La cattedrale di San Donato, vescovo e martire, ad Umbriatico
La città di Euria (“Euraton”, “Euriatensis”) compare in età bizantina, tra le primitive diocesi suffraganee della nuova metropolia di Santa Severina, istituita verso la metà del IX secolo. Essa è presente nel Synecdemus (“Euraton”) e nella Notizia III della Diatiposi (“Euriatensis”).[i] All’ultimo periodo bizantino e precisamente, alla prima metà del secolo XI, è attribuita la costruzione della nuova cattedrale, edificata su quella detta ora “Cripta” che, secondo alcuni, doveva essere la primitiva chiesa. Il rinvenimento di un mattone, affiorato durante i lavori di restauro, effettuati nel 1959, ricorda che “(questo) tempio fu costruito da Teodoro vescovo (di Umbriatico).”[ii]
La diocesi nel Medioevo
All’arrivo dei Normanni “Ebriaticum” è sempre vescovato, e compare anche il titolo della sua cattedrale: la “matris ecclesie S. Donati”, come si ricava da un atto del giugno 1115, sottoscritto da “Johannes, Ebriatice sedis indignus episcopus”, riguardante una cospicua donazione di beni, siti nell’attuale territorio cirotano, fatta da Riccardo Senescalco, figlio del conte Drogone, e nipote del Guiscardo, all’abate Raymundus ed ai monaci della chiesa di S. Salvatore di Monte Tabor, i quali volevano aprire “aliquam mansionem vel receptaculum” per i pellegrini.[iii] In questi anni un suo vescovo, Roberto, confermava il primo dicembre 1164, al monastero di S. Stefano, costruito e dotato dai re Ruggero II e Guglielmo I, per i monaci greci di Santa Maria del Patire, quanto già in precedenza concesso dal predecessore Ebras, con le condizioni che l’abate, il 7 agosto di ogni anno, festa di San Donato, al quale è dedicata la cattedrale, presentasse al vescovo tre candele ed un’anfora d’olio, ricevendo in cambio dell’olio santo.[iv]
Sempre in età normanna i privilegi della chiesa furono rinnovati ed ampliati, e la diocesi passò dal rito greco a quello latino, pur rimanendovi clero greco per lungo tempo. Dipendente dall’arcivescovo di Santa Severina, “Embriacen” compare nella bolla di Lucio III del 1183,[v] ed il vescovo “Embriacensem” risulta nel “provinciale Vetus” di Albino, che è della fine del dodicesimo secolo.[vi] Nel Medioevo la diocesi di Umbriatico confinava con le diocesi di Strongoli, Santa Severina, Cerenzia e Rossano (in seguito anche con Cariati). Essa comprendeva le terre di Casabona, Ypsigrò (Cirò), Cruculi, Melissa, ed altri abitati, come Alichia, Tigano, Santa Marina, San Nicola dell’Alto, Maratea, ecc. che, per varie cause, spopolarono. La chiesa di Umbriatico era composta dal vescovo, dalle cinque dignità (decano, arcidiacono, cantore tesoriere ed arciprete) e da numerosi canonici e chierici.[vii]
Privilegi vescovili
Tra le prerogative dei suoi vescovi, oltre a quella goduta anche dai vescovi vicini, di riscuotere le decime sulle pecore e le capre forestiere, che fossero andate a pascolare nei territori della diocesi, vi era il mero e misto imperio sulle baronie di Santa Marina, S. Nicola dell’Alto e Maratea, che erano feudi della chiesa.[viii] L’arcivescovo di Santa Severina aveva invece il diritto di spoglio sul vescovo di Umbriatico cioè, alla morte del vescovo, dovevano essergli consegnati il cavallo o mula, tutte le vesti che era solito indossare in vita, compresi cappelli e barrette, rocchetti, cappe pontificali, compresa la cappa magna, l’anello d’oro pontificale, la trabacca o letto sul quale dormiva, il pontificale, il messale, e il breviario.[ix]
La chiesa di Umbriatico, come si ricava dalla riconferma dei privilegi fatta al vescovo Alfano dal re Carlo I d’Angiò, poco dopo la conquista del Regno, esigeva le decime sulla bagliva di Tigano, Alichia, Umbriatico e Melissa. Sempre lo stesso sovrano concesse al vescovo di tenere mercato a San Nicola dell’Alto e nella chiesa di Santa Marina.[x]. Quest’ultimo doveva versare alla Santa Sede 4 once d’oro all’anno.[xi]
Devastazioni e spopolamento
La diocesi cominciò a decadere verso la fine del Duecento, quando fu particolarmente devastata durante la guerra del Vespro. Scoppiata infatti, l’insurrezione in Sicilia (31 marzo 1282), e datasi l’isola agli Aragonesi, l’esercito di Pietro III d’Aragona invadeva la Calabria. Matteo Fortunato, capitano di duemila Almugaveri,[xii] distruggeva i paesi dell’interno e, dopo aver incendiato il monastero di S. Giovanni in Fiore,[xiii] saccheggiava i casali di Santa Marina, San Nicola de Alto e Marathia.[xiv]
I danni furono particolarmente rilevanti per la resistenza che gli invasori incontrarono da parte dei fratelli Stafanizia, Ruggero, arcivescovo di Santa Severina, e Lucifero, vescovo di Umbriatico, i quali si opposero ma dovettero poi esulare, mentre i loro beni furono particolarmente saccheggiati. Per il loro attaccamento alla causa angioina e per i danni patiti, tramite il legato nel Regno di Sicilia, essi furono reintegrati con altri benefici ecclesiastici dal papa Nicolò IV.[xv]
I successivi tentativi di rinascita e di ripopolamento non daranno i frutti sperati, anche se il re Carlo II d’Angiò, accogliendo la richiesta del vescovo, nel 1306 ordinava ai giustizieri e agli altri pubblici ufficiali di esentare dalle tasse per il legname delle galere e da altri oneri, tutti coloro che sarebbero andati a ripopolare i casali vescovili.[xvi] La stessa città di Umbriatico sia per le distruzioni subite a causa della guerra che per la crudele tirannia del feudatario, andò deserta tanto che il papa Giovanni XXII, il 19 agosto 1317, incaricò l’arcivescovo di Santa Severina di trasferire la sede vescovile in un altro luogo insigne della stessa diocesi, e inviò l’arcivescovo di Napoli, Umberto di Montauro, a giudicare alcune questioni riguardanti beni ecclesiastici che erano occupati da certi nobili.[xvii] Fu così che Cirò divenne la sede abituale dei vescovi di Umbriatico, mentre vani risulteranno i tentativi di risollevare la città fatti dal feudatario Cantono de Messina, che otterrà l’esenzione dal pagamento delle tasse regie per la durata di dieci anni a favore di coloro che fossero andati ad abitarci.[xviii]
La breve rinascita cinquecentesca
Dopo un breve periodo di rinascita durante la prima metà del Cinquecento, attestato anche dall’abbellimento di una cappella fatta eseguire dal vescovo Giovan Cesare Foggia (1545-1566), che fece trasportare da Roma alcuni marmi, come evidenzia un breve di Giulio III del 1553,[xix] similmente alle altre città vicine, iniziò la lunga fase della decadenza,[xx] accresciuta dal fatto che i vescovi potevano e preferivano, quando erano in diocesi, risiedere abitualmente con la loro famiglia e curia a Cirò.
Al tempo del vescovo Alessandro Filaretto Lucullo (1592-1606) la città ha circa 700 abitanti, e la cattedrale di San Donato si presenta a tre navate, con tabernacolo e fonte battesimale decentemente ornati. Vi è la sacristia ed il campanile con tre campane, e conserva alcune reliquie tra le quali quelle di papa Gregorio, del martire Laurentio, di S. Stefano Protomartire, di Petronilla, alcune strisce delle vesti di Cristo e della Vergine, ed un pezzetto della mandibola del titolare della chiesa San Donato. Essa ha bisogno di ripari per una spesa di oltre mille ducati, e per la povertà la carica di arcidiacono è vacante da 35 anni, mentre sono mancanti anche il decano ed il cantore.
Il vescovo, per aumentare il culto divino, arricchisce la chiesa di un nuovo organo che, nel 1602, viene collocato nel lato sinistro, in un luogo adatto ed eminente. Esso ha scolpito da una parte le immagini dei Santi Pietro e Paolo e dall’altra, quelle dei patroni e titolari e cioè di Sant’Andrea Apostolo e di San Donato. Viene anche accomodato il coro con i suoi 17 sedili; situato dietro l’altare maggiore e del SS.mo Sacramento, vi si recitano le ore canoniche sia di giorno che di notte. Prima, mentre si celebravano le messe e si svolgevano gli uffici divini, i preti ed i chierici, con grande indecenza, dovevano stare sul lato sinistro dell’altare al cospetto del popolo.[xxi]
Alcuni interventi seicenteschi
Dopo il breve ma significativo vescovato del rossanese Paolo Emilio San Marco (1609-1611), dell’opera del quale testimonia l’iscrizione “P.S AEM.S SAMARCUS ROSSAN.S/ EP.S UMB.S ANNO D. MDCX”, sull’architrave del portale laterale della cattedrale, è la volta di Pietro Bastone (1611-1621), il quale interviene rifacendo i tetti della sacristia e di parte della navata sinistra, che erano del tutto mancanti. Egli fa costruire un nuovo sedile episcopale, ampio di pietra quadrata, e compera travi e materiale per rifare il tetto del campanile. Nella chiesa che ha fonte battesimale, coro e organo, sono erette tre confraternite: del SS.mo Sacramento, del SS.mo Rosario ed una fondata di recente per la dottrina cristiana.[xxii]
Oltre alle cinque dignità, ha i tre canonicati di San Nicola, Santa Venere e di Santa Maria de Frigiti,[xxiii] e dalle stesse dignità e canonici è esercitata la cura delle anime. La diocesi è costituita dalla città di Umbriatico, situata sopra una rupe in mezzo ai monti, circondata da orrendi precipizi, dalle terre di Cirò, Cruculi, Casabona e Melissa, dal castrum di Zinga, e dai casali abitati da Albanesi di Carfizzi, San Nicola dell’Alto e San Gioanne de Palagorio, quest’ultimo eretto da poco dal principe di Cariati.[xxiv]
Lo spagnolo Benedetto Vaaz (1622-1631) descrive la cattedrale come un edificio molto vecchio e di antica struttura, che aveva bisogno in ogni parte di ripari. Egli fece accomodare il tetto e la sacrestia, che minacciavano rovina. Nell’altare maggiore, dentro ad un tabernacolo in oro e argento, era conservato il sacramento dell’Eucarestia, e vi si trovava eretta la confraternita omonima. Vi era poi il sacrario con modica suppellettile, che egli curò di aumentare, l’organo, il campanile con le campane ed il cimitero. Continuava l’antica usanza che, ogni anno, nel giorno della festa del patrono, vi convenissero, non solo le dignità ed i sacerdoti della cattedrale, ma tutti i parroci ed i beneficiati di tutta la diocesi, per prestare la debita obbedienza al vescovo, in segno della quale offrivano il cosiddetto “cattedratico”.
Vescovi e feudatari
Le rendite della mensa vescovile ascendevano ad oltre 2500 ducati e provenivano dalle decime degli agnelli, dagli erbaggi dei territori, dai quarti dei benefici, da censi su case, da locazioni, ecc. Molte proprietà si erano perse nel corso dei secoli, come ad esempio il feudo di Santa Marina, altre erano contese. A ricordo dei privilegi che godeva la chiesa di San Donato nel Medioevo, vi era il fondo su cui sorgeva il casale di San Nicola dell’Alto. Gli Albanesi, che l’avevano ripopolato, pagavano alla chiesa per lo “ius soli”, un tari ed una gallina per ciascun pagliaio e, inoltre, la decima degli animali minuti, un carlino a vitello, un ducato per ogni tomolata di terreno concesso per piantare le vigne, e la decima di tutti i frutti della terra coltivata. Il potere temporale del vescovo era però contrastato dal marchese di Casabona, il quale cercava di impedire la semina e l’aratura. La lite accesasi fin dal tempo del marchese Scipione Pisciotta e del vescovo Pietro Bastone,[xxv] vedrà fronteggiarsi per tutto il Seicento ed oltre, i baroni di Casabona e i vescovi di Umbriatico.[xxvi]
Il roglianese Antonio Ricciulli (1632-1638), dapprima tardò a visitare la diocesi, prendendo a pretesto i consigli dei medici, poi dopo una breve permanenza, fu chiamato a Napoli per ricoprire l’ufficio di ministro generale dell’inquisizione. Delegò quindi l’amministrazione ad un vicario. In una sua particolareggiata relazione egli evidenzia la struttura della cattedrale. Distinta in tre navate, la mediana contiene nell’abside il coro, poi ci sono l’altare maggiore ed il presbiterio, dove è posto il sedile vescovile. Vicino c’è l’organo, al cui cospetto si eleva il pulpito, dove si tengono le prediche in tempo di quaresima.
Nelle navate laterali vi sono otto altari, quattro per parte. Essi sono nella maggior parte di iuspatronato laicale. A destra del presbiterio, si apre la sacristia ed alla fine della navata sinistra, c’è il campanile con tre campane, che è adiacente al cimitero. Sotto alla chiesa c’è una struttura a volte che è sostenuta da dodici piccole colonne. Ad essa si accede per due scale di pietra e vi sono due altari nei quali si celebra.
Vicino alla cattedrale ci sono le case del vescovo costituite da sei distinte abitazioni, alle quali sottostanno altrettante che sono congiunte ad un giardino. Oltre a questa abitazione i vescovi di Umbriatico possiedono il palazzo di Cirò, dove abitualmente risiedono, specie dall’autunno all’inizio della primavera. Entrambe le abitazioni erano tuttavia prossime a rovinare.
Il Ricciulli reintrodusse la festa della consacrazione della chiesa, che cadeva il XXV aprile e che col tempo era caduta in oblio. Sulla mensa vescovile gravava una pensione annua di ducati 700 a favore di tre persone ed inoltre, essa si era impoverita per alcune liti, tra le quali una opponeva da trenta anni, il vescovo di Umbriatico al marchese di Casabona, per il territorio e la giurisdizione sul casale di San Nicola dell’Alto; un’altra antica contesa era aperta con la comunità di Campana i cui abitanti non volevano pagare le decime degli agnelli, quando pascolavano in territorio di Umbriatico. Inoltre, la comunità di Melissa aveva da poco fatto due difese, includendovi territori spettanti alla mensa.[xxvii]
Il breve ma intenso episcopato di Bartolomeo Criscono (1639-1647) fu caratterizzato dalla difesa dei diritti della chiesa. Egli pose fine al lungo contrasto col marchese di Casabona. Il vescovo esercitava sul casale di San Nicola dell’Alto la giurisdizione religiosa e quella temporale, previo l’assenso apostolico, quest’ultima fu concessa in enfiteusi per 29 anni al marchese per 150 ducati annui.[xxviii] La mensa aveva lo “ius arandi et serendi” in alcuni territori di Umbriatico, ma la comunità li affittava “ad usum pascendi … pro clausura ad tempus”, così la mensa non percepiva nulla. Per difendere le prerogative della chiesa, il presule citò perciò i governanti presso il procuratore fiscale. In un altro territorio detto “lo Pescaldo”, la mensa aveva lo ius arandi ma gli ufficiali del feudatario, il principe di Cariati, molestavano i coloni della chiesa che disboscavano per poter coltivare. Essi furono perciò colpiti dalle censure ecclesiastiche e smisero di perseguitare.[xxix]
L’abbandono
Seguirono i brevissimi vescovati di Ottavio Pudorici (1647-1648), Domenico Blandizio (1650-1651), Tommaso Tomassoni (1652-1654), Giuseppe de Rossi (1655-1658) e di Antonio Ricciulli (1659-1660), durante i quali si accelerò la decadenza della città e della diocesi. Situata in provincia di Calabria Citeriore, suffraganea di Santa Severina, e confinante verso settentrione ed oriente, con il mare Ionio, verso mezzogiorno, dalla parte del mare, con la diocesi di Strongoli, verso le montagne con Santa Severina e Cerenzia, e verso occidente dalla parte delle montagne, con Rossano, e verso la marina con Cariati. La diocesi si estende all’interno di un circuito di circa 45 miglia, mentre la città di Umbriatico è ormai ridotta a circa 350 abitanti.[xxx]
Il catanzarese Vitaliano Marescano (1661-1667) così la descrive: la chiesa è molto cadente nella parte inferiore c’è una catacomba, costruita con colonne di pietra che sorreggono il soffitto con volte. Essa è dedicata al vescovo e martire Donato il cui officio è recitato con l’ottava per indulto apostolico. Ci sono delle reliquie non insigni, mediocri suppellettili, due congregazioni di laici, alcuni altari e l’organo, malmesso per la vecchiaia. Per antica tradizione i canonici usano il cappuccio con almuzio rosso nelle feste e violaceo negli altri giorni. È onere della mensa vescovile fornire la cattedrale di paramenti, olio e delle altre cose necessarie e ripararla. Oltre alla messa conventuale, che quotidianamente vi si celebra, la mensa vescovile deve anche far celebrare altre quattro messe settimanali per cagione di legati. Le rendite che prima ascendevano a 2500 ducati si sono ridotte ad appena 1600 ducati, con i quali bisogna soddisfare anche alcuni oneri ed annue pensioni, tra le quali una di ben 500 ducati al cardinale Ginnetti.[xxxi]
Durante il vescovato di Agostino De Angelis (1667-1682) non furono fatti lavori di particolare importanza. Fu restaurata la porta della chiesa, che era disfatta, e risanate le immagini di San Donato e di altri santi, che erano malridotte per la muffa ed i tarli.[xxxii] Due volte all’anno, cioè nella Settimana Santa e nella festività di San Donato, il vescovo lasciava il suo palazzo di Cirò, per incontrare tutto il clero della diocesi nella cattedrale, dove “si ragiona dell’occorrenze di quella, e di corregere qualunque eccesso che vi fusse occorso, che è quasi lo stesso che congregare sinodo”. Durante il suo episcopato la popolazione della diocesi, a causa delle pestilenze, diminuì da circa 12000 abitanti ad 8000, e le entrate della mensa ne seguirono il verso, passando dagli usuali ducati 1700 a soli 1400.[xxxiii]
Il rossanese Giovanni Battista Ponzio (1682-1688), pressato dalle continue proteste degli Umbriaticesi, iniziò a compiere alcuni urgenti ripari, sia alla chiesa che al vicino episcopio, che erano in abbandono da tempo immemorabile. Una volta terminati i lavori, egli aveva intenzione di passarvi qualche tempo dell’anno, anche se con grande incomodo e vivendo da esiliato. L’immagine che tratteggia non lascia dubbi sulla sua volontà di starne per quanto possibile lontano. Umbriatico, situata sulla cima di una rupe di giro circa un miglio, distante dodici miglia dal mare, è circondata da monti impervi, orridi fiumi e boschi selvaggi, perciò è quasi irraggiungibile. Illuminata dal sole per poche ore, è perennemente avvolta dalle nebbie. Manca di ogni cosa necessaria al vivere ed è spopolata, contando nemmeno 350 abitanti.[xxxiv]
La cattedrale oltre all’altare maggiore, ha altri dodici altari. Essa è sufficientemente fornita, ma l’organo non funziona perché le canne maggiori sono state rubate. Oltre alle sei dignità (arcidiacono, decano, cantore, tesoriere, arciprete, con cura delle anime, e primicerio), ci sono sette canonicati (S. Francesco di Paola, S. Maria de Frigiti, S. Pietro, S. Maria de Strongoli, SS. Annunciata, S. Maria delle Grazie e S. Opolo). Di questi, cinque sono vacanti da anni, sia perché nessuno vuol risiedere nella città, sia perché le prebende sono povere. Inoltre, ad Umbriatico non ci sono ecclesiastici idonei ed in numero sufficiente. Vi risiedono infatti solo otto sacerdoti e tre chierici, e poiché non vi sono laici che vogliono o possono, assumere la prima tonsura, morti questi, la cattedrale rimarrà senza clero e capitolo.[xxxv]
L’operato di Bartolomeo Oliverio
Il cutrese Bartolomeo Oliverio (1696-1708)[xxxvi] la trovò quasi cadente. All’inizio del suo episcopato, sfidando il pericolo, per la malaria che imperversava nella città, e vivendo più che la condizione di vescovo, quella di colui che è stato posto al bando ed esiliato dalla società civile, vi risiedette, anche se continuamente in preda alle febbri che lo portarono quasi alla morte. Ristabilitosi miracolosamente, riparò sufficientemente il palazzo vescovile e, soprattutto, la cattedrale. Quest’ultima non solo la risanò, ma la rese di forma migliore e più nobile, con grande dispendio di denaro.
Situata in mezzo alla città in un luogo preminente, divisa in tre navate, delle quali la maggiore, cioè la centrale era lunga 130 palmi e larga 36, mentre le laterali erano ugualmente lunghe ma larghe la metà, essa ha cinque archi, da una parte e dall’altra, che sostengono tutto l’edificio. Questo era abbastanza basso e senza luce, eccetto quella che filtrava dalle porte. Egli lo elevò tutto attorno fino a più di dodici palmi, aprendovi di qua e di là, cinque finestre ed un rosone sopra la porta maggiore, decorandola con battenti di vetro e provvedendola di ogni cosa necessaria.
L’Oliverio così la descrive: Si elevano dopo un primo ripiano cinque gradini per i quali si ascende ad un altro piano, dove si accede al coro, davanti al quale, al cospetto della porta principale, si eleva l’altare maggiore, dove si conserva in un ligneo ciborio dorato il SS.mo Sacramento dell’Eucarestia. Dietro detto altare c’è il coro, nel mezzo del quale troneggia il sedile vescovile con disposti attorno gli stalli dei canonici. Davanti e presso l’altare maggiore, dalla parte del corno dell’Evangelo, c’è un altro sedile per il vescovo celebrante in pubblico. La fonte battesimale è situata sul lato sinistro, presso l’ingresso della chiesa, con il suo sacrario. I sacri oli nei loro piccoli vasi sono conservati in un luogo adatto. Sui lati si osservano altri otto altari, parte costruiti a spese della stessa chiesa e parte dei cittadini. C’è poi il campanile, ornato con tre campane. Davanti ai predetti gradini da entrambe le parti delle navate laterali si accede alla celebre cripta, dico meglio all’altra chiesa, quella sotterranea, che è sostenuta da molte colonne in pietra e si trova sotto il coro e l’altare maggiore. Qui sono eretti tre altari. Quello situato in mezzo è il maggiore e come appare da una bolla pontificia, è in perpetuo e tutti i giorni dell’anno privilegiato per i defunti. Esso è sotto il titolo di San Donato. Dalla parte del corno dell’Evangelo c’è un altare sotto il titolo del SS.mo Rosario. Qui ha sede una congregazione di laici che tre volte alla settimana si alternano a recitare il rosario. Da ultimo dalla parte dell’Epistola, vi è l’altare dedicato a S. Biagio martire, che è provvisto di ogni cosa necessaria. In cattedrale oltre alla congregazione del Rosario, vi è anche quella del SS.mo Sacramento, che al pari interviene con vesti grossolane, fatte a sacco, nelle processioni.[xxxvii]
Tentativi di rinascita
Passata la grave crisi seicentesca, Umbriatico si ripopolava e le rendite del vescovo aumentavano. Tutto questo però non era sufficiente per mutare la condizione di degrado e abbandono di cui soffriva la sua chiesa, che aveva radici lontane nel tempo.
Il vescovo manteneva ancora le sue vaste tenute. Sui fondi di Maratea, Santa Marina e Motta, godeva del titolo di barone, esercitando la giurisdizione civile e mista, ed eccettuati i tre casi previsti dalle regie prammatiche, anche la criminale, su coloro che li avessero abitati per coltivarli. Ma da molto tempo essi non erano più feudi nobili e popolosi, così la chiesa li possedeva ormai in allodio e senza alcun onere feudale. La mensa vescovile esigeva ancora dai luoghi soggetti le decime dai terreni coltivati e dalle greggi, mentre nei luoghi marittimi, cioè a Cirò, Crucoli e Melissa, anche dalla pesca. Vantava inoltre diritti sui mulini, su coloro che morivano ab intestato, la quarta di ogni funerale, ecc.
Da tutte queste rendite il vescovo poteva ricavare annualmente oltre 4000 ducati, anche se ne dichiarava la metà ed anche meno. Molto denaro andava speso per il mantenimento della cattedrale, dei palazzi, per le pensioni e per le continue liti con i feudatari e le università. Soprattutto continuavano i dissidi con il marchese di Casabona, e una violentissima ed asperrima lite era accesa con i feudatari di Crucoli. Quest’ultima aveva visto fronteggiarsi già, fin dalla metà del Seicento, il vescovo Vitaliano Marescano ed il marchese Domenico Amalfitano. Quest’ultimo rifiutava di versare le decime degli agnelli e dei latticini. La vertenza trascese determinando la scomunica del feudatario e dei suoi seguaci, e scontri tra le opposte fazioni. Essa fu a parere di molti, sia la causa della morte per avvelenamento del presule, che dell’accordo, lesivo per la mensa, tra il successore ed impaurito Agostino De Angelis ed il feroce feudatario.[xxxviii]
Il vescovo Francesco Maria Loyero (1720-1731) trovò una cattedrale di mediocre struttura, ma adatta ad una città come Umbriatico di ottocento abitanti. Vi si conservavano alcune ossa del patrono dentro una statua lignea dorata. Egli fece rifare l’altare maggiore in forma migliore, ed il 24 maggio 1725 lo consacrò assieme alla cattedrale con solenne rito.[xxxix] Rivendicò alcuni diritti della chiesa, usurpati dai secolari, riuscendo a recuperarli, aumentando così le entrate. Ma la sua mensa, a suo dire, rimaneva misera. Dei circa 1800 ducati annui, tolte le pensioni, i sussidi, le spese di culto, ecc., non rimanevano per il mantenimento suo e della sua famiglia, che poco più di 700 ducati, con i quali avrebbe dovuto anche provvedere a riparare la cattedrale e soprattutto il campanile, che era prossimo a rovinare.[xl]
Il lungo vescovato di Domenico Peronacci
Dopo il brevissimo episcopato di Filippo Amato (1731), si insediò Domenico Peronacci (1732-1775). Appena arrivato in diocesi, il nuovo presule supplicò il papa Clemente XII, di lasciargli le rendite maturate durante la sede vacante, in modo da investirle nel risanamento della cattedrale e dell’episcopio.[xli]
Durante il suo lungo episcopato egli restaurò la cattedrale. Riparò dapprima la parte laterale destra, dove rinnovò tre altari in fabbrica plastica modellata con maestria, poi iniziò a riportare alla stessa forma quella sinistra. Acconciò il tetto delle navate disponendo meglio le tegole e le canalette. Costruì alte finestre munite tutte di vetrate. Rifece l’altare maggiore in forma più nobile e bella, con marmi preziosi, abbellì in opera plastica l’altare del SS.mo Sacramento. Fornì la chiesa di quadri di ottima fattura, di candelabri, fiori, croce, di un turibolo con una navicula d’argento e di molte sacre e preziose suppellettili (pianete, piviali, ecc.).
La statua del Santo Protettore fu rifatta in argento ed in alcune parti dorata, e la sua festa a causa dell’aria insalubre, che in estate opprime la città, fu trasferita dal 7 agosto al 7 maggio.[xlii] Fornì inoltre, una croce processionale d’argento e altri vasi dello stesso metallo. Fece restaurare l’organo ed il pulpito, che era corroso per la vecchiaia.[xliii] Egli mise mano con grossa spesa, anche alle due residenze di Umbriatico e di Cirò. Quest’ultima, usuale sua dimora, fu trasformata da molte piccole case in un organico e razionale palazzo.[xliv]
Da cattedrale a collegiata insigne
Seguirono i brevi vescovati di Tommaso Maria Francone (1775-1777),[xlv] Nicola de Notariis (1777-1778) e Zaccaria Coccopalmeri (1779-1784). Attraverso le descrizioni sullo stato della cattedrale alla fine del Settecento, risulta un quadro contrastante e poco edificante. L’edificio è carente sia all’interno che all’esterno, di alcune parti che costituiscono il tempio. Non ha infatti né il portico con colonne e archi né l’ambone. È diviso in tre navate, una maggiore e due laterali che hanno soffitti lignei a cassettoni, costruiti decentemente. Davanti all’altare maggiore al lato del presbiterio, c’è la cattedra vescovile, ornata con veli e ricoperta di seta. Presso l’entrata è eretta la fonte battesimale.
Nella navata maggiore, di fronte alla cattedra vescovile, c’è l’organo. Oltre all’altare maggiore, costruito in marmo con maestria ed eleganza, al centro del presbiterio vi sono altri altari posti con simmetria, di iuspatronato dei laici che sono decentemente ornati. Nella parte superiore della navata laterale destra rifulge la cappella del Protettore San Donato, con la sua immagine dipinta e la sua statua d’argento dorata. Davanti all’altare ci sono delle lampade di ottone, comperate dal vescovo Coccopalmeri, che ardono sempre. Nella parte superiore della navata sinistra c’è la cappella del SS.mo Sacramento, con una immagine molto preziosa rappresentante il mistero completo di tutte le figure. In esso si venera e si adora il SS. Corpo di Cristo. Vi è poi una congregazione di laici la quale ebbe il permesso dal vescovo Peronaci, di radunarsi nella cripta della cattedrale. In questo oratorio ci sono dodici colonne marmoree che circondano l’altare.[xlvi]
Dal pavimento al tetto essa non solo non esprime il decoro che deve avere la casa di Dio, ma il suo aspetto tiene lontani dal suo ingresso i fedeli. Dappertutto regna lo squallore. Le pareti sono cadenti, gli altari e le sacre immagini trascurati, l’interno stesso puzza, infatti, le sepolture non sono chiuse con lastre di pietra ma di legno.
Lo stato della chiesa si rispecchiava in quello del vicino episcopio che mancava di porte e finestre. Su tutto aleggiavano il disinteresse e l’avidità vescovili, che si estrinsecavano nei continui lamenti per le poche rendite a fronte degli innumerevoli oneri che gravavano la mensa. Quest’ultimi venivano puntigliosamente elencati: ricche e numerose pensioni, esose tasse annuali statali per il riassetto delle strade, cera, olio ed altro per uso della chiesa, spese ingenti per riparare di continuo la malridotta cattedrale e per rifornire di suppellettili la sacrestia, interventi costosi per rendere e mantenere confortevoli i tre palazzi vescovili di Cirò, Umbriatico e quello residenziale alla marina, continue provvigioni per avvocati e procuratori presso i tribunali di Napoli e di Cosenza ed, inoltre, stipendi per il vicario generale, il cancelliere, i familiari, i servitori, ecc.
Completavano ed intristivano ancor più la situazione le frequenti annate disastrose come quella recente del 1781, quando le spighe ed i frutti, floridi ed abbondanti, erano stati improvvisamente distrutti dall’opera nefasta di locuste e bruchi.[xlvii] Dopo gli ultimi piccoli interventi fatti compiere da Vincenzo Maria Castro (1791-1797), che mise in ordine gli altari, chiuse i sepolcri con lapidi e intervenne sulla chiesa e sull’episcopio,[xlviii] seguì il breve vescovato di Isidoro Leggio (1797-1801).
Quindi la diocesi fu amministrata da alcuni vicari capitolari: Saverio Giuranna, Gennaro Paladini, Saverio Cosmo e Pietro Martucci, finché con bolla “De utiliori dominicae vinae procuratione” di Pio VII del 27 giugno 1818, il titolo cattedrale fu soppresso e la città di Umbriatico con la sua diocesi, furono annesse e incorporate al vescovato di Cariati. La chiesa di San Donato divenne collegiata insigne.
Note
[i] Russo F., Storia della chiesa in Calabria, Rubbettino 1982, Vol. I, pp. 202-203.
[ii] Russo F., Umbriatico: la diocesi, la cattedrale, i vescovi, in Calabria Nobilissima n. 43, 1962, pp. 10-11.
[iii] Il vescovo di Umbriatico Giovanni che sottoscrisse l’atto, pretese il versamento di un censo annuale di una libbra d’oro in favore della sua mensa vescovile. Maone P., Contributo alla storia di Cirò, in Historica n. 2/3, 1965, pp. 96 sgg.
[iv] Russo F., la diocesi, la cattedrale, i vescovi, in Calabria Nobilissima n. 43, 1962, p. 14. Fiore G., Della Calabria Illustrata, II, p. 342. Ughelli F., Italia Sacra, IX, 1662, 525-526.
[v] Lucio III e l’archidiocesi di Santa Severina, in Siberene, Cronaca del Passato per le Diocesi di Santaseverina – Crotone – Cariati, a cura di G. B. Scalise, 1999, p. 16.
[vi] Russo F., Regesto, I, 404.
[vii] Russo F., Regesto, I, 5074 sgg.
[viii] Ughelli F., Italia Sacra, IX, 1662, 527.
[ix] ASV, Rel. Lim. S. Severina, 1603.
[x] Reg. Ang. VII (1269-1272), p. 207. “Mandatum pro Episcopo Umbriaticensi de mercato celebrando in diocesi sua in loco qd Sanctus Nicolaus de Alto et in eccles. Sante Marine”. Reg. Ang. XIV (1275-1277), p. 254. Nel 1300 anche “Joannes Gentilis cum vassallis suis terrae Cruculi”, si obbligò al pagamento delle decime al vescovo di Umbriatico. Reg. Ang. (1299-1300), D., f. 105. Pellicano Castagna M., Storia dei feudi e dei titoli nobiliari della Calabria, II, p. 204.
[xi] Russo F., Regesto, I, p. 174.
[xii] Bartolomeo di Neocastro, Istoria Siciliana (1250-1293), cap. LXXXII, pp. 56-59.
[xiii] Russo F., Regesto, I, 1495.
[xiv] Ughelli F., Italia Sacra, IX, 1662, 527.
[xv] Russo F., La guerra del Vespro in Calabria nei documenti vaticani, in ASPN, 1961, pp. 207 sgg.
[xvi] Ughelli F., Italia Sacra, IX, 1662, 527.
[xvii] Russo F., La guerra del Vespro in Calabria nei documenti vaticani, in ASPN, 1961, pp. 216 -217.
[xviii] Maone P., Precisazione sulla storia feudale di Umbriatico e Briatico, in Historica n. 1/1968, pp. 30-31.
[xix] Russo F., Umbriatico: la diocesi, la cattedrale, i vescovi, in Calabria Nobilissima n. 43, 1962, p. 12.
[xx] Fuochi di Umbriatico nel Cinquecento: 89 (1532), 133 (1545), 160 (1561), 130 (1578), 110 (1595). ASN, Fondo Torri e Castelli vol. 35, ff. 18-20.
[xxi] ASV, Rel. Lim. Umbriaticen., 1603.
[xxii] ASV, Rel. Lim. Umbriaticen., 1611, 1615.
[xxiii] ASV, Rel. Lim. Umbriaticen., 1653.
[xxiv] ASV, Rel. Lim. Umbriaticen., 1618.
[xxv] Maone P., Casabona feudale, Historica n. 5/6, pp. 205 sgg.
[xxvi] ASV, Rel. Lim. Umbriaticen., 1630.
[xxvii] ASV, Rel. Lim. Umbriaticen., 1634.
[xxviii] Con la locazione il barone poteva esigere “li censi minuti e casalinaggi che si esigono sopra le case e le vigne”, ed “il jus della decima del grano che si semina”, mentre la mensa vescovile conservava le entrate spirituali e cioè: “li mortorij, quarta ab intestato, decime di agnelli, vitelli, porci, api e capretti”. Maone P., Casabona feudale, Historica n. 5/6, pp.204-205.
[xxix] ASV, Rel. Lim. Umbriaticen., 1640, 1643, 1647.
[xxx] ASV, Rel. Lim. Umbriaticen., 1666.
[xxxi] ASV, Rel. Lim. Umbriaticen., 1662, 1666.
[xxxii] ASV, Rel. Lim. Umbriaticen., 1669.
[xxxiii] ASV, Rel. Lim. Umbriaticen., 1678.
[xxxiv] ASV, Rel. Lim. Umbriaticen., 1684.
[xxxv] ASV, Rel. Lim. Umbriaticen., 1688.
[xxxvi] ASV, Rel. Lim. Umbriaticen., 1700. Bartolomeo Oliverio fu sepolto nella cattedrale dove ancora oggi c’è la lapide sepolcrale posta dal nipote Domenico, con le armi degli Oliverio e l’iscrizione: “BARTOLOMEI OLIVERIO/ PATRITII CUTRENSIS/ EPISCOPI HUIUS CATHED./ VOLUNTATEM EXSEQUENS/ V.I.D. DOMINICI OLIV. NEPOS/ HOC SEPULCHRUM FIERI/ CURAVIT A. D. 1709.
[xxxvii] ASV, Rel. Lim. Umbriaticen., 1700.
[xxxviii] ASV, Rel. Lim. Umbriaticen., 1666, 1678.
[xxxix] D. O. M./ ILL.s. ET. REV.mus. D.nus D. FRANCISCUS. Maria LOYERUS/ EP.US. ECCLESIAE UMBRIATICENS BARO. TERRAE. S./ NICOLAI DE ALTO, MARATEAE, S. MARINAE ET MOCTAE/ TEMPLUM HOC ET ALTARE D. DONATO EP.O. ET. MARTYRI/ DICATUM DIE XXIV. MAIJ ANNI MDCCXXV SUI PRAESULATUS V./ SOLEMNI RITU CONSECRAVIT ET DIEM IX CUIUSLIBET/ MENSIS FEBR.II PRO ANNIVERSARIJ CELEBRAT. DESTI/ NAVIT INDULGENTIASQ. XXXX. DIER. OMNIBUS XPI FIDE/ LIBUS VISITANTIBUS/ CONCESSIT, Russo F., Umbriatico: la diocesi, la cattedrale, i vescovi, in Calabria Nobilissima n. 43, 1962, p. 13. Capialbi V., La continuazione all’Italia Sacra dell’Ughelli per i vescovadi di Calabria. Cariati – Strongoli- Umbriatico, in Arch. Stor. Cal. III, 1915, p. 210.
[xl] ASV, Rel. Lim. Umbriaticen., 1724, 1729.
[xli] Russo F., Regesto, XI, 57898.
[xlii] Il Peronacci, a causa dell’aria malsana, aveva ottenuto il permesso di assentarsi dalla diocesi durante l’estate e per buona parte dell’autunno (fino alla prima domenica dell’Avvento). ASV, Rel. Lim. Umbriaticen., 1745.
[xliii] ASV, Rel. Lim. Umbriaticen., 1739, 1753.
[xliv] Il Peronacci costruì il “palazzo di pianta” a Mandorleto presso il mare, dove morirà. Fece disboscare le due tenute di “Salvogara” e “Mandorleto”, “ch’erano ricovero d’animali selvaggi”, mettendole a coltura con oliveti, agrumeti e case per i coloni. Eresse in Cirò il seminario ed un monte frumentario. ASV, Rel. Lim. Umbriaticen., 1771.
[xlv] T. M. Francone cercò di imporre decime cadute in disuso, ma il popolo ne assediò il palazzo e solo per l’intervento di alcuni benestanti, ebbe salva la vita. Comunque, ben presto se ne andò. Capialbi V., La continuazione all’Italia Sacra dell’Ughelli per i vescovadi di Calabria. Cariati – Strongoli- Umbriatico, in Arch. Stor. Cal. III, 1915, p. 212.
[xlvi] ASV, Rel. Lim. Umbriaticen., 1783.
[xlvii] ASV, Rel. Lim. Umbriaticen., 1783.
[xlviii] ASV, Rel. Lim. Umbriaticen., 1796.
Creato il 21 Febbraio 2015. Ultima modifica: 29 Settembre 2024.
Mí piace molto. Ho stato Nell 1990. Vorrei stare nuevamente. Ma pur Troppo se mí Fa difficile.