Capo Colonna: la chiesa di Santa Maria ed i “casini di villeggiatura”

Chiesa di Capocolonna

Crotone, chiesa di Santa Maria di Capo Colonna.

Le prime notizie sulla chiesa risalgono alla fine del Quattrocento – primi anni del Cinquecento,[i] quando il promontorio fu soggetto alle scorrerie turchesche.[ii] Un manoscritto, che descrive i miracoli della Vergine del Capo, compilato nel 1598 dal canonico Giovanni Cola Basoino, fu “copiato” dall’originale nel 1741 dal primicerio Raimondo Torromino, che diverrà poi arcidiacono. La “copia” fu in seguito messa a stampa nel 1824 dal Decano Giuseppe Maria Sculco.

Il “Libro dei Miracoli” tramanda che nel 1519 esisteva a Capo delle Colonne[iii] una chiesa, dove si venerava una sacra immagine della Vergine detta del Capo. Nel giugno di quell’anno due galee di Turchi approdarono al Marinello e saccheggiarono la vicina chiesa, tentando invano di bruciare l’immagine che, buttata in mare dai pirati, fu ritrovata sulla spiaggia “sotto l’Irto del Capo verso li Canalicchi” da un vecchio coltivatore del luogo di nome Agatio Lo Morello. L’immagine fu dapprima portata nel convento dei minimi di San Francesco di Paola e poi in un altare della cattedrale, costruito appositamente con le elemosine dei fedeli.

L’originale manoscritto del Basoino, copiato dal Torromino “molto patito … così nel carattere, come nelle pagine lacerate in molti luoghi”,[iv] è andato perduto.[v] Anche da una superficiale analisi il testo che ci rimane, che si rifà alla copia settecentesca, mostra delle alterazioni dell’originale, specie nella parte iniziale.[vi] È sospetto anche il fatto che la chiesa e la località del ritrovamento risultano nelle proprietà dell’arcidiaconato.

La vera effigie di Santa Maria di Capo Colonne dipinta da San Luca Evangelista e conservata nella cattedrale di Crotone, che si trova riprodotta nella stampa del manoscritto di Jo. Nicola Basoino.

Dal Cinquecento al Settecento

Durante il Cinquecento ed il Seicento la chiesa sul promontorio fu meta di pellegrinaggi, soprattutto per chiedere la protezione dalle calamità, in specie la grazia della pioggia. Infatti, di solito, l’immagine che si trovava nella sua cappella in cattedrale, era portata in processione per l’abitato; ma in caso di eventi particolarmente gravi veniva condotta alla sua antica dimora. In tale occasione i governanti della città dovevano personalmente recarsi dal vescovo a chiedere il permesso. L’ordinario, riconosciuta la fondatezza della necessità, lo concedeva gratis, una volta che ogni cosa era stata predisposta, affinché la processione si presentasse con quella pompa e quel decoro che erano dovuti e si fosse provveduto alla cera e ad ogni altra cosa necessaria.[vii] A volte durante il percorso nascevano liti per la precedenza tra il clero e le confraternite che dai diversi luoghi vicini si associavano.[viii]

Proprietario della chiesa e del luogo dove essa sorgeva era l’arcidiacono, la prima dignità del Capitolo cattedrale di Crotone, la carica religiosa più importante e prestigiosa dopo quella di vescovo, di cui sovente era vicario. La dignità fu detenuta per quasi tutta la prima metà del Cinquecento dai Lucifero.[ix] In tale periodo i celebri resti sul promontorio furono utilizzati come cava per ricavare il materiale per la ricostruzione della cattedrale e per le nuove fortificazioni della città.[x] In seguito l’arcidiaconato passò in commenda e sul finire del Cinquecento e durante il Seicento, cominciò a deprezzarsi a causa delle pensioni che cominciarono a gravarlo.[xi] Se nei primi anni del Seicento la dignità era valutata del valore di 160 ducati,[xii] sul finire del secolo ne valeva quasi la metà.

All’inizio del Settecento infatti, la rendita con le distribuzioni dell’arcidiaconato era valutata 90 ducati, essendo gravata da una pensione di 60 ducati. Esso possedeva da tempo antico nel territorio di Nao la gabella “Il Capo delle Colonne” su la punta di detto Capo”, confinante con le gabelle Zappaturo e Furmisella, e la gabella l’Irticello, confinante con l’Irto Grande. Questi terreni erano affittati unitamente per tre anni a semina e per tre anni a pascolo e davano rispettivamente, nel primo caso 180 tomoli di grano all’anno, nell’altro caso circa 90 ducati.[xiii] Era arcidiacono, fin dal 1694, Diego Domenico Leone.[xiv]

Tra i diritti e le prerogative, che esso godeva dai tempi antichi, vi era anche la carica di rettore e cappellano della chiesetta di “Santa Maria de Capite Columnarum in dicto capite sita”.[xv] La piccola chiesa era curata quotidianamente da un eremita che abitava sul Capo[xvi] ed era meta di devozione, come dimostra la grande croce in legno, ancora oggi esistente, lasciata nella primavera del 1701 dal cappuccino Antonio d’Olivadi, che la trascinò da Crotone, andandovi in processione.

Il Leone nel gennaio 1704 lascerà l’arcidiaconato per il Cantorato che, pur essendo la terza dignità della chiesa crotonese, assicurava una rendita maggiore, mentre nuovo arcidiacono divenne Geronimo Facente.[xvii] Quindici anni dopo, al tempo del vescovo Anselmo de la Pena, era arcidiacono Pietro Paolo Venturi. Le cose non erano cambiate di molto. La proprietà era immutata ma le due gabelle dette “Il Capo di Nao” e “Erticello”, se affittate a pascolo, davano all’incirca la stessa rendita, a semina, invece, a causa delle sterili annate e del luogo particolarmente soggetto all’aridità, la loro resa si era ridotta di un terzo.[xviii] Morto il Venturi, alla fine del giugno 1741 subentrò nella dignità l’aristocratico Domenico Geronimo Suriano, già tesoriere della cattedrale.[xix]

Dal Catasto onciario di Cotrone del 1743 risulta che l’Arcidiaconato, detenuto dal Suriano, conservava i due territori a Nao, uno contiguo all’altro, detti “il Capo” e “L’Irticello”, dell’estensione di 240 tomolate, d’annua rendita effettiva di ducati 90,[xx] segno della prevalenza del pascolo sulla semina, ma anche di una dichiarazione mendace che sottostimava di quasi la metà la rendita, facendo risultare solo il pascolo. Pochi anni dopo la località cominciò ad animarsi per l’arrivo dei forzati, addetti a reperire il materiale per la costruzione del nuovo porto di Crotone.[xxi] Con l’inizio dei lavori veniva riparata la vicina regia torre di guardia del Marrello, detta anche del “Travaglio” edificata all’inizio del Seicento, e si costruiva un piccolo villaggio con abitazioni e chiesa dedicata a San Carlo Borromeo.

Capo Colonna presso Crotone in un’antica stampa.

La costruzione dei casini

Nel settembre 1755 divenne arcidiacono, per morte di Domenico Geronimo Suriano, Raimondo Torromino, già decano della chiesa crotonese.[xxii] Egli fu così il nuovo cappellano della chiesa e da alcuni documenti che lo riguardano, si viene a conoscenza che, a fianco della chiesa, era stata costruita dai precedenti arcidiaconi una torre, per rifugio in caso di improvvise imboscate da parte di corsari o banditi.

Con l’arrivo del quasi ottantenne Torromino le cose mutarono. Egli, infatti, fece fare numerosi lavori. Restaurò la chiesa e la torre, che già esistevano, e fece costruire un casino composto da tre nuove camere e tre bassi attaccati alla torre. Frattanto le entrate della dignità, già gravate da pensioni, cominciarono ad assottigliarsi per il perdurare di una lunga crisi agricola, che sfocerà in una devastante carestia.

Fu in questi anni che il Torromino, essendo vescovo il napoletano Mariano Amato (1757-1765), concesse dei pezzi di terreno sul capo a degli aristocratici della città, che si erano arricchiti con la speculazione ed il mercato nero, affinché potessero costruire dei casini per godere “l’amenità dell’aere”.[xxiii] I terreni “sterili e infruttuosi” furono concessi in perpetuo, previa autorizzazione vescovile, con la condizione del miglioramento, cioè “per edificarvi e farvi edificare un casino e piantarci alberi”. Essi erano tutti lunghi palmi 132 e larghi palmi 80, per un’estensione di mezza tomolata di terra, ed il pagamento era stabilito per ognuno in un annuo censo enfiteutico perpetuo di carlini 10. La prima concessione fu fatta nell’ottobre 1763 a Pietro Asturelli (5.10.1763),[xxiv] seguirono l’anno dopo quelle fatte a Francesco Antonio Sculco[xxv] ed al marchese Giuseppe Maria Lucifero (9.1.1964),[xxvi] ad Annibale Montalcini (27.1.1764),[xxvii] a Raffaele Suriano ed infine, a Nicola Marzano (12.4.1764).[xxviii]

Tra le condizioni poste agli enfiteutici vi era “che nell’affacciata di detto casino a mare non possa il medesimo ne possano li suoi eredi e successori farvi altre fabriche per non impedire il passaggio e così ancora non si possa permettere ad altri fabricarvi per non impedirsi né l’affacciata del mare né il passaggio. E dalla via di terra che il passaggio si debba fare per la stessa via che conduce alla cappella e da là condursi poi a detto casino”. Mentre invece l’arcidiacono o i suoi successori, non doveva “permettere altro casino all’affacciata di terra” dei casini già costruiti, se non in certa distanza, in modo “che non venghi ad impedire la vista dei monti o altro”.[xxix]

Le condizioni in seguito, saranno solo in parte rispettate, mentre l’estensione dei terreni concessi in alcuni casi saranno raddoppiate, rimanendo il censo inalterato.[xxx] Alla sua morte l’ultranovantenne Torromino lasciava di fatto parte della gabella di Capo delle Colonne in mano a nuovi proprietari, mentre a fianco della chiesa della B.V. del Capo, principale patrona della città, e alla recente torre di difesa, si era aggiunto il nuovo casino “per il servizio dell’istessa”[xxxi] ed alcuni casini degli enfiteuti.[xxxii] Le spese sostenute dall’arcidiacono per il miglioramento e la costruzione delle fabbriche furono subito rivendicate dagli eredi.

Il 21 novembre 1770 su incarico dei coeredi, cioè il canonico Raffaele Asturelli ed i suoi fratelli, i sacerdoti Francesco e Giuseppe, venivano incaricati i mastri fabricatori e muratori Pascale Juzzolino e Giuseppe Gerace ed il mastro falegname Antonio Sacco, a valutare ed apprezzare i lavori fatti fare dal defunto arcidiacono nella chiesa, nella torre e nella costruzione delle tre nuove camere e tre bassi, attaccati alla torre, nella gabella detta il Capo di Nao.

Portatisi sul luogo, i mastri stimarono che il valore degli interventi fatti fare dall’arcidiacono, in tempo che era vita, ascendevano a ben 480 ducati.[xxxiii] Nel febbraio 1774 subentrava il primicerio Diego Zurlo, prete nobile di 63 anni, che svolgeva anche la carica di vicario generale e capitolare, essendo Crotone sede vacante per morte del vescovo Bartolomeo Amoroso.[xxxiv] Tre anni dopo la chiesa rurale sotto il titolo della Madonna del Capo, risulta curata dall’arcidiacono Diego Zurlo, che vi teneva un eremita laico, mentre la vicina chiesa, fondata per ordine del re e dedicata a S. Carlo Borromeo, era sotto la cura spirituale del cappellano regio Francesco Antonio Riccio. Quest’ultimo era stato scelto dal cappellano maggiore del Regno e si interessava ai forzati, ai cinquanta soldati, che li custodivano, e “di tutti l’altri individui asalariati a quel Regio Travaglio delle Pietrere”.[xxxv] Morto lo Zurlo, fu nominato arcidiacono nell’agosto 1778 il sessantenne Michele Messina, professore di teologia morale, convisitatore ed esaminatore sinodale ecc., già arciprete e penitenziere.[xxxvi]

Il nuovo arcidiacono nell’estate dell’anno dopo riprese i lavori di restauro delle fabbriche della chiesa, della torre e del casino, situate sul promontorio, spendendovi oltre duecento ducati. In quell’occasione nella torre furono intonacate le tre stanze, risanata la scala del basso e fu rifatto il ponte, al casino furono riparati i pavimenti di due stanze, le finestre, le porte, i cinque archi della scala, accomodati i tetti, fatto il forno ed il focolaio per cappa alla cucina. La chiesa fu intonacata e fu accomodato il tetto.[xxxvii]

Le proprietà dell’arcidiaconato non furono intaccate dalla Cassa Sacra e la loro rendita risulta inalterata nel catasto del 1793.[xxxviii] Durante il vescovato di Ludovico Ludovici (1792-1797) la chiesa passò sotto il governo e la giurisdizione del nuovo arcidiacono che, dall’aprile 1795, fu Michele Labonia, il quale come i precedenti la affidò alla cura quotidiana di un eremita.[xxxix]

Capo Colonna in un acquerello di Louis Ducros (1778) conservato al Rijksmuseum di Amsterdam (da rijksmuseum.nl).

Liti e cessioni

Durante il Decennio francese, al tempo della ripartizione dei demani nel 1811, si provvedeva al distacco della quarta parte di ogni fondo ecclesiastico. L’arcidiaconato conservava le antiche tre gabelle: le due gabelle a Capo Colonna e la gabella Farcusa, per un totale di 370 tomola di terra. I due territori in Capo Colonna, tuttavia, non furono intaccati dalla ripartizione, che interessò solo parzialmente la gabella Farcusa.[xl]

Agli arcidiaconi Vincenzo Siniscalchi e Tommaso Bruno seguì Pietro Bottazzi, il quale si impossessò della vicina torre di proprietà del pubblico demanio, asserendo che era la torre del casino appartenente all’arcidiaconato. Il tentativo risultò vano, infatti nel novembre 1838 su istanza della Generale Amministrazione della Real Cassa di Ammortizzazione e Demanio Pubblico presso il tribunale di Catanzaro, si intimò all’arcidiacono di lasciare libera “una torre di antica proprietà del demanio, quale senza dritto e utile alcuno si possiede dall’arcidiacono della Cattedrale di Cotrone che l’ha addetto ad usi proprii, si ne ha percepito li frutti e rendite fin’oggi orcome non è giusto che il predetto arcidiaconato stia ulteriormente nel possesso di ciò che suo non è …”.[xli]

Tale disputa nel 1841 proseguiva ancora, infatti rifacendosi ad alcuni atti del 1764, il vicario di Crotone chiedeva all’arcivescovo di Catanzaro di interessarsi per la restituzione della torre, che secondo lui apparteneva all’arcidiaconato ed era perciò occupata illegalmente dall’amministrazione dei dazi indiretti. Il vicario affermava in maniera erronea, scambiando cioè i proprietari delle torri, che a Capo delle Colonne esistevano “due torri, una apparteneva al governo ed è cadente e l’altra è vicino alla cappella ed è quella che è in questione ed è occupata da circa 21 anni dalla direzione di dazii indiretti. Il casino poi che si nomina nell’istrumento vicino alla torre è caduto e si osservano ancora i ruderi vicino alla torre attuale che è piccola ed edificata per garantire i custodi della chiesa e gli arcidiaconi dai corsari. Vi prevengo pure che detta torre fu come dicono riattata dalla direzione e forse esisteranno le fatture ma non per questo è della direzione. La torre è occupata mi si dice fin dal 1818 in qua”.[xlii]

Sempre in questi anni, con atto del 4 giugno 1840, il marchese Francesco Lucifero, figlio di Giuseppe Maria, trasferiva in favore di Nicola Berlingieri, vescovo di Nicastro, “un tomolo di terreno nel promontorio Lacinio nelle vicinanze della Colonna del tempio antico e dei ruderi esistenti ed adiacenti”. Tale cessione doveva però intendersi “esclusivamente relativa al nudo e semplice dominio utile mentre il dominio diretto rimane integro a favore dell’arcidiacono di questa chiesa cattedrale”.[xliii]

Panoramica degli edifici che sorgono all’estremità del promontorio di Capo Colonna presso Crotone.

Trasformazioni ottocentesche

Dopo una interruzione ventennale, il vescovo Leonardo Todisco Grande ripristinò nel 1844 la processione settennale. In precedenza, alla fine di giugno del 1839, la chiesa era stata visitata dal canonico Fabrizio Zurlo. Dall’inventario compilato nell’occasione si evince che la chiesa era in buon stato ed oltre all’altare maggiore, vi erano gli altari dedicati a San Giuseppe e a Sant’Anna. Tra gli oggetti vi erano un calice d’argento, quattro banchi, la croce portata dall’Olivadi e sufficienti indumenti, arredi e suppellettili sacre. Una piccola campana batteva sopra la chiesa, ai fianchi della quale erano situate due stanze con una stalla per la comodità dell’eremita.[xliv]

Allora sul “Capo”, secondo la descrizione lasciataci dal Ramage, “non vi era altro che la solitaria colonna … una o due case mal costruite, abitazioni estive di qualche ricco crotonese, ed una torre diroccata. Vi era pure una piccola cappella consacrata al culto della Madonna del Capo”, custodita da un vecchio guardiano.[xlv]

Dopo l’Unità d’Italia, i fondi Nao e Irticello passarono dal Capitolo all’Asse ecclesiastico e quindi in Demanio. Messi all’asta furono aggiudicati nell’aprile 1868 a vil prezzo al barone Luigi Berlingieri, il quale nell’occasione affrancò il canone che era dovuto al Capitolo, che gravava il suolo del casino, che aveva costruito alcuni anni prima a Capocolonna.[xlvi]

La chiesa allora era congiunta alla città da una strada comunale che da Crotone arrivava al cimitero, da cui partiva una “strada viciniale” soggetta a servitù pubblica, che si inoltrava lungo la marina per la Conicella di San Leonardo, Marina di Sanda, Sandella, Donato, Erticello, Erto Grande, Tenimento, giungendo al Capo alla cappella della Vergine (1868).

Aumentava anche la sensibilità verso i celebri resti: è del 1869 una proposta del consigliere Vatrella, avente per oggetto la manutenzione della colonna a Capo Nao ed una lite accesasi tra il Berlingieri, che reclamava il diritto di proprietà, ed il Ministero dell’Istruzione che affermava il diritto dello Stato sui resti del tempio. La lite si concluse nel 1891 col riconoscimento che gli avanzi del tempio erano Demanio Pubblico.

Sul finire del secolo il piccolo e “basso tempietto”[xlvii] fu dapprima arricchito da un altare in marmo, fatto erigere da Gabriellina Berlingieri vedova Albani (1882),[xlviii] ed in seguito a sue spese, il nobile Anselmo Berlingieri fece restaurare ed ampliare l’edificio (1897). Iniziava la costruzione della strada comunale Crotone – Capo Colonna. Approvata dal consiglio Comunale il 20 marzo 1890, il primo tronco da Poggioreale a vignale Donno Cesare, prendeva il via nello stesso anno. Di notte il nuovo faro, entrato in funzione nel 1872, rischiarava il Capo con i suoi edifici, tra i quali le sei case che vi si trovavano e che appartenevano al barone Berlingieri, al cav. Filippo Eugenio Albani e a Cesare Albani, a Pasquale Messina, ai fratelli Scicchitani, ai fratelli Morace ed a Riccardo e Nicola Sculco.

Louis-Jean Desprez, La toré de la Cape Colonne, 56p, 1778. Stoccolma Kunglig Akademien för de fria Kosterna, P49:1, pp. 204-205 (da Lammers P., Il viaggio nel Sud dell’Abbé de Saint-Non, Electa Napoli, Napoli 1995, p. 236, fig. 223a).

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 Appendice

“A di 26. Giugno 1839.

Visita eseguita alla Chiesa della B. V. di Capocolonna da me Convisitatore Fabrizio Can.co Zurlo.

Altare Maggiore in ottimo stato, con un nuovo parato di fiori in n.° 18 di stagno. Croce di Ottone indorato, Candelieri di cartapesta indorati, e Carte di Gloria nuovi con guarnizione di stagno. Due coscini di madramma, e tre tovaglie, una sotto un po’ vecchia, e l’altre due in buono stato tutte di lino. Il Quadro della B. V. con lastra in quattro pezzi, e cornicia di ceraso. Un’avanticona di drappo color lattino rosato e fraschiato d’oro e d’argento.

Altare di S. Giuseppe con avanticona del medesimo drappo di quello della B. V. Dodici fiori di carta con corrispondenti candelieri e croce, le carte di gloria un po’ vecchie. Due tovaglie una di lino e l’altra di cottone fatta da moltissime anni addietro.

Altare di Santa Anna. La statua in buono stato. Un mediocre avanticone di seta rossa fraschiato. Fiori di cartapesta indorati e candelieri e Carte di Gloria corrispondenti in buono stato. Tre tovaglie, due di lino ed una di cottone, anche fatta da molti anni, ed una di lino un po’ consumata.

Una tovaglia per sopra i gradini dell’Altare Maggiore di cottone senza pizzo.

Conservati nel cassone vi sono cinque tovaglie di cottone con riccio, in buono stato. Due tovaglie di lino nuovi.

Nella Cassa della Sagristia. Una sottana di scottino nuovo. Un camice con ammitto e cingolo in buono stato. Una pianeta color rosso fraschiata bianca, con borza, velo, stola, e manipolo corrispondente in mediocre stato.

Una Pianeta di tutti colori nuova, con manipolo, stola, borza, e velo corrispondente. Similmente una pianeta nera nuova con manipolo, stola, borza, e velo corrispondente.

Un Calice d’argento con piede d’ottone e patena d’argento indorata in buono stato.

Due missali in mediocre stato. Una tovaglia per astergere le mani. Purificatoji num.° Cinque. Una copertella di Madramma con riccio per sotto il quadro della B. V. Corporali n.° 3. Palli n.° 4 ed una ceretta.

Quattro Banchi per sedere senza spallieri, altri due con spalliera nuovi. Due cassoni d’abeto per commodo degli Eremita. Un confessionile in buono stato.

Una Croce grande di legno con esservi dipinto il Crocefisso essendovi scritto sotto di essere stata portata dal Venerabile Servo di Dio Padre Antonio d’Olivadi nell’anno 1701.

Una Campana sopra la Chiesa un po’ picciola, ed un campanello per la messa.

Tutta la chiesa in ottimo stato.

Due cassette per la cerca, una delle quali è guarnita d’argento.

Tre avanticone di madramma in mediocre stato.

Due stanze a due lati della chiesa, con la stalla per commodo dell’eremita, e Divoti. La stalla però è distante dal muro della Chiesa palmi sette, con un muro divisorio lungo la mangiatoia.

Fiori di altari usati n.° 18 ed altri candelieri usati. Un genuflessorio.

Visto

Leonardo Vescovo di Cotrone”.

Note

[i] La prima notizia della presenza della chiesa di Santa Maria di Capo Colonna è documentata dal portolano quattrocentesco denominato Parma-Magliabecchi: “Da cauo de squilati da greco al cauo delle collonne 20 (15) miglia quarta di greco ver tramontana e fa honore al cauo, che ve vuna secha. Da cauo delle collonne al cauo delle leque 100 miglia per grecho e a riparo a greco e a tramontana sotto la chiesa e arai fondo dotto passi. La cognoscenza del cauo e vu cauo piano con vna chiesa su biancha e da greco a due miglia certe torre. Da cauo delle collonne a chottrone 30 miglia per maestro.” Kretschmer K., Die italienischen Portolane des Mittelalters, 1909 pp. 303-304, 309, 349.

[ii] Nei primi giorni di luglio del 1517 “soldati et altri dela cita andarono in lo capo deli colonni in far la imboscata per una fusta grossa turchisca comparsa in lo mar in dicto capo”. ASN, Introyto erario de Cotroni, Fs. 532/ 10, f. 28.

[iii] “Capo delle Colonne, per la quantità delle colonne che vi sono state e se ne conservavano due e nell’anno 1630 ne cadè una, restando sola una in piedi”. Nola Molise G. B., Cronica dell’antichissima e nobilissima città di Crotone, 1649, p.65 in nota manoscritta.

[iv] Juzzolini P., Santuario di Maria SS. del Capo delle Colonne in Cotrone, Cotrone 1882, p. 6.

[v] Il vescovo di Crotone Niceforo Melisseno Comneno in una sua relazione, dopo aver descritto il particolare culto di cui era oggetto da parte della popolazione la cappella in cattedrale, dove era situata la sacra immagine della Vergine del Capo, così si esprime: “Miraculorum enim gloria corruscat, ut ex tabellis inibi positis et ex libello sive miraculorum compendio inito per R.dum Jo.em Nicolaum Basoinum olim canonicum Crotonen., nunc vero Parochum SS.mi Salvatoris, ad pennam descripto sed non dum typis impresso est videre”. ASV, Rel. Lim. Crotonen., 1631.

[vi] Il libro edito nel 1824 a cura del decano Giuseppe Maria Sculco, fu poi ristampato nel 1882 dal canonico Pasquale Juzzolini e nel 1918 da Mons. Beniamino de Mayda.

[vii] Se il vescovo era assente bastava che si inviasse un memoriale per il Segretario della città o per un suo rappresentante al Vicario. Durante la processione al Capo, i parroci dovevano vigilare affinchè i partecipanti procedessero con modestia e devozione e si astenessero una volta giunti al promontorio da ogni “commessationibus” o cose simili. Synodales Constitutiones et Decreta ab Illustris. Et Reverendis. Domino D. F. Cajetano Costa de Portu, Roma 1732, pp. 18-19.

[viii] Nell’aprile 1607, il capitolo ed il clero della cattedrale di Crotone per chiedere la pioggia, portano in processione alla chiesa del promontorio l’immagine della Vergine del Capo. Durante il percorso si associa dapprima il capitolo, il clero e le confraternite di Cutro e poi sopravvennero il clero, il capitolo e le confraternite della cattedrale di Isola, i quali reclamarono una posizione più dignitosa di quelli di Cutro. Quest’ultimi, essendo venuti per primi, rifiutarono di cederla e perciò sorse una non piccola contesa. Per ovviare in futuro ad altre simili dispute il vicario di Santa Severina si rivolse alla Sacra Congregazione dei Riti, la quale rispose che la precedenza spetta sempre ai più degni e poiché era fuori di ogni dubbio che il clero della cattedrale era più insigne del clero della collegiata e della parrocchiale, era evidente che spettava a quelli di Isola. Russo F., Regesto V, 26460.

[ix] All’arcidiacono Io. Matteo Lucifero (1508-1526), seguì Iacobo Antonio Lucifero (1526-1531), che la lasciò a Camillo Lucifero, che la tenne, tranne un breve periodo in cui ne fu privato perché accusato di omicidio, dal 1531 al 1548. Russo F., Regesto, 16183 sgg.

[x] “Tale fu quello a Giunone Lacinia dedicato … Ne appaiono tuttavia sopra Cotrone i vestigi in alcune rovine. E veggonsi ancora in piedi alcune colonne di segnalata grandezza, superbissimi avanzi di superstiziosa follia. E perché esse giacciono vicino al Promontorio Lacinio, questo dal volgo marinesco vien detto Capo delle Colonne.” Mercati S. G., Calabria e Calabresi in un manoscritto del XVII secolo, in Collectanea Byzantina, Bari 1979, V. II, p. 707.

[xi] Durante il Seicento furono arcidiaconi della cattedrale di Crotone: Io Iacobo Vezza, Io Martino Vezza (1639-1654), Octavio Vezza (1655-1656), Mutio Suriano (1656-1674), Girolamo Suriano (1674-1694). Russo F., Regesto, 26371 sgg.

[xii] Russo F. Regesto, VI, 29541.

[xiii] L’arcidiaconato oltre alle due gabelle nel territorio di Nao, possedeva la gabella Falcusa ed esigeva alcuni canoni su case, giardini, vignali ecc. Dai terreni ricavava annualmente se affittate a semina, 240 tomoli di grano, se a pascolo circa 140 ducati, mentre dai canoni incassava circa 13 ducati. AVC, Acta Sanctae Visitationis ab Illmo ac R.mo D.no Episcopo D. Marco Rama. A.D. 1699 confecta, f. 132v.

[xiv] Cappellano della cappella in cattedrale sotto il titolo di S. Maria di Capo delle Colonne era propriamente il vescovo, in quell’anno Marco Rama, il quale sostituisce e nomina senza il consenso del Capitolo il cappellano pro tempore, che era il primicerio Geronimo Facente. AVC, Acta Sanctae Visitationis ab Illmo ac R.mo D.no Episcopo D. Marco Rama. A.D. 1699 confecta, f. 91.

[xv] Tra i vari privilegi e diritti vi era quello di avere nel coro lo stallo più onorifico, dove presiedeva e dava inizio all’ufficio. Convocava il capitolo al suono della campana media, aveva la prima voce nelle azioni capitolari, difendeva i diritti e le prerogative del capitolo, ecc. AVC, Acta Sanctae Visitationis ab Illmo ac R.mo D.no Episcopo D. Marco Rama. A.D. 1699 confecta, f. 20v.

[xvi] Il 9 ottobre 1729 muore Dominicus N. eremita de Nao. AVC, Libro dei morti, ad annum.

[xvii] Russo F., Regesto, IX, 50161, 50162.

[xviii] AVC, visita del vescovo Anselmus de La Pena, 1720, ff, 2, 19.

[xix] Russo F., Regesto, XI, 59989.

[xx] ASN, Regia Camera della Sommaria, Catasto Onciario dell’Università di Cotrone del 1743 – Calabria Ultra, Vol. 6955, f. 206.

[xxi] Il 15 novembre 1753 arrivano da Capo Colonna dei forzati che sono rinchiusi nella torre Marchesana. ASN, Torri e Castelli, Vol. 47, f. 352.

[xxii] Russo F., Regesto, XII, 63688.

[xxiii] “Il promontorio Lacinio oggi delle Colonne ha dalla parte di occidente un ancoraggio, dall’altra parte un porto … sarebbe adattissimo per la popolazione, essendo abbondante di acqua sorgiva e di ottima aria”. Galanti G. M., Giornale di viaggio in Calabria, Rubbettino 1981, pp. 126 sgg.

[xxiv] Il 5 ottobre 1763 viene concesso a Pietro Asturelli “meza tomolata di terra” per edificare un casino principiando di larghezza proprio “nella parte laterale della torre colà sistente e casino nuovamente ivi fattevi edificare da detto arcidiacono, la via della colonna e principia la detta lunghezza “dalla cantoniera delle nuove camere di detto casino edificate colà da detto Sign. Archidiacono Torromino e va verso la colonna suddetta e larghezza si stende verso questa suddetta la città”. ASCZ, Busta 915, anno 1763, ff. 73-80.

[xxv] ASCZ, Busta 916, anno 1764, ff. 7-13.

[xxvi] ASCZ, Busta. 916, anno 1764, ff. 17–22.

[xxvii] ASCZ, Busta 916, anno 1764, ff. 37v-44.

[xxviii] L’arcidiacono concede a Nicola Marzano mezzo tomolo di terra “nel luogo detto la Colonna dalla parte di tramontana e propriamente al suolo assegnatesi al Sig. Rafaele Suriano”. ASCZ, Busta 862, anno 1764, ff. 144-151.

[xxix] ASCZ, Busta 916, anno 1764, f. 41v.

[xxx] Per atto del notaio Vitaliano Pittò del 20 giugno 1771 viene ristipulato il contratto con il marchese Giuseppe Maria Lucifero. L’estensione del terreno risulterà di un tomolo o moggio mentre l’annuo canone rimane di carlini 10. AVC, Cart. 115.

[xxxi] Il 12 aprile 1764 l’arcidiacono concede a Nicola Marzano mezzo tomolo di terreno in enfiteusi per costruire un casino a Capo delle Colonne “nel luogo detto la Colonna dalla parte di tramontana e propriamente vicino al suolo assegnato al signor Rafaele Suriano”. ASCZ, Busta 862, anno 1764, ff. 144-151.

[xxxii] Nell’architrave del casino Sculco vi è murata un’iscrizione: D.O.M. Qui fu il celebre tempio di Giunone e la celebre scuola pitagorica, Fra Carlo Sculco Cav. Gerosolomitano allettato dalla salubrità dell’aria edificò questo casino per sé e i suoi amici. Anno 1767.

[xxxiii] La stima fatta dai mastri fu per tutta la fabrica della chiesa, torre, tre camere e tre bassi (cantoni, tegole o ciaramidi e mattoni) ducati 362 3 grana 60; per il legname (travi, tavolati, porte e finestre della stessa chiesa , torre, camere e bassi) ducati 117 e grana 40. ASCZ, Busta 917, anno 1770, ff. 66v-67r.

[xxxiv] Russo F., Regesto, XII, 66679.

[xxxv] “Si esercita la cura delle anime da un cappellano regio nella chiesa sotto il titolo di S. Carlo Borromeo esistente nel promontorio detto il Capo delle Colonne per gli forzati ed altri individui addetti al regio travaglio della costruzione del porto”. Nota delle Chiese e Luoghi pii Ecclesiastici e secolari esistenti nel distretto della giurisdizione del Regio Governatore della città di Cotrone 18 febbraio 1777.

[xxxvi] Russo F., Regesto, XII, 67235.

[xxxvii] Dal conto per le fabbriche della chiesa della torre e casino appartenente all’arcidiaconato, risulta che furono utilizzati i seguenti materiali: Tavole di bosso grosse; Pedarelli per d.e finestre n.° 34 ; Travi n.° 5 per li due bassi del casino; Tavole d’abbeto per porte interne e anditi n.° 4; Tijlli per accomodare li tetti n.° 100; Chiodi ordinari per porte e finestre n.° 1000; degli ottantini per li pavimenti da 5; calce, arena, acqua, mattoni, pietra, tegole. Il tutto per una spesa di ducati 209, dei quali 92 ducati e trenta grana per i lavori di falegnameria e il rimanente per i lavori in muratura. AVC, Cart. 160, Cotrone 8 agosto 1779.

[xxxviii] AVC, Catasto Onciario Cotrone 1793, f. 139.

[xxxix] Sullo stesso promontorio vi era ancora la chiesa di San Carlo Borromeo dove erano conservati il sacramento dell’eucarestia e l’olio santo per gli infermi. Un prete scelto dal vescovo della Regia Aula, previo l’esame del vescovo, si interessa alla cura spirituale dei forzati, dei soldati e di coloro che colà lavorano per scavare il materiale per la costruzione del porto. ASV, Rel. Lim. Crotonen. 1795.

[xl] Un processo verbale ratificato dal corpo municipale di Cotrone il 10 novembre 1811, stabiliva il quarto sui terreni dell’arcidiaconato. Dalla gabella Farcusa di tt.a 130 venivano tolte tt.a 70 che erano assegnate a 12 quotisti. AVC, Certificazione del cancelliere archiviario del Comune di Cotrone del 22 ottobre 1838.

[xli] Atto di citazione del tribunale civile di Catanzaro consegnato al Sig. Pietro Bottazzi. AVC, Cotrone 26 9bre 1838.

[xlii] Lettera del vicario di Cotrone a sua eccellenza Sig. Francesco Frangipane, arcivescovo in Catanzaro. AVC, Cotrone … 1841.

[xliii] Il marchese Francesco Lucifero, poiché suo padre voleva edificare per la sua famiglia un casino nel promontorio lacinio, ottenne dall’arcidiacono del tempo la concessione enfiteutica del suolo nelle vicinanze della colonna del tempio antico e de ruderi esistenti della estensione di un tomolo o moggio dipendente dalla Prebenda arcidiaconale per l’annuo canone di carlini 10. Il canone fu pagato fino al 1824, ma poiché non vi si costruì lo cede al Berlingieri il quale si impegna a pagare un canone di carlini 20, che depurati della fondiaria rimangono 16, a partire “dopo l’anno dal dì che i lavori saranno cominciati”. AVC, Cart 115 Cotrone 4 giugno 1840.

[xliv] Visita eseguita da Fabrizio Can.co Zurlo il 25 giugno 1839. AVC, Cart. 115.

[xlv] Ramage Craufurd T., Viaggio nel Regno delle Due Sicilie, p. 267.

[xlvi] All’atto della aggiudicazione avevano una rendita lorda di L. 1190, fondiaria 364,15, rendita netta 835,85. Il barone se li aggiudicò per L. 36.000. AVC, Quadro dei fondi comprati dal Barone Luigi Berlingieri dal Demanio, Cotrone 22 marzo 1885.

[xlvii] Juzzolini P., Santuario di Maria SS. del Capo delle Colonne in Cotrone, Cotrone 1882, pp. VI-VII.

[xlviii] Iscrizione in un altare murato a sinistra entrando: “A DIVOZIONE/ DI GABRIELLINA BERLINGIERI VEDOVA ALBANI/ 1882”. Un’altra iscrizione ricorda Bonaventura Sculco “D.O.M./ CARITATE PAUPERIBUS IUSTITIA AEQUALIBUS COGNITUS/ BONAVENTURA SCULCO/ EQUES HIEROSOLIMITANUS ET DUCIBUS S. SEVERINAE/ PATRICIUS CROTONENSIS/ INTER SUORUM PATRIAE Q. LACRIMAS/ HIC MARIAE AUSPICIIS OBIIT/ ET HAC AEDE IN PACE QUIESCIT/ DIE IV KAL. OCT. MDCCCXXXIV”.


Creato il 10 Marzo 2015. Ultima modifica: 7 Febbraio 2023.

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