Un antico castello nella valle del Lese: il castello di Scuzza in territorio di Cerenzia
Nella “Vita beati Joachimi abbatis” manoscritto anonimo di un monaco dei primi anni del Duecento, si legge che Gioacchino partito da Pietralata “Placuit igitur ascendere montem Sila et inter frigidissimas licet alpes locum querele, in quo possent quomodolibet abitare: Et primo partes Lese fluminis discurrentes, cum illorum asperitate et inequalitate locorum faticati reverterentur et Lese dimesso per aliam viam socio destinatum locum, divertit ipse cum converso et laico ad locum, ubi Flos Albo flumeni iungitur, sublimibus ubi montibus circumdantur”.[i]
Anche Domenico Martire così narra la nascita del primo convento florense: “risolse di partire da Pietralata, e passare nelle fredde montagne della Sila. Laonde lasciati Rainerio e gli altri monaci, andò in detta Sila, con un converso e con un laico, e per prima in quella parte del fiume chiamato Lesa. Ma ben considerato il luogo, e che non riusciva a proposito, stante l’orridezza del fiume nel verno, e per la vicinanza alla città di Cerenzia, penetrò più dentro, cioè nel luogo chiamato Fiore sopra due fiumi Neto e Alno”.[ii]
Pur non fornendo altri spunti utili per una ricerca sulla storia del villaggio e del castello di Scuzza, questi scritti ci indicano come la vallata del fiume Lese durante il Medioevo, era una delle vie importanti per salire dal piano alla Sila. La vallata, nella parte inferiore, dove il fiume si congiunge con il Neto, è ampia e si risale facilmente. Poi nei pressi di Cerenzia e di Timpone Castello, si fa stretta ed il fiume scorre tra gole e pareti rocciose e scoscese di difficile accesso; è in questo luogo che un castello controlla il guado e le vie che attraversano la media vallata e che portano ai pascoli e alle risorse minerarie e boschive della Sila.
Tracce importanti
Giuseppe Aragona, conoscitore della zona, così descrive il luogo: “Sulla riva sinistra del Lese, di fronte a Cerenzia Vecchia, si estende il vasto territorio della Scuzza che ha al centro un rilievo a forma di cono tronco con fianchi ripidi e rocciosi ed una sommità piana e vasta che raggiunge i 610 m. sul livello del mare e possiede una superficie che si aggira intorno ai 1500 metri quadrati, su cui non affiorano resti murari ma abbondano cocci di tegole e mattoni … Nella Scuzza sono state rinvenute tombe contenenti corredi con vasellame decorato con figure rosse, sono state reperite monete di varia epoca fra cui un diobolo d’oro di Siracusa del IV secolo a. C. e sul Timpone del Castello una moneta d’argento di Eraclea in cui era inciso Ercole Nemeo, una grossa moneta di bronzo dell’imperatore Antonino nonché frammenti di vasellame vario”.[iii]
Da quanto afferma l’Aragona, la presenza di un insediamento a Scuzza è testimoniato almeno dal quarto secolo avanti Cristo fino al secondo secolo dopo Cristo; anche se il luogo dovette essere frequentato già in periodo protostorico. Scorie ferrose e resti di materiali edili e ceramici di varia epoca denotano che l’abitato dovette proseguire anche durante il Medioevo, ne fa fede un manoscritto di Domenico Martire (1634-1705). Nell’ elenco degli abitati scomparsi in territorio di Cerenzia che Tomaso Aceti, rifacendosi al Martire, ha inserito nel libro di Gabriele Barrio, troviamo: “Scutia pagus Cerentiae ubi nunc est arx vetusta”, “Badinum” e “Brutianum, vulgo Brussano”.[iv] Da quanto afferma lo storico cosentino, ancora nel Seicento erano visibili i ruderi dell’antica fortificazione.
La guerra del Vespro
I piccoli abitati rurali di Scutia, Bandino e Brussano in territorio di Cerenzia, non sono elencati nelle prime cedole di tassazione (1276-1277) del Giustizierato di Val di Crati e Terra Giordana del periodo angioino,[v] come non lo sono quelli di Santa Marina, S. Nicola de Alto e Marathia, nel vicino territorio di Umbriatico. Sappiamo tuttavia che essi esistevano, infatti il re Carlo I d’Angiò, dopo la conquista tra il 1275 ed il 1279, concesse al vescovo di Umbriatico la fiera di San Nicola dell’Alto e di Santa Marina.[vi]
,Si suppone che la loro scomparsa sia avvenuta pochi anni dopo, quando la vallata del Neto e dei suoi affluenti Lese e Vitravo, subì gravi devastazioni per la guerra del Vespro. L’esercito di Pietro d’Aragona nel 1284 invadeva la Calabria e nello stesso anno, Ruggero di Lauria saccheggiava la città di Crotone ed i paesi della costa ionica e della valle del Crati, mentre Matteo Fortunato, capitano di due mila Almugaveri, distruggeva i paesi dell’interno.
Dopo aver “destructum et desolatum” il monastero di San Giuliano di Rocca Falluca ed incendiato il monastero di S. Giovanni in Fiore, fu la volta dei casali di Santa Marina, S. Nicola de Alto e Marathia e degli altri abitati della vallata del Neto.
Dopo il passaggio delle truppe catalane, la vallata si presentava particolarmente desolata, anche per la resistenza che esse incontrarono da parte dei fratelli Ruggero e Lucifero Stefanizia, uno arcivescovo di Santa Severina e l’altro vescovo di Umbriatico, e dei vescovi di Strongoli, Rogerio, e di Crotone, Nicolò di Durazzo. I presuli apertamente si erano schierati dalla parte angioina e contro i nemici della chiesa romana, opponendosi con le armi e dovendo poi esulare, mentre i loro beni, “a Cathalanis totaliter consumpta sunt”, furono particolarmente saccheggiati. Per il loro attaccamento alla causa angioina e per i danni subiti, essi furono dal papa Nicolò IV, tramite il Legato nel Regno di Sicilia, il vescovo prenestino Bernardo, ricompensati con altri benefici ecclesiastici.
I successivi tentativi di rinascita e di ripopolamento non daranno i frutti sperati, anche se il re Carlo II d’Angiò, accogliendo la richiesta del vescovo di Umbriatico, nel 1306 ordinava ai giustizieri e agli altri pubblici ufficiali di esentare dalle tasse per il legname delle galere e da altri oneri tutti coloro che sarebbero andati a ripopolare i casali vescovili.
Cessate le ostilità con la pace di Caltabellotta, conclusa nel 1302, l’anno dopo comincia l’opera di ricostruzione del monastero di San Giovanni in Fiore, a cui sono chiamati dal papa Bonifacio VIII a concorrere, il guardiano dei frati minori di Messina con una colletta di 30 once ed i grandi possidenti che, per il loro aiuto, potranno usufruire di una indulgenza di 100 giorni. Sempre per facilitare la rinascita della vallata, il duca Roberto esenta l’arcivescovo di Santa Severina Lucifero Stefanizia, i feudatari e le università della vallata dalla prestazione delle tasse del legname per le galee.
Lo stesso re Carlo II nel 1306 accoglie la supplica del vescovo di Umbriatico e concede facilitazioni a coloro che sono accasati, o che andranno a ripopolare i suoi casali rovinati di Santa Marina, San Nicola dell’Alto e Maratea, favorendo così l’incremento delle rendite vescovili, messe a repentaglio dall’abbandono delle terre coltivate.
Umbriatico a causa della guerra e della crudele tirannia del feudatario risulta deserta ed in rovina, tanto che il papa Giovanni XXII incarica l’arcivescovo di Santa Severina di trasferire la sede vescovile in un luogo più adatto (Ypsigrò).
In seguito lo stesso feudatario di Umbriatico, Cantono de Messina, chiede ed ottiene l’esenzione dal pagamento delle tasse regie per la durata di dieci anni a favore di coloro che andranno a popolare la città. Per alleviare il decadimento economico, i feudatari danno vita a tentativi di ripopolamento, che continueranno anche durante il Quattrocento con l’inserimento di genti provenienti da fuori regione.
È del 1389 una concessione data da Carlo Ruffo, conte di Montalto e signore di Verzino e Casabona. Il conte, nel tentativo di consolidare la terra di Verzino e di mettere a frutto le sue proprietà, esenta dal pagamento di casalinatico tutti gli abitanti che, abbandonato il casale di Lutrò, fossero andati ad abitare quella terra. La concessione sarà confermata dalla figlia Covella Ruffo nel 1427, segno del permanere dello spopolamento.[vii]
Scuzza e Castello di Scuzza
Ancora oggi troviamo in territorio di Cerenzia, sulla sponda sinistra del Lese, i toponimi “Scuzza” e “Timpone Castello”. Scuzza secondo alcuni, deriva da “skotia (chora) e significa terra tenebrosa e oscura, per altri a ragione da scuzzare cioè svettare, tagliare la cima. Per quanto riguarda il toponimo “castello”, esso ci porta al periodo medievale.
Un accenno ad un castello dominante un guado sul fiume Neto lo troviamo nei primi documenti dell’abbazia florense. Nella confinazione della concessione di un territorio silano fatta dall’imperatore Enrico VI a Gioacchino da Fiore nell’ottobre del 1194 si legge: “a vado fluminis Neti, quod est subtus castellum de Sclavis, sicut vadit via ipsa versus meridiem per petram Caroli Magni …”.[viii]
Come il “castellum de Sclavis” era posto a controllo di un guado sul Neto, la stessa funzione aveva il castello di Scuzza sul fiume Lese. Da quanto detto e dalla toponomastica dei luoghi vicini, il castello di Scuzza è attribuibile al periodo normanno; i toponimi “San Martino” e “ Cancello di San Martino”, indicano chiaramente la presenza di un presidio a custodia della via che risale la vallata del Lese. Il castello di Scuzza e la vicina città di Cerenzia esercitarono un controllo sulle importanti vie di penetrazione, che risalendo la vallata del Lese mettevano in comunicazione la marina con l’altopiano silano e la valle del Crati.
La difesa detta La Scuzza
Del villaggio Scuzza nel Settecento rimaneva solo il toponimo, che indicava una vasta area in parte incolta, sterile e boscosa, situata sotto il “Castello di Scuzza” e presso il guado del fiume Lese, dove si incrociava la via che in passato univa il villaggio con la città di Cerenzia con quella che risaliva a sinistra la vallata del fiume Lese, mentre il dominante timpone detto il “Castello di Scuzza” era il luogo dell’antico castello medievale.
Scuzza allora era una delle difese di Cerenzia assieme Pavia, Paduli, Ratta, Calamodea, Colomiti, Bodino e sub feudo Gipso. Come difesa era proibito il libero pascolo ai cittadini ed era protetta da custodi, i quali dovevano impedire agli animali di entrarvi e se introdotti senza permesso, potevano essere carcerati ed il proprietario doveva pagare per il loro rilascio.
Il diritto di concederla in affitto a pascolo (“erbaggio”) era riservata al feudatario e all’università, segno di un’antica divisione avvenuta al momento della scomparsa del villaggio. L’affitto spettava per due terzi all’università di Cerenzia e per un terzo al feudatario. Dall’affitto a pascolo, insieme ricavavano annualmente circa cento ducati.
Scuzza poi era soggetta all’uso della rotazione di tre anni a pascolo e due a semina (è “solita à seminarsi in grano ogni cinque anni due col solo jus arandi atteso il jus pascolandi spetta all’Università, ed alla Principal Camera di d.a Città”).
Se lo “ius dell’affitto a erbaggio”, ma di solito il feudatario la affittava ad ogni uso, faceva parte per un terzo dei beni feudali del principe di Cerenzia e per i rimanenti due terzi erano dell’università di Cerenzia, lo “jus arandi” era suddiviso tra diversi proprietari laici e soprattutto ecclesiastici.
Godevano di questo diritto in varia misura a seconda dell’estensione del terreno che possedevano: Francesco Scafoglio nobile vivente,[ix] Giuseppe Grande massaro,[x] Giuseppe Pugliese bracciale,[xi] Tomaso Oliverio nobile vivente,[xii] Antonio Oliverio della terra di S. Giovanni in Fiore,[xiii] Domenico Venneri della Città di Cariati,[xiv] Rosalbo Benincasa nobile vivente di San Giovanni in Fiore,[xv] il Capitolo della cattedrale di Cerenzia,[xvi] la Mensa vescovile di Cerenzia,[xvii] e le cappelle di San Nicola,[xviii] di Santa Maria della Piazza,[xix] di Santa Maria delle Grazie,[xx] (20), di San Lorenzo,[xxi] di Sant’Andrea,[xxii] di San Giovanni Battista,[xxiii] e di S. Agostino.[xxiv]
Lo stesso valeva per il “Castello di Scuzza”, dove godevano lo “ius arandi” le cappelle di Santa Maria delle Grazie,[xxv] di San Lorenzo,[xxvi] di San Giovanni Battista,[xxvii] e di Santa Maria della Piazza,[xxviii] Rosalbo Benincasa nobile vivente,[xxix] e l’università di Cerenzia.[xxx]
I confini tra il feudo di Cerenzia e quello di Verzino
Nell’apprezzo del feudo di Verzino, compilato nel 1760 dall’ingegnere tavolario Giuseppe Pollio, sono descritti i confini tra la Terra di Verzino e la Città di Cerenzia.
Risalendo la vallata del fiume Lese “… si giunge al luogo detto la Scannella dello Piro, dividendo sempre il territorio di Cerenzia, che resta al lato sinistro, e quello di Verzino, che resta lato destro. Dal detto luogo rivolta il camino verso mezzogiorno per la distanza di circa mezzo miglio, si cala nel vallone chiamato di Cornò, da qual vallone andando verso sopra per un altro vallone seccagno detto Metropoli, e S. Martino, lasciando sempre il territorio di Cerenzia a sinistra, che vien chiamato Metropoli e S. Martino, dopo la lunghezza di un miglio in circa si arriva al Cancello di S. Martino, situato in mezzo la strada, che va in Cerenzia e, da detto cancello in avanti caminando verso ponente per la lunghezza di circa mezzo miglio si trova un Tempone, ossia rialto nominato Porta di Palude, dividendosi tal confine mediante siepe di frasche, con restare il territorio di Cerenzia a sinistra verso mezzo giorno, e quello di Verzino dalla parte opposta. Da detto luogo Porta Palude calando con inclinare verso mezzo giorno per un valloncino situato in mezzo a terre boscose dopo il tratto di un miglio e mezzo in circa s’incontra il fiume Lese, propriamente nel luogo denominato li Ponti, in qual punto il cennato valloncino imbocca in detto fiume, lasciando sempre a sinistra il territorio di Verzino, e di là andando in su per l’acqua del predetto fiume Lese per la Fratta di circa miglia tre fiume all’inforcatura di un altro fiume denominato Iola o sia S. Marco di Craccia, ed in questo punto si termina a confinare col territorio di Cerenzia …”.[xxxi]
Le risorse
Secondo quanto scrive Gabriele Barrio, le risorse principali che alla metà del Cinquecento sono a disposizione della popolazione di Cerenzia sono: Vino, olio, miele, grano, legumi, zolfo, sale fossile, alabastrite. Nascono capperi, legumi selvatici e liquirizia.[xxxii]
I luoghi
Dalla descrizione del Pollio troviamo la strada pubblica che conduce alla Salina “… trovasi un falso piano denominato lo Scuozzo, e Sullaria, dove il termine divisionale è una semplice siepe con picciolo concavo naturale in lunghezza di mezzo miglio fino ad arrivare alla strada pubblica, che porta alla Salina, lasciando sempre a man sinistra il territorio di Cerenzia, ed a man destra quello di Verzino, e poi caminando per detta strada publica in tratto di un miglio, e mezzo si giunge in una calata detta Scannello di Cavallo …”.[xxxiii]
Cornò = La Cappella di San Lorenzo di questa Città possiede un comprensorio di terre d’estenz.e tt.a Cinquanta la maggior parte sterili nel luogo d.o Cornò, confina con li beni del canonicato di Santa Maria della Piazza e le Ripe del Castello di Scuzza.[xxxiv] La Cappella di Santa Maria delle Grazie sotto titolo di Rettoria possiede quattro pezzi di terra tre dei quali siti nel luogo d.o La Scuzza di Cal. d.o. il primo si chiama il Messinisello, il 2.o il Tronicello ed il 3.o Cornò e l’altro pezzo nel luogo detto il passo di cavallo.[xxxv]
Scuzza = La Cappella di Santa Maria delle Grazie sotto titolo di Rettoria possiede quattro pezzi di terra tre dei quali siti nel luogo d.o La Scuzza di Cal. d.o. Il primo si chiama il Messinisello, il 2.o il Tronicello ed il 3.o Cornò e l’altro pezzo nel luogo detto il passo di cavallo.[xxxvi] Domenico Venneri della Città di Cariati possiede un comprensorio di tom. 45 delle quali tom. 15 e più sono incolte e boscose per mancanza di coloni e tom. 30 sono abili à sementarsi grano, confina con li beni della mensa vescovile e vallone di Petullo. Di più possiede nel sud.o luogo d.o la Scuzza tom.la due e mezza di terra della stessa natura di sopra confina d.a Mensa e Tesorerato. Di più possiede nella stessa difesa altre tomolate due di terra aratoria confina come sopra.[xxxvii] Il Capitolo della cattedrale di Cerenzia possiede “comprensori n.tre di terra detti Murica e Muzzilla siti e posti dentro la difesa detta di Scuzza d’estenz.ne tom.le 13. Confina con li beni della Mensa Vescovile e Cappella S. Maria delle Grazie.[xxxviii] A Scuzza “furono dissepolte numerose tombe contenenti ossa, orcioli e lucernette di varie fogge”.[xxxix]
Metropoli = “… don Federico (Gallo) era venuto in possesso di un piccolo e grazioso “gorgoneion” d’oro che era stato trovato a Matruopoli.[xl]
Santo Martino = “vicino l’orto di “Santu Martinu” venne alla luce una piccola necropoli con le solite tombe a cassetta coperte da lastroni di pietra calcarea”.[xli]
Porta Paludi = “Qualche anno fa, in Savelli, serpeggiò con insistenza la voce che un giovinetto alla Porta di Paludi aveva trovato un tesoro, consistente in diverse monete d’oro”.[xlii]
Giudecca= Savelli 13 febbraio 1804. Candido e Felice Caligiuri fanno apprezzare alcuni beni che posseggono da Gregorio Talarico di Savelli e Carlo Masio di Cerenzia pubblici esperti di campagna tra i quali “un stabile chiamato la Chiusa di Giudeca “alborata di vigna, quercie ed altri alberi fruttiferi confina d’una parte Domenico Caligiuri, via publica ed altri confini” in territorio di Savelli “quale una e quella di Giudeca confina alla via publica attaccata al fiume di Senapede … nella chiusa di Giudeca si attrova una casetta”.[xliii]
Castello di Scuzza= La Cappella di San Giovanni Battista di questa Città possiede un comprensorio di terre d’estenz.ne tta quattro nel luogo detto il Castello di Scuzza confina con li beni della Principal Camera e rev. Capitolo, stimata di nessuna rendita per la sua sterilità.[xliv]
Vado sottano= Mag.co Francesco Scafoglio nobile vivente possiede un comprensorio di terra nel luogo d.o Vado sottano di capacità tt.a due alborata di fichi ed olive, confina colli beni del mag.co Dom.co Venneri e di Fran.co Tavernise.[xlv] “9.9.1813.- Notaio Massimino Caligiuri. I fratelli Giuseppe e Tomaso Oliverio e la madre Serafina Coniglio possiedono una tenuta di olive in territorio di Cerenzia che confina da scirocco il trappeto di Vato di pertinenza dell’ex feudatario di Cerenzia e colla chiusa detta Sant’Andrea di spettanza delli Signori Oliverio, e colle olive della Vittoria, e via via che conduce a Crisuria, e verso tramontana confina colle olive di Quantipò e Scavonea di pertinenza del Capitolo di Cerenzia, e da levante le chiuse di Nicola Greco e Signor canonico Giuseppe Spina”.[xlvi]
Quandipò= Gennaro Vencia nobile vivente possiede un comprensorio d’olive nel luogo detto Quadipò di estensione un moggio giusta li beni del Rev.do D. Fran.co arcidiacono Maschiari e Mag.co Fran.co Scafoglio.[xlvii] Porzia Fabiano vergine in capillis possiede un comprensorio d’olive nel luogo detto Quandipò, confina con li beni del can.co Quattromani e via publica.[xlviii] Giuseppe Marulli massaro possiede alcuni pochi piedi d’oliva nel luogo d.o Quandipò confine con li beni dell’arcidiacono Mascari e vallone.[xlix] R.do Sacerdote D. Francesco Mascari arcidiacono della Cattedrale possiede un comprensorio d’olive nel luogo detto Quantipò di estensione tom.4 confina con Dom.co Venneri e Cappella SS.mo.[l] Il Capitolo possiede un comprensorio d’olive nel luogo d.o Scavone ò sia Quandipò d’estenz.ne mezzo moggio confina con li beni di Dom.co Venneri e Francesco Tavernise.[li] La Cappella di S. Nicola sotto la cura del Rev. Tesoriero D, Giuseppe Cavallo possiede un comprensorio alberato d’olive di estenz. Due nel luogo d.o Quandipò confina con li beni di Dom.co Scafoglio e Rev.do can.co Quattromani.[lii] La cappella del SS.mo Sacramento possiede un territorio alberato d’olive tt.a due nel luogo d.o Quandipò confina li beni del Rev. Arcid.o Mascari e Gen. Vencia.[liii]
Passo di Cavallo= La Cappella di S. Maria delle Grazie possiede un comprensorio di terra d’estenz.ne tom. 3 nel luogo d.o Passo di Cavallo confina con li beni del Rev.do Capitolo e via publica.[liv]
Ponte= Tra i beni feudali del Principe di Cerenzia ci sono due mulini al Ponte del fiume Lesa la cui rendita ascende ad annui ducali 26 e un molino dentro la difesa feudale di Calamodea frutta ogni anno duc. 8.[lv]
Note
[i] Grundmann H., Gioacchino da Fiore, Roma 1997, pp. 187-188.
[ii] Martire D., La Calabria sacra e profana, Cosenza 1877-1878, p. 84.
[iii] Aragona G., Cerenzia, Crotone 1989, p. 21 sgg.
[iv]”Elenchus Urbium, opidorum, aliorum locorum Calabriae, quae variis temporibus interierunt”, in Barrius G., De Antiquitate, Roma, 1737, pp. 417, 421.
[v] Reg. Ang. XLVI, ff. 199-205.
[vi] Reg. Ang. 27, f. 156, in Filangieri, XIV, 254 (1275-1279).
[vii] Pesavento A., Alcuni avvenimenti della vallata del Neto, in La Provincia KR, 2004.
[viii] De Leo P., Documenti, pp. 9-10.
[ix]Il nobile vivente Francesco Scafoglio possiede un comprensorio di terre aratorie nel luogo d.o la Screzza d’estenz.ne tte undici col jus arandi giusta li beni del mag.co Tomaso Oliverio e della Mensa Vescovile (ASN. Cam. Som. Catasto della Città di Cerenzia, 1753, f. 4).
[x] Il massaro Giuseppe Grande possiede “un comprensorio di terre nel luogo d.o la Scuzza di estenz.e tom.te quattro e mezzo col jus arandi, giusta li Beni di Rosa Grano e del mag.co Dom.co Venneri” (1753, f. 8v).
[xi] Il bracciale Giuseppe Pugliese possiede “moggia quattro e mezzo di terra col jus arandi nel luogo d.o Scuzza confina con li beni del d.o Grande ed Antonio Oliverio” (1753, f. 13).
[xii] Il nobile vivente Tomaso Oliverio possiede “un comprensorio di terre nel luogo d.o La Scuzza d’estenz.ne tt.e 49 solita à seminarsi in grano ogni cinque anni due col solo jus arandi atteso il jus pascolandi spetta all’Università, ed alla Principal Camera di d.a Città confina con li beni di Fran.co Scafoglio e Mensa Vescovile” (1753, f. 21).
[xiii] Antonio Oliverio della terra di S. Giovanni in Fiore possiede “un pezzo di terra nel luogo d.o Scuzza d’estenz.e tom. otto e mezza confina con li beni del Canonicato di Santa Maria della Piazza e Giuseppe Pugliese” (1753, f. 72).
[xiv] Domenico Venneri della Città di Cariati possiede “un comprensorio di tom. 45 delle quali tom. 15 e più sono incolte e boscose per mancanza di coloni e tom. 30 sono abili à sementarsi grano, confina con li beni della mensa vescovile e vallone di Petullo. Di più possiede nel sud.o luogo d.o la Scuzza tom.la due e mezza di terra della stessa natura di sopra confina d.a Mensa e Tesorerato. Di più possiede nella stessa difesa altre tomolate due di terra aratoria confina come sopra” (1753, f. 75).
[xv] D. Rosalbo Benincasa nobile vivente di San Giovanni in Fiore possiede “un comprensorio di terre conil jus arandi di d’estenz.e di tt.a trenta nel luogo d.o Scuzza confina con li beni della Mensa Vescovile ed Arci diacono Mascari. Di più altro comprensorio nel detto luogo d’estenz.e tom.a due e mezze confina d.a Mensa e via publica. Di più nel sud.o luogo di Scuzza un comprensorio di terre col solo jus arandi di estenz.e tom.o uno confina con li beni della cappella di S. Lorenzo e Mensa Vescovile. Di più nel sud.o luogo un comprensorio di terre d’estenz.e tom. tre confina con li beni della Mensa Vescovile e Cappella di S. Agostino. Di più nel sud.o luogo un comprensorio di terre di tom. uno confina con la sud.a Mensa e Capitolo. Di più un altro comprensorio di terre di estenz.e di moggia quattro col jus arandi nel luogo detto il Castello di Scuzza, confina con li beni del canonicato di Santa Maria della Piazza” (1753, f.79).
[xvi] Il Capitolo della cattedrale di Cerenzia possiede “comprensori n.tre di terra detti Murica e Muzzilla siti e posti dentro la difesa detta di Scuzza d’estenz.ne tom.le 13. Confina con li beni della Mensa Vescovile e Cappella S. Maria delle Grazie (1753, f. 59).
[xvii] La Mensa Vescovile possiede diversi pezzi di terreno col jus arandi d’estenz.ne tt.e cinquantasette nel luogo detto Scuzza confina con li beni della stessa Mensa e cappella di S. Maria della Grazia (1753, 63v).
[xviii] La Cappella di San Nicola sotto la cura del Rev. Tesoriero D. Giuseppe Cavallo possiede “un comprensorio di terre nel luogo d.o Scuzza d’estenz.ne tt.a due e mezzo confina con li beni della Mensa Vescovile e Dom.co Venneri” (1753, f. 65).
[xix] La Cappella di Santa Maria della Piazza sotto la cura del Rev.do D. Carlo La Macchia canonico curato della Cattedrale possiede “un comprensorio di terra d’estenz.ne tt.a sei col jus arandi, nel luogo d.o Scuzza confina con li beni della R.da Mensa e Cappella Santa Maria delle Grazie. Possiede moggia tre di terra col jus arandi site nel sud.o luogo, confina con li beni della Mensa Vescovile ed Antonio Oliverio di S. Giovanni in Fiore. Di più possiede nel sud.o luogo di Scuzza un pezzetto di terra d’estenz.ne mezzo tto col sud.o jus confina con li beni della Mensa Vescovile e Principal Camera. Di più possiede moggia sedici di terra col Jus arandi nel luogo d.o Castella di Scuzza Confina con li Beni del Rev.do Capitolo e Principal Camera (1753, f. 67).
[xx] La Cappella di Santa Maria delle Grazie sotto titolo di Rettoria possiede “un pezzo di terra d’estenz.ne tt.a tre col jus arandi tantum nel luogo d.o Scuzza confina col beneficio di Santa Maria della Piazza e Mensa Vescovile. Di più possiede un comprensorio di terra colo solo jus arandi , d’estenz.ne tt.o uno sita nel sud.o luogo confina con li beni della Mensa Vescovile e Tomaso Oliverio. Di più possiede altro comprensorio di terra sita nel sud.o luogo col jus arandi confina con li beni di Dom.co Venneri e Mensa Vescovile d’estenz.ne tt.a dieci. Di più possiede altro comprensorio sito nel sud.o luogo detto Scuzza d’estenz.e tt.a sette che confina con la Mensa Vescovile e Canonicato di Santa Maria della Piazza. Di più possiede altro comprensorio di terre d’estenz.e tt.a dieci col jus arandi nel luogo d.o Castello di Scuzza. Confina con li beni di Rosalbo Benincasa. Di più possiede altri quattro pezzi di terra tre dei quali siti nel luogo d.o La Scuzza di Cald.o. Il primo si chiama il Messinisello, il 2.o il Tronicello ed il 3.o Cornò” (1753, ff. 68v-69r).
[xxi] La Cappella di San Lorenzo di questa Città possiede “un comprensorio di terre col jus arandi d’estenzione tt.a venti nel luogo d.o La Scuzza confina con li beni di Giuseppe Arcuri di Savelli e via publica. Di più possiede un comprensorio di terre d’estenz.e tt.a Cinquanta la maggior parte sterili nel luogo d.o Cornò, confina con li beni del canonicato di Santa Maria della Piazza e le Ripe del Castello di Scuzza” (1753, f. 69v).
[xxii] La Cappella di Sant’Andrea di questa Città possiede “un tt.o e mezzo di terra nel luogo d.o Scuzza confina con li beni della Mensa Vescovile e cappella di S. Agostino” (1753, f. 83v).
[xxiii] La Cappella di San Giovanni Battista di questa Città possiede “un comprensorio di terre d’estenz.ne tta quattro nel luogo detto il Castello di Scuzza confina con li beni della Principal Camera e rev. Capitolo, stimata di nessuna rendita per la sua sterilità” (1753, f.84v).
[xxiv] La Cappella di S. Agostino di questa Città possiede “un comprensorio di terra al num.ro di quattro pezze , cioè una di tt.a due mezza, altro di tt.a quattro, altro di tt.a cinque ed altro di moggia due che in tutto sono tt.a tredeci e mezzo col jus arandi nel luogo d.o Scuzza, confina con li Beni della Mensa Vescovile e Tesorerato della Cattedrale la prima pezza. La seconda con d.a Mensa e Rosalbo Benincasa. La terza con d.a Mensa e la Mensa di Sparzia e l’ultima con d.a Mensa e Beneficio di S. Rocco di nessuna rendita” (1753, f. 86).
[xxv] La Cappella di Santa Maria delle Grazie sotto titolo di Rettoria “possiede altro comprensorio di terre d’estenz.e tt.a dieci col jus arandi nel luogo d.o Castello di Scuzza. Confina con li beni di Rosalbo Benincasa. (1753, ff. 68v-69r).
[xxvi] La Cappella di San Lorenzo di questa Città possiede “un comprensorio di terre d’estenz.e tt.a Cinquanta la maggior parte sterili nel luogo d.o Cornò, confina con li beni del canonicato di Santa Maria della Piazza e le Ripe del Castello di Scuzza” (1753, f. 69v).
[xxvii] La Cappella di San Giovanni Battista di questa Città possiede “un comprensorio di terre d’estenz.ne tta quattro nel luogo detto il Castello di Scuzza confina con li beni della Principal Camera e rev. Capitolo, stimata di nessuna rendita per la sua sterilità” (1753, f. 84v).
[xxviii] La Cappella di Santa Maria della Piazza sotto la cura del Rev.do D. Carlo La Macchia canonico curato della Cattedrale possiede “moggia sedici di terra col Jus Arandi nel luogo d.o Castella di Scuzza Confina con li Beni del Rev.do Capitolo e Principal Camera” (1753, f. 67).
[xxix] D. Rosalbo Benincasa nobile vivente di San Giovanni in Fiore possiede “un altro comprensorio di terre di estenz.e di moggia quattro col jus arandi nel luogo detto il Castello di Scuzza, confina con li beni del canonicato di Santa Maria della Piazza” ( 1753, f. 79).
[xxx] Rendite dell’università di Cerenzia: “Dall’affitto, o sia vendita dell’erbaggio della difesa di Scuzza per li due terzi spettantino all’università 66.3.6 2/3. Per lo Jus della Semina dell’erbaggio di Scuzza che oggi e massaria 6” (1753, f. 98).
[xxxi] “… ed ivi termina il confine con detta Terra di Zinga e si piglia quella con la città di Cerenzia, la quale camina verso mezzo giorno circa un altro miglio per detto Vallone Saccagno sino al luogo detto Pastamolla, e ‘l comune di Cufalo, da dove prosiegue tal confinazione per lo tratto di circa passi 30 mediante siepe viva ed argine di frasche, sino ad incontrare altro vallone seccagno denominato di Cannetiello, Cufolo, e Caria dividente il Terratico di Cerenzia, che resta a man sinistra verso levante, e quello di Verzino a destra verso ponente. Indi caminando verso mezzo giorno detto vallone circa un altro miglio, si trova altro vallone d’acqua corrente parimenti chiamato Cufalo, e rivoltando per esso verso ponente in lunghezza di pochi passi si arriva in un piccolo montetto denominato Colle di cupra, il quale fa divisione lasciando il mezzo un concavo per dove camina la confinazione suddetta, con restare il territorio di Cerenzia a sinistra verso mezzogiorno, ed a destra verso tramontana, quello di Verzino. Inoltre caminando pochi passi per detto concavo trovasi un falso piano denominato lo Scuozzo, e Sullaria, dove il termine divisionale è una semplice siepe con picciolo concavo naturale in lunghezza di mezzo miglio fino ad arrivare alla strada pubblica, che porta alla Salina, lasciando sempre a man sinistra il territorio di Cerenzia, ed a man destra quello di Verzino, e poi caminando per detta strada publica in tratto di un miglio, e mezzo si giunge in una calata detta Scannello di Cavallo, per la quale dopo pochi passi si arriva un piccolo vacuo, ch’è territorio di Cerenzia, stante il confine camina per una tempa scoscesa denominata Cinta di Como ,e dopo un miglio di lunghezza si giunge si giunge al luogo detto la Scannella dello Piro, dividendo sempre il territorio di Cerenzia, che resta al lato sinistro, e quello di Verzino, che resta lato destro. Dal detto luogo rivolta il camino verso mezzogiorno per la distanza di circa mezzo miglio, si cala nel vallone chiamato di Cornò, da qual vallone andando verso sopra per un altro vallone seccagno detto Metropoli, e S. Martino, lasciando sempre il territorio di Cerenzia a sinistra, che vien chiamato Metropoli e S. Martino, dopo la lunghezza di un miglio in circa si arriva al cancello di S. Martino, situato in mezzo la strada, che va in Cerenzia e, da detto cancello in avanti caminando verso ponente per la lunghezza di circa mezzo miglio si trova un Tempone, ossia rialto nominato Porta di Palude, dividendosi tal confine mediante siepe di frasche, con restare il territorio di Cerenzia a sinistra verso mezzo giorno, e quello di Verzino dalla parte opposta. Da detto luogo Porta Palude calando con inclinare verso mezzo giorno per un valloncino situato in mezzo a terre boscose dopo il tratto di un miglio e mezzo in circa s’incontra il fiume Lese, propriamente nel luogo denominato li Ponti, in qual punto il cennato valloncino imbocca in detto fiume, lasciando sempre a sinistra il territorio di Verzino, e di là andando in su per l’acqua del predetto fiume Lese per la Fratta di circa miglia tre fiume all’inforcatura di un altro fiume denominato Iola o sia S. Marco di Craccia, ed in questo punto si termina a confinare col territorio di Cerenzia …”. Pollio G., Apprezzo del feudo di Verzino (1760), in Archivio Comunale di Savelli, ff. 80-81.
[xxxii] “Hic vina, olea et mella clara fiunt. Olivae ad amygdalarum magnitudinem grassae, et carnosae conditae in cadis optimae sunt esu. Ager hic fertilis est. Fit similago triticea optima. Extant sulfurea aquae multis locis: Fit sulfur, nascitur sal fossile, et alabastrites, sine lapis alabastritae similis et lapis, ex quo fit alumen, quo oppidani ob inscitiam in fabricandis aedibus utuntur. Proveniunt cappares, siliqua silvestris, et glycirrhiza affatim. Fiunt et olera pulchra”. Barrius, p. 374.
[xxxiii] Pollio G., Apprezzo del feudo di Verzino (1760), in Archivio Comunale di Savelli, ff. 80-81.
[xxxiv] (1753, f. 69v).
[xxxv] Catasto 1753 cit., ff. 68v-69r.
[xxxvi] Catasto 1753 cit., ff. 68v- 69r.
[xxxvii] Catasto 1753 cit., f. 75.
[xxxviii] Catasto 1753 cit., f. 59.
[xxxix] Maone P., Indagini sul passato di Cerenzia Vecchia alla ricerca dell’origine del “locus Scalzaporri”, in Historica n. 2/3 – 1961, p. 64.
[xl] Maone P., Indagini cit., p. 66.
[xli] Ibidem.
[xlii] Ibidem.
[xliii] ASCz, Not. Massimino Caligiuri 1804, fs 677, ff. 18-11.
[xliv] Catasto 1753, f. 84v.
[xlv] Catasto 1753 cit., f. 3v.
[xlvi] ASCz, Notaio Massimino Caligiuri, fs. 677, 1813, f. 22.
[xlvii] Catasto 1753 cit., f. 15v.
[xlviii] Catasto 1753 cit., f. 25r.
[xlix] Catasto 1753 cit., f. 49v.
[l] Catasto 1753 cit., f. 56r.
[li] Catasto 1753 cit., f. 59v.
[lii] Catasto 1753 cit., f. 65r.
[liii] Catasto 1753 cit., f. 66r.
[liv] Catasto 1753 cit., f. 68v.
[lv] Catasto 1753 cit., f. 92r.
Creato il 22 Ottobre 2018. Ultima modifica: 22 Ottobre 2018.