Il convento di San Domenico di Strongoli
Il convento di San Domenico di Strongoli sorse attorno alla chiesa di Santa Maria dela Greca che, secondo il Fiore, fu fondata nel 1531.[i] Con tale titolo essa ci appare in una concessione fatta dal papa Paolo III il 3 novembre 1534, a favore del suo familiare Bernardino della Croce.[ii]
La fondazione del convento
In seguito, la chiesa senza cura di anime, che era situata presso ma fuori le mura, fu amministrata dal rettore Gaspare Murgia, il quale la consegnò senza alcun obbligo al vescovo della città, il domenicano Timoteo Giustiniani (1568-1571). Quest’ultimo, così come l’aveva ottenuta, concedeva la chiesa di “Santa Maria de Catholica, als de la Greca”, ai domenicani. Il papa Gregorio XIII, con breve dato in Roma il primo ottobre del 1573, dava il suo assenso ed accoglieva la petizione inviatagli dai cittadini di Strongoli, dal defunto vescovo Timoteo Giustiniani e da Gaspare Murgia, ponendo però le condizioni della corresponsione di ducati 150 per la “struttura delle fabriche et habitatione de frati”, e quello di celebrare la Candelora, cioè la festa della Purificazione di Maria Vergine, portando le candele in cattedrale e distribuendole a tutto il popolo della città. Quest’ultimo obbligo derivava dal fatto che nella chiesa era eretto un beneficio di iuspatronato di Gaspare Murgia.[iii] Nell’atto di fondazione non fu prefissato il numero dei religiosi destinati ad abitarci che, col tempo, si assottigliò sempre più.
Le relazioni dei vescovi
I vescovi di Strongoli nelle loro relazioni spendono poche parole per descrivere il convento. Claudio Vico (1590-1600) ci dice che la città di Strongoli ha due monasteri maschili: uno dei predicatori e l’altro dei conventuali di San Francesco. Entrambi sono fuori ma non lontani dalle mura della città.[iv]
All’inizio del Seicento, come dalla relazione del 1612 di Sebastiano Ghislieri (1601-1626), in diocesi di Strongoli non ci sono monasteri di monache, ma solamente tre monasteri maschili, che sono presso le mura della città. Il primo è sotto l’invocazione di Santa Maria delle Grazie e vi abitano tre sacerdoti dei minori conventuali di San Francesco; il secondo è dedicato a Santa Maria del Popolo, con due sacerdoti degli eremitani di Sant’Agostino, e nel terzo di Santa Maria de la Greca, dimora un sacerdote con un chierico dell’ordine dei predicatori.[v]
Lo stesso vescovo alcuni anni dopo, nel 1625, così si esprime: Fuori ma presso la città ci sono quattro chiese e conventi di diversi ordini: Santa Maria volgarmente detta La Greca, dove dimorano due frati dell’ordine dei predicatori di San Domenico, Santa Maria de Populo, dove vivono cinque frati dell’ordine degli eremiti di Sant’Agostino e Santa Maria delle Grazie con sei frati dell’ordine dei minori conventuali di San Francesco. Otto anni fa a mie spese, per la maggior parte, edificai il convento dell’ordine dei cappuccini, nel quale al presente dimorano sette frati cappuccini, ai quali quattro anni fa assegnai, vita mia durante, 24 libre di carne ogni settimana per il loro vitto.[vi]
La situazione rimase immutata al tempo di Carlo Diotallevi (1639-1652): Vi sono quattro monasteri: dei conventuali, dei cappuccini, degli agostiniani e dei domenicani. Quest’ultimi nella festa della Purificazione della Beata Vergine sono tenuti ad esibire in cattedrale al vescovo le candele, affinché dallo stesso si distribuiscano a tutto il capitolo ed al popolo[vii] e nella loro chiesa è eretta la confraternita del SS.mo Rosario e si recita tre volte alla settimana.[viii]
A metà Seicento
In conformità della Costituzione di Innocenzo X, pubblicata in Roma il 22 dicembre 1649, i frati il 24 febbraio 1650 compilarono una relazione sullo stato del loro convento intitolato a San Domenico, che era situato fuori le mura della città di Strongoli “in strada pubblica distante passi trenta dall’habitato”.
Il complesso era formato dalla chiesa dedicata a Santa Maria La Catholica, detta anche La Greca, che era lunga palmi 45, alta palmi 35 e larga palmi 35, comprese le ali. Arcata, essa aveva oltre all’altare maggiore anche cinque cappelle. Completava il monastero il dormitorio con cinque celle e quattro officine. Il tutto era circondato da mura ma mancava il chiostro, che era in costruzione e per completarlo occorrevano almeno dieci anni con una spesa annua di 40 scudi.
Il monastero che per tutta la prima metà del Seicento viene dato come quasi spopolato, nella relazione, evidentemente per sfuggire alla chiusura, risulta abitato da sette frati: quattro sacerdoti (il padre lettore Fra Marco d’Urso di Strongoli, vicario del monastero, il padre bacceliere fra Vincenzo Piluso di Zumpano, il padre lettore Frat’Antonio Miglionito dell’Amendolara e il padre fra Domenico Misato da Paterno), un laico professo, (fra Francesco Cardamone di Catanzaro) e due servienti (Antonio Grano di Strongoli e Bartolo Librandi di Santa Severina).
I domenicani possedevano alcuni terreni che davano in fitto. Avevano 130 tomolate di terre adatte alla semina, una vigna presso il convento e due giardini con alberi da frutto. Dall’affitto percepivano, a seconda del tipo di coltivazione, grano, mosto e denaro. Potevano inoltre contare su delle entrate in denaro che provenivano da messe in suffragio, da elemosine di benefattori in grano e in olio e dalle messe, che si recitavano nelle cappelle situate in chiesa. In media l’entrata annua, calcolata sugli ultimi sei anni ed espressa in moneta romana, ammontava a 338 scudi. La maggior parte, oltre il 70 %, proveniva dalla vendita del grano e del mosto, che veniva al convento dagli affitti, il rimanente era dato dalle cappelle, dalle messe, dalle elemosine, ecc.
In media le spese annue del monastero, secondo la relazione, ascendevano a 220 scudi. La maggior parte, circa il 70%, se ne andava per “vitto et vestimento”, seguiva il mantenimento d’un cavallo da soma (10%), le spese di culto per la sacrestia, le sacre suppellettili, oli, vini, cere, ostie, ecc. (8%), quindi le spese per medici, medicine, barbieri, viatici, e “altri bisogni della religione” (6%), infine venivano le contribuzioni, le biancherie e le spese straordinarie (6%). A queste spese ordinarie del convento erano da aggiungere 40 scudi annui che i frati stavano allora spendendo per restaurare il convento e costruire il nuovo chiostro, che essendo un fatto temporaneo ed eccezionale non rientrava nelle spese normali.
Tra il Seicento ed il Settecento
Dalla relazione risultava quindi, che il monastero era vitale e florido. Le entrate superavano ampiamente le uscite, assommando quest’ultime a solo due terzi delle prime, il numero dei monaci era al di sopra del numero minimo fissato dalla “Costituzione” innocenziana, ed il convento era in espansione, tanto che i frati avevano deciso di costruire il chiostro.
Se questa era la situazione prospettata ed inoltrata ai loro superiori dai domenicani di Strongoli, essa non combaciava per niente con quella del vescovo della città. Infatti, secondo il vescovo Martino Dentice o Dentato (1652-1655) nel monastero di San Domenico non vigeva la regolare osservanza e le altre condizioni richieste dalla Santa Congregazione sopra lo Stato dei Regolari. Il presule, perciò, chiese di sopprimerlo e di utilizzare le sue rendite per erigere la prebenda teologale.[ix]
Il monastero dei domenicani riuscì tuttavia a sfuggire alla soppressione, che colpì a metà del Seicento numerosi piccoli conventi. Assieme a quelli dei cappuccini, dei conventuali e degli agostiniani, continuò a rimanere aperto ed a sottrarsi alla giurisdizione vescovile anche se, eccetto quello dei cappuccini, non vi era osservata per niente la regolare osservanza, ed in ciascun convento abitavano al massimo due o tre frati.
I frati continuarono a distribuire le candele sia in cattedrale che al popolo, nel giorno della festa della Purificazione, a volte il modo e da chi, fu al centro di alcune controversie col vescovo e con l’università. Anzi per alcuni anni, prima del 1669, questo obbligo fu tralasciato, in quanto i frati dovettero sostenere delle spese per riparare il loro convento.[x]
La soppressione
In seguito, il convento fu soggetto alla giurisdizione e alla visita vescovile. Al tempo del vescovo Ferdinando Mandarani (1741-1748) continuavano ad esistere i quattro conventi dei conventuali, degli agostiniani, dei cappuccini e dei predicatori. Due di questi, e precisamente quelli dei predicatori e degli agostiniani, erano soggetti alla giurisdizione e alla visita del vescovo; tutti comunque avevano al massimo quattro o cinque frati che, quasi sempre si riducevano a due o tre.[xi] La situazione rimase più o meno immutata fino alla soppressione avvenuta durante il Decennio francese, il 6 maggio 1808.[xii]12.
Note
[i] Fiore G., Della Calabria Illustrata, II, p. 394.
[ii] Il 3 novembre 1534 Paolo III assegna al suo familiare Bernardino della Croce la chiesa di S. Maria della Greca e la perpetua cappellania di S. Lorenzo di Strongoli, vacante per morte del vescovo Gaspare de Murgiis, che l’aveva ottenuta in commenda. Russo F., Regesto, III, 17344.
[iii] ASV, S. C. Stat. Regul. Relationes, 25, ff. 448-451v.
[iv] ASV, Rel. Lim. Strongulen., 1594, 1597.
[v] ASV, Rel. Lim. Strongulen., 1612.
[vi] ASV, Rel. Lim. Strongulen., 1625.
[vii] ASV, Rel. Lim. Strongulen., 1640, 1643.
[viii] ASV, Rel. Lim. Strongulen., 1646.
[ix] ASV, Rel. Lim. Strongulen., 1653.
[x] ASV, Rel. Lim. Strongulen., 1669.
[xi] ASV, Rel. Lim. Strongulen., 1669.
[xii] Caldora U., Calabria napoleonica 1806-1815, Napoli 1960, p. 221.
Creato il 23 Febbraio 2015. Ultima modifica: 7 Agosto 2024.