Caratteristiche della presenza ebraica nel Crotonese durante il Medioevo

Crotone. Lapide sepolcrale che ricorda la morte di Ioshua ben Shamuel Gallico nel 1475-1476 (da calabriajudaica.blogspot.it).

La presenza degli ebrei nell’ambito dei centri della costa ionica della Calabria centrale, emerge attraverso le fonti letterarie già prima della dominazione normanna, come dimostra la menzione di Shabbetai ben Abraham Donnolo (913 c.a – 982 c.a) nella Vita (βίος) di San Nilo di Rossano[i] mentre, secondo alcuni, un “Calonimos” avrebbe “salvata la vita all’imperatore Ottone II di Germania, aiutandolo a fuggire nel 982 a Crotone dopo la sconfitta patita ad opera dei saraceni.”[ii]

La scarsa documentazione non ci consente di fare molta altra luce su questo periodo, anche se, sporadicamente, nomi riferibili ad una presenza ebraica compaiono in alcuni documenti.[iii] Da un punto di vista del panorama generale, comunque, i legami millenari che congiungevano la Calabria alla sponda mediorientale, mantenuti in epoca altomedievale quando la regione appartenne lungamente all’impero bizantino, risultano sufficientemente attestati durante il sec. XII, come testimoniano alcuni atti che documentano il traffico delle navi genovesi[iv] e di quelle veneziane,[v] tra le coste ioniche della Calabria centrale e le località costiere mediorientali (Acri, Alessandria, Damietta).

Rotte da Crotone e Squillace per Acri e Alessandria passanti per l’isola di Gozo.

 

Una comunità ricca e consistente

La particolare ricchezza e consistenza della comunità ebraica di Crotone, risulta evidente già agli inizi della dominazione angioina, quando attraverso la documentazione fiscale dell’anno 1276 (“Cedula subventionis in Iustitiaratu Vallis Grati et Terre Iordane”), rileviamo che i “Iudei Cutroni” furono tassati per once 19, tareni 12 e grana 12:[vi] il pagamento più alto tra quelli imposti alle altre comunità ebraiche della regione, che evidenzia la sua rilevante consistenza numerica.

Anche se i documenti fiscali mal si prestano a valutazioni di questo tipo, considerati i privilegi, le esenzioni, ecc., che spesso alterano molto sensibilmente i pochi dati di cui disponiamo per questi periodi più antichi, la conferma dell’importanza e del rilievo che la giudecca di Crotone ebbe al tempo della dominazione angioina, c’è testimoniata in seguito durante il regno di Roberto d’Angiò (1309-1343).

Agli inizi del Trecento, infatti, la ricca comunità crotonese, assieme a quelle di altri importanti centri calabresi come Rossano, Cosenza e Gerace, aveva dovuto subire le vessazioni degli esattori che avevano fatto man bassa dei beni degli ebrei,[vii] costringendoli a fornire prestazioni cui invece affermavano di non essere “assolutamente” tenuti.[viii] Una situazione ricorrente che affliggeva tutta la popolazione compresi gli ebrei, nei confronti dei quali, solitamente, l’atteggiamento del sovrano era improntato a fornire loro accoglienza in cambio di una ricca contribuzione. Nel 1324, ad esempio, re Roberto era intervenuto nei confronti degli ebrei di Crotone e di Rossano, acconsentendo che le loro sinagoghe fossero ripristinate all’uso originario mentre, nel 1328, per poter provvedere alle esigenze difensive del regno, aveva fatto applicare “una tassa straordinaria di 15 tarì per ogni ebreo maschio residente in Valle del Crati, in Terra Giordana e nel resto della Calabria”.[ix]

Di fronte a questa situazione l’atteggiamento degli ebrei ricalcava, in genere, quello solitamente adottato da tutta la popolazione in questi casi: ossia quanti potevano si sottraevano al pagamento con la fuga. Attraverso le notizie contenute nei registri angioini ormai perduti riportate dal Caggese e risalenti agli ultimi anni del regno di re Roberto, sappiamo che a quel tempo, essendo stato pattuito tra gli ebrei di Calabria e la regia Corte, il pagamento annuale di cento once d’oro, alla ragione di “augustali uno” per ogni ebreo tra i quattordici e i sessant’anni, molti di questi erano fuggiti da Crotone e da altre città demaniali, per sottrarsi agli esattori regi, emigrando verso le terre feudali dove avevano trovato la protezione dei baroni. Nell’occasione comunque, come c’informa un atto del 23 aprile 1341, gli esattori avevano preteso da quelli rimasti, l’integro pagamento della rata dovuta che, per gli ebrei di Crotone, ammontava a quindici oncie: una cifra nell’ordine di grandezza di quella registrata in occasione della tassazione precedente del 1276.[x]

 

Uomini d’affari

Anche se le loro coltivazioni sono menzionate nei documenti,[xi] e sappiamo che gli ebrei possedevano “boni stabili” regolarmente accatastati,[xii] mentre la toponomastica dei luoghi ci tramanda l’esistenza di questi loro antichi possedimenti,[xiii] anche nel Crotonese, come si registra nel resto d’Italia dalla seconda metà del Duecento, quando cominciò ad avere un peso più rilevante il commercio,[xiv] si evidenzia che l’attività lavorativa principale condotta localmente dagli ebrei si realizzò prevalentemente nell’ambito di tale comparto.

Ciò consente di evidenziare una marcata differenza rispetto al grosso della popolazione cittadina, dedita principalmente al lavoro nei campi, rispetto alla quale, gli ebrei potevano far valere importanti conoscenze tecniche nell’applicazione di alcune arti e una maggiore libertà di movimento nel campo commerciale e finanziario, considerati i precetti religiosi che, ufficialmente, vieteranno ai cristiani di guadagnare attraverso il prestito del denaro, fino all’istituzione dei primi Monti di Pietà.

Una limitazione che, nella realtà, anche in precedenza, aveva consentito a quanti possedevano capitali rilevanti di trovare comunque la maniera di impiegarli, prescindendo dalle proprie convinzioni religiose. A titolo di esempio, nel testamento del “nobilis et Egregii viri Simeonis de Bondelmontibus” di Firenze, stipulato il 14 agosto 1386, “apud Terram Policastri”, il testatore dichiarava che “Gaudius judeus de Cut.ono tenetur dare sibi uncias undecim et tari decem et octo carolenorum Argenti iusti ponderis”.[xv]

 

Al servizio del re

La dimestichezza degli ebrei nel trattare il denaro ed il fatto di essere particolarmente introdotti nei canali in cui questo fluiva alimentando la vita delle città, consentì loro di occupare un ambito privilegiato oltre che all’interno dell’economia di queste, anche nella struttura amministrativa del regno. L’antichità di questa presenza c’è testimoniata a Isola, dove l’esistenza del “palatium de judeis” posto nel luogo di transito dove si univano i due valloni “Magna Vena” e “Vena Vadi Lupi”, è testimoniata nel 1145 nel privilegio con cui il re Ruggero II confermò ed ampliò al vescovo della città Luca, i privilegi già concessi dal duca Ruggero.[xvi]

Alla esistenza di un “palatium” con una presenza ebraica, ovvero di un edificio rappresentativo del potere regio cui possono essere riconosciute funzioni fiscali,[xvii] fa riferimento anche il toponimo “Giudeca” che, agli inizi dell’Ottocento, compariva ancora in territorio di Savelli, sulla via pubblica presso il “fiume di Senapede”, lungo il percorso che, da Verzino, risaliva verso la Sila.[xviii]

Savelli (KR), ponte sul fiume “Senapite”.

 

Mercanti e artigiani

La particolare occupazione degli ebrei nell’ambito mercantile è evidenziata dal D’Amato che, nelle sua seicentesca “Memorie Historiche di Catanzaro”, attribuisce ai loro commerci (in particolare a quello della seta) la ricchezza della città e “di tutta la Provincia”.[xix] Una situazione evidente nella documentazione medievale, dove i “mercatores xpiani et judey” della città,[xx] risultavano particolarmente impegnati in tutta la filiera della “artem Vellutorum”, di modo che “exindustria vellutorum quodamodo vivunt et non alio rustico modo”.[xxi]

Il particolare interesse degli ebrei per la produzione e il commercio della seta, risulta documentato anche nel caso di Santa Severina dove, agli inizi del Trecento, un certo “Mataluso Giudeo” deteneva la “gabella della tintoria”,[xxii] mentre sappiamo che, alla metà del Quattrocento, tutti gli ebrei “residentibus” nell’ambito del ducato di Calabria, pagavano il diritto o “Cabellam” detta volgarmente “de mortafa”,[xxiii] ovvero “Iura tinturie seu mortafa”.[xxiv]

La richiesta di essere esentati per quindici anni dal pagamento di questo diritto regio che gravava solo gli ebrei, si ritrova tra i capitoli concessi da re Alfonso d’Aragona alla “Universitatis et hominum Civitatis Catançarii” il 24 febbraio 1445,[xxv] mentre, l’antichità di tale imposizione e di tale attività artigianale, risalta il 17 novembre 1444 attraverso la richiesta da parte della “universitatis et ho(mi)num t(er)re Pulicastri” allo stesso sovrano, affinché gli ebrei “no siano tenuti de pagare si no tari sey per mortofa como era per lo tempo Antiquo”.[xxvi]

Il primato detenuto dagli ebrei tra coloro che esercitavano la “mercatura” nei centri del Crotonese, risulta ben evidente anche per quanto riguarda l’arte medica, come risulta ben documentato a cominciare dal caso del mercante “Joseph Judeo de Montealto, phisico habitatori civitatis Cutroni”, al quale, il 28 aprile 1400, re Ladislao concesse la licenza di esercitare “in Arte phisice Medicine” nell’ambito del regno,[xxvii] e da quello del “medico mastro Leone b. Raḥamim, morto nel 1441” a Strongoli.[xxviii]

Risale invece all’annata 1452-53 la concessione della licenza di praticare l’arte medica nel regno a “Moysii Iudei, aromatarii de Cutrono”,[xxix] mentre un altro dottore fisico: “Iohanhan de Acumi, hebrei de Strongolo”, risulta menzionato a tale proposito nel 1470,[xxx] frangente in cui il medico Salomone ben Isac ha-Laban copiò per suo uso personale, il codice attualmente conservato a Parigi, contenente “i propositi dei filosofi di Al-Gazali, la Metafisica e la Fisica di Aristotele”.

Il Colafemmina che ce ne fornisce notizia attraverso fonti ebraiche, riferisce che nel “colofone il copista precisa di aver eseguito il lavoro in cui era allievo del «grande sapiente R. Isac il Medico, figlio dell’onorato rabbino messer Elqanah, uomo di valore». Egli ricorda inoltre, la sua prima esperienza medica: «Io Solomone b. Isac il Medico ho incominciato a esercitare la medicina nella città di Mesoraca, curando la pleurite di un giovane chiamato Iacopo Pandolfo. L’ho guarito ed egli mi ha dato 13 tarì. Questo avvenne l’anno 5231 dalla creazione del mondo (= 1471), nel mese di Iyar (aprile-maggio), avendo io allora 22 anni». Nel 1472 lo stesso Solomone b. Isac ricopiò a Crotone, con l’aiuto di un Matatià, i commenti di Averroè sulla Fisica, l’Anima e i Metereologici di Aristotele.”[xxxi]

Nell’ambito di quella che doveva essere la propria attività professionale, strettamente intrecciata a quella religiosa,[xxxii] sempre a Crotone, nel 1474, Samuele ben David ibn Shohan ricopiò “un commento al Pentateuco sullo stile dei Tosafisti” mentre, nel 1480, a Strongoli, “Asher b. Don Samuel Yarchi Provenzalo ricopiò per Isac b. Nahum da Policastro l’opera filosofica Milhamot ha-Shem (Le guerre del Signore) di Levi b. Gershon” che si conserva alla Biblioteca Nazionale di Parigi (Ms. héb. 722.). A Belcastro, “negli stessi anni”, fu copiato “per un maestro Leon”, “un commento di Levi ben Gershon al commento di Averroè alla logica di Aristotele.”[xxxiii]

Oltre a riscontrarsi nell’ambito di alcune arti che risultano tra quelle da loro praticate in maniera più tradizionale, l’attività lavorativa degli ebrei del Crotonese si riscontra diffusamente anche in un panorama commerciale e artigianale più vasto, come documenta il caso dei “judey de Cotroni” nella seconda metà del Quattrocento, in occasione dei lavori riguardanti la rifortificazione della città e del castello, quando tra i numerosi ebrei in affari con la regia fabrica o impiegati direttamente nella costruzione, troviamo il mastro ferraro Nise Sala,[xxxiv] e il mastro Russo Sala[xxxv] mentre, tra i mastri fabbricatori, spicca la presenza del capomastro Yesua de Sarro e del mastro Simon de Sarro, tra i cui manipoli risultano Moyse de Montalto e Abram de lo Speciali.[xxxvi] Altri ebrei nominati in questi documenti sono Marino de Trani, Samuele de lo Speciali o de Malandrino, Jacoda Piczuto, [xxxvii] Moyse Malta,[xxxviii] Sabaday (nipote del detto Marino),[xxxix] Gavyo de Malandrino,[xl] Venturo de Jacosua,[xli] “Cale judeo”,[xlii] e “russio” ebreo di Cariati.[xliii]

Parigi. La Fisica di Aristotele ricopiata a Crotone nel 1472 dal medico Salomone ben Isac ha-Laban (da Cuteri F., Minoranze etniche nella Calabria medievale).

 

Una comunità separata

Lungi dall’essere integrati nella società cittadina del tempo fondata sui valori religiosi, che non risparmiava loro “iniurie et detracii”,[xliv] costringendoli “a portare lo signo iudisco no(mi)nato tau”,[xlv] gli ebrei costituivano una comunità “separata dal resto della popolazione, con una sua organizzazione sociale e religiosa distinta, dove dovevano essere presenti e gestiti da membri della comunità, perché rigidamente regolati da norme rituali che evitavano la contaminazione, oltre alla sinagoga anche un bagno rituale, un forno, un macello ed un cimitero.”[xlvi]

Quest’ultimo era sempre fuori le mura, come risulta a Santa Severina, dove il luogo destinato ad accogliere le loro sepolture[xlvii] era posto “sotto porta nova”,[xlviii] nel luogo detto “lo Timpone de li Judei”,[xlix] oppure a Strongoli, da cui proviene l’iscrizione trovata nel 1954 in località “Catena” che può essere così tradotta: “Questa è la stele dell’illustre signor maestro Giuda, figlio di Rachamim – sia l’Eden il suo riposo – morto nell’anno 5201” (1440-41).[l] Proveniente da una località ignota, ma comunque posta “nell’area cittadina”, è invece l’epigrafe sepolcrale frammentaria ritrovata nel 1926 a Crotone, sulla quale “si riesce, comunque, a leggere il nome del defunto, Ioshua ben Shamuel Gallico, e l’anno del suo decesso: 5236 (=1475-1476).[li]

Per quanto riguarda invece l’utilizzo di un proprio macello concesso a tutti gli ebrei del regno in virtù delle loro convinzioni religiose, recepite attraverso specifici privilegi concessi dal sovrano, un ordine del 7 agosto 1493 della Camera della Sommaria diretto al tesoriere di Calabria, disponeva che gli ebrei di Crotone non fossero molestati da Troylo Richa che, detenendo il diritto di “scanagio” della città, avrebbe voluto costringerli ingiustamente a tale pagamento, mentre invece gli ebrei ne erano esenti per privilegio, potendo “fare macellare carne intro de loro et non siano tenuti pagare scanagio seu sangue”.[lii]

 

Procuratori e giudici

Sappiamo che già nella prima metà del Trecento, re Roberto aveva concesso agli ebrei del regno di avere dei propri “procuratores seu syndicos” pro tempore detti “prothos”, che avevano il mandato di agire e trattare, tanto riguardo gli affari privati all’interno della comunità, quanto in merito alle questioni fiscali della comunità con la regia Corte.[liii]

Rileviamo in seguito, che tali funzioni potevano essere assunte anche da membri esterni alla comunità allo scopo di stringere la morsa fiscale nei confronti di quest’ultima, come dimostra il caso di Strongoli dove, considerata la cattiva amministrazione di Baptista Puyeri, al quale era stata “aricomandata la iurisdictione” della “università et homini dela Iudeca de Stronguli”, che “non ponno ormai più resistere ne habitare in dicta cità”, il 22 giugno 1492 la Camera della Sommaria ordinava al tesoriere provinciale Vincilao de Campitelli di rimuovere detto Battista “dalo guberno de dicti iudei”, trasferendolo ad una altra persona “ad sindicato”, in maniera così che potesse rendere conto della sua amministrazione.[liv]

Oltre ai sindaci che svolgevano tale mandato nei riguardi di tutti gli appartenenti alla “Iudayca”,[lv] che si configurava quindi come un ambito con una giurisdizione separata da quella cittadina, un’altra figura importante che agiva all’interno della comunità ebraica, regolandone la vita sociale, era rappresentata da quanti vi trattavano le cause giudiziarie. Da un punto di vista generale, sappiamo che queste erano sottoposte agli stessi ufficiali che amministravano la giustizia ai cittadini, anche se il carattere fortemente autonomo della comunità ebraica faceva sì che, almeno le cause civili mosse tra membri appartenenti alla stessa comunità, fossero trattate da persone autorevoli del luogo riconosciute dai membri della comunità, secondo le consuetudini locali in forma stragiudiziale,

Di questa forma di amministrazione della giustizia, diffusa in tutto il reame, abbiamo notizia attraverso i privilegi concessi al vescovo di Crotone Crucetto dal re Alfonso d’Aragona il 25 febbraio 1445, tra i quali vi era la grazia speciale che egli potesse riconoscere, determinare e decidere per via stragiudiziale, le cause civili nell’ambito della città di Crotone, tra ebrei e cristiani e tra ebrei e ebrei, similmente a quanto era stato concesso ai vescovi e arcivescovi delle altre città e terre demaniali del regno.[lvi]

Le antiche consuetudini medievali e i privilegi che permettevano agli ebrei di regolare le questioni tra di loro all’interno della comunità, sono richiamati successivamente, in occasione di un ricorso della “Iudeca Catanzari”. In questo caso, risale al 21 marzo 1481 l’ordine della Camera della Sommaria al capitano della città che, intendendo “innovareli certe cose sopra loro cause et differencie”, “contra la forma de loro capituli et consuetudine”, si era intromesso “ad guastare le consuetudine quale hanno tra loro dicti iudei”.[lvii]

Il conflitto tra i poteri degli ufficiali regi e le antiche consuetudini che regolavano l’amministrazione della giustizia all’interno della comunità ebraica, sono alla base anche dell’ordine dato dalla Camera della Sommaria al capitano di Umbriatico il 28 aprile 1494, attraverso cui, considerato che “uno citatino” trattava le cause riguardanti “li iudey” della città, gli si ordinava di svolgere le proprie funzioni “come fate deli christiani”, amministrando giustizia e provvedendo affinché gli ebrei fossero ben trattati.[lviii]

Un caso simile a quello de “li iudei habitanti in Belcastro et altre terre de dicto contato” che, chiedevano di voler comparire innanzi “uno commissario appartato”, non intendendo trattare le loro cause innanzi il “vice Comiti Belcastri”, così come facevano i cristiani. Il 5 giugno 1494, riconoscendo evidentemente le ragioni degli ebrei, la Camera della Sommaria ordinava a quest’ultimo di amministrare loro giustizia senza però gravarli.[lix]

 

La giudecca

L’esistenza di una “judayca”, ossia di un luogo originariamente esterno alle mura delle terra, abitato esclusivamente dagli ebrei, risulta documentato a Mesoraca già da un atto del primo agosto 1310 in cui risulta che, tra i beni concessi in feudo da Petro Ruffo de Calabria a “Tranquedo de rivioto”, vi era un casaleno con grotta contigua sito “in judayca mesurace prope ripas platee” e la domus di “Raynaldi de mag(ist)ro Raymundo” e donno “Nicolai de cesara”.[lx]

La localizzazione della “Judeca” (ricordata come “ghetto” già agli inizi del Settecento),[lxi] nelle prossimità di uno degli accessi dell’abitato si rileva anche nella vicina Policastro dove, una delle cinque porte esistenti agli inizi del Seicento, quella sovrastante la località detta “cimicicchio”,[lxii] era detta “della Judeca”,[lxiii] in relazione al luogo in cui era esistita la locale Giudecca medievale. Per questa porta transitava la via che conduceva a Mesoraca, mentre vi giungevano “la istrada che scende dalla santiss.a nuntiata”[lxiv] e quella che proveniva dalle vicinanze della chiesa di Santa Maria delle Grazie.[lxv]

Nelle vicinanze di quest’ultima chiesa, “lo Vallone della Città”,[lxvi] che ripercorreva il tracciato del fossato che muniva le mura medievali, passando nel luogo in cui era esistita la “Judeca”, e assumendo l’appellativo di “valonnem magnum dittum la iudeca”,[lxvii] giungeva alle “ripas dittas le catarrata”,[lxviii] dove erano convogliate le acque di scolo che discendevano dall’abitato.

Assetto urbano di Policastro agli inizi del periodo basso medievale: Castello (A), Terra (B), Judeca (C).

 

La giudecca di Strongoli

L’insediamento ebraico in prossimità della porta principale e della piazza, luogo classico in cui erano concentrate le attività commerciali, si riscontra anche a Strongoli, dove l’esistenza della “Judeca” in età medievale è testimoniata dal permanere di questo toponimo durante il corso dei sec. XVI-XVIII.

Un atto del 3 marzo 1576 evidenzia che il luogo in cui continuava a resistere tale memoria, era situato presso una piccola torre appartenente al feudatario, alle mura della città e al ruscello detto “dela gioiusa”. Quel giorno, Beatrice de Marino di Cirò, vedova di Minico dela Gava, vendeva a Io. Turco La Catuna di Strongoli, la metà di un casaleno dotale esistente nella città di Strongoli “in loco dicto la Judeca iuxta turriolam P.le Cur. dictae civitatis iuxta domum dicti m.ci Jo. Turci iuxta moenia Civitatis p.tae et cursum aquarum dictum dela gioiusa viam pp.cam et alios fines”.[lxix]

Il primo gennaio 1590, tra i beni appartenenti alla dote di Antonia Gauceria di Strongoli che andava sposa a Hieronimo Caputo di Cirò, troviamo “una sua casa posta in città di Strongolo loco decto la giudeca confine la casa di Meschina de frisco et casa d’Antonello de Cotrone” che Censa Marra, vedova di Gio. Pere Guarano, prometteva alla futura sposa. [lxx]

Troviamo successivamente la “Strada della Giudecca”, dove abitava “Mutio Caputo ann. 38”, nella numerazione dei fuochi di Strongoli del marzo 1642, dalla quale apprendiamo anche che, nella “Strada Porta Maggiore, verso la Piazza”, vi era una “Casetta posta in alto sopra le mura della Città” che apparteneva all’università e serviva per guardiania, mentre nella strada che andava “da S.to Leo verso la Piazza”, esisteva “Una torre contigua alle mura della Città, inabitabile perché in parte diruta.”[lxxi]

Il toponimo persisteva ancora nel Settecento, quando alcuni atti ci indicano che il luogo detto “La Giudeca”, a ricordo della quale rimaneva la “Ruga detta la Giudia” o “della Iudeca”, era situato vicino e a sinistra entrando dalla “porta della città” detta anche “Maggiore”, vicino “il Vallone”, nell’area compresa tra la piazza e le mura della città, attualmente identificabile in prossimità della via Zampone.[lxxii]

Nel catasto onciario di Strongoli del 1741, troviamo che la casa dove abitava il cavaliere cosentino Gaetano Toscano, o Tuscano, con la moglie Urzolina Rartatti e i suoi quattro figli, era situata nella “Ruga detta la Giudia”.[lxxiii]

Ulteriori notizie sulla Giudecca sono presenti in alcuni atti del notaro Giacomo Minardi, originario di San Giovanni in Fiore. In un atto rogato in Strongoli il 3 maggio 1751, la mag.ca Catarina Arcuri, moglie di mastro Antonio Costa, affermava che tra i suoi beni dotali vi era una casa bassa sita e posta entro la città di Strongoli, nel luogo detto “La Giudeca”. La casa confinava con le case di mastro Giacinto Astore e con le case di Antonino Pileggi. La Arcuri la vendeva a Salvatore Mannarino per ducati 40.[lxxiv]

In un altro si legge che il 10 giugno 1752 Caterina Nusdeo, vedova di Silvestro Cavallaro, “poiché non ha verun modo di potere alimentare se stessa, e la sua povera famiglia”, avendo tra i suoi beni dotali due bassi di casa situati dentro la città nel luogo detto “la ruga della Iudeca”, li vendeva per ducati 35 a Felice Valente. I due bassi confinavano “con la casa di Teresa Cianfrone e con la casa delli signori Martucci e con Antonio Caccavaro, e proprio quelli li di cui astrachi sono di Teresa Fuscaldi”.[lxxv]

Il 2 agosto 1752 Simone Caccavaro vendeva a Matteo Valente per ducati 37 e grana 50, un basso di casa sito e posto dentro la città nel luogo detto “la Ruga della Giudeca, confina dun lato la casa di Biase Dottore, dall’altra parte quella della casa di Nicolò Marino e la casa di mastro Agostino Grispo,[lxxvi] il di cui astraco si possiede da detto Matteo Valente, e l’altro muro che affaccia di fora la città, che sporge nell’orto di mastro Giacinto Astore”.[lxxvii]

Da un atto dell’undici novembre 1755 sappiamo che le case dove abitava il canonico D. Giacinto Mauro, erano situate dentro la città nella “ruga detta della Giudea”. Le case erano gravate da un annuo censo di carlini 30 che D. Nicola Millelli cedeva al Padre Bonaventura Polito dei minori conventuali.[lxxviii]

Testimonianze analoghe riguardanti la posizione dell’insediamento ebraico rispetto agli accessi dell’abitato ed all’antico circuito murario medievale, ci provengono da Caccuri dove, agli inizi del Cinquecento, il luogo detto la giudecca, che è menzionato nei catasti settecenteschi e permane ancora oggi, si trovava appena dentro la “Porta piccola”, confinante con le mura e con l’antica via pubblica che conduceva al castello,[lxxix] da Scala Coeli dove, nella seconda metà del Cinquecento,[lxxx] il “loco dicto la Judeca” era situato dentro le mura, vicino ad una porta secondaria detta “Portello” o “Portello della Timparella”, dove ancora oggi rimane questo toponimo,[lxxxi] e da Corigliano dove, alla metà del Seicento, il “quartiero detto La giudeca” si estendeva presso le mura, lungo la strada pubblica.[lxxxii]

Strongoli. In evidenza (con il colore verde) la posizione della giudecca rispetto alla viabilità principale dell’abitato medievale.

 

La sala

Anche a Santa Severina l’insediamento ebraico si evidenzia fuori dall’antico circuito murario medievale, all’estremità del quartiere detto “Grecìa” dove, nel 1521, lungo la via pubblica che saliva alla città passando per la “Portam de grecia”, sotto la chiesa di “s.to blasio”, è documentata l’esistenza del luogo “qui d(icitu)r de Iudea”, dove era la timpa “ditta dele bagnora”,[lxxxiii] ossia “alla favata et prop.e in loco ditto le bagnora”.[lxxxiv]

Anche se il toponimo “Iudea”, legato al luogo in cui era esistito questo insediamento, non si rintraccia più successivamente, nella località, caratterizzata dalla presenza di abitazioni, orti e grotte, permarrà comunque quello di “sala verde”,[lxxxv] interpretabile in riferimento al luogo in cui era esistita la sinagoga cittadina,[lxxxvi] che continuerà ad essere documentato durante la seconda metà del secolo.[lxxxvii]

Il toponimo “la Sala” riferibile all’esistenza della sinagoga, che trova riscontro nella onomastica degli ebrei di Crotone,[lxxxviii] emerge anche a Belcastro dove, nella prima metà del Seicento, risulta identificato “intus Civitatem Bell.stri”, nel luogo detto “Castellaci” in cui passava la “via nominata la Sala”.

12 settembre 1638. Gli eredi di Alonso Morello (Petro Francesco e il chierico Joanne Jacobo), figli ed eredi di Alonso Morello, nonché eredi della nonna paterna Vincentia Gargano, assieme a Isabella de Tino, vendevano per ducati 310 al chierico Gioseppe Scarrillo la “continentia domorum”, “in pluribus, et diversis membris divisam superioribus et inferioribus una cum largo seu plano contiguo dittor. domor. À parte superiore sitas et positas intus Civitatem Bell.stri in loco nominato la Sala iusta domos heredum q.m Julii la Bollita via med.te vicinale iusta domum Antonini lo preite via p.tta vicinale med.te ex uno latere ex altero latere iusta aliam domum et casalenum ipsorum de Morelli nominato lo palazzetto ex parte inferiori iusta domos heredum q.m Scipionis Rizzo via publica med.te et via nominata la Sala à parte superiori iusta domos ipsorum de Morelli via vicinale med.te et iusta casalenum SS.mae Annuntiationis dictae Civ.tis et iusta domum in qua ad pr.es habitant haredes q.m Joannis Vincentii Villirillo et via publica à parte superiore”.[lxxxix]

22 ottobre 1638. Il chierico Joseph Scarrillo, figlio del dottore fisico Joannis Andrea Scarrillo, aveva comprato dagli eredi e figli di Alonsio Morelli ed eredi di Vicienza Gargano, loro ava paterna, una continenza di case site e poste “dentro questa Città in loco dove vulgarmente si dice la sala confine le case delli heredi del q.m Giulio la Bollita vinella mediante le case di Antonino lo Preite vinella med.te la via publica, et altri fini.[xc]

9 giugno 1639. Catarina Vaianella di Cutro ma abitante in Belcastro, vedova di Joannis Vincentio Villirillo, donava al figlio Stefano Villirillo, una casa posita “intus Civitatem Bellicastri in loco ubi dicitur la Sala iuxta domum heredum q.m Alonsii Morello et alios fines et quendam ortum cum uno pede sicomi situm, et positum in loco d.o li grutti contiguum Casaleno Fran.ci russi Civitatis Catanzarii et alios fines.”[xci]

19 settembre 1639. Laurentio Jozzolino di Taverna ma abitante in Belcastro, in ragione di un debito che doveva “conseguire” dagli eredi del q.m Alonsio Morelli, acquistava all’asta una loro continenza di case site e posta “dentro questa Città in loco detto Castellaci confine la casa di Stefano Villirillo la via publica, et altri confini.”[xcii]

Il ricordo del luogo in cui avevano vissuto anticamente gli ebrei a Belcastro, era ancora vivo alla fine sec. XVII – inizi XVIII quando, secondo la testimonianza del Fiore, la chiesa di San Cataldo aveva preso il posto della vecchia sinagoga,[xciii] mentre tutta quest’area dove “solum remansit nomen”, si presentava caratterizzata dalle rupi e dai resti delle abitazioni esistite nel passato.[xciv] L’esistenza di questa chiesa che rimaneva a testimoniare tale presenza, risulta documentata da un atto del 9 aprile 1635, che identifica l’orto e le case del quondam Cesare Calvano “dentro d.a Città”, “nello burgo seu li gructi di sotto s.to Cataudo”.[xcv]

In evidenza, la posizione della chiesa di “S. Biaggio” riportata dalla “VEDUTA OCCIDENTALE DELLA CITTA’ DI S. SEVERINA”, contenuta in “Il regno di Napoli in prospettiva” dell’abate Giovanni Battista Pacichelli (1703).

 

La Judeca di Crotone

Le prime informazioni circa il luogo abitato dagli ebrei a Crotone risalgono alla prima metà del sec. XV, quando sappiamo che le case terranee di “johannis bonoli” o “boloni” di Crotone, che le possedeva in qualità di legittimo amministratore dei suoi figli e di usufruttuario dei beni della “quondam alene” sua moglie, erano situate “intus eandem civitatem cutroni in parochia s(anc)te narchine”, vicino alle case di “jacuelli de procia judey de cutrono”.[xcvi] Risale a questo periodo, anche la prima attestazione che documenta l’esistenza della “judeca” della città, che risultava posta “in ditta Civitatis Cutroni”, nelle vicinanze di alcune case della corte confiscate a seguito della ribellione di Antonio Centelles, e di quelle dell’arcivescovo di Santa Severina.[xcvii]

Altre notizie ci provengono in seguito da due atti della seconda metà del Cinquecento, successivi alla cacciata degli ebrei dal regno ed alla ricostruzione delle mura, ma precedenti alla riorganizzazione delle parrocchie fatta dal vescovo Lopez (1595-1598), che identificano il luogo detto “la giudeca” e la “strata dela judeca”, nell’ambito dei confini della parrocchia di San Nicola de Cropis.[xcviii]

Sia quest’ultima che quella di Santa Narghina risultarono tra le parrocchie soppresse alla fine del Cinquecento, quando il loro ambito fu unito a quella di San Pietro.[xcix] Troviamo così in diversi atti seicenteschi che il luogo detto “la giudeca”,[c] ovvero la “strata nuncupata della Iudeca”, risultava nelle vicinanze della cattedrale,[ci] e si estendeva tra la parrocchia di San Pietro[cii]  e quella di Santa Maria de Prothospatariis.[ciii]

Crotone. In evidenza (con il colore verde) la posizione della giudecca rispetto alla viabilità principale dell’abitato medievale.

La posizione della giudecca in rapporto al territorio delle parrocchie di Crotone alla metà del Cinquecento evidenziato su una pianta della città del 1872.

 

Cittadini e abitanti

I documenti attestano chiaramente che, durante tutto il periodo medievale e fino alla loro definitiva espulsione dal regno, gli ebrei non ebbero la cittadinanza dei luoghi in cui si trovarono ad abitare nel Crotonese ma, in genere, rimasero sempre distinti dai locali cittadini in qualità di “habitanti”.[civ]

Essi, infatti, risultavano registrati in una “particulare numeracione”,[cv] riguardante la singola giudecca di ogni terra,[cvi] cui apparteneva la giurisdizione locale di ogni ebreo,[cvii] all’interno della quale era concesso loro lo status di abitanti (“incolatus”), in relazione alle necessità di mobilità legate all’attività commerciale che essi usualmente praticavano.[cviii]

Occasioni che potevano prestarsi alle più diverse speculazioni, come ben descrive un atto del 6 agosto 1482, riguardante le vicende di “Speranza Rimos Ebreo” dopo essere giunto a Cirò.

Questo “iudio”, essendo recentemente “conferuto ad habitare alo Icigro con certi soi boni mobili”, era stato tassato dalla “Iudeca de dicta terra” in maniera arbitraria e spropositata, senza che fosse osservato “lo apprecio ultimo loco facto per le iudeche de dicta provincia”, in maniera che detto Speranza affermava di essere stato tassato “multo più che non pate la sua faculta et substancia”. La Camera della Sommaria ordinava quindi al capitano di Cirò di comandare “ala Iudeca de dicta terra che deli pagamenti debiti per la dicta Iudeca tanto ordinari como extraordinarii debeano fare constrengere et compellere lo sopradicto Speranza ad pagare et contribuire con la dicta Iudeca iuxta la sua faculta overo aprecio de soi boni da farese per vui overo per dui dabene deputandi per vui con intervencione de dicta Iudeca et non permectarite che sia constricto ali pagamenti predicti ad arbitrium et voluntatem de dicta Iudeca ma iuxta lo apprecio sive tassa da farese per vui o deputando con intervencione deli homini de dicta iudayca”.[cix]

 

Un fisco troppo oppressivo

Oltre ad essere soggetti localmente al pagamento della “baglia”, come “tucti li altri”,[cx] e dei diritti universali dovuti al feudatario come il Casalinaggio (“jus casalinatici) che, ad esempio,  pagavano gli ebrei di Cariati riguardo all’uso del suolo sul quale sorgevano le loro abitazioni,[cxi] gli ebrei erano sottoposti alla contribuzione ordinaria dovuta al fisco regio da commissari molto rapaci, tanto nei loro confronti come nel riguardo dei cristiani,[cxii] attraverso il pagamento del Focatico e del diritto regio legato all’approvvigionamento del sale destinato ad ogni nucleo familiare (fuoco) che, rispetto alla locale cittadinanza, assieme ai pagamenti straordinari, versavano a parte nelle casse del tesoriere provinciale, secondo una quota stabilita per ogni “Iudecha” tra tutti gli ebrei del regno,[cxiii] che risaliva alla somma concordata tra questi ultimi e il re.

Tale modalità di tassazione emerge chiaramente alla metà del Quattrocento, in occasione della capitolazione concessa da re Alfonso d’Aragona alle terre di Don Antonio Centelles ritornate alla fedeltà regia dopo la sua ribellione, quando registriamo la richiesta da parte della università di Santa Severina, di essere esentata da tali pagamenti assieme alli “judei” e di essere difesa dai commissari “inarridituri”,[cxiv] mentre quella di Policastro chiedeva che alcune “casate de judei” che vi abitavano, fossero computate “in lo numero de li xpiani”, in maniera che potessero godere della franchigia fiscale accordata dal re ai cittadini.[cxv]

Sappiamo così che a Catanzaro, ogni fuoco di ebrei era tassato alla ragione di tareni 1 ½ che, per consuetudine molto antica, questi pagavano al conte di Catanzaro, a cui il re aveva concesso in feudo tale diritto.[cxvi] Subito dopo, comunque, la franchigia di quindici anni relativa a tali pagamenti ordinari, concessa dal sovrano alla città di Catanzaro, assieme ad ogni donativo e tassa, sarà riconosciuta anche ai “judey Cives dicte Civitatis”, assieme all’esenzione dal pagamento della “mortofe”.[cxvii] La possibilità di godere delle esenzioni fiscali da parte di quanti avessero accettato di divenire cittadini, si evidenzia in tale frangente anche nel caso degli ebrei di Crotone “che in futurum se farano Citadini de quella”.[cxviii]

 

Ascritti nella numerazione cittadina

Alcuni documenti della seconda metà del Quattrocento evidenziano che gli ebrei “habitanti” nei centri del Crotonese, pur continuando a mantenere questo status, in alcuni casi furono conteggiati tra i fuochi della “terra”, in maniera da dovere contribuire assieme ai cristiani per i pagamenti ordinari, mentre continuavano a pagare quelli straordinari con gli altri ebrei del regno.

L’inclusione degli ebrei nella numerazione della terra da parte dei “cuntaturi” regi, determinava che questa risultasse gravata dal loro peso fiscale, il quale per quanto riguardava i pagamenti ordinari, rimaneva ripartito “pro rata” tra tutti i cittadini e abitanti dell’Università risultati tassabili attraverso la detta numerazione, in funzione del valore catastale dei propri beni mobili e stabili. A tal proposito, ad esempio, il 10 aprile 1494, la Camera della Sommaria ordinava al tesoriere di Calabria che, “se li iudei predicti quali habitano in dicta terra so’ stati numerati per fochi con quella de manera che dicta Universita ne porta piso, possedendono boni stabili in quella quali alias siano stati accatastati, debiate provedere che li habiano da accatastare et pagare la rata deli pagamenti fiscali quali veli toccarà per li boni predicti”.[cxix]

Questo fatto che apriva alla possibilità di frodi e duplicazioni, specie in relazione alla caratteristica mobilità degli ebrei, si evidenzia, ad esempio, nel 1473 a Cariati, dove, secondo un ricorso dell’università, cinque fuochi di ebrei non sarebbero dovuti essere inclusi tra i propri fuochi tassabili, in quanto parte si erano trasferiti altrove e parte erano deceduti: “«La herede de Mase Sclavo se dice habitare in Policastro et havere pigliato mugliere; la hereda de Yoli similiter; Stera iudea miserabile et mortua post computum; Gayo de Lia se dice essere absentata post computum et andata in Cotrone; Donna Torella matre de Moyse Prantendi se dice essere stata morta post computum».”[cxx] Nel 1475, l’università di Cariati otteneva uno sgravio del carico fiscale relativamente ad alcuni fuochi di ebrei trasferiti in altre terre: “«Gayno de Lia, Zaratello accesserunt ad habitandum in Cotrone; la herede de Gigeli accessit in Policastro; David iudio, Isdrael accesserunt ad habitandum in Strongolo; Carela iodea seu la herede de Mussi accesserunt ad habitandum in Rossano; Allegrecto Brusco accessit ad habitandum in Torano»”.[cxxi]

Il conteggio degli ebrei nella numerazione cittadina si evidenzia anche a Santa Severina, dove, a seguito della querela presentata dall’università di Santa Severina, in cui si esponeva che “li subcripti iudey quali habitano in dicta terra”, erano stati “ascripti et annotati in lo numero deli fochi de quella”, ma si rifiutavano di contribuire pagando la rata loro competente riguardante “fuochi et sale”, al pari degli altri “citatini et habitanti in dicta terra”. A tale proposito, la Camera della Sommaria, vista l’ultima “numeratione” di Santa Severina, in cui riconosceva la detta iscrizione e annotazione, il 22 marzo 1491 ordinava di costringere i “subscripti iudey et omne altra persona habitante in dicta terra” a pagare il dovuto come facevano “li altri citatini et habitanti in quella”.

In questa occasione, i “Nomina et cognomina dictorum hebreorum” (24 fuochi), destinatari del provvedimento, furono: “Strael Rabi, Moises de Regina, Salamon Cali, Ganna de Ipichigro, Elias de Notrica, Isaya Ferrarius, Daniele Cali, Sabeday filius, Hyaus Russus, Daniel Czaffaranna, Bagosaia, Raffael Conquillano, Samuel Cali, Braga Russus, Sabeilia de Scavo, Nando de Mordogay, Davit, de Scavo, Iacob de Scaulucti, Germellus de Hyago, Grabiel de Cariato, Manaelis Filosofus, Sabatellus Philosophus, Iaco Scua, Naluni Russus.”[cxxii]

 

I pagamenti straordinari

Rispetto a questa nuova formula adottata per i pagamenti ordinari, l’antico criterio usato riguardo la contribuzione straordinaria, relativamente cui gli ebrei avevano ottenuto specifici privilegi, fu invece mantenuto.

A tale riguardo, infatti, troviamo il ricorso delle giudecche del Crotonese alla Camera della Sommaria, in relazione alla pretesa da parte dei commissari regi adibiti alla riscossione del denaro dovuto al fisco, di far pagare agli ebrei somme non dovute, come evidenzia un ordine del 15 dicembre 1489 della detta Camera, prodotto a seguito dell’istanza dei “Iudeorum civitatum Cutroni, Sancte Severine, Strongoli, Ciroti (sic) Cariati” e altre, con il quale dava ordine al tesoriere di Calabria di non costringere gli ebrei a pagare contributi straordinari, contro il tenore dei loro privilegi.[cxxiii]

La riscossione indebita dei pagamenti straordinari dovuti dagli ebrei, riguarda anche un ordine della Sommaria del 17 settembre 1491, prodotto a seguito della querela presentata dagli ebrei della “Iudeca” di Strongoli che erano stati costretti a fornire prestazioni non dovute,[cxxiv] e pur godendo dei privilegi concessi dal re “ali iudei del regno”, avevano dovuto subire l’esecuzione dei beni, relativamente al mancato pagamento della nuova imposizione per le fortificazioni. In questo caso, la Camera della Sommaria ordinava al tesoriere Vincilao Campitello di provvedere affinché fosse loro restituito integralmente quanto era stato indebitamente esatto, disponendo che in futuro, non fossero mai più molestati. Da parte degli ebrei, si faceva notare, che “la dicta iudeca” versava ogni anno “li pagamenti fiscali ordinari tanto de fochi como de sale” assieme alla detta università, mentre pagava gli “altri pagamenti” con gli altri iudei del regno.[cxxv] I provvedimenti della Camera della Sommaria relativi all’indebita richiesta “deli tre carlini per foco”, relativa alla fabbrica delle fortificazioni del regno, si riscontrano in questo periodo anche riguardo la “Iudayca de Psigro” e quella di Cariati.[cxxvi]

 

Richieste di sgravio

La situazione riguardante lo spostamento di fuochi di ebrei da un centro ad un altro, con conseguente aggravio della università di origine, cui rimanevano in carico, risulta al centro della richiesta di sgravio inoltrate alla Camera della Sommaria sul finire del secolo, in relazione ai movimenti legati ai decreti di espulsione degli ebrei dal regno. È il caso dell’esposto presentato dal conte di Nicastro Marcantonio Caracciolo, riguardante alcuni fuochi trasferitisi dalla sua città, tra cui “Muscia de Midichi in Belcastro” e “Salamone in Cutrone”,[cxxvii] e quello dell’università di Strongoli, dove sappiamo che gli ebrei avevano pagato “con li homini de quella” fino all’ultimo giorno in cui erano rimasti nella città, in quanto “foro ascripti et numerati con li altri fochi de dicta terra”.

Il 22 novembre 1498, considerato che l’ultima numerazione di Strongoli era stata fatta prima dell’espulsione degli ebrei (1495), la Camera della Sommaria ordinava al tesoriere di Calabria di alleggerire l’università dal carico fiscale relativo agli ebrei ormai partiti, in quanto “li subscripti fochi de iudei essereno stati numerati in lo numero deli fochi de Strongolo”. I nomi degli “Hebreorum absentatorum” risultavano: “La herede de mastro Vitale, Leczaro de Sabatello, Salamone de Mondocio, Salamone de Minasse, Sabeday de Minasse, Davy delo Oblivi, Czogam de Mase, Iosua de Noda, Pignasi de Sabatello, la herede de Mose de Aluzo, la herede de Ascheli, Nissi de Sabani, Salamone de Viagamello”.[cxxviii]

Il 21 gennaio 1507, invece, ricorrevano alla Camera della Sommaria “li iudey habitanti in la cità de Cotrone”, perché il tesoriere di Calabria intendeva esigere da essi “li pagamenti fiscali”, separatamente dalla “taxa” che, annualmente, pagava la detta città alla regia Corte, costringendoli quindi ad un doppio pagamento. A quel tempo, l’ultima “numeracione” cittadina risaliva al tempo di re Ferrante I (1458-1494), quando erano stati “ascripti et numerati multi fochi de iudey” tra quelli della città. Si faceva notare che, successivamente alla detta numerazione, erano giunti ad abitare a Crotone “multi de dicti exponenti”, che, erano stati “astricti ad contribuiere et pagare” con la detta città.[cxxix]

Il provvedimento fatto dalla Camera della Sommaria per “la iudeca de Cotrone” il 4 maggio 1507, riconoscendo che gli ebrei “continuamente sempre hanno pagato li pagamenti de fochi et Sali con li citadini de dicta cità de Cotrone”, la quale, in base all’ultima numerazione, risultava tassata per 450 “fochi”, nei quali erano “comprisi et agregati” 58 fuochi di “iudey habitanti in quella”. All’attualità, invece, considerato che si sarebbero voluti costringere a pagare separatamente, la Sommaria accoglieva la loro richiesta di continuare come nel passato, perché diversamente si sarebbe determinata una “dupplicacione et reyterato pagamento”.[cxxx]

 

L’espulsione dal regno

La particolare presenza di ebrei a Crotone, accanto a quella più contenuta esistente in altri centri vicini ricordati anch’essi in età medievale per tale ragione (Isola, Le Castella, Cutro, Mesoraca), si segnala ancora nel 1508, in occasione del pagamento di un donativo imposto agli ebrei calabresi dal vicerè, relativamente cui, alla comunità ebraica di Crotone spettò di pagare ducati 29, tareni 2 e grana 10,[cxxxi] mentre, dai conti del tesoriere di Calabria Ultra Thomaso Spinello, relativamente all’annata della V indizione (1502-1503) più residui precedenti, e a quella dell’annata successiva, è attestata ancora l’esistenza della “Iudeca de Belcastro”, anche se risultava tassata solo per quattro fuochi che pagavano ducati 6.[cxxxii]

Una presenza che sarà drasticamente ridimensionata. Con l’avvio della dominazione spagnola del Regno di Napoli (1502), e a seguito dell’emanazione degli editti di espulsione (1510, 1514 e 1540) ordinati dal “Catholico Re nostro signore”, infatti, la gran parte degli ebrei che abitavano nel Crotonese fu espulsa, anche se alcuni poterono evitare il provvedimento convertendosi (“neophiti”), o fingendo la conversione al Cristianesimo.

Notizie relative alle piccole comunità ebraiche che resistevano ancora nel Crotonese in questo periodo, ci provengono attraverso la Camera della Sommaria che, il  25 settembre 1511, ordinava al tesoriere di Calabria di accertare se corrispondesse a verità che sei fuochi “de iudey” erano partiti dalla città di Cariati, affinché si procedesse allo scomputo del loro carico nei confronti della detta università.[cxxxiii] Una situazione che riguardava anche i “circha dece fochi de iudei che habitavano” ancora a Mesoraca, i quali erano stati “ascripti et numerati in la numeracione ultimo loco facta de dicta terra” che, il 20 gennaio 1512, chiedeva che fossero dedotti dalla “taxa deli fochi” che aveva in carico.[cxxxiv] Il 28 luglio di quello stesso anno, la Camera della Sommaria ordinava al tesoriere di Calabria di provvedere nel merito, in quanto l’università di Mesoraca aveva fatto sapere che, in virtù della “regia pragmatica”, tutti “li iudei et neophiti” numerati tra i fuochi della terra di Mesoraca, erano “andati extra regnum”.[cxxxv]

Alcuni ebrei di Santa Severina e di Cirò, invece, cercarono di fare resistenza a tale provvedimento, portando a riprova della loro nuova fede, il matrimonio con donne cristiane. Il 14 febbraio 1515, “Ioannis Baptiste Siculi et sociorum”, ossia: “Ionbaptista Siciliano habitante in Santa Severina, Angelo Pistoya habitante in Sancta Severina, Agatii Mitterno habitante in Sancta Severina et Bernardino Siciliano habitante in lo Cigro”, esponevano che, essendo “accasati” con donne cristiane “de natura vere”, dalle quali avevano avuto figli, non potevano essere considerati tra coloro che dovevano essere espulsi.[cxxxvi] Le modalità per consentire la partenza dei “Neofitorum”, ovvero dei “christiani novelli”/“Christianorum Novorum” di Crotone, sono testimoniate dalle istruzioni del Collaterale al capitano della città del 14 aprile 1515 e all’Udienza di Calabria del 14 maggio seguente.[cxxxvii]

Una parte di essi, comunque, riuscì a evitare l’espulsione, specie quelli abitanti nei luoghi portuali in cui dovevano essere più profonde le loro radici e più diffusi gli interessi legati alla loro attività commerciale e finanziaria (Crotone, Le Castella, Tacina). Lo testimonia ancora un ordine della Sommaria del 28 luglio 1531 circa i “Iudei conmorantes in Cutrone”, emanato affinché non fossero costretti a versare i pagamenti fiscali “ne ordinarii ne extraordinari”, in quanto essi versavano già “lo tributo” al re e quindi non erano tenuti a pagare altro.[cxxxviii]

Tale pagamento attraverso cui si continuava a tollerare la loro presenza, che li esentava dagli altri contributi fiscali, si evidenzia, indirettamente, anche Le Castella dove questi neofiti, godendo dell’esenzione fiscale, risultano annotati nella numerazione dei fuochi del 1532, dove si segnalano anche come “marrani”, appellativo genericamente riservato agli ebrei convertiti, costretti a lasciare la Spagna dopo il bando del 1492.[cxxxix] In altri casi, invece, tradisce l’origine ebraica la loro particolare onomastica (Zaracaya, Sabatinus, Zuchali, Ossim, Yazimus, ecc.) che, in altri casi, è comune a famiglie ebraiche di altri centri vicini (Malta, Medico, Russa, ecc.).[cxl]

Si tratta degli ultimi documenti che attestano ufficialmente la loro presenza, anche se questa si evidenzierà in seguito durante tutto il periodo Vicereale, sia a Crotone[cxli] che in altri centri del Marchesato. Come si registra nella città di Crotone dove, nel periodo compreso tra l’estate del 1691 e quella del 1694, furono fatti cristiani 22 ebrei,[cxlii] mentre durante l’annata 1704-1705 il procuratore del capitolo spese 40 grana per le “elemosine dell’ebrei”[cxliii] e ancora, nel 1730-31 quando furono pagati 10 grana a ciascuno dei due ebrei che si erano convertiti.[cxliv] Ancora alla fine del Settecento, Ant.o Peta “Ebreo” di Andali, aveva dei possedimenti nell’ambito di questo territorio.[cxlv]

 

Note

[i] Vita et conversatio sancti et deiferi patris nostri Nili, in Migne J. P., Patrologia graeca, CXX.

[ii] Milano A., Storia degli ebrei in Italia, 1992, p. 58.

[iii] Un “David” risulta tra i presenti alla stipula di un atto del novembre 1118, attraverso cui “Girardum baiulum Sancte Severine et Cutroni”, sentenziò in merito ad una controversia tra “Arnaldus de Fontana Coperta cognominatus” e l’abazia di Santa Maria della Matina. Pratesi A., Carte Latine di Abbazie Calabresi provenienti dall’Archivio Aldobrandini, 1958, pp. 27-30.

[iv] Nell’ottobre del 1131 (a.m. 6640), nel castello di “Asylorum” (τῶ χαστέλλω τῶν ἀσύλων), dove si trovava “propter navem Genuensium Alexandria profectam, quae prope portum illisa scopulis perfracta fuerat”, il “Comite Geofrido filio Comitis Rhai de Loritello” confermava a Radulfo, le donazioni fatte al monastero di S.to Stefano del Bosco da lui e da sua madre Berta. Trinchera F., Syllabus Graecarum Membranarum, 1865, pp. 146-148 n. CXI.

[v] ASVE, Fondo pergamene San Zaccaria, b. 34, n. 138, 139, 204, 205 e 206.

[vi] Minieri Riccio C., Notizie Storiche tratte da 62 Registri Angioini dell’Archivio di Stato di Napoli, 1877, p. 215. Reg. Ang. XVII, pp. 57-58.

[vii] “A Rossano, Crotone – la Cotrone del tempo – e Cosenza, nel 1311, i cursori avevano fatto man bassa dei beni degli ebrei, ed avevano carpito i pegni ai prestatori; nel 1324 avevano poi ripetute le stesse gesta, oltre che a Rossano e a Crotone, anche a Gerace, focolaio di forte animosità antiebraica, mettendo sotto processo coloro che avevano opposto resistenza.” Milano A., Storia degli ebrei in Italia, 1992, p. 185.

[viii] “A Rossano, a Gerace, a Cotrone gli ebrei si lamentano delle eccessive pretese dei funzionari, che vogliono mandargli in giro come corrieri, come vetturali, ecc., mentre essi non vi sono, assolutamente, obbligati.” Caggese R., Roberto d’Angiò e i suoi tempi Volume I, 1922, p. 302; che cita Reg. Ang. n. 187 c. 142, 27 novembre 1324.

[ix] “… per restaurare su più larghe basi la fiducia da parte degli ebrei – acconsentì che le sinagoghe di di Gerace nel 1311 e di Rossano e Crotone nel 1324, venissero ripristinate al loro uso originario. Se nel 1328, per provvedere alla difesa delle frontiere, re Roberto dovette ricorrere a una tassa straordinaria di 15 tarì per ogni ebreo maschio residente in Valle del Crati, in Terra Giordana e nel resto della Calabria, egli potette giustificarla affermando che nel suo regno gli ebrei avevano ormai un trattamento migliore che in ogni altro paese.” Milano A., Storia degli ebrei in Italia, 1992, p. 185.

[x] “A Cotrone ed a Gerace, molti ebrei sono fuggiti in diverse parti sia per liberarsi del pagamento di ciò che ad essi sarebbe toccato su l’annua contibuzione di cento oncie d’oro, pattuita tra tutti gli ebrei di Calabria e la regia Curia, sia per sfuggire alle continue vessazioni dei funzionari; ma i collettori pretendono da quelli che sono rimasti il pagamento della intera somma spettante alle singole comunità giudaiche, come se non fosse noto anche ad essi che i baroni presso i cui feudi molti ebrei fuggiaschi hanno trovato asilo impediscono a chiunque di molestare i loro sudditi novelli.” “Gli ebrei di Calabria debbono pagare «anno quolibet uncias auri centum pro augustali uno ad quem ipsorum quilibet in etate ab anno quartodecimo usque ad sexagesimus constitutus… curie tenebatur».” “Agli ebrei di Cotrone toccano oncie 15”. Caggese R., Roberto d’Angiò e i suoi tempi Volume I, 1922, p. 302 e nota n. 5; cit. Reg. Ang. n. 321 c. 302, 23 aprile 1341.

[xi] 9 gennaio 1449. Tra i censi relativi ad alcune vigne esistenti “in loco ubi d(icitu)r le desertine”, pertinenza della città di Cariati, troviamo: “item vinea griso judey in eodem loco juxtam vineam antonii de lillo mediantis viam pup.cam et alios fines”. ASCS, Fondo Pergamene, ASMM, www.archividelmediterraneo.org

[xii] Colafemmina C., Per la storia degli ebrei in Calabria, 1996, p. 60.

[xiii] Nella confinazione delle terre dette “cupellus” poste in tenimento della terra di Barbaro, si menziona il “vallonem judey” (ACA, Cancillería, Reg. 2903, ff. 184r-185v), mentre in territorio di Strongoli rimangono i toponimi “lo Scinetto del Giudeo” e “Giudeo”.

[xiv] Milano A., Storia degli ebrei in Italia, 1992, p. 109 e sgg.

[xv] www.archiviodistato.firenze.it

[xvi] “incipiunt ab oriente palatium de judeis et descendentis, et vallonum descendens a magna vena qui quidem vallonus est prope palatium predictum de judeis et ex alia parte prefati vallonis de vena subtus occidentem ubi sunt celdule de calce et arena fabricatae et deinde ascendit ad caput magnae venae predictae, quae est in capite valloni qui est in superiori parte ecclesiae Sancti Nicolai quae est iuxta viam publicam qua itur Cotronum et deinde terminantur terrae ecclesiae episcopatuys Cotroni, et deinde descendunt per cristas cristas partis occidentalis preditti valloni venae et procedunt usq. Ad tertium vallonum determinationes terras preditti episcopatus Cotroni et deinde ascendit ad fondamenta Sanctae Barbarae et post haec venit ad Santum Nicolaum de Cruno ubi est pars septemtrionalis, ad huc deinde venit via et ferit in catusis, quae sunt versus partem occidentis et deinde descendit via quae vadit ad vadum lupi usq. Ad vallonem eiusdem vada et confines terras Santi Juliani ex parte meridiei, similiter sunt terrae Sancti Juliani et descendit de preditta vena usque ad palatium predittum de judeis.” AVC, Privilegio dello Sacro Episcopato della città dell’Isula, in Processo grosso di fogli cinq.cento settanta due della lite, che Mons. Ill.mo Caracciolo ha col S.r Duca di Nocera per il Vescovato, ff. 418-419.

[xvii] Pesavento A., Paesaggi crotonesi: La pianura di “Palazzo”, in www.archiviostoricocrotone.it

[xviii] Pesavento A., Un antico castello nella valle del Lese: il castello di Scuzza in territorio di Cerenzia, www.archiviostoricocrotone.it

[xix] “Abitavano in questa Provincia, si come in molte parti del Mondo (doppo che furono dispersi) gli Ebrei”. (…) “Giunti, aprirono botteghe di ricchissime mercantie; e mescolando con i loro negotij i drappi medesimi di seta, che ivi si lavoravano, cagionarono un grand’utile à Cittaddini, & aprendo la strada al concorso di tutta la Provincia per via de’ loro negotij, partorivano alla Città molti commodi, oltre il danaro, che in abbondanza vi entrava.” D’Amato V., Memorie Historiche di Catanzaro, 1670 pp. 18-19.

[xx] ACA, Cancillería, Reg. 2911, f. 8r.

[xxi] 15 luglio 1445. Capitoli concessi all’universita e agli uomini della città di Catanzaro dati “in Castro novo Civitate n(ost)re Neapolis” il 15 luglio 1445. “In primis supplicant atque petunt dicti Sindici sindicario nomine ut supra quod actento quod dicta Civitas quandam nobilitatem consequitur inter alia loca Calabrie propter artem Vellutorum ubi sollicite et bene exercitur et tam iudei quam xpiani quam iudei ex illa industria ut plurimum vivunt fuitque pro temporibus retrohactis prohibitum omnibus Civibus et exteris ipsam artem exercentibus et aliis ne aliquod instrumentum sicuti telaria ferra petinis toratoria et alia opera manifesta spectancia et pertinencia ad ipsam artem Vellutorum extraherent sub certa et formidabili pena de Civitate praedicta quod usque ad presentem diem extitit observatum et sicuti denovo sentiunt non nulli exteri dictam observacionem nituntur infrangere petitur pro ipsius universitatis et homini parte quod dignetur V. M. pro honore et bono statu Civitate ipsius cum ut praedictum est hominum Civitatis ipsius exindustria vellutorum quodamodo vivunt et non alio rustico modo mandare omnibus et singulis officialibus ducatus Calabrie Maioribus et minoribus quacumque iurisdictione et officio fungentibus sub certa formidabili pena atque stabilita peccimiaria ut d(ic)tam Civitatem et homines illius conservent quod tum ad observanciam artis supradicte pro ut hactum extitit consuetum Nec innovent aut innovari aliquid incontrarium quoq.o modo promittent quinprymo sinant ipsam universitatem et homines ipsius circa artem praedictam eorum libertatem arbitrium exercere ad ipsam augmentandam et medis omnibus nobilitandam placet Regie Maiestati.” ACA, Cancillería, Reg. 2908, f. 67r.

[xxii] “Nel 1308 la gabella della tintoria fu data in affitto a Mataluso Giudeo per l’annuo canone d’otto tarì.” Dito O., La Storia Calabrese e la Dimora degli Ebrei in Calabria, 1967, p. 169.

[xxiii] 6 novembre 1443, Sulmona. Re Alfonso conferma al milite Nicholao de Leofante, regio camerario, la concessione in feudo della “Cabella de mortafa”, ovvero della “Cabellam seu jus vulgariter dictum lo mortafa que seu quod colligitur et levatur seu colligi et levari debet pro nobis et nostra Curia a judeis residentibus in ducatu Calabrie”. ACA, Cancillería, Reg. 2909, ff. 64v-66r.

[xxiv] 1456-1458. “Mortafa ipsius civitatis Cusencie concessa est Antonuchio de Monaca de Cusencia per dominam Reginam confirmata per Regiam Maiestatem. Valet unc. III. Mortafa Iudeorum Bisiniani, tr. V.  Iura tinturie seu mortafa Iudeorum Rossani concessa fuit per dominam Reginam Petruchio Maleni et confermata per Regiam Maiestatem suis heredibus de eadem civitate. Valet [d] IIII.” Colafemmina C., The Jews in Calabria, 2012, pp. 231-232, n. 157.

[xxv] “Et quod d(ic)ta franchicia seu gr(aci)a intelligantur judey Cives dicte Civitatis quod non tentantur ad solucionem mortofe durante tempore supra dicto Placet Regie Ma.ti.” ACA, Cancillería, Reg. 2911, f. 7r.

[xxvi] “Et passato lo d(ic)to t(em)po no siano tenuti de pagare si no tari sey per mortofa como era per lo tempo Antiquo Et cossi Ancora che nullo conmissario che venesse da parte de la v(ost)ra maiesta no li possa constringere ad nullo Alt.o pagamento. Placet Regie ma.ti t.actare d(ic)tos judeos ut aliorum terrarum demanialium.” ACA, Cancillería, Reg. 2904, ff. 185v.

Nella toponomastica attuale di Petilia Policastro, troviamo “Vico Tintori” senza collegamento con la Giudecca medievale.

[xxvii] Dito O., La Storia Calabrese e la Dimora degli Ebrei in Calabria, 1967, pp. 181-182.

[xxviii] “Non lungi da Crotone, a Strongoli, una lapide sepolcrale in lingua ebraica ricorda il medico mastro Leone b. Raḥamim, deceduto nel 1441.” Colafemmina C., Per la storia degli ebrei in Calabria, 1996, p. 22.

[xxix] “Die XXVIIII iunii”. “Moysii Iudei, aromatarii de Cutrono, lictera licentie praticandi in fisica, taxata unciam unam.” Fonti Aragonesi, III, p. 4.

[xxx] “Primo martii, tertie indictionis”. “Iohanhan de Acumi, hebrei de Strongolo, licentia praticandi in phisica per totum Regnum, taxata solvat unciam unam. I onc.” Fonti Aragonesi III, p. 84.

[xxxi] Colafemmina C., Per la storia degli ebrei in Calabria, 1996, p. 24.

[xxxii] Pesavento A., Medici e speziali in Santa Severina tra il Cinqucento e il Seicento, www.archiviostoricocrotone.it

[xxxiii] Colafemmina C., Per la storia degli ebrei in Calabria, 1996, pp. 25 e 51.

[xxxiv] “mast.o nixi sala Judio ferraro de Cotrone” (ASN, Dipendenze della Sommaria I Serie, Fs. 196, flo 1, f. 16);  “mast.o nise sala Judio de Cotroni ferraro” (ASN, Dipendenze della Sommaria I Serie, Fs. 196, flo 2 inc. 2, f. 19 v).

[xxxv] “Mastro Russo Sala iudeo” (ASN, Tesoreria antica, n. 24, Fabrica Castri Cotroni, p. 23).

[xxxvi] “mast.o jesue judeo” (ASN, Dipendenze della Sommaria I Serie, Fs. 196, flo 2 inc. 3, f. 5v); “mast.o Yesua et simon de sarro judey de Cotroni” (ASN, Dipendenze della Sommaria I Serie, Fs. 196, flo 2 inc. 3, f. 9v); “mast.o jesua judeo de Cotroni” (ASN, Dipendenze della Sommaria I Serie, Fs. 196, flo 2 inc. 3, f. 10v); “mast.o jesua de sarro Cape mast.o”, “paulo marino Et simon mastri”, “abram de Lospeciali” (ASN, Dipendenze della Sommaria I Serie, Fs. 196, flo 2 inc. 3, f. 13); “mastro jesua de sarro moyse de montalto” (ASN, Dipendenze della Sommaria I Serie, Fs. 196, flo 2 inc. 3, f. 15v); “moise de monte alto” (ASN, Dipendenze della Sommaria I Serie, Fs. 196, flo 2 inc. 3, f. 28); “abram judeo” (ASN, Dipendenze della Sommaria I Serie, Fs. 196, flo 1, f. 26v); “abram Judeo” (ASN, Dipendenze della Sommaria I Serie, Fs. 196, flo 2 inc. 2, f. 35v).

[xxxvii] “marino de trani Samuele delo speciale et jacoda piczuto Judey de Cot.one” (ASN, Dipendenze della Sommaria I Serie, Fs. 196, flo 1, f. 10v; flo 2 inc. 2, f. 10v); “jacoday judeo” (ASN, Dipendenze della Sommaria I Serie, Fs. 196, flo 2 inc. 3, f. 28v); “Samoeli de lo Speciali” (ASN, Tesoreria antica, n. 24, Fabrica Castri Cotroni, p. 3); “samoeli delo speciali judeo de cot.oni (ASN, Dipendenze della Sommaria I Serie, Fs. 196, flo 2 inc. 1, f. 6v); “samoeli de malandrino judeo de cotroni” (ASN, Dipendenze della Sommaria I Serie, Fs. 196, flo 2 inc. 3, f. 7).

[xxxviii] “mose malta judeo de Cot.oni” (ASN, Dipendenze della Sommaria I Serie, Fs. 196, flo 1, f. 20v); “moyses malta judeus de cotrone” (ASN, Dipendenze della Sommaria I Serie, Fs. 196, flo 2 inc. 2, f. 25v); “Mose malta judeo” (ASN, Dipendenze della Sommaria I Serie, Fs. 196, flo 2 inc. 2, f. 47).

[xxxix] “Sabaday iudeo” (ASN, Tesoreria antica, n. 24, Fabrica Castri Cotroni, p. 13); “sabaday judeo de cotroni nepote de marino de trani” (ASN, Dipendenze della Sommaria I Serie, Fs. 196, flo 2 inc. 1, f. 16v).

[xl] “gavyo de malandrino judeo de cotroni” (ASN, Dipendenze della Sommaria I Serie, Fs. 196, flo 2 inc. 1, f. 36v).

[xli] “Venturo de jacosua judeo de cotroni” (ASN, Dipendenze della Sommaria I Serie, Fs. 196, flo 2 inc. 1, f. 24v).

[xlii] ASN, Dipendenze della Sommaria I Serie, Fs. 196, flo 2 inc. 1, f. 30.

[xliii] “russio judeo de cariati” (ASN, Dipendenze della Sommaria I Serie, Fs. 196, flo 2 inc. 1, f. 30).

[xliv] 17 settembre 1491. A seguito della querela presentata dalla “Iudeca” della città di Strongoli, la Camera della Sommaria ordinava al capitano della città di provvedere affinché non fosse arrecata loro molestia da parte di persone con “iniurie et detracii”, specialmente nel giorno del Venerdì Santo, contravvenendo ai capitoli concessi dal sovrano “ali iudei del regno” che, invece, vietavano che fossero insultati. Colafemmina C., Per la storia degli ebrei in Calabria, 1996, pp. 54-55. Risalgono al 22 settembre 1491 e al 13 marzo 1494, provvedimenti simili riguardanti la “Iudeca de quessa cità de Cariate”. Ibidem, pp. 73-74 e 76-77.

[xlv] 21 novembre 1444. Conferma dei capitoli della città di Belcastro data “in castris n(ost)ris felicibus prope dictam Civitatem bellicastri” il 21 novembre 1444. “Item che ali judei dela decta Cita siano acceptate et observate le quietancze che hanno dali Segnuri passati per loro privilegii et che non siano constrecti a portare lo signo iudisco no(mi)nato tau. placet Regie mai.ti quod tractantur pro ut alii judei in aliis demanialibus t(er)ris h(ab)itantis.” ACA, Cancillería, Reg. 2903, f. 188v.

[xlvi] Pesavento A., …, www.archiviostoricocrotone.it

[xlvii] “«Con strada piana, e scoscesa, cattiva d’inverno si giunge in un luogo detto la Fiera (Santo Ianni), da dove si prende una salita malagevole per salire a detta Città, indi si giunge sotto la porta, dove vi è una Conetta sopra un montetto, volgarmente detto il Timpone Delli Giudei; poco più avanti vi si trova una strada inselicata di pietra viva, per la quale si giunge alla porta di detta Città detta della piazza». E in giù, a piede di Galluzzo, su la piccola altura, scavando un po’, trovansi delle ossa umane, che ci fan credere essere stato lì il luogo ove gli Ebrei seppellivano i loro defunti.” Gli Ebrei in Santaseverina, in Siberene Cronaca del Passato per le Diocesi di Santaseverina – Crotone – Cariati, a cura di G. B. Scalise, p. 59.

[xlviii] “… quamdam poss(essio)nem arboratam olivis Amindulis et nonnullis aliis arboribus domitis et indomitis cum quibusdam vineis sitam et positam in dicto Territorio s.te severine in loco ubi dicitur sotto porta nova jux.a olivetum Donni Gregorii deli pira olivetum m.ci Jo(ann)is ber.ni sacchi iux.a T(er)ras Malchioni muti dictas lo tempone di li giudei ecl(esi)am s.ti Dionisii viam pu.cam et alios …”. ASCZ, notaio Santoro M., vol. 1, 1570, ff. 41-43.

[xlix] “N. Antonius de gallucio cum jur.to dix.t se tenere et possidere quoddam olivetum positum in Tenim.to dictae Civitatis cum diversis arboribus in loco dicto lo Timpone de li Judei iux.a olivetum franc.ci Jaquintae iuxta olivetum Joannis novellisii et alios fines cum annuo redditu Tareni unius d. 0.1.0.” AASS, 001A, f. 16. “N. Joannes Novellisius cum jur.to dix.t tenere et possidere olivetum unum et vinealia ibidem a flore mendole arborata arboribus olivarum Ficuum et sicomorum et parti nemorosa ab oriente iux.a bona illorum de leo et bona dicti Jo: Antonii morroni a borea iux.a bona N. Cesaris Zurli et dictae Beatricis de planis ab occidente iux.a bona Joannis iaquintae et N. Antonii de galluciis a meridie iux.a bona que fuerunt q.o scipionis infosini posita allo Timpone deli Judei cum annuo redditu tarenorum duorum et gr(ana) quindecim d. 0.2.15.”AASS. 001A, f. 17v.

[l] Luzzato A., Un’iscrizione ebraica trovata a Strongoli (Catanzaro), in Klearckos 15-16 (1962), pp. 84-90.

[li] Colafemmina C., Per la storia degli ebrei in Calabria, 1996, p. 51.

[lii] Colafemmina C., Per la storia degli ebrei in Calabria, 1996, p. 59.

[liii] “Ciò non ostante Roberto fu sempre di una singolare equanimità verso di loro. (…) e di aver consentito loro dei propri procuratori (…) Essi possono «ordinare ac statuere certos procuratores seu syndicos, quos prothos nominant, qui tam eorum privata negotia quam fiscalia – que ipsis per curiam imponuntur pro tempore – habeant procurationem exequi et tractare».” Caggese R., Roberto d’Angiò e i suoi tempi Volume I, 1922, p. 308 e nota n. 4; cit. Reg. Ang. n. 187, c. 196t, 26 dicembre 1324.

[liv] Colafemmina C., Per la storia degli ebrei in Calabria, 1996, p. 57.

[lv] 19 maggio 1484. “li sindici sive prothi dela Iudayca dela cità de Rigio”. Colafemmina C., Per la storia degli ebrei in Calabria, 1996, p. 108.

[lvi] “… et etiam digneremur de gratia speciali concedere Ipsi Episcopo quod possit cognoscere diffinire et terminare causas omnes et singulas civiles dumtaxat que vertuntur inter christianos et Judeos ipsius Civitatis Cutroni et inter Judeos ipsos ad invicem prout nonnullis Episcopis terrarum vestrarum (sic) demanialium de causis predictis cognoscendi est concessum.” (…) “Concedimusque eidem Episcopo presenti et futuris de gratia speciali quod ipse et nemo alius cognoscat terminet et decidat justitia mediante seu per viam amicabilis compositionis aut alias illis melioribus via et modo quibus poterit et eidem melius visum fuerit omnes et singulas causas civiles dumtaxat motas inter christianos et Judeos civitatis predicte Cutroni et etiam inter ipsos Judeos ad invicem si et prout alii Episcopi et Archiepiscopi terrarum aut civitatum nostrarum demanalium cognoscunt de premissis questionibus, easque terminant et decidunt”. Zangari D., Capitoli e grazie concessi dagli Aragonesi al Vescovo e all’Università e uomini della città di Cotrone durante il sec. XV, Napoli 1923, pp. 5-6.

[lvii] Colafemmina C., Per la storia degli ebrei in Calabria, 1996, p. 104.

[lviii] Colafemmina C., Per la storia degli ebrei in Calabria, 1996, pp. 60-61.

[lix] Colafemmina C., Per la storia degli ebrei in Calabria, 1996, p. 61.

[lx] ACA, Cancillería, Reg. 2907, ff. 24r-25v. Relativamente all’antica presenza ebraica di Mesoraca, così si esprime il Fiore alla fine del Seicento: “Altre volte accolse tre popoli distanti, Greci, Latini, e Giudei, oggidì è d’un sol popolo italiano, con due villaggi, Marcedusa abitata da Albanesi, e Riietta da Italiani.” Fiore G., Della Calabria Illustrata, Tomo I 1691, ed. 1999, p. 451.

[lxi] “La Città poi tiene cinque Porte, quasi che in altretante membra principali si divida il suo Corpo, e par che faccia Capo dalla prima Porta detta del Castello ad occidente per cui scendendo giù, viene primieramente à far quasi due braccia. Il destro si stende pendendo sino al Ghetto, ch’era anticamente delli Giudei; ov’è la Porta chiamata apposta della Giudea nella parte Australe, e nell’Aquilone risponde l’altro braccio alla terza Porta di rimpetto la Piazza maggiore.” Mannarino F. A., Cronica della Celebre ed Antica Petilia detta oggi Policastro, 1721-1723.

“Il nome di ghetto, che dall’italiano è passato in tutte le lingue per designare la zona di residenza degli ebrei, ha origini abbastanza recenti. Con molta probabilità deriva da un gèto di Venezia, ossia da una fonderia in cui venivano gettati i metalli e nelle cui vicinanze fu eretto nel 1516 il primo ghetto obbligatorio d’Italia; con minore probabilità, deriva dalla voce ebraica ghèt, che significa «divorzio» o «ripudio».” Milano A., Storia degli ebrei in Italia, 1992, p. 521.

[lxii] 25.02.1620. La località “cimicicchio” risultava individuata “sotto la rupe di s.ta Caterina, et porta della Judeca” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 292, ff. 011-013v). 01.06.1646. “il luoco, et possessione detto Cimicicchio”, esistente nel “distretto” di Policastro “et pp.o sotto le timpe della porta della Giudeca la via publica che si cala nelle molina dell’acquaro” ed altri fini (ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 805, ff. 046-053).

[lxiii] La porta della Judeca risulta anche dopo il terremoto del 1638. In occasione della sua visita, il 3 ottobre 1660, proveniente da Mesoraca, l’arcivescovo di Santa Severina Francesco Falabella giunse a Policastro “extra oppidi Portam” la domenica del tre ottobre 1660. AASS, 37A. Si fa menzione di questa porta ancora agli inizi del Novecento, in occasione della descrizione dei confini della chiesa Martice. “Dalla parte di nord-est a partir dalla porta Giudaica, la parte di sinistra scendendo su la rotabile che va Cutro fino al ponte di Tacina.” AASS, 034B.

[lxiv] 25.05.1634. Antonino Gatto vendeva a Joannes Cepale, “lo largo seu ortale” posto “de sopra la timpa”, vicino la casa di Renzo Jerardo e la casa di Giulio Doratio appartenuta al quondam Gio: Dom.co Sacco, confine “lo vallone vallone et la istrada che scende dalla santiss.a nuntiata alla porta della terra detta la Judeca” ed altri fini. (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 301, ff. 098v-099v).

[lxv] 21.07.1631. Anna Cavarretta asseriva che, l’anno passato, suo marito Antonino Gatto, aveva venduto a Fran.co Marchese, una “Camera” palaziata posta dentro la terra di Policastro, nel convicino di S.ta Maria “la gratia”, confine la casa “grande” di detto Antonino, “le casalina” appartenute al quondam Gio: Dom.co Sacco, “la istrata che si scende alla porta della terra ditta la giodeca”, ed altri fini.  La detta camera era stata comprata dal detto Fran.co, in maniera che servisse a Caterina Marchese, sua sorella, ed al marito di questa Fran.co Popaianni. Il detto Fran.co però non aveva pagato, ed il detto Antonino si era dovuto indebitare anche per “la malannata, che questo inverno e stata”, finendo in carcere per debiti. (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 298, ff. 052-053). 01.12.1653. Gio: Andrea Sacco di Policastro, ma al presente “habitante” nella terra di Mesuraca,  vendeva a Gianne Jerardo, padre di Lucretia e nipote del detto Gio: Andrea, “due Casalena dirute cum uno horticello”, posti dentro la terra di Policastro nel convicino della chiesa di S.ta Maria “la gratia”, confine le case di detta chiesa, le case di Fran.co Papaianni, “la via che si và alla Porta della Giudeca” ed altri fini, mentre l’orto confinava con la casa di Andrea Rocciolillo, la via pubblica ed altri fini (ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 878, ff. 084v-085).

[lxvi] 08.10.1630. Per procedere alla stipula del suo testamento, il notaro si porta nella domus palaziata di Cornelia Rotella moglie di Antonio Ligname, posta dentro la terra di Policastro nel convicino di S.ta Maria “Gratiarum”, confine la domus di Marcello Cocciolo, la domus degli eredi del quondam Joseffo Ligname, la via pubblica “seu vallonem” ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 297, ff. 175-175v). 24.04.1635. Per consentirgli di accedere agli ordini sacerdotali, Joannes Gregorio Cerasaro, “proCuratoris mundualdi” di sua sorella Laura Cerasaro, assieme a detta sua sorella, donavano al Cl.co Joannes Battista Cerasaro, loro fratello, la casa palaziata con 2 camere e “cortiglio” posta dentro la terra di Policastro nel convicino di S.ta Maria “la gr(ati)a”, confine le case di Santo Faraco, la casa di Caterina Popaijanni, “Vallone mediante”, la via pubblica ed altri fini, mentre la camera “di abascio” dentro il “cortiglio”, rimaneva ad essi donatori per poterci abitare in vita (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 302, ff. 034v-036). 08.06.1652. Santo Misiano vendeva al Cl.co Gio: Battista Cerasari, la casa terranea che aveva comprato da Santo Faraco l’anno passato, posta dentro la terra di Policastro nel convicino della chiesa parrocchiale di “S.to Pietro”, confine le case di detto Cl.co Gio: Battista, “lo Vallone della Città” ed altri fini (ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 877, ff. 033v-034v).

[lxvii] 11.08.1624. Agostino Curia vendeva al presbitero D. Horatio Piccolo, la domus palaziata posta dentro la terra di Policastro nel convicino di “Santi Petri”, confine la domus di Julia Ferraro “via mediante vallonem dittum della Judeca”, la via pubblica dalla parte superiore ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 295, ff. 059-060). 15.09.1630. Antonino Gatto vendeva a Francisco Marchise la “Cameram palatiatam” muro congiunto con un’altra domus “magna” di detto Antonino, posta dentro la terra di Policastro nel convicino di S.ta Maria “gratiarum”, confine i “Casalenos” appartenuti al quondam Joannes Dom.co Sacco “et valonnem magnum dittum la iudeca” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 297, ff. 160-161).

[lxviii] ASCZ, Notaio Guidacciro G. B., Busta 78, prot. 286, f. 67bis; Busta 79 prot. 294, ff. 110-111; Busta 80 prot. 301, ff. 078v-080v; Busta 80 prot. 304, ff. 001-002.

[lxix] ASCZ, Notaio Consulo B., busta 8, f. 162.

[lxx] ASCZ, Notaio Durande G. D., Busta 36, f. 69.

[lxxi] Vaccaro A., Fidelis Petilia, 1933, pp. 196-198.

[lxxii] “Acquartierati nella Giudecca, riteniamo di poter localizzare il rione di Strongoli ove gli Ebrei avevano la loro dimora, o ghetto, identificandolo col timpone urbanizzato nei pressi di via Zampone, «già Giudeca» come viene indicata predetta via (ove è la casa in cui le presenti note vengono scritte) nell’atto di divisione de fu barone Leonardo Giunti (+ 1872) sulla scorta di documenti catastali, fra i cui beni relitti rinveniamo pure un fondo rustico denominato «Giudeo».” Gallo S., Vecchio Campanile, Cosenza 1989, p. 83.

[lxxiii] ASN, Catasto dell’Università di Strongoli, 1741, R.C.S. n. 7010. 20.08.1755. Francesco e Nicolò Valente possedevano una continenza di case palaziate nel luogo detto sopra la porta della città, confine le case di mastro Antonino Caiazza e i casaleni del Signor Gaetano Toscano (ASCZ, Notaio Minardi G., busta 1209, ff. 30-32). 2.6.1751. L’erario Tomaso Astore concede a mastro Antonino Caiazza un magazeno sito nel luogo detto La Porta Maggiore attaccato all’altra bottega del detto mastro, (ASCZ, Notaio Minardi G., busta 1209, ff. 53-54).

[lxxiv] ASCZ, Notaio Minardi G., busta 1209, ff. 47v-48r.

[lxxv] ASCZ, Notaio Minardi G., busta 1209, ff. 56-57.

[lxxvi] 21.10.1756. Geronimo Amato ed il fratello Antonio, possedevano una casa nel luogo Il Vallone, confine la casa di Francesco Milito e la casa di mastro Agostino Grispo (ASCZ, Notaio Minardi G., busta 1209, f. 34).

[lxxvii] ASCZ, Notaio Minardi G., busta 1209, ff. 67v-68. Il 2 aprile 1753 Vincenza Dottore, vedova di Nicola Catanzaro, dichiara di possedere una metà di orto situato “nel ristretto della città e proprio nel loco detto sotto le case del qm cantore Misanci, atteso l’altra metà di detto orto la possiede Angela Caminiti, confine coll’orto di mastro Giacinto Astore, e via pubblica che conduce alla lonaggia, e sotto le mura della città.” Vende la metà dell’orto alla Caminiti per ducati undici (ASCZ, Notaio Minardi G., busta 1209, ff. 33v-34).

[lxxviii] ASCZ. Notaio Minardi G., busta 1209, ff. 69-70.

[lxxix] Pesavento A., Caccuri tra il Cinque ed il Seicento, www.archiviostoricocrotone.it

[lxxx] Il 14 marzo 1574, il magnifico Fabio Barbuscia della terra “scalarum”, cedeva a Gaudiano de Avella della stessa terra, una domus palaziata sita “intus dictam t(er)ram in loco dicto la Judeca iuxta domum ipsius gaudiani vias pp.cas ex utroque latere et alios fines”. ASCZ, notaio Baldo Consulo, busta 8, ff. 46v-47.

[lxxxi] Pesavento A., Alcuni aspetti della terra di Scala al tempo del Viceregno, www.archiviostoricocrotone.it

[lxxxii] “Relatione fatta dal Vicario di San Dom.co di Corigliano alla S. Cong.ne per obedire alla Constitutione della Santità di n.ro Sig.re Papa Innocentio X publicata in Roma sotto li 22 di Decembre 1649. Il Monasterio di San Domenico del sud.o Ordine situato nella Terra di Corigliano di Calabria citra Diocese di Rossano sta fundato nel quartiero detto La giudeca, e proprio nelli mura di detta Terra di muodo che detto muro è tra la Chiesa et il Convento, la porta della Chiesa viene nella strada publica, ma il Convento sta più remoto dalla d.a strada.” ASV, Congr. super Statu Regul.,1650 (12), Relationes 25, ff. 231-232; 337-344.

[lxxxiii] “Item gructae due in timpa p.ta cum scquiglio [jux.a viam qua] itur in locum qui d(icitu)r de Iudea subtus timpam seu … descendent a s.to blasio et viam pu.cam qua itur ad Portam de grecia.” AASS, 001A, f. 61v.

[lxxxiv] AASS, 001A, f. 19v.

[lxxxv] “Petrus burgensis dix.t cum jur.to h(abe)re domum unam palaciatam intus dictam Civi.tem in loco d(ic)to la sala verde iux.a viam pu.cam et Domum Caietani bonacii mediante via pub.ca Cum Annuo redditu Tareni unius et gr(ana) decem Cum uno hortali ibidem contiguo d. 0.1.10” (AASS, 001A, f. 14v). “Item hortalem unum Cum una arbore sicomi et Tribus gructis in la sala verde quod occupaverat Jac.s de fico iux.a Ecc.am s.te Barbarae et viam publicam” (Ibidem, f. 62). “Item do[mus un]a Terranea quam tenebat Jo: Paulus cerasarius in T[impa dicta] la sala verde iux.a domum Petri burgensis et domum [Mattheus] guardatae. Item d[omus u]na palaciata cum Cortilio ibidem quam tenebat Franc.cus budinus iux.a Casalenum Not.rii Josephi appuli et fr(at)es et viam publicam. Item Casalenum unum ibidem quod tenebat p.tus Not.s Josefus et frater iux.a alias domos ipsorum fr(at)um et viam vicinalem. Item Palatium unum ibidem quod tenebat heres Virelli de sara iux.a domum p.ti Not.rii Josephi et fr(at)is et iux.a viam pub.cam et vicinalem. Item Casalenum quod tenebant p.ti Not.s Josephus et f(rate)r ibidem iux.a sup.tum Palatium quod tenebat dicta heres Virellj de sara et domum ipsorum fr(at)um” (Ibidem, ff. 65-65v).

[lxxxvi] “Essi abitavano ne’ pressi del quartiere della «Grecìa», e quel luogo è ricordato in antiche scritture col nome di «Timpa de Iudeo», detto volgarmente «Timpone delli Iudei». Ivi dovea esistere pure la Sinagoga, della quale qualche rudere rimase fino a qualche tempo fa. Forse, per tal ragione, il luogo era pure detto Sala verde, essendo la Sinagoga guarnita di panno verde secondo l’usanza ebraica.” Dito O., La Storia Calabrese e la Dimora degli Ebrei in Calabria, Cosenza 1967, p. 169.

[lxxxvii] Tra i possedimenti appartenenti alla chiesa cittadina di San Marco (1559), risultano: “unam domum alla sala virde a qua redditum et Census duorum Car.orum et gr(ana) x solita est percipere”, “Item unam gructam alla sala virde Item aliam gructam Cum ortali ante prope s(anc)tum marcum p.tum cum redditu gructe illorum de la padula g(rana) 8; Item aliam gructam in eodem loco”, “Item aliam gructam pauli de leo positam ut s.a dictum est alla sala virde.” AASS, 016B.

Il 5 febbario 1575, tra i beni della dote di Alaria Trayina che andava in sposa a Jacobo Lombardo, troviamo: “Item una Casa Terrana posta intro s. s(everi)na in la parrocchia di s(an)to Pet.o jux.a la Casa de essa Miralda lo Casalino di s. Marco in loco dicto la sala Verde q.le rende gr(ana) dudici e meczo a s.to Marco.” ASCZ, notaio Santoro M., vol. V, ff. 88v-89.

[lxxxviii] ASN, Dipendenze della Sommaria I Serie, Fs. 196, flo 1, f. 16; flo 2 inc. 2, f. 19 v. Tesoreria antica, n. 24, Fabrica Castri Cotroni, p. 23.

[lxxxix] ASCZ, notaio Mazzacaro F., busta 161, anno 1638, f. 58.

[xc] ASCZ, notaio Mazzacaro F., busta 161, ff. 78v-79.

[xci] ASCZ, notaio Mazzacaro F., busta 161, f. 88-88v.

[xcii] ASCZ, notaio Mazzacaro F., busta 161, ff. 116-116v.

[xciii] “Città altre volte abitata da tre popoli, Latini, Greci, e Giudei, de quali n’è rimasta la memoria in alcune scritture antiche: de’ primi due in una carta di numerazione, nella quale i ministri di quell’impiego scrissero: Audita missa Graeca, accessimus ad Latinam; e degl’ultimi, un istrumento, nel quale l’anno 1493, Rabi Soledo vendé un suo fondo ad un cristiano; onde poi partiti, la lor sinagoga venne tramutata in una chiesa, e consagrata a s. Cataldo.” Fiore G., Della Calabria Illustrata, Tomo I 1691, ed. 1999, p. 450.

[xciv] “Quondam haec Civitas trium Populorum erat Communitas scilicet Hebrei, Greci et Latini, priorum vero solum remansit nomen in amplis regionibus obruptis rupibus, et dirutis domibus deformatum.” ASV, Rel. Lim. Bellicastren., 1703, f. 183.

[xcv] 9 aprile 1635. Negli anni passati, il quondam Cesare Calvano aveva preso un annuo censo “sop.a l’orto, et case di esso q.m Cesare poste nello burgo seu li gructi di sotto s.to Cataudo poste dentro d.a Città confine l’orto di soro Gioannella Caputa via med.te l’orto delli heredi del q.m Fabritio Nicoletta via med.te, et altri confini”. ASCZ, notaio Mazzacaro F., busta 161 anno 1635, f. 131.

[xcvi] “item domos tres coniutas teraneas sitas et positas intus eandem civitatem cutroni inparochia s(anc)te narchine prope domos jacuelli de procia judey de cutrono medianti curtillis comuni coniuti domui de canui cutroni mediante vinella domui eredis quondam Antonui bocanigri mediante dita vinella coniuta domui Tomaxi de carnevallo vie plubice et aliis finibus”. ACA, Cancillería, Reg. 2904, f. 240r.

[xcvii] 16 novembre 1444. Nell’accampamento regio presso Roccabernarda. Re Alfonso concede al nobile Stephano Sacco di Policastro, il titolo di “familiarem n(ost)r(u)m domesticum et de nostro hospicio”, concedendogli in feudo il “tenimentum quod dicitur la manca de fasana colo carichiecto et baracta situm et positum in casali massenove pertinentiarum Civitatis Cutroni”, e aggiungendo le “domos sitas et positas in ditta Civitatis Cutroni in judeca ipsius Civitatis iuxta domos curie iuxta vias publicas iuxta domos Archiepiscopi Sante Severine mediante vinella et alios confines”, beni devoluti alla regia curia per la ribellione di Antonio Centelles. ACA, Cancillería, Reg. 2906, ff. 149v-150v.

[xcviii] 18 agosto 1564. Crotone. “accessimus ad domos m.ci violantis belcayte socius p.ti m.ci rafaelis intus dictam civ.tem positas in parrocchia sancti nicolai deli cropi in strata dela judeca”. ASCZ, notaio Ignoto, busta 15, anno 1578, f. 162.

14 settembre e 9 ottobre 1583. Cirò. Nei mesi passati, la mag.ca Antonina Sarcona di Crotone, moglie di Jo. M.a Casoppero, in occasione del matrimonio tra sua figlia Julia Casoppera e il mag.co Francesco de Paris, aveva promesso in dote ducati 17 da conseguire e da esigere nella città di Crotone dal mag.co ed egregio notaio Luca Montefusco della stessa città, relativamente al residuo della vendita di alcune case della predetta Antonina, site “intus d(ic)tam Civ.tem in loco la giudeca in parocchia s(anc)ti nic.i de Cropis iuxta domum m(agist)ri Cesaris de gallipoli iuxta domos her.m q.o m.ci Jo(ann)is And.ae berricellis et alios fines”. ASCZ, notaio Durante G. D., busta 35, ff. 152v-153 e 154-159v.

[xcix] Pesavento A. Le parrocchie di Crotone tra il Cinquecento e il Seicento, www.archiviostoricocrotone.it

[c] 6 settembre 1629. I coniugi Petro Fenmi di Roccaforte ma commorante in Crotone e Vittoria Ventorino di Policastro, dichiaravano che in passato, avevano comprato da Gio. Gerolimo Jacomino una casa “posta dentro la citta di Cotroni loco ditto la giudeca confine l’altra casa di esso d. Gio: Gerolimo la via publica et altri fini”. ASCZ, notaio Guidacciaro G. B., busta 79, prot. 297, ff. 50v-51.

[ci] 24 ottobre 1684. Tra i beni di Fabritio Lucifero, pervenutigli attraverso l’eredità del padre Gio. Francesco Lucifero troviamo: “domum unam magnam quam asserit possidere in pluribus et diversis membris consistentem sitam et positam in dicta civitate Cutroni in strata nuncupata della Iudeca parum distante ab ecc.a Majiori”. ASCZ, busta 336, anno 1690, f. 99.

[cii] 27 settembre 1610. Ottavio Piterà, nobile di Catanzaro abitante a Crotone, marito di Livia Lucifero, in qualità di procuratore e marito di quest’ultima, prendeva in possesso le case “positas intus p.tam Civitatem loco dicto la judeca in parrochia s.ti Petri iux.a domos heredum q.m Hier.mi galatis viam pp.cam et alios fines”. ASCZ, notatio Rigitano G. F., busta 49, anno 1610, f. 104.

Nel febbraio 1618 sono poste all’incanto “le case di Cornelia Berricella posti dentro la Citta di Cotrone nella parrochia di Santo Pietro et proprio alla Judeca”. ASCZ, Fondo Miscellanea, busta 26, s.n..

15 febbraio 1657. Crotone. Josepho Piterà della città di Catanzaro, procuratore del chierico Antonio Piterà della stessa città, prendeva possesso dei beni lasciati dal chierico Luca Antonio Piterà al figlio Antonio. Tra questi le case dette “de Piterà consistentes in pluribus membris et cum casalenis retro, et ante positas in Parochia S. Petri, jux.a domos delli Galassi, loco d.o la Judeca et vias pub.cas et d.a casalena jux.a domum Dom.ci Zupo et domos Cap.nei Mutii Lucifero stricto med.te”. ASCZ, Fondo Miscellanea, busta 26, s.n..

[ciii] 6 settembre 1610. Crotone. Fabrizio Lucifero possedeva una “continentiam domorum positam intus dictam Civitatem in Parrocchia s.tae Mariae prothospataro jux.a domorum heredum q.m Jo(ann)is Thesei Syllani ex uno latere, et ex alia jux.a domos heredum q.m Lucae Indulcato, simul cum domibus positis loco dicto la judeca”. ASCZ, notaio Rigitano G. F., busta 49, anno 1610, f. 42.

12 maggio 1627. Crotone. Francesco Spina affermava di essere stato carcerato per due giorni continui in casa dei coniugi Ottavio Piterà e Livia Lucifero “posta dentro d.a Città di Cotrone loco d.o la Judeca nella Parocchia di s.ta Maria protospataris conf.e la casa di Jeronimo Galassa et via pp.ca”. ASCZ, notaio Protentino busta 118, f. 28v.

[civ] 21 agosto 1451. “Moyses de Barono de Rossano ipsius civitatis Rossani habitatorem iudeum et Zagam iudeum de Barono dicti Moysi fratrem habitatorem terre Cariati”. Fonti Aragonesi II, pp. 110-113.

[cv] Colafemmina C., Per la storia degli ebrei in Calabria, 1996, p. 108.

[cvi] “Cay de Terranova” immigra a Cariati ed è annoverato “con la giudecca di questa terra” (1491). Colafemmina C., Per la storia degli ebrei in Calabria, 1996, p. 70.

[cvii] “… ala dicta Iudea de Strongolo et iudei de quella …”. Colafemmina C., Per la storia degli ebrei in Calabria, 1996, p. 58.

[cviii] Tra le concessioni fatte l’undici gennaio 1445 a Crotone da Re Alfonso a “Karolus de bolunya”, procuratore del priore del monastero di “s(an)cte catherine montis sinay”, leggiamo: “… remedia compellatis ad elemosinas ipsas et pia vota ac omnia alia dicto Carulo et deputatis ab eo quomo(do)cumque et qualiscumque concesse et data a civitatibus T(er)ris et Castris incolatus ipsarum usque ad portus maritimas et carricatoria deputandum onerandum et alia facendum pro ut alii Ebrei totius n(ost)re dicionis …”. ACA, Cancillería, Reg. 2903, ff. 190v-191r.

[cix] Colafemmina C., Per la storia degli ebrei in Calabria, 1996, p. 106.

[cx] 6 ottobre 1492. In relazione ad una “peticione” presentata per parte del “baglio” di Strongoli, la Camera della Sommaria ordinava al capitano della città di provvedere affinché gli ebrei pagassero la bagliva: “Quanto al facto deli iodey, provedati habiano de pagare le rasuni dela baglia predicta si como pagano tucti li altri”. Colafemmina C., Per la storia degli ebrei in Calabria, 1996, pp. 58-59.

Nel caso di Le Castella, sappiamo che, agli inizi del Cinquecento, coloro che commoravano nella terra con la loro moglie, erano soggetti al pagamento della dogana e degli oneri relativi alla costruzione delle mura, ma erano immuni dai pagamenti universali: “(ite)m Dittus baiulus exigit a quolibet hextero commorante in dittam terram cum eius uxore carlenos quinque pro jure Dohane anno quolibet et est immunis dittus hexterus omnium pagamentorum universalium preter a solutio et pagam.to imposito pro fabrica et servitiis ipsius fabrice personalibus ad que tenetur una cum aliis Civibus solvere et operari.” AVC, Reintegra del conte di Santa Severina Andrea Carrafa, s.c., ff. 17v-18.

[cxi] 14 marzo 1446, Castelnuovo Napoli. Re Alfonso confermava al milite Bonoacurso de Florencia, regio familiare, le concessioni precedentemente fattegli da Covella Ruffo di Calabria, principessa di Rossano, tra cui figura lo “jus casalinatici terre vetule et judeorum Civitatis Carriati”. ACA, Cancillería, Reg. 2907, ff. 157v-159r. 16 novembre 1446, nell’accampamento regio presso la selva di Presenzano. Re Alfonso confermava a Bonocurso de Florencia, tutte le concessioni feudali fattegli da Covella Ruffo, tra cui lo “jus casalinatici terre vetule et judeorum Civitatis Carriati”. ACA, Cancillería, Reg. 2908, ff. 179r-181r.

[cxii] Tra i capitoli dati il 14 luglio 1445 in Napoli alla università di Cirò, troviamo: “Item suppliccano la ditta m.ta che se digne observare loro la franchiczia deli anni deci concessa ad ipsa universita per la v(ost)ra m.ta perche omni poco di veneno tanti comissarii dela v(ost)ra maiesta et molestano tanto li xristiani quanto judei in piu pagamenti pertanto suppliccano la v(ost)ra m.ta che se digne comandare che durante la franchicza deli anni deci non xristiani ne judei siano molestati ne constritti a pagamento alchuno. Placet Regie m.ti mandare quod ffranchitie concesse tam xristianis quam judeis dicte terre observentur et ab aliquo non molestentur.” ACA, Cancillería, Reg. 2907, f. 126r.

[cxiii] “… che pagando dicta Iudecha li pagamenti fiscali ordinarii de fochi et Sali et anche li pagamenti extraordinarii secundo la rata con li altri iudei del regno …”. Colafemmina C., Per la storia degli ebrei in Calabria, 1996, p. 74.

[cxiv] 20 novembre 1444. Capitoli concessi “pro Universitate Sancte Severine” dati “in n(ost)ris felicibus Castris apud Sanctam Severinam” il 20 novembre 1444 indizione VIII. “Item supplica et pete la dicta universitate che li judei de questa terra siano et gaudeano tuti li inmunitati et privilegii chi gaudeno li xpistiani et che non siano constricti per inarridituri § placet Regie ma.ti quod tractentur prout ceteri judei aliarum terrarum demanialium.” ACA, Cancillería, Reg. 2903, ff. 178v-180r.

[cxv] 17 novembre 1444. Capitoli concessi alla “universitatis et ho(mi)num t(er)re Pulicastri” dati “in castris nostris felicibus prope Roccam b(erna)rdam” il 17 novembre 1444, VIII indizione. “Item peteno che alcune casate de judei quali sono in la d(ic)ta terra si degne la d(ic)ta v(ost)ra ma.ta che siano in lo numero de li xpiani che possano gaudere per anni dece non pagando nulla solucione durante lo termine supradicto Et passato lo d(ic)to t(em)po no siano tenuti de pagare si no tari sey per mortofa como era per lo tempo Antiquo Et cossi Ancora che nullo conmissario che venesse da parte de la v(ost)ra maiesta no li possa constringere ad nullo Alt.o pagamento. Placet Regie ma.ti t.actare d(ic)tos judeos ut aliorum terrarum demanialium.” ACA, Cancillería, Reg. 2904, ff. 185v.

[cxvi] 16 gennaio 1445, nell’accampamento regio contro il castello di Crotone. Re Alfonso riconcedeva al nobile Roberto de Astore di Catanzaro, il diritto circa i “focularia judeorum Civitatis catanzarii”, alla ragione di tareni 1 ½ per ogni fuoco, precedentemente concessogli da Antonio Centelles, “jus antiquissimum curie comitis Catanzarii solvi consuetum”. ACA, Cancillería, Reg. 2906, ff. 138r-v.

[cxvii] 24 febbraio 1445. Capitoli concessi alla “Universitatis et hominum Civitatis Catançarii” dati “in Castris n(ost)ris felicibus prope Civitatem n(ost)ram Catanzarii” il 24 febbraio 1445. “Item supplicat et petit d(ic)ta universitas quod dignetur dicta Ma.tas ex Regia benignitate gr(aci)ose concedere universitati predicte et hominibus ipsius franchiciam inmunitatem exempcionem et graciam omnium foculariorum donorum et taxarum impositorum et imponendorum generaliter et sp(eci)alis dicte Civitatis per Annos Quindecim Et quod elapso t(em)pore teneatur ipsa universitas tam ad solucionem Collettarum Et quod solvant pro qualibet Regia Collecta ad r(ati)onem de unciis Decem iuxta tenorem Privilegiorum dicte universitatis Et quod d(ic)ta franchicia seu gr(aci)a intelligantur judey Cives dicte Civitatis quod non tentantur ad solucionem mortofe durante tempore supra dicto Placet Regie Ma.ti.” ACA, Cancillería, Reg. 2911, f. 7r.

[cxviii] 3 giugno 1445. Capitoli concessi alla città di “Cutroni” dati “in castro novo Civitate n(ost)re Neapolis” il 3 giugno 1445 VIII indizione. “Item peteno che in tucte le gracie ffranchicie inmunitate et libertate che have et gaude la dita universita de Cutrone per privilegio dela v(ost)ra magesta sente intendano li judei citadini che al presente h(ab)itano en la dita Cita de Cutrone Et che in futurum se farano Citadini de quella Placet Regie magestate.” ACA, Cancillería, Reg. 2907, f. 107r.

[cxix] Colafemmina C., Per la storia degli ebrei in Calabria, 1996, p. 60.

[cxx] Colafemmina C., Per la storia degli ebrei in Calabria, 1996, p. 69.

[cxxi] Colafemmina C., Per la storia degli ebrei in Calabria, 1996, p. 70.

[cxxii] Colafemmina C., Per la storia degli ebrei in Calabria, 1996, pp. 53-54.

[cxxiii] Colafemmina C., Per la storia degli ebrei in Calabria, 1996, pp. 117-118.

[cxxiv] 17 settembre 1491. A seguito della querela presentata dalla “Iudeca” di Strongoli, la Camera della Sommaria ordinava al capitano della città di provvedere affinché, gli ebrei non fossero costretti a fornire servizi personali alla “gente de arme” senza ricevere salario. Colafemmina C., Per la storia degli ebrei in Calabria, 1996, pp. 56-57.

[cxxv] Colafemmina C., Per la storia degli ebrei in Calabria, 1996, pp. 54-55.

[cxxvi] 1 giugno 1491. La Camera della Sommaria ordinava al tesoriere di Calabria affinché la “Iudeca delo Cirò”, ovvero la “Iudayca de Psigro” non fosse gravata del pagamento “deli tre carlini per foco” relativo alla fabbrica della fortificazioni del regno, in virtù dei privilegi concessi dal sovrano “ali iudei del Regno”. Colafemmina C., Per la storia degli ebrei in Calabria, 1996, pp. 122-123.

22 settembre 1491. La Camera della Sommaria ordina al tesoriere di Calabria affinché la “Iudecha” di Cariati non fosse gravata del pagamento “deli tre carlini per foco” relativo alla fabbrica delle fortificazioni del regno, in virtù dei privilegi concessi dal sovrano “ali iudei del Regno”. Colafemmina C., Per la storia degli ebrei in Calabria, 1996, pp. 72-73.

[cxxvii] Colafemmina C., Per la storia degli ebrei in Calabria, 1996, pp. 61-62.

[cxxviii] Colafemmina C., Per la storia degli ebrei in Calabria, 1996, pp. 62-63.

[cxxix] Colafemmina C., Per la storia degli ebrei in Calabria, 1996, pp. 150-151.

[cxxx] Colafemmina C., Per la storia degli ebrei in Calabria, 1996, pp. 63-64.

[cxxxi] “Nel 1508 per un donativo di 450 ducati imposto dal vicerè ai giudei di Calabria, a Crotone spettarono 29 ducati, 2 tarì e 10 grana; a Isola 2 ducati, 2 tarì e 10 grana; a Mesuraca 6 ducati e 1 grano; a Le Castella e a Cutro 1 ducato e 1 grano ciascuno.” Colafemmina C., Presenza ebraica nel Marchesato di Crotone, in Studi Storici Meridionali n. 3, 1989, p. 294.

[cxxxii] “La Iudeca de Belcastro d(ucati) VI”. Colafemmina C., cit., p. 86. “La Iodeca de Belcastro resta deli terzi et sale III indictionis d. VI. La dicta Iodeca resta dela mesoratora del sale gr. VIII.” Colafemmina C., Per la storia degli ebrei in Calabria, 1996, p. 89. “Cunto deli Idie dicti anni VI indictionis”: “La Iudeca de Belcastro per fochi 4 contingit d. VI. Li conmisarii mandati a dicta terra sono stati impediti per lo signore conmendatore Truieso et perczò non since à possuto rescotere.” Ibidem, p. 91.

[cxxxiii] Colafemmina C., Per la storia degli ebrei in Calabria, 1996, p. 77.

[cxxxiv] Colafemmina C., Per la storia degli ebrei in Calabria, 1996, p. 64 e pp. 153-154..

[cxxxv] Colafemmina C., Per la storia degli ebrei in Calabria, 1996, p. 65.

[cxxxvi] Colafemmina C., Per la storia degli ebrei in Calabria, 1996, pp. 65-66.

[cxxxvii] Colafemmina C., Per la storia degli ebrei in Calabria, 1996, pp. 66-67. Altri ebrei invece, riuscivano a ottenere condizioni più privilegiate. “Item pono havere liberato ad retroscripto v(idelicet) ad p.o maii v.e ind(ictionis) 1517 Ad m.ro guill(elm)o / beringerii neofiti et per ipso facti boni Allo nobile ber.no de vicza da / cieri per la ragione dela testa dela q.ale lo regim.to ad xxvj aprilis v.e ind(ictionis) / nde lo fe exepmto et franco Carlini quindici dico d. 1-2-10.” ASN, Dipendenze della Sommaria, Fs 532, f.lo 10, f. 23.

[cxxxviii] Colafemmina C., Per la storia degli ebrei in Calabria, 1996, pp. 67-68.

[cxxxix] Milano A., Storia degli ebrei in Italia, 1992, pp. 609-610.

[cxl] ASN, Regia Camera Sommaria, Numerazione dei fuochi n. 133 (1532).

[cxli] Pesavento A., La Giudecca di Crotone, www.archiviostoricocrotone.it

[cxlii] “A 25 Agosto (1691) ad un Hebreo – 5; A 10 7bre ad un Hebreo – 5; A 17 d.o ad un altro Hebreo – 5; A 28 8bre ad un Hebreo – 5; A 10 Ap.le (1692) per un Hebreo fatto cristiano – 5; A 3 giugno ad un Hebreo – 5; A 16 luglio ad un Hebreo fatto cristiano – 5; A 29 d.o ad un altro hebreo – 5; A 2 7bre ad un hebreo – 5; A 5 8bre ad un hebreo fatto cristiano – 5; A 16 Xbre per un hebreo – 5; A 18 feb. (1693) per due hebrei – 10; A 24 marzo ad un hebreo fatto cristiano – 5; A 29 ap.le per un hebreo – 5; A 16 mag. Per un hebreo e sua moglie – 10; A 16 agosto ad un hebreo – 5; A 21 9bre ad un hebreo – 5; A 18 gen. (1694) a due hebrei – 10; A 28 giugno ad un hebreo – 5. AVC, Platee del R.mo Capitolo di Crotone, 1691/1692, 1692/1693 e 1693/1694.

[cxliii] “Elemosine dell’Ebrei: A due Ebrei per ordine di questa Corte – 5; Ad uno ebreo – 2; A dui Ebrei –5; Adui Ebrei – 5; Ad un ebreo 2; Ad 23 giugno ad uno ebreo – 2; A 24 giugno ad un ebreo – ; A 13 luglio ad uno ebreo 2, A 22 lug. Ad una famiglia per ordine di questa corte – 5”. AVC, Platea del R.mo Capitolo 1704-1705.

[cxliv] “A 16 9bre (1730) dato ad un ebreo fatto cristiano ad ordine del Rev. Sig. Vicario – 10; A 16 luglio (1731) dato ad un Ebreo fatto cristiano per ordine di Mons. Sig. Vicario – 10”. AVC, Platea del R.mo Capitolo, 1730–1731.

[cxlv] ASCZ, notaio Larussa L., busta 1912, prot. 12.382, ff. 218-262.


Creato il 25 Maggio 2019. Ultima modifica: 7 Settembre 2019.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

*