L’abbazia di Santa Dominica in territorio di Policastro

Petilia Policastro (KR).

Durante il Medioevo i monasteri di clausura femminili si diffusero con lo scopo di assicurare una vita decorosa alle fanciulle cadette della nobiltà che, invece, sposandosi, avrebbero compromesso il patrimonio delle loro famiglie. In questo modo risultavano messi a riparo anche il prestigio e l’onorabilità del lignaggio, mentre, attraverso il controllo delle cariche che regolavano la vita della comunità monastica, i nobili potevano disporre di un ente ecclesiastico che, amministrando beni spesso cospicui, garantiva loro appoggio, accanto ad opportunità economiche significative.

L’esistenza del monastero di Santa Dominica di Policastro si evidenzia agli inizi del Trecento, quando si rintracciano le prime testimonianze documentali. In una “Platea” compilata su mandato del conte di Catanzaro, si richiama l’esistenza del “Castanetum Abatisse Monasterii S. Dominice”, presso il confine tra i territori di Mesoraca e di Policastro.[i] Il toponimo “batissa” si rinviene agli inizi del Seicento, quando Joannes Furesta di Policastro, possedeva le “terras quod tenet in loco ditto la batissa terr.o ditt(a)e terr(a)e” (1607),[ii] mentre, attraverso le informazioni del catasto onciario del 1742, apprendiamo che il luogo detto “badessa”, o “l’Abbadessa”, era caratterizzato da numerose vigne ed anche dal castagneto.[iii] Il toponimo continuerà a permanere fino ai giorni nostri, come evidenziano la Carta dell’ing. Giorgio de Vincentiis pubblicata nel 1889 (“R.e Badessa”), e la moderna cartografia dell’IGM (“Badessa”).

Nel periodo medievale l’“Abbatissa S. Dominice de eodem castro Policastri”, compare negli elenchi relativi alla “Receptio pecunie reintegrationis dictarum duarum decimarum”, dovute dal clero diocesano di Santa Severina alla Santa Sede per gli anni 1308-1310, pagando tari quattro e grana tre,[iv] mentre, successivamente, ritroviamo la badessa del monastero tra i “clericorum pulicastri”, quandò pagò la decima alla curia romana, versando la somma di “tarenos sex” negli anni 1325,[v] 1326,[vi] e 1327,[vii] segno evidente di una fase evolutiva che caratterizzava ancora la vita del monastero.

I toponimi “R. Badessa e “Badessa”, in un particolare del F. 237 II “Petilia Policastro”, della Carta d’Italia 1:50:000 (U.S. Army 1943, copiata da una mappa italiana del 1896).

La commenda

In seguito però, le religiose lasciarono il monastero, i cui beni furono commendati. Il 3 novembre 1450, il presbitero diocesano Nicolao Campano risultava provvisto “de ecclesia sine cura S. Dominicae extra muros oppidi Policastri”, che anticamente era stato “monasterium”, vacante per la morte del suo rettore Petro Alamanno, deceduto “extra R.C.”[viii] Attraverso alcuni documenti della prima metà del Cinquecento, apprendiamo che la rendita del monastero, unita a quella delle chiese di S. Iacobo e di S. Maria de Planis di Arena, poste in diocesi di Mileto, dava un frutto annuo di ducati 45, che godevano i clerici napoletani della famiglia Franco.

19 settembre 1529. “Bernardino Franco, clerico Neapolitan., qui resignavit ecclesias S. Trinitatis (sic) de Policastro, S. Severinae dioc., et S. Iacobi, ac S. Mariae de Planis de Arena, Militen. dioc., de quibus provisum est Io. Petro Franco, reservantur fructus.”[ix]

19 dicembre 1529. “… d.nus Marinus de Ianuario, primicerius Neapolitan., nomine d.ni Bernardini Franci, cl.ci Neapolitan., obligavit se pro annata S.te Dominice de Policastro, S. Severinae dioc., et S. Iacobi, et b.te m(ari)e de Plano de Arenis, Militen. dioc., quarum fructus 45 duc., et reservantur hodie Bernardino, per cessionem Io. Petri Franci, …”.[x]

19 dicembre 1529. “… d.nus Marinus, nomine dicti Bernardini, obligavit se pro annata regressus ad eccl.as S.te Dominice de Policastro, S. Severine dioc., et S. Iacobi, et B. Mariae de Plano de Arenis, Militen. dioc., quarum fructus ut supra et mandatur provideri eidem B(ernardino), per cessionem Io. Petri predicti, …”.[xi] (…)

29 dicembre 1529. “… D. Marinus, nomine Io. petri de Francis, rectoris eccl.e S.te Dominice de Policastro, S. Severine dioc., obligavit se pro annata par. ecclesiarum S. Dominice, necnon S. Iacobi, et B. Marie de Plano de Arenis, Militen. dioc., ratione reservationis, et Bernardi etiam de Francis, quarum fructus insimul 45 duc, et providetur dicto Io. Petro, …”.[xii]

Secondo la testimonianza del Sisca, che cita il registro dei fuochi di Policastro del 1546 conservato presso l’Archivio di Stato di Napoli, l’abate commendatario di Santa Domenica Gian Pietro De Francesco (sic), possedeva in Policastro “una casa grande, non ancora completata”, che deteneva per l’uso suo e dell’abbazia.[xiii]

Petilia Policastro (KR), chiesa di Santa Maria Maggiore, quadro raffigurante la badessa Santa Fara in qualità di protettrice della provvidenza.

La chiesa

Alla metà del Cinquecento, in occasione del pagamento delle decime dovute alla Santa Sede da parte del clero della diocesi di Santa Severina, figura quella che doveva pagare il “R.do Abate di S.ta Domenica de Pulicastro per x.a …”.[xiv]

In tale periodo, l’abbate di Santa Dominica di Policastro, compare tra i beneficiati della diocesi di Santa Severina, che corrispondevano la “quarta” beneficiale all’arcivescovo, come rilevano le entrate della Mensa Arcivescovile degli anni 1547 e 1566. Dal “Libro de tutte l’intrate de lo arcivescovado de’ s(a)nta Anastasia”, “Conto de quarte exacte p(er) lo R.do quondam Don jacobo rippa como appare p(er) suo manuale q.ale sta in potire de notari mactia cirigiorgii et sonno de lo anno 1547”, troviamo: “Dalo Abate de s.ta dominica de policastro d. 6.0.0”. Nello stesso libro, dal conto dei “Denari della quarta de tutti li benefitii della diocesa de s(an)cta s(everi)na” relativo all’anno 1566, rileviamo: “Polic.o” “La Abatia de’ S(an)cta dominica pagha ogne anno per quarta d. 6.0.0.”[xv]

A questo periodo risale una descrizione della chiesa abbaziale. In una “Antica Memoria per l’Abbadia di S.ta Dom.ca in Policastro”, che riporta gli atti della visita pastorale compiuta nel 1556, dal primicerio della cattedrale di Santa Severina su mandato dell’arcivescovo, si evidenziano lo stato della chiesa e gli interventi ritenuti necessari al suo riparo. Da questo documento apprendiamo che la chiesa, posta fuori le mura di Policastro, era fondata su un semplice beneficio di S.to Basilio di cui era rettore V. Fabio Passalacqua, un clerico cosentino che compare anche nei documenti vaticani:

23 agosto 1555. “D. Iulius (sic) Passalacqua, clericus Cusentin., necnon Io. Petrus Tormachellus, clericus Militen., presentes sponte consenserunt resignationi perpetui beneficii S. Dominice de Policastro, S. Severine dioc. … Ipse Io. Petrus, cui de eodem beneficio, per resignationem eiusdem Iulii, aplca auctoritate, provisum existit, consensit cessioni concessionis gratie huiusmodi, litteris desuper non confectis ac non habita possessione, in manibus S.mi D.N.ppe, in favorem tamen D. Ferdinandi Cortese, clerici Cusentin. et non alias”.[xvi]

20 luglio 1556. “Iulio (sic) Passalacqua, clerico Cusentin., providetur de ecclesiis S. Dominicae, S. Severinae, et S. Iacobi ac S. Mariae de Plano, terrae Amaroni, Squillacen. dioc., vac. per resignationem Federici, tt. S. Priscae pbri Card.lis de Cesis, qui in commendam, ex concessione aplca obtinebat.”[xvii]

La chiesa era comunque in uno stato di grave degrado, senza tetto e con le pareti dirute, priva di un cappellano che vi celebrasse, anche se risultava ancora fornita di alcune suppellettili e dei paramenti sacerdotali. Al suo interno si conservava un’icona “de tela in tabulis”, con le immagini della Vergine e dei Santi Domenica e Lorenzo, mentre, nel suo campanile, pendeva ancora la campana. Considerate queste condizioni, il primicerio ingiunse al rettore del beneficio, attraverso il suo procuratore, di realizzare entro sei mesi tutte le riparazioni necessarie, provvedendo la chiesa anche di un nuovo calice d’argento e di una casula di seta per celebrare degnamente le due messe alla settimana che dovevano essere servite:

“In actis S.ae Visit.s Polycastren de Anno 1556 / Idem R. D(omi)nus Visitator Visitationem praedictam prosequendo, / volens visitare Ecclesiam Sanctae Dominicae extra / muros Terrae Polycastri, mandavit R. Archip(resbiter)um, et Pri / micerio S.ae Sev.ae nomine Suo p(raese)ntibus q(uo)d ex quo ipse est fa / ticatus aliis Ecclesiis, visitare Ecclesiam p(raedi)ctam San / ctae Dominicae Unde Accesserunt Suprad.i cum aliis / Presbyteris Terrae Polycastri, et visitaverunt dictam / Ecclesiam Sanctae Dominicae, et est Beneficium / Simplex Ordinis Sancti Basili, in qua Ecclesia est Rector V. Fabius Passalaqua, et in ea non / est Cappellanus ad Servimentum : habet Altarem maius fabricatum non Consecratum cum Altare portatili / et habet Ante Altarem lineum et aliud de Auribello / habet tres tobaleas, duo Candelabra lignea, unum / Missale, unum Calicem piltreum, unum vestimen / tum sacerdotalem telae, unum Candelabrum de Auricalcho / fracto, habet unam Conam de tela in tabulis cum / figuris B. M. V.s et Sanctae Dominicae, et Laurentii, / unum thuribulum, unam Campanam in Campanili / mediocrem : habet multa Bona Stabilia, habet / Servitutem hebdomadae, duas missas pro qualibet hebdo / mada in ipsa Ecclesia : Et quia indiget Reparationem / omnium rerum maxime quia est discoperta tota / et parietas sunt diruti, fuit mandatum et in / iunctum per Re(verendu)m D(omi)num Visitatorem dicto Rectori, et Procuratori / bus suis, quod sub poena Unciarum XXV et Excom(muncatio)nis latae Sententiae/ infra sex menses conficere debeat omnia sup.a necessaria in dicta Ecclesia, et emere unum Calicem Argenteum et Casulam Sericam.”[xviii]

Dopo qualche anno la situazione non risultava migliorata. Proseguendo la sua visita iniziata in Policastro l’otto di giugno del 1559, due giorni dopo, il vicario arcivescovile si recò alla “ecc.am S.tae D(om)inicae ex.a muros”, trovando l’altare di fabbrica senza alcun ornamento, con sopra una “imaginem glo(rio)siss.ae virginis Mariae, et S.tae Dominicae” ed altri santi, in tela lacera e vecchissima. Le porte furono trovate aperte e dirute. Furono rinvenuti anche altri due altari diruti, mentre fu riscontrato che la chiesa era “per totum intemplata tabulis” e che aveva una campana. Il mag.co Ascanio Venturo disse che alcuni ornamenti vecchissimi della chiesa li aveva il mag.co Gaspar de Venturo rettore del beneficio. Considerato tutto ciò, il vicario decretò la condanna del rettore, ordinando, sotto pena della scomunica e del pagamento di 25 once che, entro sei mesi, fosse rifatta la porta con la sua serratura così da poter essere chiusa per bene. Ordinò anche che fossero rifatti l’altare e l’immagine raffigurante S.ta Maria, S.ta Dominica e S.to Laurentio, posta sopra di questo, provvedendo la chiesa di un calice d’argento e dei vestimenti necessari per celebrare degnamente la messa.[xix]

Gli atti della visita, inoltre, c’informano che a quella data, il beneficio era già passato al chierico diocesano Gaspare Venturi. Questi ricorre anche in un atto del 27 marzo 1560, dove compare anche il suo predecessore cosentino: “d.nus Fabius passalacqua, clericus Cusentin., civ. vel dioc., cui als pensio annua 40 scut. seu duc., super fructibus perpetui simplicis beneficii S.te dominice, terre policastri, S. Severine dioc., de consensu Gasparis Vembri, (sic) clerici dicte dioc., reservata fuit, per d.num Alexandrum Merenda, procuratorem suum, consensit cassationi et extinctioni dicte pensionis, iuxta formam supplicationis desuper signare”.[xx]

Il Venturi detenne la carica di abbate di Santa Dominica per un lungo periodo nel quale risulta spesso in evidenza. In qualità di abbate di Santa Dominica di Policastro, egli compare ancora in un atto del 1587, mentre quelli relativi al sinodo del 1590, evidenziano già la presenza dell’“Ill.i D.ni Pompei Posani Abbatis”.[xxi]

Un atto del 24 agosto 1596, evidenzia che il clerico Gasparro Ventura “q.le exercitò l’off.o de scrivano de ratione”, era già morto, e che la sua condotta alla guida di quest’ufficio era stata macchiata da gravi colpe, avendo egli frodato la regia corte per 5000 ducati.[xxii] Sappiamo inoltre, che egli detenne in affitto alcune entrate feudali di Policastro, che poi gli furono sequestrate per debiti fiscali.[xxiii]

Icona di S. Basilio Magno conservata presso il Monte Athos, sec. XV (da Wikipedia).

Chiamato in sinodo

Oltre all’obbligo di pagare la decima alla curia romana e la quarta all’arcivescovo di Santa Severina, l’abbate di Santa Dominica era tenuto a comparire personalmente davanti al detto arcivescovo, il giorno del sinodo di Santa Anastasia. In tale occasione egli doveva pagare all’arcivescovo il “cattedratico” di una libra di cera, o il suo equivalente in denaro di due carlini: il gesto e la somma attraverso cui egli manifestava al presule la propria obbedienza.

Ciò risulta documentato a cominciare dalla metà del Cinquecento, tra le entrate della chiesa arcivescovile: “Rx.s Abbas et rector s(an)t(a)e d(om)i(n)ic(a)e de policastro debbet Conparere personaliter”,[xxiv] e negli atti dei sinodi che coprono il periodo compreso tra le metà del sec. XVI e quella del sec. XVII, conservati presso l’Archivio Arcivescovile di Santa Severina, dove, a partire dal 1597, l’abbate di Santa Dominica, precedentemente elencato tra i beneficiati di Policastro, risulta tra gli abbati della diocesi. In tali occasioni però, raramente l’abbate usava presenziare personalmente, ma in genere, lo faceva attraverso un suo procuratore, oppure a volta era assente. In questo caso l’arcivescovo poteva non ammettere il suo procuratore sanzionando il trasgressore, come testimoniano le diverse annotazioni che riferiscono la condanna dell’abbate a pagare la terza parte dei frutti del suo beneficio.

“R.dus Abbas sant(a)e d(omi)nic(a)e de policastro” non comparve personalmente, ma per esso comparve Nardo de Anmino, scusandosi per la sua assenza. Nientemeno, fu condannato al pagamento della terza parte dei frutti di detta abbazia (1564).

“R.s Abbas s.tae Dom.cae de polic.o” comparve D. Antonio de Natale “pro.or abbatis” (1579).

“R.s D. Abbas S. Dom.cae de Polic.o” comparve D. Antonuccio con il mandato e fu ammesso (1581).

“R.s Abbas s.tae D(omi)nicae de policastro” comparve d. Fran.o Poherio “et excusavit” (1582).

“R.s Abbas S. D(omi)nicae de polic.o” comparve D. Joanne Petro de Coreliano …” (1584).

“R.s Abbas Sanctae D(omi)nicae de Polycastro” comparve il R.s Archipresbitero di Policastro presentando un mandato di procura e fu ammesso (1587).

“R.s Abbas S. Dominicae de Polic.o” comparve D. Francisco Puherio scusandosi ma non fu ammesso e l’abbate fu condannato al pagamento della terza parte dei frutti (1588).

“R.dus Abbas Sanctae D(omi)nicae Terrae Polycastri” comparve il R.s D. Joanne Paulo Leto “p.r Ill.i D.ni Pompei Posani Abbatis” (1590).

“R.dus D. Abbas s.tae Domin.cae de polic.o” comparve il “pro.or” (1591).

“L’Abbate di S. Domenica di d.ta T(er)ra” (1593).

“L’Abbate di S. Dom.ca di d.ta t(er)ra …” (1594).

“L’Abb.e di s. dom.ca di d. t(er)ra” nessuno comparve (1595).

“L’Abb.e di S. Dominica di detta t(er)ra” nessuno comparve e fu condannato (1595).

Sinodo. “L’abb.e di S. Domenica di detta t(er)ra” comparve (1596).

“R.s Abbas Sanctae Dominicae t(er)rae Policastri” comparve Petro Agurio con uno strumento di procura (1797).

“R.s Abbas S. Dominicae t(er)rae Policastri” (1598).

“R.dus abbas S. Dominicae terrae Policastri” comparve il cler.o Petro Guzzo con un mandato di procura (1600).

“R.s Abbas S.tae Dom.cae terrae Policastri” comparve il suo procuratore R.s Carnovale (1601).

“R.dus Abbas S.tae Dominicae t(er)rae Policastri” comparve il procuratore Julio Facente (1602).

“R.dus Abbas S(anc)tae Dominicae t(er)rae Policastri” comparve il R.do D. Vincentio Carnevale procuratore con lo strumento di procura (1603).

“R.dus Abbas S.tae Dominicae terrae Policastri” comparve il procuratore (1604).

R.dus Abbas sanctae Dominicae terrae Policastri” comparve Fabio Rizzo procuratore. 1605. “R.dus Abbas s(anc)tae Dominicae terrae Policastri” comparve Fabio Rizzo procuratore (1605).

“R.s Abbas S. Dominicae t(er)rae Policastri” comparve Fabio Rizza procuratore (1606).

R.dus Abbas Sanctae Dominicae t(er)rae Policastri” comparve Fabio Rizza procuratore. (1606).

“R.dus Abbas S. Dominicae terrae Pulicastri” comparve il “procurator sustitutus” (1607).

“R.dus Abas S.tae Dominicae T(er)rae Policastri Comparvit procurator D(omi)ni Jacobi pisani Abbatis” (1608).

“R.dus Abbas Sanctae Dominicae Terrae Policastri” comparve il procuratore (1609).

“R.dus Abbas S.tae Dominicae terrae Policastri” comparve il procuratore (1610).

“R.dus Abbas Sanctae Dominicae Terrae Policastri” comparve (1611).

“R.dus Abbas Sanctae Dominicae Terrae Policastri” comparve (1612).

“R.dus Abbas Sanctae Dominicae Terrae Policastri” comparve per esso il procuratore (1613).

“R.dus Abbas Sanctae Dominicae Terrae Policastri” comparve D. Marco Oliva procuratore (1614).

“R.dus Abbas Sanctae Dominicae Terrae Policastri” comparve il procuratore (1615).

“R.dus Abbas Sanctae Dominicae Terrae policastri” comparve il procuratore (1616).

“R.dus Abbas S(anc)tae Dominicae Terrae policastri” comparve il procuratore (1617).

“R.dus Abbas S(anc)tae Dominicae Terrae policastri” comparve il procuratore (1618).

“R.dus Abbas sanctae Dominicae Terrae Policastri” comparve (1619).

“R.s Abbas S. Dominicae Policastren – Non comparvit” (1634).

“R.s Abbas S. Dominicae Policastri” comparve ed offrì due carlini (1635).

“R.s Abbas S. Dominicae Policastri” non comparve (1636).

“R.s Abbas S. Dominicae Policastri” comparve per esso il R.s Can.us Carusius (1637).

“R.s Abbas S. Dominicae Policastri” comparve ed offrì due carlini (1638).

“R.s Abbas Sanctae Dominicae Policastri” comparve per il Rev. Joanne Petro Pedaci il Rev. Joanne Thoma Benincasa (1639).

“Rev.s Abbas Sanctae Dominicae Policastri” non comparve (1640).

“Rev.s Abbas Sanctae Dominicae Policastri” non comparve (1642).

“Rev.s Abbas Sanctae Dominicae Policastri” (1643).

“Rev.s Abbas Sanctae Dominicae Policastri” non comparve (1644).

“Rev.s Abbas Sanctae Dominicae Policastri” non comparve (1645).

“Rev.s Abbas Sanctae Dominicae Policastri” (1646).

“Rev.s Abbas Sanctae Dominicae Policastri” non comparve (1647).

“R.s Abbas Sanctae Dominicae Policastri” non comparve (1648).

“R.s Abbas Sanctae Dominicae Policastri” non comparve (1649).

“Rev.s Abbas S.tae Dominicae Policastri” comparve per sé stesso l’Abbate Fran.co Bernardo (1651).

“Rev.s Abbas Sanctae Dominicae Policastri” non comparve (1653).

“Rev.s Abbas Sanctae Dominicae Policastri” (1655).

“Rev.s Abbas Sanctae Dominicae Policastri” (1656).

“R.s Abbas S.tae Dominicae Policastri” (1658).

“Rev.s Abbas S. Dominicae de Policastro” comparve ed offrì ducati 0.1.0 (1661).

“Rev.s Abbas S. Dom.cae Policastri cum libra Cerae solvit d. 0.1.0” non comparve né comparve il suo leggittimo procuratore, quindi fu condannato al pagamento della terza parte dei frutti (1663).

“Rev.s Abbas S. Dom.cae Policastri cum libra cerae” “posteam solvit” (1664).[xxv]

Santa Severina (KR), Gli atti del sinodo del 1636 conservati nell’Archivio Arcivescovile.

Abbati seicenteschi

Successivamente a Pompeo Pisani che compare negli atti del sinodo dell’anno 1590, troviamo l’abbate Jacobo Pisani in quelli dell’anno 1608.[xxvi] Più avanti si rinviene la presenza di Giovanni Pietro Pedace, che è ricordato a partire dal 31 ottobre 1628: “U.J.D. I(oa)nnes Petrus Pedaci T(er)rae Roccae Bernardae Abbas S.tae Dominicae, Policastrensis … Die ultimo Octobris 1628”.[xxvii] Egli era ancora in carica nel 1639 quando, nel sinodo di quell’anno “Comparvit pro Rev.s Joannis Petro Pedaci Rev.s Joannis Thomas Benincasa”.[xxviii] Nell’ottobre del 1640 “Francisco Capuccino, clerico Tiburtin.”, fu provvisto con la “ecclesia sive cappella, abbatia nuncupata, S. Dominicae, terrae Policastri”, che vacava già dal mese di agosto per la morte di Io. Baptista Pedace.[xxix] Quasi quattro anni dopo, nel giugno 1644, con il beneficio relativo alla “ecclesia sive cappella, abbatia nuncupata, S. Dominicae, terrae Policastri, S. Severinae dioc.”, vacante per la morte di Francisco Capuccini, insieme ad “aliis beneficiis in dioc., Muran.”, fu provvisto “Io. Baptistae Capuccino, clerico Tiburtin., presentato a biennio”.[xxx]

A seguito della morte di quest’ultimo, due anni dopo, nel giugno del 1646, la “ecclesia seu cappella S. Dominicae, terrae Policastri”, era assegnata al napoletano “Octavio Pudorino” (sic).[xxxi] Ottavio Pudorici, vescovo di Umbriatico per un breve periodo (1647-1648), risulta “Abbate della Chiesia di S. Domenica” di Policastro, quando compare in un atto del 24 settembre 1647, relativo all’affitto della gabella della detta abbazia nominata “le monache”, posta nel “distretto” di Policastro.[xxxii]

A seguito della rassegnazione del beneficio effettuata da Dominico Salvetti, il 20 gennaio 1650 troviamo la “ecclesia seu cappella, abbatia nuncupata, S. Dominicae de Policastro”, provvista a Francisco Bernardo.[xxxiii] L’abbate Fran.co Bernardo si ritrova in occasione del sinodo del 1651, quando intervenne pagando il cattedratico,[xxxiv] mentre, quasi un decennio dopo, il 10 giugno 1660, rassegnò il beneficio nelle mani del nipote Marco Antonio Bernardi.[xxxv] Da questi, sempre “per liberam resignationem”, il 7 aprile 1668 il beneficio relativo alla “ecclesia, abbatia nuncupata, S. Dominicae, prope et extra muros Policastri, S. Severina dioc.”, passò nelle mani di Stephano Sculco,[xxxvi] ed ancora, per rassegnazione di questi, l’8 giugno 1676 pervenne a Mutio Giuliani, “cum reservatione pensionis annuae 12 duc.” in favore del rettore Dominico Pasquali, o Pasqualino.[xxxvii]

Arme del vescovo di Umbriatico Ottavio Pudorici (Ughelli F., Italia Sacra, VIII, 529).

La Colla di Santa Dominica

Durante la prima metà del Seicento, il sito dove nel passato, era stata eretta l’antica abbazia, posto alla sommità collinare, nel luogo detto “la colla di santa dominica”, lungo “la via publica che si va in santa dominica”, era caratterizzato dalla presenza di una fonte, da vigne e vignali, e si trovava vicino a quello detto “la vigna della Corte”. Attualmente, entrambi i toponimi permangono nello stradario del Comune di Petilia Policastro: via Colla, I-VI traversa e vico II Colla, via e rione Vigna della Corte.

21 luglio 1616. Fiorderosa Venturo di Policastro, vedova del quondam Joannes Petro Rocca, vendeva ad Andria Spinello di Policastro, il “petium terre” della capacità di 5 “quartis”, posto nel “tenimento” di Policastro, loco detto “la colla di santa dominica seu vigna di Corte”, confine le terre di Gegnacovo de Torres, i beni di Fabio Lovallone e altri fini.[xxxviii]

21 settembre 1630. Tra i beni appartenenti alla dote di Lisabetta Vallone, figlia dei coniugi Fabio Lovallone e Livia Lamanno, troviamo la metà della vigna che detti coniugi possedevano nel territorio di Policastro, loco “la colla di santa dominica”, confine “la vigna della Corte” e “la via publica che si va in santa dominica”, mentre la parte di sotto rimaneva a mastro Fran.co Bruzzino genero di detto Fabio.[xxxix]

29 marzo 1631. Fiorderosa Venturi di Policastro vedova del quondam Joannes Petro Rocca, vendeva a Ferdinando de Vito di Policastro, il vignale posto nel territorio di Policastro, loco “la colla di santa dominica”, confine la “vineam dittam della Corte”, la vigna del cl.o Ottavio Vitetta e la vigna di Fabio Lovallone.[xl]

19 aprile 1643. Alla dote di Catherina Bruzzise apparteneva una vigna posta nel territorio di Policastro, loco detto “la colla di Santa Domenica”, confine la vigna di Oratio Rocca “della parte di sop.a”, il vignale di Berardino Ascanio “della parte di sotto”, ed altri fini.[xli]

Petilia Policastro (KR), in evidenza l’area dove esisteva l’abbazia di Santa Dominica e l’antica via.

Le terre ed i gelsi di Santa Dominica

L’abbazia possedeva alcune terre prossime alle mura di Policastro, in un’area caratterizzata dalla presenza del gelso e dell’olivo, dalle vie pubbliche e da un vallone che, da “santa dominica” e dalle “timpe di cropa”, calava nel torrente.

13 luglio 1606. Nei capitoli matrimoniali stipulati il 5 gennaio 1596, tra i beni della dote di Livia Zupo, compaiono le terre “dello ringo seu porticella” alberate con “celsi, et olive”, confine i beni di m.r Ant.no Cepale, del quondam Laurenzo Bruna, “di s.ta Dominica” ed altri confini.[xlii]

29 febbraio 1613. Tra i beni lasciati per testamento da Joannes Faraco di Policastro al figlio Gio. Thomaso, si menzionano: “li celsi” posti nel loco detto “lo ringo”, confine “li celsi di Pagano, et lo celso di santa dominica et le porghe di sotto le mura di s.ta Maria della grande et li celsi del q.m fran.co Ant.o leusi, et la via publica, et altri confini.”[xliii]

21 febbraio 1618. Alla dote di Polita Cavarretta, figlia di Joannes Dominico Cavarretta, apparteneva il “terreno seu possessione” posto nel territorio di Policastro, loco detto “lo vallone di iuso”, alberato con più e diversi alberi “con uno piro, et Celsi”, incluso il “vignale” di detto Joannes Dominico comprato dagli eredi di “donno santo sillito”, confine il “terreno di santa dominica confine lo vallone che cala di santa dominica cioè lo vallone vallone, et le timpe di cropa”, confine “della parte di sopra” con le terre di Gio. Petro de Martino, che questi aveva comprato da Narciso Rizza, ed altri fini.[xliv]

9 maggio 1621. Martino Vecchio di Policastro vendeva ad annuo censo a Paulo de Albo di Policastro, il vignale arborato “olivarum” ed altri alberi fruttiferi, posto nel territorio di Policastro loco detto “lo ringo”, confine i beni di Alfonso Campitelli, i beni di Serafino Cavarretta, le “terras sant(a)e dominic(a)e vallone mediante”, la via convicinale ed altri fini, redditizia nei confronti dell’abbazia di S.ta Dominica.[xlv]

24 febbraio 1623. Joannes Alfonso Pagano e sua madre Innocentia Mascara vedova del quondam Joannes Thoma Pagano, di Policastro, vendevano al cl.o Leonardo Caccurio di Policastro, “quodam ortalem arboratum sicomorum” loco detto “lo ringo”, confine i “sicomos santae dominicae”, i “sicomos” del dottore Horatio Venturi, via pubblica mediante, i “sicomos” del presbitero Joannes Thoma Faraco, le “vias publicas a parte inferiore” ed altri fini.[xlvi]

4 aprile 1634. Il cl.o Leonardo Caccurio di Policastro, essendo debitore per ragione di dote nei confronti di Catherina Caccuri sua sorella, gli cedeva tanto in suo nome, quanto per conto degli altri suoi fratelli, un “Vignale arborato di Celsi” appartenuto ad Alfonso Pagano, posto nel territorio di Policastro loco “lo ringo”, confine “li Celsi” degli eredi di Horatio Venturi, “li celsi di santa dominica”, la via pubblica ed altri confini.[xlvii]

18 giugno 1635. Negli anni passati, Anna Cavarretta e suo marito, il quondam Antonino Gatto, oppressi dai creditori e per potersi alimentare, avevano venduto previo regio assenso, per il prezzo di ducati 76 ad Andria Jerardo, la loro possessione arborata con più e diversi alberi, posta “estramenia” dove si dice “la porticella”, confine i beni di Horatio Rocca, i beni di Alfonso Campitello, “le terre di santa dominica”, i beni di Paulo de Albo e la “viam p(er) qua(m) itur ad fontem dittae santae dominicae”, gravata dal peso di grana 7 nei confronti della detta abbazia.[xlviii]

Petilia Policastro (KR), veduta del versante occidentale del centro storico (foto diasporapetilina.it).

La gabella di Santa Dominica

L’abbazia possedeva una gabella posta nel comprensorio di terre seminative che si estendeva presso i confini tra il territorio di Policastro e quello della Roccabernarda, nelle vicinanze del fiume Soleo, dove, ancora oggi, i contadini della zona individuano il toponimo “Monaca”.

24 febbraio 1623. I coniugi not.o Joannes Fran.co Accetta e Ardilia Campana, essendo debitori nei confronti del dottore Horatio Venturi, gli condonavano alcuni beni tra cui il “territorium” chiamato “la gabella di sammaristi”, confine i “bona habatiae divae dominicae”, i beni di Narciso Riccio ed altri fini.[xlix]

12 ottobre 1634. Il cl.o Joannes Berardino Accetta, assieme al not.o Joanne Fran.co Accetta suo padre, vendevano al cl.o Ottavio Vitetta di Policastro, l’annuo censo di ducati 5 per un capitale di ducati 50, sopra la gabella loco “scardiati” e sopra un’altra gabella di salmate 7 circa, loco detto “Condoiianne” territorio di policastro, confine “la gabella di Santa dominica”, “la gabella della Corte ditta pellecchia”, le terre del quondam Livio Zurlo ed altri confini.[l]

27 marzo 1638. La vedova Joannella Gabriele vendeva a Joannes Berardino Accetta di Policastro, la “Continentiam terrarum” di circa salmate 2, posta in territorio di Policastro loco detto “Santo donato”, confine i “bonas seu gabella Circum Circa” della R.da Abazia di S.ta Dominica, il “flumen solei” ed altri fini.[li]

14 luglio 1638. Per consentirgli l’accesso agli ordini sacerdotali, Narciso Riccio di Policastro donava al figlio cl.co Ferdinando Riccio di Policastro alcuni beni, tra cui tomolate 14 di terre aratorie poste nel territorio di Policastro loco detto “Condoianni”, confine il “tenim.to” della Rocca Bernarda, “le terre dell’Abatia di santa dominica” ed altri fini.[lii]

22 aprile 1639. Alla dote di Rosa Coco apparteneva il censo di annui ducati 11 che pagava Gio. Berardino Accetta, per un capitale di ducati 110 sopra le terre di “santo donato”, confine la “gabella delle monache della Abatia di santa dominica”, “il fiunme di soleo” ed altri fini.[liii]

20 gennaio 1647. La vedova Delia Callea, Laura Guarano e Joannes Bernardino Accetta di Policastro, in solidum, prendevano a censo dal Reverendo D. Jo. Jacobo Aquila di Policastro, la somma di ducati 80, impegnadosi a pagare l’annuo censo di ducati 8. Tra i beni stabili posti a garanzia da parte del detto Joannes Bernardino, troviamo la “continentiam terrarum” di circa 5 salmate, posta nel territorio di Policastro detta “sammaresti”, confine i “bona seu terras Sanctae Dominicae”, le terre degli eredi di Narcisio Ritia ed altri fini.[liv]

24 settembre 1647. Il C. Gio. Gregorio Cerasaro, Pietro de Paula e Marco Antonio Mannarino di Policastro, in relazione ad una procura del primo luglio 1647, si obbligano in solido a pagare al sig.r C. Carlo Consentino di Casabona, procuratore di monsig.re Ottavio Puderico, vescovo di Umbriatico “et Abbate della Chiesia di S. Domenica” di Policastro, la somma di ducati 168 secondo le seguenti scadenze: ducati 56 a Molerà 1648, ducati 56 a Molerà 1649 e ducati 56 a Molerà 1650, per l’affitto “ad ogn’uso” per 3 anni continui, cominciando da oggi e finendo ad agosto del 1650, della gabella della detta abbazia nominata “le monache” posta nel “distretto” di Policastro.[lv]

Il “B. di Scardiate” e la “R. Donujanni” (sic, ma Condoianni), presso il “F. Solio” ed il confine comunale di Roccabernarda, in un particolare del F. 237 II “Petilia Policastro”, della Carta d’Italia 1:50:000 (U.S. Army 1943, copiata da una mappa italiana del 1896).

Il Settecento

Agli inizi del Settecento, il luogo che nel passato aveva ospitato l’abbazia, era ancora ben riconoscibile nelle vicinanze dell’abitato di Policastro, essendo caratterizzato dai ruderi delle antiche strutture, da una sorgente e da un giardino circondato da mura. Così lo descrive il Mannarino a quel tempo: “Più vicino alle Mura della Città à luntananza d’un buon tiro di scoppio, a lato sinistro, e Borreale per diametro del Castello era un’assai ricco Monastero delle Monache di Santa Domenica, dell’ordine anch’esso di San Basilio, retto dà Monaci di Cardopiano coll’ospizio à lato, del cui Abbate, e della cui abbadessa trovasi memoria, come si disse trecento quaranta anni incirca à noi. (…) Della Chiesa, e chiostro di questo Monastero ancor vi si vedono in mediocre altezza le Mura con una fontana bolla sorgente, e con arte, e bizzarria adornata con tre Canali di Bronzo, ch’era comodissima à Paisani, adesso e per l’uso del Giardino di detto Monastero, che ancor si coltiva dall’affittuari, che corrispondono l’annualità all’Abbate adesso non più si frequenta questa fontana, perche anno l’acqua alle muraglia della Città, e le fontane magnifiche dentro.”[lvi]

Alla metà del secolo, attraverso le informazioni del catasto onciario, possiamo circoscrivere ulteriormente il luogo dove era stata eretta l’antica abbazia. Questo era denominato “Santa Domenica”, e si trovava nelle vicinanze di quelli denominati “Canalicchio” e “La Colla”.

Il massaro Matteo Scalese, o Scalise, di anni 63, possedeva un vignale nel luogo detto “S.ta Dom.ca”, confinante con Leonardo Scalese.[lvii] Il bracciale Antonio Romeo di anni 45, possedeva un pezzo di terra nel luogo detto “Canalicchio”, confinante con il vignale di Matteo Scalise e con quello di Diego Venturino.[lviii] Il chierico celibe, o negoziante, Giampietro Rossi di anni 59, possedeva un vignale di due quartucciate nel luogo detto “La Colla”, che confinava con quello di Salvatore Maida e con quello di Antonio Romeo.[lix]

A quel tempo, anche se la chiesa era stata ormai definitivamente abbandonata, l’interesse per la carica di abate non era venuto meno, in quanto la rendita sulla quale i beneficiati potevano contare, continuava a rimanere considerevole, in ragione dei “multa Bona Stabilia” posseduti dal monastero.

Sempre attraverso il catasto onciario, rileviamo che i beni appartenenti alla “Badia di S.ta Domenica”, erano rappresentati dalla “gabella detta la Monaca”, dalle “Castagne in Trentademone”, e da un “vig(na)le in S.ta Dom.ca”,[lx] mentre, tra le entrate della Mensa Arcivescovile di Santa Severina riguardanti il territorio di Policastro, continuava a figurare quella relativa alla quarta beneficiale che, analogamente al passato, era tenuto a pagare l’abbate della “Badia di S. Dom.ca”.[lxi]

Le informazioni contenute in questo documento, inoltre, confermano le notizie relative alla dote originaria costituita dall’università di Policastro in favore del monastero. In riferimento al castagneto, infatti, si evidenzia che queste terre, essendo “comuni”, erano soggette allo “sbarro” così da poter essere pascolate dal bestiame dei cittadini. Il bracciale Gio. Battista Cosco possedeva alcuni “piedi di castagne nel luogo d.o S. Dom.ca soggette al Sbarro di tre giorni la settimana”.[lxii] Il “maestro di sedie di paglia” Francesco Migale, possedeva un pezzo di terra con “alcuni piedi di castagne nelli Comuni detti La Destra di S.ta Domenica conf.e le castagne di Giovanni Manfreda soggette al Sbarro di tre giorni la settimana nelle quale vi tiene la porzione Isabella Migale sua sorella”.[lxiii]

Il grosso dei possedimenti erano comunque costituiti dalla gabella, o difesa, denominata “la Monaca”, o “la Monaca dell’Abbate”, che ancora alla fine del Settecento, dava una rendita annua di ducati 95.[lxiv] Rispetto al passato, però, il Mannarino c’informa che alcune rendite come quelle relative ai censi sopra le vigne “delle Pianette”, erano state occultate e non si esigevano più: “Le sue rendite, benche in buona parte occultate, specialmente quelle d’annuo cenzo sopra le vigne delle Pianette, delle quali io ò letto le scritture ragioni in autentica Platea; ed’altre disperse, ò consunte dal tempo”.[lxv]

Petilia Policastro (KR), veduta del versante occidentale del centro storico.

I censi perduti

Lo spoglio degli atti notarili dei notari di Policastro relativi alla prima metà del Seicento, conferma che, a quel tempo, l’abbazia esigeva ancora diversi censi annotati “in platea”,[lxvi] tra cui si citano quelli “perpetui” che gravavano, in particolare, numerose vigne poste in località “la chianetta”,[lxvii] “le chianetta”,[lxviii] o “Chianetta”,[lxix] alcune possessioni poste a “gorrufi”,[lxx] “Vesparello”,[lxxi] “la porticella”,[lxxii] “le limine”,[lxxiii] il “vinealem seu funtana, che vulgarmente si dice l’acqua di donna maria”,[lxxiv] ed alcune terre poste a “marrari”, come quelle dello “piano dello rotundo” e quelle che erano appartenute ai Pantisani ed agli Argisi.[lxxv]

L’abbazia, inoltre, esigeva alcuni censi nell’abitato di Policastro, relativamente ad alcune case,[lxxvi] e da “uno Pede sicomoris” che si trovava nel casaleno posto “in convicinio Sancti Petri deruti Ecclesiae Parocchialis, ubi ad p(raese)ns fabricatur nova Ecclesia sub titulo Sanctae Catharinae Virginis, et Martiris”.[lxxvii]

Petilia Policastro (KR), veduta del versante occidentale del centro storico (Collezione Fotografica Mimmo Rizzuti).

Da padrone in padrone

La particolare importanza della rendita dell’abbazia di Santa Dominica agli inizi del Settecento, è sottolineata dal Mannarino, che c’informa anche dei passaggi di mano riguardanti il beneficio, dai tempi dell’arcivescovo Fausto Caffarelli a quelli di Carlo Berlingieri: “quelle però che ora vi sono, son pur bastevoli à mantener con decoro la sua abbatial dignità, che rende cento cinquanta scudi, e questa sempr’è stata conferita à qualche Cittadino, fuorche dà tempi dell’Arcivescovo Cafarelli che la conferì al suo secretario D. Francesco Berardi Rocchesano dà cui fù rassegnato al Nepote D. Marco, indi passò a D. Muzio Giuliano, e morto questo, M. Sig.e Berlingieri ne investì il di lui fratello Pompilio, che poi fù Vescovo di Bisignano e la rassegnò a D. Cesare Nepote.”[lxxviii]

Tale ricostruzione è confermata dai documenti dell’Archivio Arcivescovile di Santa Severina, attraverso i quali apprendiamo che il 10 settembre 1702, l’arcivescovo Carlo Berlingieri, essendo vacante la chiesa, o cappella, di S.ta Dominica che in passato era stata abbazia, per la morte del suo ultimo rettore D. Mutio Juliani, la concedeva al clerico crotonese J.U.D. Pompilio Berlingerio “n(ost)ro secundum carnem germano Fr(atr)i in Alma Urbe degenti”.[lxxix]

La prassi che vede ricorrere tra i beneficiati, clerici con solidi legami presso la curia romana, contuinuerà ad evidenziarsi anche in seguito. Il 3 luglio 1741 troviamo il presbitero bisignanese Pietro Pompilio Rodotà, provvisto con la “ecclesia seu cappella S. Dominicae (de Policastro), S. Severinae dioc., vac. per ob. bo. me. Felicis Samuelis Rodotà, archiep.i Beroen. et Bibliothecae vaticanae Scriptoris”,[lxxx] mentre, meno di un anno dopo, il 4 marzo 1742, sarà la volta del presbitero mesorachese Giovanni Andrea Fico abitante in Roma, ad essere provvisto con la “ecclesia seu cappella S. Dominicae civ. Policastri, dictae dioc., vac. per resignationem Petri Pompilii Rodotà”.[lxxxi]

Petilia Policastro (KR), corso Giove (foto diasporapetilina.it).

Le pretese dell’università

In tale frangente però, i cospicui beni appartenenti al monastero stimolarono altri appetiti. L’università di Policastro, infatti, che in origine aveva costituito la dote dell’antica abbazia, chiese che si reintegrasse il nuovo monastero, o “Conservatorio” di monache, eretto in Policastro sotto il titolo di S.to Gaetano, presso la chiesa di S.ta Caterina, con le rendite ed i beni già appartenuti al monastero diruto di Santa Dominica. Al fine di dare forza alle proprie ragioni, l’università inviò perciò una supplica alla Santa Sede che, per propria parte, rivolgendosi all’arcivescovo di Santa Severina, chiese spiegazioni.

Con una lettera datata in Roma 15 agosto 1752, infatti, si chiedeva all’arcivescovo Nicola Carmine Falcone (1743-1759) di riferire, informando la curia romana circa la questione sollevata dall’università di Policastro, attraverso un memoriale che si allegava alla stessa lettera.[lxxxii] Il 23 novembre di quell’anno, l’arcivescovo rispondeva circa il detto memoriale, presentatogli “per parte dall’amm.re del Conservat.o de Vergini di Policastro” il 25 ottobre, data che risulta successivamente corretta “dè 16 Corr.e”. In questa lettera egli affermava che, avendo avuto modo di ascoltare alcune persone del luogo, vecchie e degne di fede, aveva potuto appurare che, in passato, era esistito in Policastro un monastero di monache sotto il titolo di Santa Dominica, a cui erano appartenuti i beni rubricati nella supplica. L’arcivescovo, comunque, affermava che queste persone erano a conoscenza di ciò solo “per tradiz.e di pochi”, e attraverso la lettura di “alcuni fragmenti di scritture informi”, “senz’altra prova”. All’attualità, invece, e “da tempo immemorabile”, i beni in questione erano posseduti dall’abbazia di Santa Dominica di cui era rettore il sacerdote D. Giovanni Andrea Fico abitante in Roma, anche se a far data dal 13 agosto 1729, questi beni erano stati uniti alla prebenda Teologale ed alla Penitenzieria, da parte dell’arcivescovo Pisanelli suo predecessore. Sempre riferendosi all’attualità, il presule dichiarava che esisteva in Policastro un Conservatorio di Vergini “senza legge di Clausura”, nel quale vivevano le “moniali con tutto il rigore della Disciplina Regolare”.[lxxxiii]

Petilia Policastro (KR), il luogo in cui fu eretto il conservatorio di S. Gaetano (Fotoraccolta Mimmo Rizzuti).

Le monache Bizzoche

Gli atti notarili della prima metà del Seicento, evidenziano già la presenza di numerose “monache”, o “moniali”, dell’ordine di S.to Francesco d’Assisi nel tessuto sociale di Policastro: “soro” Julia Massa, “soro” Julia Caira, “soro” Orania Torres, “soro” Dianora de Albo”, “soro” Isabella Cerasaro, “soro” Vincensa Callea, “soro” Portia Callea, “soro” Vincentia Cerasaro, “soro” Dominica Massa, “soro” Costantia Nigra, “soro” Lucretia Larosa, “soro” Girolima Cerasara, “soro” Lucretia Corigliano, “soro” Caterina de Cola, “soro” Dianora Blasco”, “soro” Laudonia Callea, “soro” Francisca Manfrida “alias monetto”, “soro” Elisabetta Scoro o Scuro della città di Crotone “incola” in Policastro, q.m “soro” Dianora Campana, “soro” Lisabetta Durante, q.m “soro” Berardina Poerio, “soro” Agostina Rizza, “soro” Maria de Mauro, “soro” Innocentia Vitetta, “soro” Chiara de Venuto, “soro” Laura Guarano, “soro” Francisca Vallone, “soro” Anastasia de Mauro, “soro” Lisabetta Amoruso, “soro” Francisca Vallone, “soro” Vincensa Ritia, “soro” Caterina Salerno, “soro” Rosa de Mauro, “soro” Maria Lettello, “soro” Laura Riccio, “soro” Dianora Ritia, “soro” Nunciata Rizza, “soro” Catharina Cepale.[lxxxiv]

Alcune di esse, come “soro” Caterina de Cola e “soro” Anastasia de Mauro, troveranno sepoltura nel monastero degli Osservanti di S.ta Maria “la spina”, nella “sepoltura delle monache”.[lxxxv]

La presenza delle monache “Bizzoche”, o “Vizzoche”, in possesso degli ordini minori, si evidenzia anche in occasione della compilazione del catasto onciario alla metà del Settecento,[lxxxvi] dove le ritroviamo censite all’interno delle rispettive famiglie. In questo gruppo si menzionano le componenti di alcune famiglie nobili e di quelle più in vista di Policastro, come suor Rosa Scandale di anni 44, figlia del magnifico Giambattista, o come suor Agnese e suor Teresa Scandale rispettivamente di anni 58 e di anni 50 che, insieme a suor Maria Fanele, vivevano in casa del cognato, il notaro crotonese Antonio Fanele.

Per l’accesso agli ordini maggiori, invece, la via seguita era quella che conduceva le giovinette alla clausura nei monasteri delle città vicine di Crotone e Catanzaro. Il 25 settembre 1630, nel suo testamento, Livio Zurlo di Policastro istituiva erede Gio. Battista Zurlo suo figlio, con il patto che avrebbe dovuto provvedre a maritare le altre sue figlie: Isabella, Maria, Caterina, Lucretia ed Elisabetta Zurlo. Nel caso che dette sue figlie, o alcune di esse avessero voluto farsi monache, il detto Gio. Battista avrebbe dovuto provvedere “conforme luso, et Costume che donano l’altri gentilhomini, che entrano nel monasterio di donne nella città di Cotroni”, mentre, nel caso si fossero maritate, avrebbe dovuto dare loro “lo paraggio sopra il quale se intendano istituite heredi”.[lxxxvii]

Il 4 febbraio 1644, in occasione del testamento di Livia Caccurio, vedova del quondam Jo. Vincentio Ritia, questa istituiva eredi Fulvio, il cl.co Gio. Dom.co, Fran.co, Gio. Vincenso ed Ippolita Riccio, suoi figli, in eguale porzione. Lasciava a sua figlia Ippolita la gabella loco detto “Gauteri”, territorio di Policastro e 200 ducati con i quali si sarebbe dovuta maritare. Nel frattempo, la testatrice disponeva che la detta Ippolita si ponesse in un “monasterio”.[lxxxviii]

Il 27 gennaio 1652, Nicolò Prospero della terra di Mesuraca, ma al presente “habitante” in Policastro da più anni, affinchè potesse “maritarsi, overo per monacarsi”, donava a Maria Prospero “Vergine in capillo”, la possessione arborata di “Celsi” posta nel territorio di Mesuraca loco detto “lo Putamo”.[lxxxix]

Tra i pesi che al tempo della compilazione del catasto (1742) gravavano il nobile Antonio Tronca, troviamo quello di ducati 12 per il vitalizio a suor Cecilia Tronca, monaca professa in S.to Rocco di Catanzaro.[xc] Nello stesso catasto ritroviamo le monache vizzoche Anna Prato, sorella del calzolaio Giuseppe Antonio,[xci] Francesca Mannarino di anni 34, figlia del mastro barilaro Giovanni,[xcii] suor Rosa Curto di anni 55, cognata del chierico negoziante Giampietro Rossi,[xciii] Chiara Cavarretta di anni 25 e sua sorella Catarina di anni 18, figlie del mastro calzolaio Stefano,[xciv] ed infine, Teresa Grano figlia del “bracciale” Antonio.[xcv]

Petilia Policastro (KR), il luogo in cui esisteva il conservatorio di S. Gaetano.

Il beneficio conteso

Ritornando alla questione sollevata riguardo l’attribuzione della rendita dei beni dell’antica abbazia, rileviamo che, in un’altra lettera di risposta datata 8 maggio 1753, ma poi annullata dall’arcivescovo, questi affermava che con tali beni e rendite, era stato fondato un semplice beneficio ecclesiastico di libera collazione da parte dell’ordinario del luogo e che, all’attualità, tale beneficio era posseduto dal sacerdote D. Giovanni Andrea Fico per conferimento da parte della curia romana “a cui era d.o Beneficio effett(ivo)”.

A seguito della sollecitazione ricevuta da parte della curia romana, l’arcivescovo asseriva di aver assunto informazioni “in forma estragiudiziali” per venire a conoscenza della veridicità o meno delle affermazioni sostenute dall’università di Policastro. Egli affermava così che rispondeva a verità che “in d.a Città di Policastro” vi era stato un antichissimo monastero di monache sotto il titolo di S.ta Dominica e che tale monastero possedeva un “territorio” detto “la Monaca dell’Abbate”, un piccolo castagneto ed un piccolo giardino “con terre aratorie adiacenti dette di S.a Dom.ca” siti nel “distretto” della città. Beni che costituivano il semplice beneficio ecclesiastico posseduto dal Fico per collazione della Sede Apostolica.

Il presule affermava di aver ricavato queste notizie “da molte Persone degne di fede”, come testimoniavano “una scrittura antichiss.ma”, e le “vestigi delle fabriche di d.o antico monastero” che ancora a quel tempo apparivano evidenti. L’arcivescovo riferiva, inoltre, che al presente, si trovava edificato in Policastro “un nuovo Monastero di Monache sotto il titolo di S. Gaetano” il quale, quantunque fosse solo un “Conservatorio di Donne”, era comunque un luogo dove si viveva con molta osservanza e disciplina regolare, “che può dirsi che vivano a guisa di vero, e perfetto Monastero”, dove le donne stavano “in perpetua Clausura”.

Ciò esposto, l’arcivescovo si dichiarava del parere che dopo la morte del beneficiato, i beni in questione s’incorporassero al conservatorio “per farsi monastero”, sebbene in vigore della Bolla di Benedetto XIII sia lui che il suo predecessore, avevano provveduto ad aggregare il detto beneficio alla prebenda Teologale ed alla Penitenzieria della cattedrale di Santa Severina. Tale scelta, secondo l’arcivescovo, era motivata “si per esser di rag.ne, e di dovere che quella Città (Policastro ndr.), la quale diede le robbe, e gli effetti a costruire il monastero antico godesse la reintegra dell’istessi beni a costituire nuovo monastero nel Conservatorio sud.o”.[xcvi]

“R(everendissi)mo P(ad)re.

La Communità di Polic.o Diocesi di S.a Sev.a umilm.e / rappresenta alla S. V., come anticam.e essa oratrice fondò un monast.o di / monache sotto il tit.o di S. Dom.ca, e lo dotò di molti Beni Stabili, dè quali / presentem.e se ne trovano esistenti un Predio detto la Monaca del Aba.e / di S. Dom.ca, un Castagneto, ed un Giardino in vocabolo parim.e di S. Dom.ca. E / perche in occasione di Tremoto, il sud.o monastero ruinò, fù perciò soppres / so, e dei Beni del med.o se ne istitui un Benef.o Semplice col tit.o d’abbatia, / ne mai si pensò alla readificaz.e del d.o monastero. In’oggi però il med.o mo / nastero dalla Communità Oratrice è stato redificato nella Chiesa di S.a Ca / terina Verg.e e mart., e desidererebbe la reintegraz.e di d.i Beni Stabili, co / me quelli, che appartenevano al monastero antico Rovinato. E come / che li med.i Beni si possiedono dal R. Sacerd.e Gio: And.a Fico, come Beneficia / to, ed abb.e della pred.a Abazia eretta colli sup.i Beni, pertanto l’oratrice / supp.a umilm.e la S. V. reintegrarli al d.o monastero, almeno dopo la mor / te d’esso Beneficiato, riflettendo benignam.e al mag.e vantaggio, che ne / deriva dall’essere i beni incorporati ad un monast.o di Vergini / che in esso per maggiorm.e servire Iddio; che della grazia s.a.”[xcvii] In una copia di questo documento conservato nella stessa cartella, si cita solo il predio e si omettono il castagneto ed il giardino.

Petilia Policastro (KR), il luogo in cui esisteva il conservatorio di S. Gaetano.

Il ripensamento dell’arcivescovo

Tale soluzione della questione fu evidentemente contrastata. In una successiva lettera di risposta datata 7 settembre 1753, l’arcivescovo mutò il proprio parere, esprimendosi contro la fondazione di un nuovo monastero, quantunque sottolineasse il rigore e l’esemplarità della condotta delle monache che vivevano nel conservatorio e mettendo in dubbio la legittimità delle pretese dell’università di Policastro, basate su testimonianze vaghe e documenti inattendibili. Della presenza di tali documenti siamo informati attraverso la “Cronica” del Mannarino: “e l’altro assai prima, cioè dell’anno mille trecento cinquanta tre, in quel contratto che fa l’abbadessa di Santa Domenica di Policastro”, “autentica tutto ciò, un’altro antico Instrumento dell’anno mille trecento è tredici sotto la Regina Giovana Prima sul primo anno del Pontificato d’Innocenzio Sesto, che son pur duecento settanta tre dopo a quel sopra citato, per una vendita, che fa d’un suo Territorio D. Alessandra l’Abbadessa del Monastero di Santa Domenica di Policastro, dà cui chiaramente appare in questo Territorio verso l’oriente la Chiesa Vescovile Sitomese, la proprio dove pur adesso chiamasi per Eccellenza La Chiesa del Vescovado di Santo Cesario, e vi sono quantità di muri diruti à torno, che son segni e testimonii certi dell’abitatori, e verso Borea anco il fondo di quel Monastero donato alle Monache dal sudetto Vescovo Marco, sin dall’anno 1050, e che di fatto confina (se non quanto à intermezza il fiume Cropa) con quell’altro fondo, che fin or si dice la vigna del Vescovo.”[xcviii]

Relativamente a tale o tali documenti, l’arcivescovo si esprimeva però in maniera chiara e molto critica: “che per quanto rilevato avevo / dal detto di pochi vecchi, e degni di fede, vi fù un tempo, di cui / non si hà memoria, in Polic.o il monastero di donne sotto il titolo / di S. Dom.ca, al quale appartenevano li Corpi rubricati nella Supp.ca / annessa, mà quei vecchi lo dicevano per senza render causa della loro scienza, affermavano ciò per la lettura di alcuni fragmenti / di scritture informi, dalle quali poi ne ho scoperto l’impostore, che / si fù un tal Prete di Casato Coco. Questi registrando alcune no / tizie nel secolo passato appartenentino à quel Clero, e Chiese, frà / le molti altri enti chimerici, serisce che in Policastro statovi / era il monastero di Santimoniali, e poi suppresso, senza sapersine / ne il tempo, ne il Pontificato; anzi ebbe l’abiltà d’ideare un / istrom.to di locazione ad triennium del Predio detto la monaca, e farlo / stendere coll’intervento della Badessa del supposto monastero, e del / Clero tutto di Policastro, decorando quei Preti chi col titolo di / Decano, chi di Cant.re, e chi di Can.co, quando che mai in Policastro / vi è stata Catedrale, o Collegiata, e poi sottoscriverli buona / parte in carattere nostro, e porzione in carattere greco. / Tale scrittura benche di niun valore fu sotto il mio occhio presentatami dalli / amministratori dell’attuale Conservatorio di donne di d.o luogo / credendono di provare con quello il di loro esposto, mà io che / compresi l’impostura, l’accliusi ancora a V. S. Ill.ma per rendersi / meglio persuasa della verità di mia ingenua Relazione. Onde toc / cante à ciò non hò altro da riferire.

Che le donne, le quali convivono nel Conservatorio, che present.e esiste / in Policastro, osservino con ammiraz.e, ed edificaz.e di tutto il Pae / se, e luoghi circonvicini, tutto il rigore della Clausura e disciplina / Regolare, e verissimo, ed io med.o ne vivo tanto contento, perche / in verità sono lo specchio di esemplarità à tutti l’altri mona / steri di queste vicinanze.

Gli effetti descritti nella supplica, presentem.e si possiedono dall’ab / bazia di S.a Dom.ca, di cui n’è Rettore il Sacerd.e D. Gio: And.a Fico com / morante in Roma; e dalla fel. m.a di m.e Pisanelli mio Predecessore fatto / il di 13 ag.o del 1729 furono uniti alla Prebenda Teologale da lui Eretta, ed alla Penit.a di questa Cattedrale, per costituire all’uno, e all’altro / Can.co la Congrua à tenore della Costituz.e Bened.a. Ma poiché / in tempo di d.a unione, si possedeva la succennata Badia da m.e Rodotà Fam.re / del Papa, non ebbe perciò il suo effetto; quindi mi convenne sotto / il di 4 aprile dell’anno già scorso 1750 rinovare con altro mio Decreto / l’unione sud.a; acciò in questa maniera si potesse mantenere l’erezz.e / della Teologale, ed obligare il Can.co Teologo all’adempim.to de pesi, per qua / li è stata dal S. Conc. di Trento, ed ultim.e dalla S. m.a di P.a Bened.o / XIII inculcata.

Attesa dunque l’unione spressata, sarei di sentimento, non recedendum / esse à peractis, costando bene a V. S. Ill.ma l’utile, che dalla frequente lezzione / della S. Scrittura ne ricava il Clero, ed il Popolo; ed altresì di quanto / peso siano le fatighe del Confessionale riguardo al Can.co Penitenz.o / che vi sta tempore fisso per sodisfare à bisogni spirituali della Dio / cesi intiera; maggiorm.e che non costa ne con scritture valide, ne / con soda tradiz.e, ne con altro legitimo documento, l’erezzione e fondaz.e dell’ / ideato monastero, nettampoco se la Communità di Policastro ò pure alcun particolare / (qualora veram.e vi fusse stato) ne fù la fondatrice, e molto / meno se li Beni ora della Bad.a di S.a Dom.ca, erano veram.te del / monastero sud.o; Mà qualora la Paterna Provid.a di N.ro S.re vo / lesse provedere a bisogni dell’attuale Conservatorio, ed alla futura / durata del med.o; essendo egli un Principe tanto potente, può aliun / de farli godere gli effetti di sua munificenza.”[xcix]

Petilia Policastro (KR), il luogo in cui esisteva il conservatorio di S. Gaetano.

L’ultimo rettore

In seguito i fatti testimoniano che le argomentazioni dell’arcivescovo Falcone furono accolte e che le sue disposizioni trovarono applicazione. Nella “Platea di tutti i Benefici Semplici, tanto Eccl(esiasti)ci quanto di Ius patronato laicali fondati in questa Città, e Diocesi di S.a Sev.a” del 1788, troviamo “Il Semplice Eccl(esiasti)co Beneficio o sia Abbazia di S. Domenica” di Policastro,[c] mentre, nell’elenco delle “Abbadie situate in q.a Diocesi di S.a Sev.a”, si rinviene l’“Abbadia di S. Dom.ca fondata in Ter.o di Policastro, ove eravi l’Antica Chiesa” (1794), la cui rendita era annessa alla prebenda Teologale ed alla Penitenzieria di Santa Severina.[ci]

Negli anni 1796 e 1797 continuava a detenere il beneficio Gio Andrea Fico, mentre la Mensa Arcivescovile continuava ad esigere gli originari sei ducati a titolo di quarta beneficiale.[cii] Nel 1798 tra le voci che componevano la “partita” della Mensa Arcivescovile di S. Severina registrata nel “Libro catastale” dell’università di Policastro, troviamo quella relativa alla quarta beneficiale dovuta dalla “Badia di S. Dom.ca”.[ciii] A quel tempo la rendita del beneficio assommava ad annui ducati 112, così ripartiti: ducati 95 “sopra la difesa d.a la Monaca”, ducati 11 “sopra Un Castaneto d.o S.a Dom.ca” e ducati 6 si ricavavano da un annuo canone che pagava la Camera Principale di Cotronei, mentre i pesi che la gravavano erano costituiti dalla celebrazione di 50 messe e dal pagamento della Bonatenenza e del “Cattedratico” alla Mensa Arcivescovile di Santa Severina.[civ]

Arme dell’arcivescovo di Santa Severina Nicola Carmine Falcone (da heraldry-wiki.com).

San Gaetano

Anche il nuovo conservatorio seguì il percorso segnato dall’arcivescovo di Santa Severina. La relazione arcivescovile ad Limina del 1765 evidenzia, “In Terra Policastri”, la presenza di un “Conservatorium piarum foeminarum” annesso alla chiesa di S.ta Caterina Vergine e Martire, retto da un procuratore “ab ipsis eligendum, et à me confirmandum.” La stessa relazione sottolineava che in questo “Conservatorium Mulierum” vivevano religiosamente 10 monache, che osservavano spontaneamente la regola della clausura, anche se si trattava di una clausura minima.[cv]

Il “Conservatorio di donne di Policastro” si segnala ancora nel 1780,[cvi] ed al tempo del terremoto del 1783 ospitava 17 monache.[cvii] Tale evento, comunque, non ne pregiudicò la sopravvivenza. Sul finire del secolo, troviamo ancora il “Conservatorio di S. Gaetano per donne” al quale erano destinati ducati 200.[cviii] In questo periodo i suoi edifici furono ristrutturati, attraverso l’edificazione di un “piano superiore” e l’ampliamento del “piano terreno”, in maniera da pervenire così ad una “Nuova pianta” dei locali, che si conserva ancora insieme al nuovo “Prospetto esteriore”, presso l’Archivio di Stato di Napoli.[cix]

Il “Conservatorio, o sia chiesa di S.a Caterina”, si segnala ancora agli inizi dell’Ottocento.[cx] Così il Sisca ne riassume le vicende fino alla sua soppressione: “Accostato alla chiesa di S. Caterina era eretto un Ospizio per pellegrini poveri; in seguito fu ampliato e trasformato nel Conservatorio di S. Gaetano con un prosperoso educandato femminile, diretto da suore e fondato dalla Priora Suor Caterina Scandale. Dopo un secolo di vita regolare e arricchito di molti legati, fu soppresso. Nel 1860 oltre ad un gruppo di giovinette delle famiglie più agiate, il Convitto, pur avendo una rendita di 300 lire, ospitava 8 monache e 5 converse. L’ultima monaca fu Suor M. Giuliana Bilotti da Zagarise morta il 18 gennaio 1888.”[cxi]

Come ricorda una epigrafe posta dall’amministrazione comunale in occasione del centenario della loro venuta a Petilia Policastro, nel 1896 per iniziativa del parroco G. Carvelli e del sindaco L. Giordano, giunsero a Policastro le suore francescane di Gesù Bambino. Ancora alla metà degli anni Sessanta esse “avevano un fiorente educandato, mantenendo la scuola di lavoro nel Palazzo che era stata la residenza estiva degli Arcivescovi di Santa Severina, l’asilo infantile nel palazzo Giordano e l’oratorio estivo nella trasformata chiesetta del Rosario.”[cxii]

Petilia Policastro (KR), epigrafe che ricorda la venuta delle suore francescane di Gesù Bambino.

La leggenda della Serpe

A ricordo delle monache di clausura di Policastro, rimane ancora oggi nel paese un’antica leggenda legata al luogo chiamato “Timpa della Serpe”. Questo racconto, riferendosi all’empia condotta delle monache, giustifica la loro segregazione ed il loro martirio: la pena attraverso cui si rende possibile l’espiazione della loro colpa. Significati messi in luce nella “Cronica” del Mannarino quando egli provvede a fornire una spiegazione della leggenda: “Evvi oltre ciò relazione molto antica, che la Rupe per essere così di figura Aretta, e fluttuosa à drittura del lato destro di quel Castello verso il Meriggio, fusse continente col Monte della Città, à cui corrisponde di più coll’Altezza è sito, e che fosse stato in quel vacuo un’altro Monastero famoso di donne, sprofondato ancor esso per causa di terremoto, à cui sempre fù soggetta la Città, per esser quel luogo più di tutti arenoso. Altri poi riferiscono, e vogliono, che nabissò miracolosamente in pena delle loro scelleragini. In prova di ciò aggiongono, da una tall’Abbadessa, qual per giusto Castigo di dio, trovossi appicata di notte ad’un albero di Castagna, che sin ora chiamasi apposta il Colle dell’Abbadessa, dove divide verso la Montagna, il Territorio di Policastro, e quel di Mesuraca alle vigne dette dalla nostra parte dell’Abbadessa, e da quella, Campizzi suvrano, che viene ad’essere fra il Monastero della Spina, e di quello di Sant’Angelo delli Monaci di Cisterzio oggi la sù supresso, e fattovi un’Abbadia Cardinalizia.”[cxiii]

Note

[i] ASCZ, Notaio Biondi G. F., Busta 158 prot. 651, anno 1630-1631, ff. 71-71v.

[ii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 78 prot. 287, ff. 52-52v.

[iii] ASN, Regia Camera della Sommaria, Patrimonio Catasti Onciari, busta n. 6991, f. 138.

[iv] Vendola D., Rationes Decimarum Italiae nei sec. XIII e XIV, 1939 p. 204. Russo F., Regesto Vaticano per la Calabria, I, 2368. Siberene, Cronaca del Passato per la Diocesi di Santaseverina – Crotone – Cariati, a cura di Scalise G. B., p. 287.

[v] Russo F. Regesto Vaticano per la Calabria. I, 2368.

[vi] Vendola D., Rationes Decimarum Italiae nei sec. XIII e XIV, 1939, p. 206. Russo F. Regesto Vaticano per la Calabria, I, 5481.

[vii] Russo F. Regesto Vaticano per la Calabria, I, 5911-5913.

[viii] Russo F., Regesto Vaticano per la Calabria, II, 11191.

[ix] Russo F., Regesto Vaticano per la Calabria, III, 16779.

[x] Russo F., Regesto Vaticano per la Calabria, III, 16804.

[xi] Russo F., Regesto Vaticano per la Calabria, III, 16805.

[xii] Russo F., Regesto Vaticano per la Calabria, III, 16807.

[xiii] Sisca D., Petilia Policastro, 1964 rist. 1996, p. 262.

[xiv] AASS, Fondo Arcivescovile, volume vol. 2A.

[xv] AASS, Fondo Arcivescovile, volume vol. 3A.

[xvi] Russo F., Regesto Vaticano per la Calabria, IV, 20358.

[xvii] Russo F., Regesto Vaticano per la Calabria, IV, 20448.

[xviii] AASS, Fondo Capitolare, cartella 4D, fasc. 3.

[xix] AASS, Fondo Arcivescovile, cartella 16B.

[xx] Russo F., Regesto Vaticano per la Calabria, IV, 20780.

[xxi] AASS, Fondo Arcivescovile, volume 6A.

[xxii] ASN, Tesorieri e Percettori, Fs. 550/4154, ff. 127-132.

[xxiii] Maone P., Notizie storiche su Cotronei, Historica n. 2/1972, pp. 107 e sgg.

[xxiv] AASS, Fondo Arcivescovile, volume 18B.

[xxv] AASS, Fondo Arcivescovile, volumi 6A e 26A. Siberene, Cronaca del Passato per la Diocesi di Santaseverina – Crotone – Cariati, a cura di Scalise G. B., pp. 24 e sgg.

[xxvi] AASS, Fondo Arcivescovile, volume 6A.

[xxvii] AASS, Fondo Capitolare, cartella 4D, fasc. 3.

[xxviii] AASS, Fondo Arcivescovile, volume 26A.

[xxix] Russo F., Regesto Vaticano per la Calabria, VII, 33674.

[xxx] Russo F., Regesto Vaticano per la Calabria, VII, 34488.

[xxxi] Russo F., Regesto Vaticano per la Calabria, VII, 34958.

[xxxii] ASCZ, Notaio G. M. Guidacciaro, Busta 182 prot. 806, ff. 95-96.

[xxxiii] Russo F., Regesto Vaticano per la Calabria, VII, 36112.

[xxxiv] AASS, Fondo Arcivescovile, volume 26A.

[xxxv] Russo F., Regesto Vaticano per la Calabria, VII, 38975.

[xxxvi] Russo F., Regesto Vaticano per la Calabria, VIII, 41415.

[xxxvii] Russo F., Regesto Vaticano per la Calabria, VIII, 43645.

[xxxviii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 78 prot. 290, ff. 116v-117.

[xxxix] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 79 prot. 297, ff. 165-166.

[xl] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 79 prot. 298, ff. 34v-35v.

[xli] ASCZ, Notaio G. M. Guidacciaro, Busta 182 prot. 802, ff. 57v-59v.

[xlii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 78 prot. 286, ff. 173-176.

[xliii] ASCZ, Notaio Ignoto Policastro, Busta 81 ff. 37-40.

[xliv] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 78 prot. 291, ff. 84-85v.

[xlv] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 79 prot. 293, ff. 27v-31v.

[xlvi] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 79 prot. 294, ff. 76-77.

[xlvii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 80 prot. 301, ff. 64v-65.

[xlviii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 80 prot. 302, ff. 54-56v.

[xlix] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 79 prot. 294, ff. 75-76.

[l] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 80 prot. 301, ff. 149v-151.

[li] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 80 prot. 305, ff. 37v-38v.

[lii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 80 prot. 305, ff. 63-63v.

[liii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 80 prot. 306, ff. 42-43v.

[liv] ASCZ, Notaio G. M. Guidacciaro, Busta 182 prot. 806, ff. 11v-16.

[lv] ASCZ, Notaio G. M. Guidacciaro, Busta 182 prot. 806, ff. 95-96.

[lvi] Mannarino F. A., Cronica della Celebre ed Antica Petilia detta oggi Policastro, 1721-1723.

[lvii] ASN, Regia Camera della Sommaria, Patrimonio Catasti Onciari, busta n. 6991, f. 189v.

[lviii] ASN, Regia Camera della Sommaria, Patrimonio Catasti Onciari, busta n. 6991, ff. 97-97v

[lix] ASN, Regia Camera della Sommaria, Patrimonio Catasti Onciari, busta n. 6991, f. 170.

[lx] ASN, Regia Camera della Sommaria, Patrimonio Catasti Onciari, busta n. 6991, f. 75.

[lxi] ASN, Regia Camera della Sommaria, Patrimonio Catasti Onciari, busta n. 6991, f. 76.

[lxii] ASN, Regia Camera della Sommaria, Patrimonio Catasti Onciari, busta n. 6991, ff. 26 e 150.

[lxiii] ASN, Regia Camera della Sommaria, Patrimonio Catasti Onciari, busta n. 6991, ff. 19 e 128v-129.

[lxiv] AAASS, Fondo Arcivescovile, volume 72A.

[lxv] Mannarino F. A., Cronica della Celebre ed Antica Petilia detta oggi Policastro, 1721-1723.

[lxvi] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 78 prot. 291, ff. 7v-8; Notaio G. M. Guidacciaro, Busta 182 prot. 801, ff. 38v-39v.

[lxvii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 78 prot. 288, ff. 3-4, 18v-19v, 99v-100v, 100v-101; prot. 289, ff. 28-29, 35v-36v; prot. 290, ff. 65v-66, 95v-97, 134v-135v; prot. 291, ff. 7v-8, 39-40; prot. 292, ff. 58-58v; Busta 79 prot. 293, ff. 14v-15, ff. 15-16; prot. 294, ff. 11v-12, ff. 108v-109; prot. 296, ff. 105-106; prot. 297, ff. 1-1v; prot. 298, ff. 7v-8v, 79v-80v; prot. 299, ff. 82v-83v; prot. 300, ff. 11-12; 12-013; Busta 80 prot. 303, ff. 5-5v; prot. 304 ff. 43v-44v; prot. 305 ff. 15-16.

[lxviii] ASCZ, Notaio G. M. Guidacciaro, Busta 182 prot. 801, ff. 94v-96 e prot. 804, ff. 75-77v.

[lxix] ASCZ, Notaio G. M. Guidacciaro, Busta 182 prot. 804, ff. 31-35v.

[lxx] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 78 prot. 290, ff. 21-22v.

[lxxi] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 79 prot. 294, ff. 73-75.

[lxxii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 80 prot. 302, ff. 54-56v.

[lxxiii] ASCZ, Notaio G. M. Guidacciaro, Busta 182 prot. 801, ff. 38v-39v.

[lxxiv] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 78 prot. 288, ff. 112v-113.

[lxxv] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 80 prot. 306, ff. 5-8.

[lxxvi] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 78 prot. 290, ff. 49-50v e ff. 143v-144v; Busta 79 prot. 296, ff. 35-36; Busta 79 prot. 299, ff. 54v-55v.

[lxxvii] ASCZ, Notaio G. M. Guidacciaro, Busta 182 prot. 803, ff. 53-54v.

[lxxviii] Mannarino F. A., Cronica della Celebre ed Antica Petilia detta oggi Policastro, 1721-1723.

[lxxix] AASS, Fondo Capitolare, cartella 4D, fasc. 3.

[lxxx] Russo F., Regesto Vaticano per la Calabria, XI, 59996.

[lxxxi] Russo F., Regesto Vaticano per la Calabria, XI, 60199.

[lxxxii] AASS, Fondo Arcivescovile, cartella 24B fasc. 3.

[lxxxiii] AASS, Fondo Arcivescovile, cartella 24B fasc. 3.

[lxxxiv] ASCZ, Atti dei notai G. B. Guidacciaro, G. M. Guidacciaro e F. Cerantonio.

[lxxxv] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 79 prot. 297, ff. 183v-184v; Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 879, ff. 133v-134.

[lxxxvi] ASN, Regia Camera della Sommaria, Patrimonio Catasti Onciari, busta n. 6991, ff. 9v-10v; 80-80v; 91v-92; 139v-140v; 149v-150; 162; 170-170v; 210-210v.

[lxxxvii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 79 prot. 297, ff. 166-167v.

[lxxxviii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 80 prot. 307, ff. 43-44v.

[lxxxix] ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 877, ff. 7-7v.

[xc] ASN, Regia Camera della Sommaria, Patrimonio Catasti Onciari, busta n. 6991, f. 10v.

[xci] ASN, Regia Camera della Sommaria, Patrimonio Catasti Onciari, busta n. 6991, f. 149v.

[xcii] ASN, Regia Camera della Sommaria, Patrimonio Catasti Onciari, busta n. 6991, f. 162.

[xciii] ASN, Regia Camera della Sommaria, Patrimonio Catasti Onciari, busta n. 6991, f. 170.

[xciv] ASN, Regia Camera della Sommaria, Patrimonio Catasti Onciari, busta n. 6991, f. 210v.

[xcv] ASN, Regia Camera della Sommaria, Patrimonio Catasti Onciari, busta n. 6991, f. 80.

[xcvi] AASS, Fondo Arcivescovile, cartella 24B fasc. 3.

[xcvii] AASS, Fondo Arcivescovile, cartella 24B fasc. 3.

[xcviii] Mannarino F. A., Cronica della Celebre ed Antica Petilia detta oggi Policastro, 1721-1723.

[xcix] AASS, Fondo Arcivescovile, cartella 24B fasc. 3.

[c] AASS, Fondo Arcivescovile, volume 72A.

[ci] AASS, Fondo Arcivescovile, volume 72A.

[cii] AASS, Fondo Arcivescovile, volume 82A.

[ciii] AASS, Fondo Arcivescovile, cartella 24B fasc. 3.

[civ] AASS, Fondo Arcivescovile, volume 72A.

[cv] ASV, Rel. Lim. S. Severina, 1765.

[cvi] ASN, fondo Cappellano Maggiore.

[cvii] Vivenzio, G., Istoria e Teoria de Tremuoti in generale ed in particolare di quelli della Calabria e di Messina del 1783, Napoli 1783.

[cviii] AAASS, Fondo Arcivescovile, volume 86A.

[cix] ASN, Suprema Giunta di Corrispondenza con quella della Cassa Sacra di Catanzaro.

[cx] AASS, Fondo Arcivescovile, cartella 24B fasc. 2.

[cxi] Sisca D., Petilia Policastro, 1964 rist. 1996, p. 251.

[cxii] Sisca D., Petilia Policastro, 1964 rist. 1996, pp. 251-252.

[cxiii] Mannarino F. A., Cronica della Celebre ed Antica Petilia detta oggi Policastro, 1721-1723.


Creato il 25 Febbraio 2015. Ultima modifica: 30 Agosto 2024.

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