Il castello di Santa Severina da imperiale a baronale
Il “castrum” di Santa Severina compare come castello imperiale al tempo di Federico II di Svevia. Esso allora era amministrato da un “castellanus”[i] nominato dalla curia imperiale, ed era sottoposto alla sorveglianza di “magistri” e “provisores”, designati dall’imperatore. Questi ultimi avevano il compito di redigere un accurato rapporto sullo stato della fortificazione, del suo armamento, dei viveri e del personale. Si interessavano anche alle spese per la sua riparazione, alle quali dovevano concorrere i feudatari e le abbazie che avevano possedimenti nel “tenimento” di Santa Severina.
Da una “carta” riguardante il monastero di Sant’Angelo de Frigillo, rileviamo che, durante la prima metà del Duecento, il castello fu sottoposto ad almeno due significativi interventi di riparo. Una prima volta, al tempo in cui l’imperatore era partito per la crociata, e cioè tra il giugno 1228 ed il giugno 1229. Allora furono designati ad ispezionare e ad interessarsi alla riparazione del castello, due “magistri” e “provisores”: il templare Burrello e l’ospedaliere Rogerio.
Una seconda volta nel marzo 1240, quando la curia imperiale aprì un’inchiesta per stabilire se il monastero di Sant’Angelo de Frigillo dovesse concorrere alle spese. In quest’ultimo caso su mandato di Giovanni Vulcano di Napoli, provisore dei castelli imperiali dal fiume Salso a porta di Roseto, furono incaricati di indagare Goffredo da Roccabernarda ed il giudice Stefano da Crotone, i quali interrogarono testi, oltre che della città di Santa Severina, anche dei casali di San Mauro, Scuro Iohanne, San Giovanni Minagò e Cutro, e delle terre di Rocca Bernarda e di Mesoraca, abitati che, evidentemente, erano soggetti a fornire prestazioni per il castello.[ii]
Il luogo
Come evidenzia la fotografia aerea, a quel tempo, il castello occupava l’estremità più settentrionale della timpa della città e, attorno ad esso, si era formato un nucleo distinto dell’abitato, identificato nelle vicinanze della chiesa di San Nicola “de Latinis”,[iii] dove viveva una parte minoritaria della popolazione cittadina, rispetto al resto della cittadinanza di lingua e rito greco.
Attraverso quanto è riportato in occasione della visita compiuta dall’arcivescovo Carlo Berlingieri, nel 1696, sappiamo che, questa chiesa dedicata a San Nicola vescovo di Mira, ancora esistente allo stato di rudere “sull’orlo della balza a piombo”, ai tempi delle ricognizioni compiute a Santa Severina dall’archeologo Paolo Orsi,[iv] nel passato si trovava nel castello della città: “S. Nicolaus – Visitavit Ecclesiam S. Nicolai ante Portam Greciae dictam et Astantes dixerunt hanc Ecclesiam fabricatam fuisse per Comitem Andream Carrafam primum ex translatione altarius Eccl(esi)ae S. Nicolai, ubi iam adest Castrum Civit., et ex traditione seniorum audivisse, p(redi)ctam Ecclesiam, quae in Castro d.to erat, habuisse, et possedisse terras quae dicunt La Solleria.”[v]
Assieme ad essa, dovettero far parte di questo nucleo latino facente capo al castello, la chiesa di “S.ta m.a di la Latta”,[vi] legata alla famiglia cui appartenne “Ioannes de Lacta miles de S. Severina”, ricordato per le sue importanti donazioni ai florensi di San Giovanni in Fiore,[vii] e la chiesa “antichissima”[viii] di Santa Maria Magna: un beneficio di collazione papale, in origine non soggetto alla giurisdizione arcivescovile.
Mezzo dentro e mezzo fuori la città
Durante la dominazione angioina la città di Santa Severina, tranne brevi periodi, godette la condizione demaniale, come è testimoniato dal privilegio concesso dal re Carlo I d’Angiò, dato in Brindisi il 2 marzo 1275, II indizione, seguito da quello di suo figlio Carlo II, dato in Roma il 24 maggio 1278, VI indizione.[ix] Fu perciò amministrata da propri rappresentanti, con la presenza di capitani e castellani di nomina regia. Fedele ai sovrani angioini, durante la guerra del Vespro, nell’estate 1296, sotto la guida dell’arcivescovo Lucifero Stefaniti, oppose una lunga resistenza all’esercito di Federico II d’Aragona che, vista l’impossibilità di prenderla con la forza, la costrinse ad arrendersi a patti assetandola.[x]
Nel dicembre 1346 Santa Severina e Crotone sono ricordate tra le poche università demaniali,[xi] mentre, successivamente, attraverso quanto possiamo ricavare da un elenco riguardante il pagamento dell’adoha (1378), Crotone risultava infeudata al conte di Catanzaro Antonio Ruffo, che deteneva in feudo anche alcuni casali di Santa Severina e altri beni posti nel suo territorio, ma non la città.[xii] Nei primi anni del Quattrocento, durante la guerra tra Ladislao di Durazzo e Luigi II d’Angiò, seguì le sorti del marchese di Crotone Nicolò Ruffo, che si era schierato con l’angioino. Stretta d’assedio si arrese alle truppe di Ladislao che, nel giugno 1404, scese con l’esercito in Calabria.[xiii] Rimasta in demanio fu amministrata da capitani regi,[xiv] anche se prima di cadere nelle mani di Antonio Centelles, dovette subire la presenza degli esattori di Luigi Galeotta, il quale, dopo aver ottenuto la concessione delle entrate della città da Luigi III d’Angiò, ne ebbe anche la riconferma nel 1438 da Renato d’Angiò.[xv]
In questa fase basso-medievale, come evidenzia la fotografia aerea, le mura del castello appaiono collegate a quelle della città, e dotate di un fossato, i cui segni permangono ancora ben evidenti. Il risultato, utilizzando le parole di Pierantonio Lettieri, scritte verso la metà del Cinquecento, in riferimento al criterio generale che aveva ispirato la costruzione dei castelli durante il passato, fu quella di un castello che “veneva ad stare mezo dentro la città, et mezo fora, sincome se usava anticamente”.[xvi]
La città ribelle
Durante la conquista aragonese Santa Severina cadde in potere del capitano catalano Antonio Centelles che, nel 1440, concesse moltissime grazie alla città.[xvii] In seguito all’unione con Errichetta Ruffo, essa andò a far parte del vasto complesso feudale del novello marchese di Crotone, che fu ribelle al re. Alla fine di ottobre 1444, l’esercito di Alfonso d’Aragona giunse in Calabria per soffocare la ribellione. Il Centelles si preparò a sostenere l’assalto: fortificò e rifornì di armi e di viveri i castelli e, nello stesso tempo, fece terra bruciata davanti al nemico, ordinando l’abbandono degli abitati non difendibili, per impedire il vettovagliamento all’esercito del re. Entrato nelle terre del marchese, questi assaltò Cirò, che quasi subito si arrese, poi proseguì per Crotone. Mentre ad una ad una cadevano le terre ribelli (Rocca Bernarda, Belcastro, ecc.) le truppe regie circondarono Santa Severina, che si arrese a patti.
Il 29 novembre Alfonso era ancora “in felicibus castris” presso Santa Severina. In quel giorno il sovrano approvava i capitoli e le grazie dell’università. Tra le varie concessioni vi era, oltre all’incorporazione definitiva della città nel regio demanio, la grazia di liberare i cittadini da ogni spesa per un eventuale recupero del castello che, evidentemente, per l’assedio doveva aver subito gravi danni. I Sanseverinesi, infatti, affermavano che era meglio “che dicto castello dirrupi”, come era nelle intenzioni del viceré Giovanni de Yxar, il quale lo riteneva inutile, e che Santa Severina è “tucta castello et nonce bisogna altro castello”. Poiché il suo mantenimento gravava sulla città e sui suoi casali, se il sovrano avesse voluto ripristinarlo, avrebbe dovuto farlo a spese della regia corte e non dell’università: “Item supp.ca et pete la dicta un.ta che la maestà V.ra oy altro de v.a p.te non inconstringha ad fare alcuna expesa allo riparo del castello dela cita predicta volendose murare anse implorano perdio sia de V.ra merce che dicto castello se derrupi como comandao m.s Joanne de Ysare V.ro Vicere che se dirrupassi et guastassi in tucto perche Santa Severina est tucta castello et nonce bisogna altro castello che lo dicto castello e destructione dela dicta citate si pervenesse la maesta V.ra ad volirla refare et pure quando la maesta V.ra volesse refare lo dicto castello che sia restuto ad dispesa tucta dela maesta p.ta nonce gravando la dicta Un.tate, placet regie magestate in casu refacere dicti castri propriis cur. expensis illud facere et reparare”.[xviii]
Un nuovo castello
A seguito di questi fatti il sovrano fece costruire un nuovo castello che fu eretto alle spalle della città, dove garantiva un migliore controllo di quest’ultima. Il primo agosto 1447, lo stesso re concedeva la “castellaniam castri seu fortillicii” di Santa Severina a Petro Buccadefaro, ordinando nello stesso tempo al castellano, o detentore dello stesso, di consegnarlo al beneficiato, o ad un suo delegato, con le armi, viveri, munizioni ed ogni altra cosa di cui era provvisto.[xix] Due anni dopo il Buccadefaro, robosterio e familiare del re, ne era ancora in possesso. Un ordine del luogotenente del gran camerario Innico d’Avalos, del 29 gennaio 1449, comandava al tesoriere del ducato di Calabria, Gabriele de Cardona, di eseguire una disposizione reale, già inviatagli fin dal passato novembre, che disponeva il pagamento degli stipendi al Buccadefaro e a quindici soci addetti alla custodia del castello di Santa Severina, e cioè: 120 ducati annui per il castellano e tre ducati al mese per ciascun socio.[xx]
Un mese dopo, il 27 febbraio, lo stesso luogotenente ordinava al viceré del Ducato di Calabria, al tesoriere, ai giudici, ecc., di rendere esecutiva un’altra regia disposizione emessa il 15 febbraio 1448. Con essa il re aveva nominato Pietro Buccadefaro governatore a vita della città di Santa Severina, di tutto il suo distretto e delle sue pertinenze.[xxi] La presenza opprimente di un governatore a vita, che assumeva in sé le cariche sia di capitano che di castellano, è messa in evidenza dalle grazie richieste al re Ferdinando, dopo il fallito tentativo di rivolta sviluppatosi alla morte di re Alfonso. Allora il Centelles era ritornato in possesso dei suoi antichi feudi, tra i quali la città di Santa Severina, che assieme alle altre terre del marchese verrà assediata e si arrenderà alle truppe regie nell’autunno 1459.
Tra i capitoli confermati dal nuovo re, il 25 febbraio 1460, vi era la richiesta di non avere più governatori ma capitani di durata annuale, e che il capitano non potesse essere anche castellano. Tali capitoli saranno riconfermati dallo stesso sovrano dopo la breve parentesi in cui la città ritornò in potere del Centelles. Quest’ultimo, infatti, il 24 giugno 1462 era stato reintegrato nei suoi antichi feudi, tra i quali Santa Severina, mentre nel giugno 1464, ebbe anche il titolo di Principe di Santa Severina. Con la scomparsa del marchese, all’inizio del 1466, ritornava libera, ottenendo il 25 febbraio 1466, l’approvazione dei capitoli presentati dai sindaci a nome dell’università. Il re si impegnava a non concedere più in feudo la città con i suoi casali, annullando ogni diritto e titolo che potessero ancora vantare sulla città Antonio Centelles, i suoi figli, fratelli e affini.[xxii] A testimonianza dei lavori fatti fare dal re Ferdinando, rimane ancora oggi l’arme del sovrano, datata MCCCCLXI, rinvenuta in un bassofondo.
La città ritornava in demanio, anche se alcune concessioni non saranno rispettate. Troveremo infatti ad esercitare la carica di governatore Lall Luise, milite e regio consigliere,[xxiii] e nel 1481-1482 Carlo Borromei, mastro portolano di Calabria.[xxiv] Con l’affacciarsi del pericolo turco anche le difese di Santa Severina furono rinforzate. Ne abbiamo la conferma da un breve di Sisto IV. Il papa, il 26 settembre 1482, permetteva di utilizzare 200 ducati delle rendite lasciate per la morte dell’arcivescovo Antonio Cantelmi, per la fortificazione e l’armamento della città.[xxv]
Tuttavia, il suo castello cominciò a perdere d’importanza, rispetto a quello di Crotone. Infatti, il 7 maggio 1487, per fronteggiare il pericolo di incursioni dal mare, con il ritorno della bella stagione, Ferdinando ordinava al condottiero delle genti d’arme del re Iacobo Castracane, di recarsi nella provincia di Calabria e, radunati tutti gli armati che vi sono, andare a stanziare fino al mese di luglio a Crotone; in modo da custodire e vigilare la città e le marine vicine con cento uomini d’arme, così da proteggerla “che non se arma per lo turco o per altro”. Lo sollecitava, inoltre, a recarsi da Don Pietro d’Aragona, figlio del Duca di Calabria, e “nostro nepote, al quale da nostra parte dirrete che debba provedere de artigliaria per lo castello di detta citta, togliendone da quelli castelli rocche so dentro terra, dove non sono utili et importanti, in modo che decta città stea ben provista.”[xxvi]
Il rinforzo dell’apparato difensivo costiero con le sue ingenti spese, ed il mutamento imposto dall’introduzione delle nuove armi da fuoco, oltre a determinare l’abbandono delle fortificazioni interne e delle rocche troppo esposte alle bombarde, causeranno anche la perdita della demanialità della città.
Dal castello regio al castello baronale
Nell’ottobre 1496 re Federico vendeva la città di Santa Severina, con il titolo di conte e con altre terre e feudi, ad Andrea Carrafa; tuttavia, il conte trovò l’opposizione degli abitanti. Nonostante la promessa fattagli dal Paolo Siscar conte di Ayello, allora viceré e governatore della provincia di Calabria, di “dare opera cum effecto a fare conseguire ad esso Conte di Santa Severina, la pacifica, integra et vera possessione della città di Santa Severina con lo castello, et fortellecza et etiam della terra delle Castelle … per lo predetto Conte de Agello minime fu adimplita detta promissione sincomo e publico noto et manifesto ad ogni persona et signanter della provintia di Calabria”. Il Carrafa ne entrerà in possesso solamente con l’arrivo degli Spagnoli, ed in seguito all’intervento di Consalvo Ferrante gran Capitano e Duca di Terranova.[xxvii]
Così la città di Santa Severina “cum eius castro et fortellitiis, muro, fossatis et vallatis cum bombardis et aliis monitionibus, variis artiglieriis et armis ad defensionem castri praedicti necessariis”,[xxviii] passò in potere del conte anche se pochi anni dopo, nell’aprile 1512, sparsasi la falsa notizia della morte del feudatario nella battaglia di Ravenna, tenterà la via della ribellione. La città fu assediata lungamente e poi devastata dalle truppe regie di Bernardo Villamarino, conte di Capaccio, luogotenente del viceré Raimondo de Cardona. Molti cittadini salvarono la vita, ma non i loro averi, con la fuga; altri perseguiti e catturati furono messi a morte, mentre i superstiti dovettero subire le atroci rappresaglie e sopportare il giogo feudale, reso più duro dalla sospensione, più che decennale, delle costituzioni della città, in precedenza concesse dal feudatario.
Con la perdita dello stato demaniale, al presidio ed al castellano di nomina regia, subentrarono un castellano scelto dal conte e le sue guardie baronali, che esercitarono essenzialmente funzioni costrittive e repressive sulla popolazione. Da un inventario del 1521 veniamo a conoscenza che, ancora al tempo di Andrea Carrafa, il castellano baronale di Santa Severina godeva di prerogative antichissime, già riscontrabili all’inizio del Dodicesimo secolo, quando lo stratego di Santa Severina, per l’importanza militare della città, esercitava la sua giurisdizione anche su Crotone.[xxix] All’antico “castellano regio”, per la custodia e sorveglianza che faceva fare delle campagne dalle genti d’arme, “pro honoratico solvi debito dicto castro vetusta et antiqua observantia”, i fidatori delle mandre, che d’inverno prendevano in fitto il pascolo a Santa Severina ed a Crotone, dovevano corrispondere per ciascun corso, fino a 12 ducati, a 60 pezze di cacio, a 60 ricotte e sempre, comunque, un montone ed un capretto. All’inizio del Cinquecento, pur non esercitando più la vigilanza armata delle campagne, il castellano baronale di Santa Severina non aveva però perso il diritto di riscuotere, anche se nel 1608, al tempo della vendita del feudo alla famiglia Ruffo, tutte queste prestazioni erano già state abolite.[xxx]
Durante il periodo in cui la città fu sottoposta al dominio feudale di Andrea Carrafa e, precisamente, al tempo in cui egli ricoprì la carica di luogotenente del Regno di Napoli, sostituendo nel governo il viceré Carlo di Lannoy (1522-1524) partito per guerra in Lombardia, il castello fu rifatto e potenziato.[xxxi] Se ne ha una eco nelle costituzioni delle città approvate dal conte il 16 marzo 1525. Infatti, l’università supplicava il feudatario affinché nessun abitante, né della città né dei suoi casali, fosse costretto a “servitio alcuno de persona ne con bestie, ne meno con robbe senza conveniente pagamento”. Ciò era stato concesso in passato dal conte ma poi questa “gratia fu interrupta per le fabriche et reparationi del castello”.[xxxii] I lavori proseguirono durante il periodo feudale del nipote Galeotto Carrafa, come si rileva da una iscrizione murata “A D 1535 DIE / 27 IUNI 8 INDI / CIONE”, ma in seguito il castello cadde in abbandono.
Se il Nola Molise affermava che Santa Severina era “fortissima di sito, per essere una Rocca come una pigna di pietra fortissima, dove si saglie per stretti sentieri, e nella sommità è un castello intagliato dentro l’istessa pietra, con fosso, e contrafosso, con due ritirate, conforme il Castello Nuovo di Napoli, che la rende inespugnabile”,[xxxiii] un anonimo ben conoscitore del luogo, aggiungeva: “l’eminenza del sito sovra cui sta collocata Santa Severina è tale, che aggiuntavi la Rocca fondata sopra il sasso vivo di fabrica non molto antica, ben’intesa e fiancheggiata da più rivellini e torrioni opportunamente disposti riesce fortezza di molta considerazione. Ma questa piazza pure è senz’acqua, né v’ha memoria, che nelle passate rivoluzioni del Regno si sia mantenuta mai contro l’inimico: anzi a rendersi fu sempre delle prime, a ciò forse astretta dalle necessità, o indotta dall’incostanza naturale de l’abitatori. Il che forse conosciuto dagli Spagnuoli, hanno di proposito trascurato di mantenerla, trovandosi anche al presente in tutto sfornita di presidio, e d’arme e la Rocca non ch’altro disabitata”.[xxxiv]
Note
[i] In un atto del giugno 1221, si evidenzia che, in danno del monastero florense, aveva agito il “castellanus Sanctae Severinae”. De Leo P. (a cura di), Documenti Florensi, 2001, pp. 92-93.
[ii] Pratesi A., Carte latine di abbazie calabresi provenienti dall’archivio Aldobrandini, 1958, pp. 399-402.
[iii] In un “Inventario” che l’arcivescovo Giulio Antonio Santoro fece compilare nel 1576, quando era commendatario dell’abbazia di San Giovanni in Fiore, si legge: “Instrum donationis factae per Tancredum q.o Peregrini de Taranto fri Orlando Abb. Floren unius casaleni in civitate S. S.nae in Parochia S. Nicolai de Latinis et trar. in casali S. Petri de Canastro tenimenti eiusdem civitatis. In anno 1256.” L’inventario del Monastero florense, in Scalise G. B. (a cura di), Siberene, Cronaca del Passato per le diocesi di Santaseverina – Crotone – Cariati, p. 273. “Instrumentum donationis factae per Tangredum quondam Peregrini de Taranto fratri Orlando abbati Florensi unius casaleni in civitate S. Severinae, in parochia S. Nicolai de Latinis, tumulatarum terrarum in casali S. Petri de Camastro tenimenti eiusdem civitatis, anno 1256.” De Leo P. (a cura di), Documenti Florensi, 2001, p. XXXVI.
[iv] “Io mi sono limitato a far eseguire il rilievo planimetrico delle due chiesette ancora visibili, sebbene ridotte allo stato di ruina. La maggiore, posta nel centro del quartiere, è dedicata a S. Pietro; si noti che il muro traverso con arco è aggiunta seriore. L’altra minuscola di S. Nicolò è posta sull’orlo della balza a piombo, ed appunto per questo il muro di levante è molto più spesso dell’opposto”. Per la Nostra Storia, in Scalise G. B. (a cura di), Siberene, Cronaca del Passato per le diocesi di Santaseverina – Crotone – Cariati, p. 154. Orsi P., Siberene – S. Severina, in Le Chiese Basiliane della Calabria, Firenze 1929, p. 225.
[v] AASS, Fondo Capitolare, cartella 4D fasc. 3, Copia decret. S. Visit. majoris Eccl.ae S. Sev.nae de anno 1696.
[vi] Nel pomeriggio del 18 maggio 1559, dopo aver visitato la chiesa di San Nicola vescovo di Mira, il vicario Giovanni Tommaso Cerasia, cantore della chiesa cattedrale di Mileto al tempo dell’arcivescovo Ursini, visitò la chiesa di “S.ta m.a di la Latta”. AASS, Fondo Arcivescovile, cartella 16B, ff. 27-27v.
[vii] Nel giugno 1222, dall’assedio di Jato, dietro l’istanza di Matteo, abbate di San Giovanni in Fiore, Federico II, confermava tutti i precedenti privilegi concessi all’abbazia, tra cui “partem quoque vallium Prosliconii, quam Ioannes de Lacta miles de S. Severina obtulit monasterio supradicto”. De Leo P. (a cura di), Documenti Florensi, 2001, pp. 99-101 e 102-103. Beni e diritti confermati il 28 gennaio 1233 in Anagni, da papa Gregorio IX, tra cui troviamo il “tenimento Miliae, Vallium quoque Policronii, quae prope Netum sunt, partem quam possidet oblatione Iohannis de Ladda militis de Sancta Severina”. Ibidem, pp. 123-130.
[viii] Scalise G. B. (a cura di), Siberene, Cronaca del Passato per le diocesi di Santaseverina – Crotone – Cariati, p. 110.
[ix] AASS, Fondo Pergamenaceo, pergamena 3. Questi privilegi concessi dai primi sovrani angioini, saranno ricordati anche in seguito al tempo di re Alfonso d’Aragona: “Item supplica la dita universitate in genere et in specie che tute le gracie concesse per le bone et sancte memorie deli Re passati in primis delo Re Carlo cum sigillo pendente de auro item de Re Karlo terto cum sigillo pendente item de re Karlo sigillo pendente item de Re Karlo secundo cum sigillo pendenti Et g(e)n(er)al(ite)r tute le cose concesse aloro per le dicte Sancte memorie sub quacumque expressione verborum tanto dela bona memoria de Re Karlo quanto per la Regina Iohanna et omne privilegio loro quale fosse concesso ala dicta universitate loro sia actiso efficacimente et nullo umque tempore loro siano annullati in totum aut in parte etiam li privilegii concessi aloro como est vicere dela Ma.te v(ost)ra loro sia intisso et nullo umque tempore loro sia anullato § placet Regie ma.ti.” Capitoli concessi “pro Universitate Sancte Severine”, dati “in n(ost)ris felicibus Castris apud Sanctam Severinam” il 20 novembre 1444 indizione VIII. ACA, Cancillería, Reg. 2903, f. 179.
[x] Speciale Niccolò, Historia Sicula, Lib. III, cap. X., in Muratori L. A., Rerum Italicarum Scriptores, t. X, pp. 975-976.
[xi] Minieri Riccio C., Notizie storiche tratte da 62 registri angioini dell’archivio di Stato di Napoli, Napoli 1877, p. 31.
[xii] “Comes Catanzarii Pro … Casale Cutri pro valore unciarum octo … Casalibus Sancti Mauri et Papenichifari (sic) pro valore unciarum quindecim cum dimidia … Pro bonis in Cutrono et Sancta Severina pro unciis quatuor.” Biblioteca comunale di Bitonto, Fondo Rogadeo, Ms. A 23, framm. reg. ang. 373, ff. 84v-86v.
[xiii] Pacella F., Un barone condottiero della Calabria del sec. XIV-XV: Nicolò Ruffo marchese di Cotrone, conte di Catanzaro, in ASPN, III, 1964, p. 66.
[xiv] Capitani della città di Santa Severina nominati da Luigi III d’Angiò: 2.1.1425, Roberto de Marano di Cosenza; 13.9.1425, Paolo de Ammirato di Salerno; 1.3.1431, Luigi Galeotta di Napoli. Orefice I., Registro della Cancelleria di Luigi III d’Angiò per il Ducato di Calabria 1421-1434, ASCL 1977/1978, pp. 326, 343, 368.
[xv] Campanile F., Dell’armi overo insegne dei nobili, Napoli 1680, p. 287.
[xvi] Nella sua descrizione della posizione della porta Capuana di Napoli, in rapporto a quella di Castel Capuano, il Lettieri, affermava: “dove era la porta anticha de Capuana; quale steva sopra lo fosso de detto Castello corrispondente nella sua mittà et lo soprad. Castello veneva ad stare mezo dentro la città, et mezo fora, sincome se usava anticamente;” Lettieri P. A., Discorso dottissimo del Magnifico Ms. Pierro Antonio de’ Lechtiero cittadino, et Tabulario Napolitano circa l’antica pianta, et ampliatione dela Città di Nap. …, in Giustiniani L., Dizionario Geografico-Ragionato del Regno di Napoli, tomo VI, Napoli 1803, p. 384.
[xvii] Bernardo S., Santa Severina nella vita calabrese, Napoli 1960, p.70.
[xviii] Caridi G., Un privilegio inedito di Alfonso il Magnanimo alla città di Santa Severina, in Nuovi Annali della Facoltà di Magistero dell’Università di Messina, n. 2, 1984, p. 157.
[xix] Fonti Aragonesi, I, pp. 61-62.
[xx] Fonti Aragonesi, I, p. 72.
[xxi] Il Buccadefaro aveva avuto anche l’incarico di custodire la torre del casale di San Mauro. Fonti Aragonesi, I, pp. 72-73.
[xxii] Un prezioso documento del secolo XV, in Scalise G. B. (a cura di), Siberene, Cronache del passato delle diocesi di Crotone, S. Severina, Cariati, p. 172.
[xxiii] Capialbi H., Instructionum Regis Ferdinandi Primi Liber, In Arch. Stor. Cal., 1916, p. 268.
[xxiv] Maone P., San Mauro Marchesato, Catanzaro 1975, p. 101.
[xxv] ASV, ARM. XXXIX, 15, f. 38v.
[xxvi] Capialbi H., Instructionum Regis Ferdinandi Primi Liber, in Arch. Stor. Cal., 1916, pp. 261-263.
[xxvii] AVC, Processo Grosso ff. 451v-452. La città fu venduta al Carrafa con privilegio di Federico d’Aragona concesso in Castello Novo Napoli il 14 ottobre 1496, e fu riconfermata al conte da Ferdinando D’Aragona, da Salamanca il 18 gennaio 1506 e da Castello Novo Napoli il 20 maggio 1507. AVC, Reintegra delli territori e robbe del vesc.to dell’Isola di carte trenta sei nell’anno 1520, f. 6.
[xxviii] Bernardo S., Santa Severina nella vita calabrese, Napoli 1960, p. 187.
[xxix] Nell’aprile 1121 in un atto interviene Costa “notarium et strategum S. Severinae et Crotonis”. Trinchera F., Syllabus Graecarum membranarum, 1865, p. 114.
[xxx] Diritti feudali a Santaseverina, in Scalise G. B. (a cura di), Siberene, Cronache del passato delle diocesi di Crotone, S. Severina, Cariati, pp. 562, 569.
[xxxi] Bernardo S., Santa Severina nella vita calabrese, Napoli 1960, p. 187.
[xxxii] Costituzioni della città e stato di Santaseverina, in Scalise G. B. (a cura di), Siberene Cronache del passato delle diocesi di Crotone, S. Severina, Cariati, p. 292.
[xxxiii] Nola Molise G. B., Cronica dell’antichissima e nobilissima città di Crotone, 1649, p. 87.
[xxxiv] Mercati G., Calabria e Calabresi in un manoscritto del XVII secolo, in Collectanea Byzantina, Bari 1970, II, p. 704.
Creato il 3 Marzo 2015. Ultima modifica: 5 Aprile 2023.