne un altare con un arco sotto l’invocazione di “S.tae m.ae” appartenente alla famiglia Caracciolo, i quali furono ammoniti come sopra. A seguire, egli visitò numerosi altri altari, cappelle ed oratori e, trovandoli tutti in condizioni simili, precettò i relativi cappellani e patroni, ammonendoli attraverso la minaccia della scomunica e di una sanzione pecuniaria, ed ingiungendo loro di ripristinare condizioni adeguate per la celebrazione della messa. Nell’ordine, egli rinvenne l’altare sotto l’invocazione di “s.tae mariae” appartennte ad “Illorum de rizzo”, l’altare di “s.ti franc.ci de paula” della famiglia Cortese, un “altare ligneum” appartenente alla famiglia Monaco, un “oratorius” sotto l’invocazione di S.to Antonio della famiglia Ligname, un altare per “ornam.to dictae ecc.ae”, un altare “Cum imaginem glo(rio)sae virginis Mariae in muro et est Illorum de monecto”, di cui era cappellano D. Minicus Mellus, un altare “fabricatum” sotto l’invocazione di “S.ti Ambrosi” della famiglia Foresta, di cui era cappellano D. Nicola Misiano, la “cap.lam” della confraternita sotto l’invocazione di “s.ti Rocchi”, di cui era cappellano D. Nicola Misiano, un altare sotto l’invocazione di “glo(rio)sae virginis Mariae” della famiglia Coiella, di cui era cappellano D. Thomasius Scandale, un altare sotto l’invocazione di “s.ti Ioseph” della famiglia “de Strongili”, un altro altare, una “cap.lam” sotto l’invocazione di “s.ti Rosarii et est de Consororibus ipsius cap.lae” di cui era cappellano D. Minicus Mellus, un “altarem fabricatum” i cui cappellani furono ammoniti affinchè esibissero i documenti relativi alla “erectione altaris p.ti”, ed un “altarem fabricatum” sotto l’invocazione di “s.tae Mariae de pietate” appartenente alla famiglia Natale.
A questa situazione che rilevava un generale scarso decoro degli altari della chiesa, mettendo in rilievo evidenti abusi, faceva comunque riscontro un buono stato dell’edificio, al cui interno si trovavano diverse travi e che si presentava “Intemplata per totum”, con 3 campane nel campanile ed un campanello nella sacrestia, mentre una lampada ardeva davanti all’altare maggiore. Tale edificio, inoltre, denunciava l’antichità delle sue strutture ed il suo passato parrocchiale che era evidenziato “In medio ecc.iae” dalla presenza della “fons aquae” per il battesimo. Si evidenziava, ancora, che la chiesa “h(ab)et Thalamum”.
Alla fine della sua vista, minacciando le solite pene, il vicario ingiunse ai confrati di provvedere entro otto giorni a rifare la serratura, ammonendo tutto il clero presente ed interdicendo a chiunque di celebrare nella chiesa fino al completo adempimento di quanto disposto e comunque, solo dietro espressa licenza.
Santa Maria la Nova
Lo stesso giorno, la visita del vicario proseguì presso la “ecc.a diruta” “sub invocatione s.tae Mariae de la nova” dotata di un campanile, di cui era cappellano D. Sanctus Sellicta, cui fu ordinato di esibire nell’arco della giornata, la “dote” ed i vestimenti di cui era in possesso.
S. Nicola deli Cavaleri
Proseguendo la visita, il vicario accedette alla chiesa parrocchiale sotto l’invocazione di “s.ti Nicolai deli Cavaleri”, di cui era parroco D. Io. Paolo Iacometta e dove si trovava anche il chierico Bestiano Blasco, ai quali fu ingiunto di presentare bolle e concessioni che comprovassero i loro diritti entro otto giorni. Qui fu rinvenuto un altare di fabbrica con una “Cona in tela” davanti ed una “pacem” vetusta. L’altare possedeva: tre tovaglie, un coperimento d’altare “Cum imagine s.ti Nic.ai”, un altare portatile, un messale vecchio e due candelabri vecchissimi di legno. Alla sinistra dell’altare vi era un “Crucifixus” di legno.
All’interno di un’arca furono rinvenuti: un calice con patena di peltro che il vicario ruppe, ordinando che fosse rifatto, due “plumacios”, sei tovaglie, un “lintheamen”, altre sei tovaglie, una tovaglia grande lacera per il crocefisso, una “Casulam telae albae Cum Cruce rubea” e due “linthetamina” vecchissimi. In un’altra arca si trovarono: un “lintheamen” vecchissimo, un vestimento sacerdotale di tela completo, un altro vestimento di tela completo, un messale vecchio in pergamena ed un coperimento d’altare rosso e di altri colori vetusto. L’altare era coperto con un “lintheamen” e, nelle sue vicinanze vi erano anche un campanello ed alcune “trabes Circum Circa”.
Il parroco fu ammonito e sotto la minaccia della scomunica, del pagamento di 25 once, nonché dell’interdizione della chiesa, gli fu ordinato che nei giorni a venire, presentasse un rendiconto delle entrate della chiesa e provedesse a far rifare la copertura dell’edificio, anche se il parroco replicava che per tale lavoro aveva a disposizione solo “Certi parròcchianii”.
Sant’Angelo delo Milillo
Lo stesso giorno la visita del vicario arcivescovile proseguì presso la chiesa parrocchiale sotto l’invocazione di “s.ti Angeli de lo mirillo”, dove fu rinvenuto un altare di fabbrica con sopra l’altare portatile, che possedeva: tre tovaglie, due “Coperim.tis” di tela, un vestimento sacerdotale di tela completo, un calice con “Coppa et patena” d’argento dorato, due candelabri “auri Calchi”, una “Conam in tela” ed un messale.
Alla destra dell’altare si trovava la “Imago Crucifixi in ligno”. In un’arca posta da questa parte dell’altare, vi erano: una “Cortinam” di tela ed un’altra simile, undici tovaglie, una casula di tela, quattro “amictos”, cinque tovaglie piccole tra le quali alcuni “velamina”, un “lintheamem”, un “plumacium”, un messale vecchio, una casula di velluto di diversi colori lacera, due “stolas” e quattro “manipulos”. Per poter sedere, attorno all’altare erano poste alcune travi.
La chiesa aveva un campanile, nel quale vi era un “Campanellus magnus” e si presentava tutta “intenplata” di tavole. Possedeva un “Thuribulum” di ottone che il vicario ordinò di rifare. Era “Capp.nus” della chiesa D. Paolus Clasidonti. Dato che all’interno della chiesa penetrava la pioggia, il vicario ingiunse al cappellano di rifare il tetto con “tegulis” e che entro l’indomani, fosse presentata la “plateam” della chiesa.
Santa Maria del Carmine
La visita proseguì presso la “ecc.am sive cap.lam sub vocabulo s.tae m.ae de Carmino”, che aveva davanti una “incancellata lignea” con la “imaginem glo(rio)siss.ae virginis”. La chiesa era dotata anche di una “incancellata ferrea” ed era costruita con una “lamia parva”. Possedeva un altare di fabbrica coperto con tavole ed aveva una porta. Questa apparteneva al “mag(iste)r And.as de venturi” ed al suo interno non si trovava alcun vestimento nè altro. Il vicario ingiunse al Venturi di esibire entro l’indomani, i titoli di concessione e di erezione comprovanti i suoi diritti, interdicendo la cappella al culto e vietando di celebrarvi la messa, sotto la pena della scomunica e del pagamento di 25 once.
Santa Maria degli Angeli
Nella chiesa sotto l’invocazione di “s.tae mariae de li ang(e)li”, “de sorore polisena de venturo”, era cappellano D. Minicus Venturo. Al suo interno si trovava un altare di fabbrica con tre tovaglie e “Coperim.to” di tela, due candelabri di ottone, una “Conam” di tela ed un campanello. Sotto la la minaccia della scomunica e del pagamento di 25 once, il vicario arcivescovile, ordinò che, entro il termine di due mesi, si rifacesse il tetto della chiesa che lasciava passare la pioggia, mentre, entro l’indomani, la detta “soror polisena” avrebbe dovuto esibire i documenti comprovanti i suoi titoli.
Santa Maria Magna
La visita proseguì presso la chiesa parrocchiale di “s.ta Maria magna”, o “s.tae Mariae de la grande”, in cui era cappellano D. Martino Accetta. Questa aveva un altare maggiore di fabbrica con tre tovaglie, un “Coperm.to” di tela dipinto “Cum imagine glo(rio)siss.ae virginis et duorum sanct.run Circum”, e due “mandilia” che nel mezzo recavano la “imago beatiss.ae et glo(rio)siss.ae virginis Mariae” sopra una tela vecchissima. Sotto la minaccia della scomunica e del pagamento di 25 once, il vicario ordinò al cappellano che entro il termine di quattro mesi, fosse rifatta “de novo” l’immagine della vergine.
Il vicario rinvenne anche due candelabri di legno e la sacrisita “diruta et discoperta”. Egli, quindi, ingiunse al cappellano che, entro il termine della prossima visita, la facesse costruire in maniera completa. In un’arca furono rinvenuti: tre vestimenti completi di cui uno con una casula di seta di diversi colori vecchissima, un messale, un altro messale in pergamena, un calice con patena di argento dorato, una cappa di seta rossa vecchissima, tre “plumacios” di tela, quarantadue tovaglie nuove e diverse vecchie, tre “planetas” di tela, un “Coperim.tum” di altare vecchio, un “Cuscinum plenum ammictis”, stole e “manipolis” vecchi e laceri, un altro cuscino con sei “spalleriis” e due “lintheamina” di tela. In un’altra arca vecchia furono rinvenuti tre altri “spallerii” ed una “Crucem ligneam Cum pomo de rame”. Nella chiesa fu trovato anche un “Confalonum” di tela colorata con figure dipinte vecchissime. “In medio ecc.ae” era posta una “imago Crucifixi de relevo” con attorno un “Coperim.to” nero, e vi erano alcuni “Scanna” per sedersi. Sotto il crocefisso si trovava appesa una “lampas” per l’altare maggiore. La chiesa aveva due campane ed un campanello. La fonte battesimale era vecchissima e priva di acqua.
Proseguendo la propria visita, il vicario giunse quindi ad un altare “lapideum” con due colonne, “que est in cap.a Cum arco à lamia”, della famiglia Curto. Dato che l’altare mancava dei vestimenti e di tutto il necessario, i patroni furono ammoniti e, sotto la minaccia della scomunica e della privazione dell’altare, fu loro ingiunto di provvedere al necessario entro il termine di quattro mesi. Quindi, il vicario giunse alla “cap.lam” sotto l’invocazione della “glo(rio)siss.ae virginis Mariae” della famiglia Caccuri, di cui era cappellano D. Io. Dominico Baudino, al quale fu ordinato che, entro il termine di quattro mesi, rifacesse tutto ciò che necessitava sotto la minaccia delle solite pene.
Successivamente il vicario giunse a visitare la “ecc.am et oratorium” sotto l’invocazione di “s.tae Mariae de p(raese)ntatione”, di cui erano patroni quelli della famiglia Venturo e di cui era cappellano D. Dominico Venturo. Qui fu trovato un altare lapideo “Cum Columnis”, con la “imaginae glo(rio)siss.ae Virginis Mariae et aliorm s.torum in tela”. Mancando di tutto il necessario, il vicario ingiunse al cappellano di provvedere come sopra, affinchè potesse essere celebrata la messa. A seguire, il vicario visitò un “oratorium” sotto l’invocazione di “s.tae M.ae reginae Caeli”, dove fu trovato un altare di fabbrica con una “Cona” di tela con alcuni santi. L’altare apparteneva a quelli della famiglia Comeriati che furono ammoniti ed ingiunti come sopra.
Il vicario ordinò al cappellano di provvedere al tetto della chiesa per evitare che ci piovesse e gli richiese il pagamento della pena per non aver provveduto a rifare l’immagine della vergine, come gli era stato ordinato durante la visita precedente. Il vicario richiese, inoltre, che il cappellano gli esibisse l’elenco delle entrate della chiesa.
Santa Maria dell’Olivella
Dopo aver consumato il pranzo, la visita del vicario proseguì presso la “ecc.am” sotto l’invocazione di “S.tae Mariae de L’olivella”, della quale era cappellano D. Nic.o Madeo. La chiesa aveva un altare di fabbrica con sopra un altare portatile, dove si trovava una “Cona in tela” raffigurante la “imago glo(rio)s.ae Virginis Mariae, et s.ti Io: bact.ae, et s.ti leonardi”. L’altare possedeva: tre tovaglie, un vestimento di tela completo, un “Coperim.tum” “pictus”, una pianeta di raso violaceo figurata “Cum friso aurato”, un’altra pianeta di damasco bianca figurata con croce rossa, un calice di peltro con patena, due candelabri fittili e uno di ferro ed un messale.
In un’arca furono rinvenute le seguenti cose: un ante altare figurato vetusto, un altro simile, due “plumacios” di tela, un “Cammisum” di tela, una stola di seta nera, un’altra di tela, un’altra di raso di vari colori, una casula di tela bianca, diversi “amicti” riposti in un “Cuscino”, un “Cammisum” di tela, un’altra casula di tela, un’altra casula di tela, un altro “Cammisum” di tela, quindici tovaglie e quattro “amictos”.
Nel campanile vi erano due campane ed un campanello. In mezzo alla chiesa vi era la “imago salvatoris n(ost)ri in Cruce pendentis de relevo” con un “panno” nero davanti. Vi erano, ancora, due torcie votive di cera e sopra l’altare un cuscino di seta lacero. Oltre l’altare maggiore, furono rinvenuti altri due altari: uno sotto l’invocazione di “s.ti ioanne” con una “Cona in tela”, e l’altro, sotto l’invocazione del “rosarii Cum rosario in tela de super”. Il vicario ordinò al cappellano di conferire presso la sua residenza, dalla quale, sotto pena della scomunica e del pagamento di 25 once, non si sarebbe dovuto allontanare senza espressa licenza e prima di aver fornito spiegazioni sulle cause del perché i detti altari si presentavano diruti e devastati.
S. Nicola dei Greci
La visita proseguì presso la chiesa parrocchiale di “s.ti Nic.ai de graecis”, dove fu rinvenuto l’altare maggiore lapideo di fabbrica con altare portatile, con tre tovaglie, un coperimento d’altare e due candelabri di legno, mentre, sopra l’altare, vi era una “imaginem” in tela raffigurante la gloriosissima vergine Maria e diversi altri santi, con sopra un “lintheamen”. Il vicario arcivescovile ingiunse che, entro sessanta giorni, dovesse essere rifatto un muro diruto.
L’altare maggiore possedeva anche una croce “cum pomis argenteis et aureatis” ed un calice di peltro con patena e “Corporalibus”. Considerato che nella precedente visita era stato ordinato al cappellano della chiesa D. Battista Venturino, di provvedere all’acquisto di un calice d’argento ma ciò non era avvenuto, lo si condannava al pagamento della pena dovuta e sotto la minaccia della scomunica e del pagamento di 25 once, gli si ingiungeva di acquistare il nuovo calice entro il termine di quattro mesi. Il vicario, inoltre, minacciando le stesse pene, dispose che davanti alla “fenestr(o)lam” dentro cui erano riposti i vasi nei quali erano conservati i “Sacram.ta”, si dovesse tenere accesa una lampada, altrimenti avrebbe fatto trasferire i vasi nella chiesa di S. Nicola de Plateis.
Dentro un’arca furono rinvenuti: una casula di seta rossa con “friso in medio”, quattro vestimenti sacerdotali di tela completi, all’interno di un “Cuscinum” furono trovati nove tovaglie, due “orciolos vitreos” ed un “Thuribulum” di ottone. Nella chiesa furono rinvenuti alcuni “Scanna” dove sedevano “ho(m)i(n)es et Clericos”. Furono rinvenuti altri due altari, il primo sotto l’invocazione di “s.ti Iosephi” ed l’altro “sine vocabulo”, senza ornamento né vestimenti.
Considerato che la chiesa richiedava una valida riparazione, il vicario ingiunse al Venturino di eseguirla entro il termine della prossima visita. Nella chiesa fu rinvento la “fontem” battesimale “de pet.a” ben conservata con l’acqua battesimale. Nel campanile vi erano due campane ed un campanello.
La confaternita di Santa Caterina
A questo punto, da parte del magister Hieronimo Farago, al cospetto del vicario arcivescovile, furono portati i seguenti beni della confraternita di “s.tae Caterinae” posti in un’arca: un ante altare di seta di diversi colori, un altro ante altare di tela, una pianeta di raso bianca, un “amictum”, un ante altare di damasco bianco figurato, due “Tonicellas” di seta verde, una casula di velluto rosso, una tovaglia, un calice di argento con patena, due “Coperim.ta” di tela, sedici tovaglie ed altri beni laceri. Il vicario ingiunse al Farago di conservare i detti beni e di provvedere entro l’indomani al pagamento del censo e del diritto di visita.
S.to Dimitri
Si passò, quindi, alla visita della “ecc.am s.ti dimitri” che fu trovata “discoperta”, pulita, ma priva di tutto il necessario per il culto. Ne era cappellano D. Sancto Sellicto.
Santa Maria della Grazia
Successivamente, il vicario arcivescovile visitò la “ecc.ae s.tae Mariae de gr(ati)a”, della quale era cappellano D. Battista Canzonerio. Al suo interno vi era l’altare di fabbrica ed in un’arca erano conservati i seguenti beni: tre tovaglie, un coperimento d’altare di tela, due candelabri di creta, una “Cona in tela” davanti l’altare, un “plumacium”, un calice di peltro con patena, un messale, un vestimento sacerdotale di tela completo, tre “amictos”, due “planetas” di tela, due “lintheamina” di tela mentre, dentro un cuscino, erano conservati diversi altri beni vecchissimi e laceri. Una “lampas” era solitamente accesa davanti l’altare ma al momento si trovava spenta. Nella chiesa si trovava anche un altro altare di fabbrica appartenente alla stessa chiesa, che si trovava coperto da un “lintheamen”. La chiesa era dotata di un campanile dove pendeva una campana mezzana.
SS. Pietro e Paolo
Dalla chiesa di S.ta Maria della Grazia, la visita del vicario proseguì presso la chiesa parrocchiale sotto l’invocazione dei “s.ti Pet.i et pauli”, della quale era cappellano D. Io. Dominico “pet.alia”, dove fu trovato un altare di fabbrica con altare portatile, con tre tovaglie ed un coperimento d’altare. Sopra l’altare vi era una “Conam magnam” con diverse pitture di santi, che dissero appartenesse alla confraternita di Santa Caterina. Furono rinvenuti anche una croce d’argento dorata, un messale, un cuscino e due candelabri di legno vecchi. Sopra l’altare era posto un “lintheamen”. L’altare possedeva anche tre calici di peltro con le loro patene, quattro vestimenti sacerdotali di tela completi, tra cui una casula di seta rossa, otto “lintheamina sive Coperim.ta altaris” vecchi e laceri, un ante altare di tela dipinto, quattro cortine di tela, un ante altare di mayuto, un altro simile di mayuto, venticinque tovaglie tra vecchie e nuove, sette casule di tela ed un cuscino di tela.
Nella chiesa erano sistemati “Circum Circa”, alcuni “Scanna” di tavole per poter sedere mentre, “In medio”, vi era la “imago Crucifixi in relevo” con un “panno” nero davanti. La chiesa si presentava “in navi” tutta “intenplata” di tavole. Fu quindi visitato un altro altare di tavole sotto l’invocazione dei “s.ti pet.i et pauli”, lasciato alla chiesa predetta da D. Antonio Clasidonti ed ora servito da D. Battista de Donato, D. Francesco Canzonerio e D. Hieronimo de Nicotera, dove si trovava la “Cona” con l’immagine della gloriosa vergine Maria e quella degli apostoli Pietro e Paolo. Dall’altro lato dell’altare maggiore, fu visitato un altro altare sotto l’invocazione dei “s.ti pet.i et pauli”, appartenente alla famiglia de Albo, con un altare di fabbrica ed una “Cona” di tela, con l’immagine della gloriosa vergine Maria e quella degli apostoli Pietro e Paolo.
Successivamente il vicario passò a visitare la “Cap.lam” fatta di pietra sotto l’invocazione dei “s.ti pet.i et pauli”, della famiglia Farago, dove si trovava un altare di fabbrica con sopra una “Cona magna” in tela, con l’immagine della gloriosa vergine e dei beati apostoli Pietro e Paolo. I suoi beni già menzionati nell’inventario dell’altare maggiore, erano costituiti da tre tovaglie, un ante altare “depictum Cum mayuto”, un calice con patena di peltro ed un messale. Il vicario ingiunse di provvedere agli ornamenti necessari. Fu quindi rinevenuto un altro altare della chiesa sotto l’invocazione di “s.ti pet.i” senza ornamenti e pulito. Nel campanile vi erano due campane e presso l’altare maggiore un campanello.
Santa Caterina
A seguire il vicario visitò la “ecc.am s.tae Catherinae quae est Confratria” e, dato che “dicta ecc.a est nova”, la trovò parte coperta e parte discoperta perché era ancora in costruzione. Egli rinvenne l’altare maggiore di fabbrica con un ante altare vecchio, e sopra la “imago” raffigurante Santa Caterina “de relevo”, un “quatrum Salvatoris n(ost)ri in Columna positum”, ed un altro vecchissimo con una tovaglia intorno, una croce piccola “de relevo” di stagno, ed un crocefisso “de relevo super tabulas repositum”. Vicino all’altare vi erano alcune travi per potersi sedere. Nel campanile vi erano due campane ed un campanello.
Di questa “ecc.a et Confratria”, erano cappellani D. Hieronimo de Nicotera, D. Francesco Canzonerio e D. Antonio Zagharia. Entrando dalla “portam maiorem” della chiesa, alla sinistra, si trovava una “Cap.lam” lavorata con cantoni lapidei, che aveva principiato a costruire Battista Serra ed il cui altare era servito da D. Ambrosio Rocca. Questa però mancava ancora di tutto il necessario.
Santa Maria deli Francesi
La visita del vicario arcivescovile continuò presso la chiesa parrocchiale di “s.tae Mariae deli francesi”, di cui era cappellano D. Battista Conzonerio. Qui, entrato nell’edificio e pronunciata l’orazione davanti all’altare, il vicario cominciò la visita. La chiesa possedeva un altare maggiore di fabbrica con altare portatile con tre tovaglie, un coperimento d’altare di “piczo”, tre vestimenti sacerdotali di tela completi, tre “plumacios”, un messale, un paio di candelabri di ottone, una “pacem”, ed una “Conam” in tela con sopra un “lintheamen” di tela.
Dentro un’arca furono rinvenuti: un “plumacium piczum”, sei tovaglie ed un’altra vecchissima, lacera e consunta, un mandile, tre altre tovaglie, una casula di tela, un calice di peltro con patena d’argento e corporali. Vi era una campana piccola che fu detto di riparare “stantae paupertatae ecc.ae p.tae”, mentre, oltre l’altare maggiore vi erano altri tre altari che bisognavano di tutto il necessario.
Santa Dominica
Proseguendo la sua visita il 10 di giugno il vicario si reco alla “ecc.am S.tae D(om)inicae ex.a muros” rinvenendo l’altare di fabbrica senza alcun ornamento, con sopra una “imaginem glo(rio)siss.ae virginis Mariae, et S.tae Dominicae” ed altri santi, in tela lacera e vecchissima. Le porte furono trovate aperte e dirute. Furono rinvenuti anche altri due altari diruti e fu riscontrato che la chiesa era “per totum intemplata tabulis”, e che aveva una campana. Il Mag.co Ascanio Venturo disse che alcuni ornamenti vecchissimi della chiesa li aveva il rettore il Mag.co Gaspar de Venturo.
Considerato tutto ciò, il vicario decretò la condanna del rettore del beneficio, ordinando, sotto la pena della scomunica e del pagamento di 25 once che, entro sei mesi, dovesse essere rifatta la porta con la sua serratura così da poter essere chiusa per bene, e che dovessero essere rifatti anche l’altare e l’immagine posta sopra lo stesso raffigurante S.ta Maria, S.ta Dominica e S.to Laurentio, provvedendo la chiesa anche di un calice d’argento e dei vestimenti necessari per celebrare degnamente la messa.
Note
[i] Per quanto riguarda Policastro: AASS, Fondo Arcivescovile, cartella 16B, ff. 47v-59v.
Creato il 25 Febbraio 2015. Ultima modifica: 13 Settembre 2024.