Il castello di Belcastro
L’età dei castelli
Simbolo del potere signorile, e segnale dell’avvento di una nuova organizzazione urbana che si concretizza, prevalentemente, attraverso l’arroccamento nelle aeree dell’interno (“Incastellamento”), agli inizi del sec. X, il castellum costituisce la forma d’insediamento che caratterizza i nuovi centri abitati del Crotonese[1].
Esso ci appare come un complesso fortificato, edificato alla sommità di una posizione vantaggiosa, in difesa della chiesa e degli uomini raccolti attorno ad essa, dove spicca la residenza signorile identificata dalla presenza di una torre. Dopo la formazione della “terra”, l’abitato che accoglie i coloni accorsi a coltivare il territorio, e l’erezione del “castrum”, la fortificazione che li difende, il castello appare distinto dalle mura di quest’ultimo, in una chiara posizione eminente ai margini dell’abitato, a controllo della città e delle sue vie d’accesso.
Risalta dunque, come il castello non costituisca mai un complemento alle difese della città, ma una presenza che, in maniera più o meno marcata, gli si dimostra sempre contrapposta[2].
Accanto a questa loro nuova funzione urbana, comunque, i castelli continueranno a svolgere il compito che già assolvevano durante l’età romana, vigilando sui principali punti d’attraversamento del territorio e mantenendo la loro caratteristica struttura. Si trattava di torri a base quadrata impostate su tre livelli, di cui l’ultimo costituito da un terrazzo protetto da una merlatura. Al piano terra vi era un ambiente inaccessibile dall’esterno, destinato ad ospitare cisterna e magazzini, dal cui interno si poteva accedere alla porzione abitabile o “sala” della torre, posta superiormente. Qui si apriva l’accesso esterno che, attraverso una “postierla”, inserita nelle difese poste a munire la base della torre, consentiva di raggiungere la corte, dove erano gli ambienti di servizio: cappella, abitazioni ed i ricoveri per gli animali. Questo complesso era difeso da una palizzata e da un fosso, che munivano il perimetro esterno sfruttando l’assetto naturale del luogo.
Kallipóleos nuova sede vescovile
Posta nell’interno ed insignita del titolo vescovile, Kallipóleos – Callipolitanus compare tra la fine del sec. IX e gli inizi del X[3], in seguito all’abbandono del tratto Tacina – Squillace dell’antica via costiera d’età romana. In particolare, la città controllava il punto in cui convergevano i principali assi stradali che collegavano il nuovo percorso con le principali direttrici d’attraversamento del Crotonese, ed in ciò risiedeva la sua importanza che perdurerà per tutto il medioevo.
In questa fase l’abitato era costituito da un forte castello posto a controllo della via, dove, con il tempo, si andrà sempre maggiormente evidenziando un altro elemento caratteristico dello scenario medievale: la cattedrale che, con la sua architettura, arriverà a sovrastare, in maniera incombente, qualsiasi altro edificio cittadino. Ciò si giustifica alla luce delle prerogative politiche e religiose dei vescovi, che si evidenziano come i signori feudali dei principali centri[4] (le “civitas”), dove i castelli si qualificano come le loro primitive residenze[5]. Questa situazione permarrà ancora nel Cinquecento, quando, pur con qualche eccezione (Strongoli), i vescovi, gelosi della loro autonomia, manterranno un livello di difesa autonomo ed indipendente dalle mura cittadine, realizzando proprie torri che andranno a far parte di un unico complesso comprendente la cattedrale ed il palazzo vescovile[6]. Tale situazione appare cristallizzata a Belcastro, dove la residenza vescovile si presenta ancora oggi dominata dalla torre “Mastra”: un autonomo e massiccio donjon[7] che, in base alle strutture superstiti, pare ascrivibile ad una fase compresa tra la fine del sec. XI e gli inizi del XII, quando, a seguito degli avvenimenti relativi all’insediamento dei Normanni, il vescovado bizantino fece posto al sorgere di Genicocastro[8].
Alla sua base si apriva l’ingresso, che era ricavato in un corpo avanzato posto nell’angolo sud-ovest della torre, attualmente crollato ma che, in origine, doveva occupare tutta l’altezza dell’edificio. La situazione è evidenziata dall’area di crollo ed è testimoniata in altri casi analoghi (Paternò). Attraverso questo passaggio ed una ripida scala esterna che poteva essere convenientemente rimossa, si poteva giungere all’ingresso della torre, posto al primo piano.
Questa torre che occupava la posizione più elevata, era circondata da un perimetro difensivo che muniva la sommità della rupe, dove sorgevano gli edifici di servizio alla residenza del vescovo e della sua corte e la cattedrale[9]. Questo perimetro che, originariamente, doveva seguire l’andamento naturale del terreno, fu regolarizzato più tardi e mantenuto in costante efficienza, come dimostrano le diverse strutture difensive che si rinvengono lungo tutto il suo percorso.
L’importanza strategica di Belcastro, legata al controllo della via che collegava le contee di Catanzaro e di Crotone, risalta ancora alla metà del sec. XV, in occasione degli avvenimenti che costrinsero i sovrani aragonesi a scendere personalmente in Calabria, per sedare le rivolte del marchese di Crotone Antonio Centelles. Durante le operazioni condotte da re Alfonso, quest’ultimo si preoccupò subito di tagliare la strada da cui potevano provenire aiuti ai ribelli e, dopo aver assunto il controllo dei guadi del Neto, si diresse ad occupare quelli del Tacina, ponendo l’assedio a Belcastro il 21.11.1444. Dopo poco i cittadini si arrendevano “e gli furono aperte le porte non possette però espugnar il castello e la torre detta di Castellaci” [10]. Tale quadro appare confermato durante la successiva discesa di re Ferdinando che, nel suo piano d’attacco tendente ad isolare le città ribelli fedeli al marchese, proveniente da Catanzaro, penetrò nelle terre di quest’ultimo il 2.10.1459 e si accampò presso il ponte sul fiume Crocchio, ponendo l’assedio a Belcastro[11].
L’età della riconversione
L’importanza strategica di Belcastro risalta ancora alla fine del sec. XV quando, a seguito della minaccia turca, le principali piazze del regno furono rifortificate. Nel marzo del 1489 la città fu ispezionata da Alfonso, duca di Calabria, e da Antonio Marchesi di Settignano[12], ed in seguito a questa visita fu interessata da importanti lavori d’adeguamento. Questi ultimi, non apprezzabili nel caso delle mura cittadine, si rendono evidenti in quello del castello, dove le nuove strutture paiono integrarsi a quelle preesistenti. Qui il nucleo originario, la “torre Mastra”, fu rinforzata alla base mediante la realizzazione di un barbacane, che aveva lo scopo di aumentare la resistenza della vecchia torre, fungendo da ulteriore perimetro difensivo.
Accanto a questi apprestamenti, il castello fu dotato di un perimetro esterno con nuove torri poligonali scarpate, più adatte ad ospitare le armi da fuoco. Successivamente, le necessità di puntamento, comporteranno la demolizione del corpo piombato di queste torri, che sarà sostituito da quello attualmente visibile per consentire l’ampliamento del settore di tiro. Le evidenze murarie superstiti permettono di riferire queste ultime strutture al primo venticinquennio del XVI secolo, periodo al quale dovrebbe risalire anche la torre rotonda, i cui resti si evidenziano all’estremità sud del complesso. Si tratta, comunque, degli ultimi interventi che sottolineano l’importanza militare del castello. Con l’evoluzione della tecnica bellica legata all’uso di armi da fuoco più progredite, il castello di Belcastro, come altri, perderà le sue funzioni, riducendosi a residenza dei feudatari del luogo, che ne amplieranno gli ambienti interni in relazione alle loro esigenze di soggiorno nella città.[13] In tale ottica si evidenziano le sopraelevazioni che compaiono nei tratti superstiti delle mura perimetrali verso la città.
Note
[1] Nelle fonti documentarie i termini latini “castellum” e “castrum” sono usati senza alcun riferimento a particolari tipologie, come del resto risulta per gli omologhi termini greci “kastellion” e “kastron”.
[2] Lo stato di oppressione esercitato dal castello nei confronti delle popolazioni urbane c’è testimoniato da diversi episodi riportati dalle cronache. Nel 1339, i crotonesi inferociti espugnano il castello, poi ripreso dal capitano della città (Gaggese R., Roberto d’Angiò e i suoi tempi, Vol. I, Bemporad, Firenze 1932 p. 332) mentre, nel 1527, i mesorachesi dettero alle fiamme il castello, trucidando il feudatario con tutta la sua famiglia (Pesavento A., La città immaginaria, Crotone nel Viceregno, 1985 p. 2). Anche i cittadini di S. Severina erano naturalmente insofferenti ai gravami imposti dal locale castello. In tale ottica, dopo essersi arresi ad Alfonso, essi si affrettarono a chiedere al sovrano aragonese “che dicto castello dirrupi” (Caridi G., Un privilegio inedito di Alfonso il Magnanimo alla città di S. rina, in Nuovi Annali della Facoltà di Magistero della Università di Messina, n.2, 1984, p. 157), mentre nel 1460, chiesero a re Ferdinando la grazia che fosse distrutta ed abbandonata anche la torre di S. Mauro (Siberene, cit. p.167) che, evidentemente, esercitava nei loro confronti qualche tipo di imposizione. Questo atteggiamento è evidenziato anche da alcuni episodi tramandati dalla cultura popolare, come nel caso della leggenda del “re pagano” a Roccabernarda, o relativamente al supposto diritto del conte di Melissa di esercitare nei confronti della popolazione lo jus primae noctis.
[3] ó Kallipóleos (Belcastro) compare tra i vescovadi suffraganei della nuova metropolia di Santa Severina riportati nella Diatiposi al tempo di Leone VI il Filosofo (886-911), assieme a ó Akeréntias (Cerenzia), ó tõn Aesúlon (Isola) e ó Euruáton (Umbriatico). Successivamente l’opera fu rimaneggiata. Di quest’ultima se ne conserva una redazione che è del tempo di Alessio Comneno (posteriore al 1084) dove, nella Notitia III, i vescovadi suffraganei di Agías Seberínes (Santa Severina) risultano cinque: Akeranteías/Acerentinus (Cerenzia), Palaiokástron/Castri veteris (Strongoli), Aisúlon/Aysilorum (Isola), Euruáton/Euriatensis (Umbriatico) e Kallipóleos/Callipolitanus (Belcastro). Russo F., La Metropolia di S. Severina, in Scritti Storici Calabresi C.A.M., Napoli 1957.
[4] Come tali i vescovi di Strongoli e di Isola erano tenuti a concorrere alle spese di ristrutturazione del castello di Crotone. (Reg. Ang. Vol. VI, 1270-71, pp. 109-110).
[5] Le caratteristiche di queste dimore vescovili paiono strettamente connesse alla figura del presule medievale che, oltre a costituire la principale autorità religiosa, nell’ambito delle sue prerogative di signore feudale della città, riassume anche funzioni politiche e militari. Ciò risalta ancora sul finire del Duecento, quando nel 1284, durante la guerra del Vespro, l’esercito di Pietro III d’Aragona invase la Calabria e Matteo Fortunato alla testa di 2000 Almugaveri, incendiò il monastero di S. Giovanni in Fiore (Bartolomeo di Neocastro, Istoria Siciliana 1250-1293, cap. LXXXII, pp. 56-59) devastando i centri della valle Neto (Ughelli F., Italia Sacra, IX, 527). In tale occasione, i vescovi della zona si fecero carico di guidare le armi fedeli alla causa angioina. Ai fratelli Stefanazia, Ruggero e Lucifero, rispettivamente arcivescovo di S. Severina e vescovo di Umbriatico, si unì il vescovo di Strongoli (Russo F., La guerra del Vespro in Calabria nei documenti vaticani, in A.S.P.N. 1961, pp. 207 sgg.).
[6] Ad Isola il vescovo Annibale Caracciolo rifiuterà di trasferirsi all’interno della nuova cinta fortificata realizzata dal feudatario della città, e permarrà nella sua primitiva residenza che, nella seconda metà del Cinquecento, sarà rifortificata con una possente torre di difesa di fianco alla cattedrale (Visita del Vescovo G.B. Morra, 1648, f.25 Arch. Vesc. Crotone; Rel. Lim. Insulam 1606). Il vescovo di Strongoli Claudio Vico (1590-1600) fa completare una propria torre di difesa presso il palazzo vescovile che era stata iniziata dai suoi predecessori (Rel. Lim. Strongulen, 1597).
[7] Il francesismo donjon (italiano: dongione) deriva dal latino dominion, e si riferisce all’ostentazione del proprio potere da parte del signore feudale attraverso la costruzione della torre.
[8] “Geneocastrensem/Genecocastren/Genicocastren”, dal 1330 “Bellicastrum” (Rel. Lim., 1703), sorge conseguentemente all’insediamento normanno. Le sue mura, torri e fortificazioni, esistettero fino al 1644 quando il grande terremoto di quell’anno le distrusse (Rel. Lim., 1758).
[9] Durante il sec. XVI tra il castello e la cattedrale sorgeva il palazzo vescovile. Pesavento A., La cattedrale di Belcastro in La Provincia KR n. 20/22 – 2000.
[10] Pesavento A., Alle origini della provincia di Crotone, in La Provincia KR, n. 2-7/1996.
[11] La città si arrenderà l’otto ottobre 1459. Fiore G., Della Calabria Illustrata, Napoli 1691, t. I, 213.
[12] G. Filangieri, Documenti per la storia, le arti e le industrie delle provincie napoletane, 1891, vol. I.
[13] In base a queste esigenze, nel 1549, il feudatario di Isola, Io. Antonio Ricca, realizzò la sua residenza fortificata nelle adiacenze della nuova città murata mentre, successivamente, il principe di Strongoli costruirà la propria attorno ad una torre medievale preesistente (la “Maestra”). Ulteriori esempi di questa tendenza, sono rappresentati dalla costruzione del “Belvedere” all’interno del castello di S. Severina (1535), e dalla realizzazione del palazzo ducale di Caccuri, che costituisce lo sviluppo in chiave residenziale del preesistente castello medievale.
Creato il 9 Febbraio 2015. Ultima modifica: 24 Aprile 2015.
il Condottiero Gian Giacomo Trivulzio il Grande (Marchese di Vigevano fino al 1518, ecc.), fú creato Conte di Belcastro con Cropani e Zagarise nel 1487. Non conosco l’ origine di questa investitura feudale, è possibile avere informazioni?
“Donazione a Giovan Giacomo Trivulzio, per il valido aiuto nel reprimere le congiure dei baroni, della contea di Belcastro, della Terra di Zagarise, di Cropani e di …” . Mazzoleni J., Regesto della Cancelleria Aragonese, p.161.
“In detto cedolario (ASN, Cedol. F. 197 e segg.) vien fatto anche un po’ di storia sui vari passaggi del feudo di Belcastro, che nel 1465 re Ferrante aveva concesso a Ferrante de Guevara col titolo di Conte, unitamente alle terre di Cropani e Zagarise. Nell’anno 1485 la Contea veniva concessa dallo stesso Re a Giovan Giacomo Trivulzio. Nel 1500 Costanza d’Avalos espose a Re Federico che per la ribellione del Trivulzio la Contea era stata devoluta alla Regia Corte e da Re Ferrante a lei concessa in feudum per i servigi a lui prestati, sebbene non apparisce cautela né scrittura alcuna. Maone P., Notizie storiche su Cotronei, Historica n. 2/1972, p. 109 nota 51.
“Da allora e fino al 1483 appartenne a Ferrante de Guevara, ed indi a Federico d’Aragona, da cui nel 1487, passò a Gian Giacomo Trivulzio.” Valente G., In Dizionario dei luoghi della Calabria, pp. 88 e sgg.
Grazie