La chiesa di S. Pancrazio e quelle di S. Giuseppe e dell’Udienza o Immacolata Concezione di Santa Severina
L’esistenza di una chiesa parrocchiale dedicata a San Brancati o Pancrazio nella città di Santa Severina, è documentata nella prima parte del Cinquecento. In un atto del 1521 “donna isolda de baccario vidua quondam romani de baccario de s.ta severina”, oltre ad alcune terre, donava al capitolo “duas domos terraneas unam alteram vero palatiatam sitas et positas intus dictam Civi.tem in parochia s.ti brancatii jux.a suos fines videlicet ab uno latere est domus heredis pauli sfalanghae in uno muro Comune jux.a domum aliam dictae donatricis iux.a viam pub.cam a p.te superiori iux.a alios fines (…)”.[i]
Sempre relativamente allo stesso periodo, attraverso la Reintegra dei feudi di Andrea Carrafa compilata dal giustiziere Francesco Jasio di Taverna nel 1521, siamo informati dei censi che il conte riscuoteva nell’ambito della città e del territorio di Santa Severina. Tra questi figurano quello relativo alla “domus palatiata” di Nicola Carnopolis e di suo fratello posta “in Parochia s.ti Branchati”, confinante con la domus di suo fratello e la via pubblica,[ii] e quello relativo al casalino del notaro Matteo Cirigiorgio posto “in parochia s.ti Branchati”, che confinava con la domus di donno Francesco Carnopolis, il casalino di Giovanni Novellise e la via pubblica.[iii]
A quel tempo, le parrocchie cittadine, originariamente suddivise per famiglie, avevano già acquisito un loro preciso ambito territoriale. Quello di S.to Pancrazio coinvolgeva l’area posta lungo la via d’accesso alla città proveniente da mezzogiorno, e si estendeva anche al di fuori dell’antico perimetro murato della città medievale, come giustificano i pagamenti dovuti al feudatario.
Questo tessuto urbano, assieme a quello di altre parrocchie vicine, come SS. Filippo e Jacobo, e Sant’Angelo, subì notevoli trasformazioni in occasione della costruzione del nuovo castello ad opera di Andrea Carrafa, al tempo in cui il conte assunse la luogotenenza del regno di Napoli, sostituendo il viceré Carlo di Lannoy partito per la guerra in Lombardia (1522-1524).
In tale occasione, in relazione all’esigenza militare di creare un’area aperta antistante il nuovo castello, in maniera da facilitare il tiro delle sue artiglierie contro la città in caso di una rivolta, si procedette all’abbattimento di molte case e botteghe poste nelle sue vicinanze, interessando il territorio parrocchiale di San Pancrazio. Le demolizioni furono talmente estese, da ridurre così tanto le entrate della parrocchiale, che quest’ultima divenne impossibilitata a versare le decime dovute alla Santa Sede.
La situazione è sottolineata da una sentenza del 29 marzo 1534, emessa in favore del R.do Capitolo di Santa Severina da parte dei subcollettori e commissari apostolici delle decime, Nicolaus de Lutiis di Bisignano e Donnus Nicolaus de Sproveriis, agenti su mandato del nunzio apostolico e collettore generale, il R.mo Donno Fabius Arcella di Bisignano.
Nella sentenza riguardante il pagamento delle decime relative ai benefici semplici delle cappelle o chiese curate di “s.to philippo et Jacobo, s.to branchatio e s.to loysio de Cava”, nonchè degli oratori esistenti nella cattedrale di “s.to mathia, s.to her.mo, s.to Bartolomeo, s.to leonardo et sancto antonio”, si riferisce che in città non esisteva un beneficio o chiesa di S.to Luigi di Cava “Cuius noticia in dicta civitate non habent”, e che in diversi casi, le entrate delle cappelle e degli oratori erano carenti perché molte case e botteghe in loro possesso erano state demolite “prope Castrum”.[iv]
La situazione di grave difficoltà della parrocchiale ed il suo stato di estrema povertà, ci è testimoniato anche in occasione della visita condotta dal vicario arcivescovile nel 1559. In quella occasione, la chiesa di “S.to Brancati” o “S.to Pancratio”, appartenente alla Mensa Arcivescovile, di cui era Cappellano donno Matteo Castania, possedeva un vignale posto di fronte le vigne di mastro Antonello Ysolfo che rendeva un carlino l’anno, e manteneva ancora il diritto di decima, benché da poco non avesse più alcun parrocchiano.
Il suo altare era corredato da tre tovaglie, una coperta di tela, un ante altare, due “plumacios” ed altri vecchi, un vestimento sacerdotale completo, due candelabri lignei, due orcioli di peltro, un calice di peltro con patena e corporali, un missale, un manuale vecchio, un campanello, un’arca piccola di cipresso dove si conservano “extergituris et corporalibus”, un “baptisterum”, una lampada, una coperta vecchia di tela, una immagine di carta del Crocifisso ed altri Santi, venti tovaglie tra vecchie e nuove, un ante altare vecchio, una coperta di tela nera, una casula di tela nera, una arca vecchia per conservare i detti beni, ed una campana. Constatatone lo stato di povertà, il Vicario raccomandò al Cappellano di tenere ben conservati i pochi beni della chiesa senza ingiungere altro.[v]
I censi
Seppure queste notizie evidenzino, in pratica, il venir meno della parrocchiale, l’esistenza dell’ambito parrocchiale di San Pancrazio e la presenza di alcuni suoi parrocchiani si registra ancora nella seconda metà del Cinquecento, come ci testimoniano i documenti relativi ai censi di Santa Anastasia e del Capitolo.[vi]
1564-65: la casa di mastro Andrea Novellise confina con la casa di Antonio Pancali. 1568: la casa di mastro Andrea Novellise dove abita. 1576: La casa palaziata di mastro Andrea Novellise posta in parrocchia di San Brancati, confina con la casa dotale del notaro Gio. Francesco Infantino, la casa di messer Agostino Pancali “stritto mediante”, la vinella di Minico Pancali e la via pubblica. 1582: casa dell’erede di mastro Andrea Novellise dove abita.
1563: la casa del Capitolo che teneva donno Vittorio Sfalanga e che fu di donno Luciano Guercio in parrocchia di San Brancati è data a censo enfiteutico a donno Mario Garzaniti. s.d.: la casa di Minico Pancali in parrocchia di San Brancati che fu di Luciano Guercio.
1580: La casa in parrocchia di San Brancati dell’erede di Ferrante Carnopoli, confina con il casalino di D. Fabio Pancali e sotto le case della Corte.
1571: il palazzetto del q.o donno Francesco Balbina lasciato da questi alla cappella del SS.mo Sacramento che lo censuò a donno Minico Cavallo, confina con la via pubblica, le case del q.o Luca Antonio Iaquinta e le case che furono del q.o Angelo de Luca vinella mediante.
1580: casa alla cappella di San Brancati di donno Minico Cavallo, confina con la casa di Cesare Russo che fu di Aurelia la mammana, la casa terranea che tiene Pietro Capana e la via pubblica.
1580: casa alla parrocchia di San Brancati di D. Giulio Classidonti, confina con la casa di Giovanna Creatura, i casalini di esso Giulio, la casa dell’erede di Nicola Cavallo.
La riduzione delle parrocchie
Con il progressivo impoverimento della città alcune parrocchiali vennero meno e furono aggregate, così il loro numero si ridusse da undici a sette. La relazione vescovile del 1589, come quella relativa al triennio precedente, sottolinea tale situazione: “Le chiese parochiali nella città erano molte, ma per la loro povertà alcune ne furono unite insieme, e ridotte a sette, e da due infuori, quali hanno qualche poca rendita certa, tutti si mantengono con poche decime, et elemosine”.[vii]
San Pancrazio fu aggregata alla parrocchia di Santa Maria del Pozzo e, con il venir meno del titolo parrocchiale, il suo edificio andò in abbandono. Ne abbiamo notizia attraverso la supplica presentata all’arcivescovo il 17 marzo 1637 da parte del sacerdote di Santa Severina D. Gregorio Orlandi, con la quale questi chiedeva l’erezione della nuova cappellania di San Giuseppe nell’unico altare della chiesa di San Pancrazio e lo juspatronato per sé ed i propri eredi.
Egli si impegnava ad adornare il suddetto altare con “due statue benedette di stucco una di S. Giuseppe sposo di n(ost)ra Sig.ra e l’altro di S. Antonio di Padue”, riproponendosi di riparare l’edificio “perché hà trovato la chiesa del titolo di S. Pancratio sita dentro la Parocchia di Santa Maria del Pozzo senza tetto e senza porta di legno e senza fenestra di legno che in breve tempo potrebbe rovinare”, utilizzando “l’elemosine che s’ha ferma speranza che s’offeriranno alle medesime statue per la molta devotione della Città verso li sodetti Santi”.
A quel tempo l’edificio sacro che ospitava la parrocchiale soppressa, era articolato in due distinti membri. Una “parte e membro superiore” costituito dalla “Chiesa di S. Pancratio”, che si trovava “sopra la parte et il corpo inferiore dedicato all’immaculata Concettione e S. Thomaso Cantuariense”.
Al fine di garantirsi da possibili conflitti di giurisdizione con “il Parocho di S. Maria del Pozzo”, qualora questi avesse deciso di “esercitare la Cura Parocchiale nella Chiesa di S. Pancratio”, tra le clausole elencate nella sua supplica, D. Gregorio Orlandi stabiliva che “le due statue come di sop.a non s’habbiano à rimovere dall’Altare che si ritrova unico nella tribona sotto la cupola di d.a Chiesa mà la Cappellania sempre resti fondata sotto il titolo di S. Giuseppe nel detto unico altare nel q(ua)le in questo caso siano due distinti benefitii cioe il Parocchiale e Cappellania e l’offerte elemosine legati e tutte altre pie dispositioni che con il progresso del tempo si facessero alle due statue vadano ad utile e benefitio della Cappellania senza haverne a participare il Parocho”.
Effettuata la visita della chiesa ed ascoltato il “R.s Procuratore mensae Archiep(iscopa)lis et R.s Canonico Francisco Antonio Mancusio Vicario seu Commendatario Parocchialis Ecclesiae tituli Sanctae Mariae de Puteo”, il vicaro generale Joseph de Valle, fatti salvi i diritti della Mensa e quelli parrocchiali, concesse il beneficio.[viii]
Le condizioni poste dall’Orlando trovarono in seguito applicazione. Il 29 settembre 1680, il “Rev.s Praesbytero Petro Tigani Can.co Metropolitanae Ecclesiae”, essendo vacante la “Cappellania sub tit.o S.ti Joseph per obitum Praesbyteri Jo(an)nis Berardini Lauretta”, che ne era stato “Cappellani sive Rectoris”, l’arcivescovo Carlo Berlingeri ne insigniva il “Rev.s Praesbytero Petro Tigani Can.co Metropolitanae Ecclesiae”, “Quae quidem Cappellania fuit erecta à q.m Gregorio de Orlando cum reservationis Iuris patronatus ad sui suocumque heredum favorem toties quotiens Casus vocationis occurrerit”.[ix]
Sempre per quanto riguarda la seconda metà del Seicento, la chiesa di San Giuseppe e quella dell’Immacolata Concezione, sono segnalate nell’apprezzo della città del 1653 ed in quello del 1687. Entrambe sono descritte come appartenenti all’ambito del quartiere della città detto “Pizzileo” ed a quello parrocchiale di Santa Maria del Pozzo: “Nel quartiero detto Pizzileo sotto il Castello vi è la chiesa Parrocchiale sotto tit.o di Santa m.a dell Puzzo (…). In detto quartiero vi è la chiesa di Santo Giuseppe e … dove si celebrano due messe la settimana sotto di essa nel piano inferiore e un’altra Chiesa detta Congettione nella quale si celebra a devozione …”.[x] La presenza della “Chiesa di S. Giuseppe” è registrata anche nell’Apprezzo del 1687,[xi] mentre la sua ubicazione (“3 S. Giuseppe”) si rileva nella incisione intitolata “Veduta Occidentale della Città di S. Severina” contenuta nell’opera del Pacichelli (fine sec. XVII – inizio sec. XVIII).
Per quanto riguarda la chiesa dell’Immacolata Concezione, si evidenzia che la sua importanza era legata alla presenza della omonima congregazione, da cui derivava il titolo con il quale era volgarmente appellata. Questa raccoglieva numerosi confratelli come ci descrive l’apprezzo del 1687: “Avanti a detto largo (il Campo) vi è una Chiesa detta la Congregazione della Concezione coperta a lamia con un altare con l’immagine della Cena di Nostro Signore. Si mantiene detta chiesa con l’elemosine, e tra Confrati e Fratelli sono numero cinquanta; tiene di capitale doc. 200, cioè 100 di censi sopra li beni stabili; e cento altri sopra territori, che si affittano; tiene una campanella piccola, una fonte di marmo, una immagine della S.ma Concezione e li stipi per tenere li suppellettili e le spalliere, che servono per comodità dè Fratelli.”[xii]
Poco tempo dopo, l’undici maggio 1695, il duca di Santa Severina Antonio Gruther, chiedeva all’arcivescovo la possibilità di erigere la “Cappellaniam in tit. perpetui semplicis Beneficii Ecc.ci sub invocat.e Immaculatae Concept.nis intus Aediculam et Altare SS.mae Virg.s de Audentia sive Immac. Concept.nis B. M. V. subtus Ecc.a S. Iosephi in hoc Civit.e S. S(everi)nae”. La chiesa, che nel passato si era retta solo attraverso le elemosine, con l’erezione della nuova cappellania, fu dotata da parte del duca con 50 ducati annui con il peso di una messa la settimana sopra le entrate del suo corso di Paganò. Lo stesso duca che ne ebbe lo juspatronato, chiedeva all’arcivescovo di poter scegliere il rettore della cappella solo tra membri della sua famiglia, anche in deroga ai limiti di età imposti dal Concilio di Trento.
“Ill.mo et R.mo Sig.re Gio Vincenzo Infusino Arcid.o della / Metrop.na Chiesa di q(ue)sta Città di S.ta S(everi)na Proc.re dell’Ecc.mo S.r D. Ant.o Gruther / Duca di d.a Città e suo stato di S.ta S(everi)na come dal mand.to di Procura che / prontam.e esibisce supplicando rappresenta a V. S. Ill.ma come il d.o S.re Duca / suo principale intende fondare un perpetuo semplice benef.o Ecc.co / sotto l’invocazione della SS.ma Concett.ne della B. M. Semp.e Verg.e nella … antica Capp.a chiamata dell’Audienza, seu della Concett.ne, constructa / sotto la Chiesa di S. Iosep.e della Città di S.ta S(everi)na con pacto d’una messa / in ciaschedun giorno del Sab.o d’ogni settimana d’applicarsi / in vita di d.o S.r Duca secondo la di lui intent.ne, e dopo la di lui / Morte per suffrag.o della di lui an(im)a suoi her. et succ.ri e di dotare / il d.o Benef.o in annui duc.ti cinq.ta sop.a li primi migliori frutti / e vendite del territ.o seu cabella del Curso chiamato di Paganò sito / nel distretto e pertinenze di d.a Città di S. S(everi)na che ascendono ad’ / annui d.ti cento cinq.ta in circa, et in difesa di q(ue)lli sop.a tutti l’altri / beni burgensatici posseduti per d.o S.r Duca nello stato pred.o di S. S(everi)na / colla … non di meno di jurepatronato e di poter lui, suoi / her. et success.ri in perpetuo presentare, tante volte per quante / occorrerà il caso di vacanza con condit.ne però, di … da esso / S.r Duca suoi her. et success.ri in perpetuo saranno nominate / o p(rese)ntate per Rettori di d.o Benef.o p(er)sone della sua famiglia / Gruther, vuole che possono presentarsi, et ottenere d.o Benef.o / benche alcuni di essi nominati non fusser d’età d’anni quattordici / richiesta dal S. C. di Trento ma che basti che q(ue)lli siano di p.ma Tonsura, o almeno habili a poter essere ammessi alla p.ma Ton / sura Chiericale per potersi anche presentare; et ordinati che saranno instituiti al d.o Benef.o attesso esso S.r Duca fondatore / come P(atro)ne della sua robba intende impiegarla à d.o uso Pio, / e con q(ue)sta legge, e non altrim.e erigere d.o Benef.io Iuspatro / nato. Vuole di più esso S.r Duca fondat.re che li … Rettori seu / Beneficiati che d.a Capp.a siano solam.e obligati di celebrare ò far / celebrare la messa il soprad.o giorno di sab.o nella d.a Capp.a / secondo l’intent.ne di esso S.r Duca in vita sua e dopo sua / Morte per suffrag.o della sua an(im)a e di suoi her. e success.ri, e che / sia oblig.to il Rettore pro tempore di presentare o di far presenta / re una torcietta bianca di peso di tre libre per il Ius di / Cathedratico Synodatico, et ogni altro per qualsiv.a legge ragg.ne / ò consuetud.e si deve anco in conformità del S. C. et Ap.che / ordinat.ne all’Ordinario del luogo con tutte l’altre condit.ni / e riserve apposte nell’istrum.to prontam.te esibisce d.o oratore et / al med.o istrum.to in tutto s’habbi relat.ne senza derogarsi ò / condit.ne alcuna in d.o istrum.to prescritta et ordinata, et / non altrim.e che però l’orat.re supp.ca V. S. Ill.a à nome e / parti di d.o S.r Duca suo p(ri)ncipale, à degnarsi colla sua ordinata / autorità la p(rede)tta cappellania in tit.o di perpetuo semplice / Benef.o Ecc.co ordinare et erigere, affinche … eretta et ordinata / pone d.o S.r Duca nominare, e presentare il Rettore / diversi … instituito da V.S. Ill.a, et al di lui favore spedirsi / le Bolle, che il tutto l’haverà a gr(ati)a. Die 11 m. Maij 1695”. Inoltre si aggiungeva: “vuole esso S.r Duca fundat.re / che il d.o Beneficiato o Rett.re pro temp.re non sia soggetto a spoglio ne sus / sidio caritativo, atteso con q(ue)sta espressa legge ha fatto e fundato il d.o Iuspa / tronato ò Benef.o semplice, et v(uo)le … nec alio modo.”[xiii]
Il Settecento
All’inizio del Settecento, al tempo dell’arcivescovo Nicolò Pisanelli (1719-1731), all’interno delle mura di Santa Severina vi erano quattro parrocchie, ognuna con il suo ambito ma con poche rendite, per cui spesso erano senza curato. Tra queste, la chiesa parrocchiale dedicata a Santa Maria del Pozzo era senza parroco da oltre trenta anni e perciò era amministrata da un economo. Poiché sia i parroci che i parrocchiani erano poveri, l’arcivescovo pregava la Sacra Congregazione di dargli il permesso di unirne alcune e di utilizzare dei semplici benefici vacanti, per incrementare le rendite delle chiese parrocchiali.[xiv]
Permesso che evidentemente fu concesso. Pochi anni dopo, infatti, l’arcivescovo Aloisio D’Alessandro (1732-1743), affermava che, oltre alla metropolitana, erano rimaste solo due chiese parrocchiali: San Nicola vescovo di Mira e Santa Maria la Magna, detta anche Santa Maria in Cielo Assunta.[xv] La cura della parrocchiale di Santa Maria del Pozzo, detta volgarmente “di Pizzoleo”, era infatti stata unita a quella di Santa Maria la Magna.
Dopo tale aggregazione anche il beneficio di S. Giuseppe passò ad appartenere alla parrocchiale di Santa Maria Magna. Poco dopo la metà del Settecento, nella descrizione della chiesa parrocchiale di “Sanctae Mariae in Caelum assumptae”, volgarmente detta “La magna”, retta dal parroco Carmine Benincasa, ritroviamo la presenza dell’altare di San Giuseppe che risultava in situazione molto precaria, essendo senza rendite ed affidato ad un procuratore: “Altare etiam adest S. Iosephi absque redditibus, de oneribus, et manutenetur per Procuratorem.”[xvi]
Diversa appare la situazione attraverso i dati del catasto onciario cittadino del 1743.[xvii] In questo caso la chiesa di San Giuseppe risultava ancora avere alcune rendite, a cominciare da un censo enfiteutico di ducati 1.60 che pagava proprio il parroco D. Carmine Benincasa di anni 35. Le altre entrate erano costituite da un censo di ducati 1.60 che pagava il barbiere Agostino Cappa di anni 46 per la casa di sua abitazione, quello di 1 ducato che pagava il Convento di San Domenico, ed il censo bullare di ducati 7 che pagava D. Pier Mattia Greuther principe e duca della città. Quest’ultimo censo si rileva ancora nel catasto del 1785,[xviii] dove si specifica che esso si trovava infisso sopra le terre di “Favatum”.
Sempre dal catasto del 1743, si rileva che il sacerdote D. Gio Vincenzo Aversa, possedeva il beneficio sotto il titolo di Santa Maria dell’Udienza, da cui ricavava annualmente ducati 50 che pagava la Camera Ducale e che, sempre relativamente allo stesso beneficio, la Mensa Arcivescovile riceveva duc. 1.20 a titolo di Cattedratico.
La situazione è evidenziata anche dalla relazione vescovile del 1765 dove si riferisce: “Ecclesia B.M.V. de Audientia de Iurepatronatus Ill(ust)ris Ducis Sanctae Severinae, adest in ea Beneficium de eodem jurepatronatus, quod regitur per R(everen)dum D. Joannem Vincentium Aversa Beneficiatum, qui sustinet onus missae unius quolibet die sabbati.” Nella stessa relazione si riferisce anche in merito alla chiesa della Concezione, le cui rendite si ritrovavano annesse all’Ospedale: “Ecclesia Immaculatae Conceptionis B.M.V. cum onere Missarum quatuor in quolibet hebdomada. Regitur per Procuratorem Seminarij, cui reperitur unita una cum Hospitali adnexo eidam Ecclesiae”.[xix] L’esistenza del beneficio di Santa Maria dell’Udienza, che possiede alcuni beni nel territorio di Santa Severina, si riscontra ancora nel catasto cittadino del 1785.
Seppure lo stato di generale precarietà delle chiese cittadine perdurerà, la presenza della chiesa di San Giuseppe, e di quelle di Santa Maria del Pozzo e della Immacolata Concezione, si rileva ancora alla fine del Settecento. Esse sono menzionate in un documento del 1797 che elenca le Stazioni delle Rogazioni: una processione articolata in tre giorni, durante la quale il Capitolo Metropolitano percorreva un itinerario che toccava tutte le chiese cittadine, cantando le antifone e le orazioni liturgiche e commemorando il santo cui era dedicata ogni chiesa. Relativamente alla “Fer. II Prima die Rogation.”, la visita risultava articolata secondo la sequenza: “In Eccl. S. Ioseph: ant. Ioseph fili etc. – In Ecc.l S. Mariae de Puteo: ant. Regina etc. – In Eccl. Immac. Concept.: ant. Gloriosae etc.”.[xx]
La leggenda del Pozzolio
Con l’accrescersi di un interesse teso a valorizzare i monumenti e le scoperte, gli edifici di Santa Severina che si riteneva fossero i più antichi e pregevoli, si arricchirono di una nuova storia, diversa da quella che, invece, gli era stata propria. L’abbandono e le trasformazioni che avevano subìto molti di essi favorirono questo tipo di ricostruzione. È il caso anche dell’edificio in questione che, ad un certo punto, troviamo indicato come “di Pozzolio”, “di Pozzoleo” o “di Puzzuleo”, sotto il titolo di Santa Filomena e di Santa Maria del Pozzo, come testimonierà sul finire degli anni Venti l’archeologo trentino Paolo Orsi, producendo una corposa pubblicazione riguardante i monumenti bizantini della Calabria.[xxi]
Mentre il Bertaux, più prudentemente, aveva ritenuto l’edificio appartenere al sec. XIV, l’Orsi invece, lo riconobbe riconducibile al periodo Bizantino-Normanno, descrivendolo in questo modo: “Dopo del Battistero il monumento meglio conservato della città è la chiesetta di Pozzolìo, sovrastante al quartiere della Grecìa. (…) Essa consta di due piani o corpi; quello superiore dedicato a S. Filomena, e quello inferiore a S. Maria del Pozzo, per certa leggenda di una cisterna antichissima (…) Secondo la tradizione popolare antichissima, un ragazzo cadde nella cisterna; la gente accorsa lo trovò incolume, ed egli asseriva, che una donna lo aveva sorretto nelle braccia. Ma invece della donna fu trovato nella cisterna un quadro miracoloso della Vergine, che venne trionfalmente portato alla Matrice. Ma poiché esso ritornò di là nella cisterna, si comprese il volere divino, e vi si costruì al di sopra l’attuale chiesetta.” Anche secondo altre versioni di questa leggenda, il bambino caduto nel pozzo sottostante la propria casa, fu tratto in salvo dopo essere stato ritrovato a cavalcioni di un quadro della Madonna. In questo caso, dopo la morte della madre “una tal Filomena”, la sua casa sarebbe divenuta la chiesa omonima.[xxii]
Attorno a tale leggenda ruotano tutti gli elementi della ricostruzione. Essa si basa su una prima ed errata interpretazione della struttura dell’edificio da parte dello stesso Orsi, che così continua a descriverlo: “La chiesa inferiore con volta a botte, (…) nulla presenta di particolare tranne un’apertura nella volta, comunicante colla superiore, e che ha dato origine alla leggenda. Cert’è, che questo ambiente non ebbe affatto in origine destinazione di chiesa”. Egli rilevava comunque che “Nella chiesetta inferiore si conserva una piccola pila d’acqua santa in marmo, pario, con foglie grasse accartocciate sorretta da pilastrino ottagonale …”. Secondo il prof. Agati citato dallo stesso Orsi, l’ambiente in questione sarebbe stato “una cripta ad uso dei nobili normanni dell’attiguo castello” (!), mentre l’archeologo era più propenso a pensare “ad un grande serbatoio (…) ciò che sembra anche giustificato dalla porta tutta moderna, mentre l’apertura nel soffitto è così angusta, che basta appena per il passaggio di un secchio, non per quello di cadaveri.”
L’ipotesi relativa alla presenza di una cisterna o pozzo sotto la chiesa, formulata in un primo momento dall’Orsi, fu in seguito smentita dallo stesso archeologo. In un post scriptum aggiunto al suo volume “già in parte stampato”, a seguito di una “nota” relativa ai lavori eseguiti nella chiesa dall’ing. Pietro Lojacono della Soprintendenza, egli corresse la sua tesi originaria, in quanto, evidentemente, i particolari costruttivi di tale ambiente, messi in luce durante i detti lavori, identificavano inequivocabilmente, che ci si trovava in presenza di un edificio sacro e non di una cisterna.
In questo modo egli si esprime: “La leggenda del pozzo, cui dette luogo la botola di comunicazione tra la chiesa superiore e la inferiore – botola che io penso fosse stata aperta quando quest’ultimo ambiente, secondo la tradizione, fu trasformato in cisterna – sfuma allorchè si esaminano i particolari costruttivi della “cripta” (essa non è veramente tale, essendo bene illuminata dalla parte della valle, ma chiamiamola così tanto per intenderci). Il vano inferiore della chiesa ripete sostanzialmente lo schema dell’ambiente superiore: cioè un’unica navata ricoperta da volta a botte di muratura mista, nettamente divisa dal presbiterio mediante un angusto arco (ora deformato ed in parte asportato) come nel piano superiore. L’ingresso era costituito da una porticina a sesto acuto poco accentuato con stipidi e ghiera di conci tufacei dal lato della valle (…). Inoltre esisteva un’altra porta in tutto simile a questa, ma più spaziosa, nella testata dell’edificio.”
L’Orsi riferiva inoltre, che “Tali accessi originari sono stati riaperti e verranno ripristinati” e che saranno ripristinate “le due strette finestrine arcuate, a foggia di feritoie con larghi sguanci verso l’interno …”, nonché un “semplice altare lapideo” “addossato all’absidiola centrale, che discende sino alla radice dell’edificio”.
Oltre che sulle caratteristiche strutturali dell’edificio, l’errata ricostruzione dell’Orsi poggiava anche su un secondo elemento che sembrava adattarsi molto bene all’edificio in questione. Si tratta del toponimo riguardante il luogo: “Pozzolio”, che sembra richiamare il titolo della chiesa parrocchiale di Santa Maria “del Pozzo”, nel cui ambito territoriale il luogo era ricaduto nel passato.
A tale riguardo c’è da dire che il titolo della chiesa parrocchiale di Santa Maria “del Pozzo”, “del Puzzo”, “de Puteo” o “de Puccio”, non trova alcuna corrispondenza con il toponimo che identifica il luogo o “Timpa” di “Piccileo”. Quest’ultimo si ritrova nei documenti nelle forme: “pizileo”, “Pizileonis”, “Piccileo”, “Pizzileo”, “Piczileo”, “Pizzoleo” “appizileo”, “piczeleo”, ed ha un riferimento onomastico. Corrisponde invece a verità che il luogo detto “Piccileo” ricadesse nell’ambito territoriale della parrocchia di Santa Maria del Pozzo, e che questa chiesa fosse conosciuta come “di Piccileo”. Il fatto che nello stesso ambito o quartiere detto “Piccileo” ricadessero anche la chiese di San Giuseppe e quella dell’Immacolata Concezione, e la loro vicinanza, consentì che si giungesse ad una errata ricostruzione, che potette giovarsi anche dell’autorevolezza di Paolo Orsi.
Quest’ultima, evidentemente, suggestionò anche il compilatore della scheda ministeriale redatta negli anni immediatamente precedenti il secondo conflitto mondiale, che così riferisce: “Chiesa di Pozzoleo (o detta di S. Filomena) in via Pozzoleo, fondazione originaria normanna, soccorso (antico pozzo ?), alzata a pianta longitudinale, con abside bizantineggiante, cupola con alto tamburo a vista decorato di arcate e colonnine, portale ad archi acuti, limato e scolpito in tufo, finestra profilata di tufo con colonnina, avanzo di altra finestra (sec. XII – XIII) proprietà ecclesiastica.”[xxiii]
Note
[i] AASS, Pergamena n. 80.
[ii] AASS, Vol. 1A, f. 32v.
[iii] AASS, Vol. 1A, f. 29.
[iv] AASS, Fondo Capitolare, Cartella 1D.
[v] AASS, Cartella 16B.
[vi] AASS, Fondo Arciv., Vol. 3A, 4A, 5A; Cart. 13B; Fondo Capit. Cart. 1D.
[vii] Relatione dello stato della chiesa metropolitana di Santa Severina, S.cta Severina 22 martii 1589.
[viii] AASS, Fondo Capitolare, Cart. 4D fasc. 3.
[ix] AASS, Fondo capitolare, Cart. 4D fasc. 3.
[x] AASS, Apprezzo 1653, Vol. 31 A.
[xi] Scalise G. B. (a cura di), Siberene Cronaca del Passato, p. 110.
[xii] Scalise G. B. (a cura di), Siberene Cronaca del Passato, p. 99.
[xiii] AASS, Fondo Capitolare Cartella 4D, fasc. 3.
[xiv] ASV, Rel. Lim. S. Severina, 1725.
[xv] ASV, Rel. Lim. S. Severina., 1735.
[xvi] ASV, Rel. Lim. S. Severina, 1765.
[xvii] ASN, Regia Camera della Somm., Patr. Catasti onciari, 1743, Busta n. 7009.
[xviii] ASN, Regia Camera della Somm., Patr. Catasti onciari, 1785, Busta n. 7009.
[xix] ASV, Rel. Lim. S. Severina, 1765.
[xx] Scalise G. B. (a cura di), Siberene Cronaca del Passato, p. 199.
[xxi] Orsi P., Le Chiese Basiliane della Calabria, VII Siberene – S. Severina, pp. 190-239, Vallecchi Ed. Firenze 1929.
[xxii] De Luca F., Da Siberene a Santa Severina, 1997.
[xxiii] Min. Ed. Naz. 1938, p. 53.
Creato il 3 Marzo 2015. Ultima modifica: 14 Febbraio 2022.