Produzione e commercio di seta a Policastro durante il Seicento

Petilia Policastro (KR).

Il catanzarese Vincenzo D’Amato, autore delle “Memorie Historiche dell’Illustrissima, Famosissima e Fedelissima città Catanzaro” (1670) che, durante il Medioevo e per tutta l’età Moderna, si distinse nell’arte delle seta, attribuisce agli Ebrei un ruolo importante relativamente all’affermazione di quest’arte nella sua città ed in tutta la provincia: “Abitavano in questa Provincia, si come in molte parti del Mondo (doppo che furono dispersi) gli Ebrei. (…) Giunti, aprirono botteghe di ricchissime mercantie; e mescolando con i loro negotij i drappi medesimi di seta, che ivi si lavoravano, cagionarono un grand’utile à Cittaddini, et aprendo la strada al concorso di tutta la Provincia per via dè loro negotij, partorivano alla Città molti commodi, oltre il danaro, che in abbondanza vi entrava.”[i]

Crotone. Lapide sepolcrale che ricorda la morte di Ioshua ben Shamuel Gallico nel 1475-1476 (da calabriajudaica.blogspot.it).

Un’attività importante

A Policastro, luogo della contea di Catanzaro dove era esistita una importante comunità ebraica, e dove durante il Medioevo è documentata la produzione della seta,[ii] secondo quanto riporta il Sisca, agli inizi del Seicento “annualmente si producevano 2000 libre di seta”.[iii] L’importanza di questa produzione locale è documentata dalla relazione prodotta nel 1686 dall’avvocato Giuseppe Domenico Andreoni, visitatore di Policastro per parte della corte medicea, dove egli afferma che “dalle industrie di bestiame, seta e altro, da cui la maggior parte di essi ricava il sostentamento delle famiglie”,[iv] come risulterà ancora alla fine del Settecento: “La produzione del territorio di Policastro sono grani, legumi, frutta, vini, oli, castagne, gelsi per seta ed erbaggio per pascolo di animali”.[v] In relazione a ciò, quando l’università di Policastro non riusciva a pagare il dovuto al fisco, i commissari preposti alla riscossione si rivalevano sui principali beni dei cittadini, sequestrando “tutta la seta che si produce in paese” e portando via il bestiame dalle campagne.[vi]

Tale attività era praticata tradizionalmente dalle donne nelle loro case, come evidenzia un apprezzo di Santa Severina del 1653: “parte delle donne del Popolo s’esercitano al filare et tessere tele bianche dobre …tte di Colore al uso di Napoli et altre industrie di sete”,[vii] o come riferisce un altro apprezzo di Policastro del 1711: “le donne la loro industria è il Cosire, tessere, fare la sete, e Calzette”.[viii]

Il ciclo di produzione c’è descritto nel dettaglio dal D’Amato: “La nutridura di questo Verme à coloro, che non è nota, par favolosa. Da minutissima semenza posta nel fin della Primavera à covar in caldo nasce il Bombice della piccolezza d’una formica, e nel corso di quaranta giorni, ch’egli ha di vita, quattro volte à dormir si pone, et altretante (sempre crescendo) lascia a guisa delle serpi la spoglia, e questo per ogni dieci giorni. Indi giunto alla grandezza d’un dito di fanciullo, abbandonando le foglie del Moro, ò Celso, che si dica quell’Albero, che lo nutrisce, monta su certi ramoscelli d’alcune piante, che li si pongono sopra, et ivi fabricandosi da per se stesso la sepoltura con fila, ch’ordisce con la sua bocca à guisa del Ragno, forma un guscetto del color dell’oro, overo bianco della grandezza poco meno d’un Dattilo, rimanendo lì dentro egli imprigionato, dal quale si cava la seta. Dal medesimo doppo alquanti giorni da una parte da lui forata col picciol dente esce nuova Fenice risorto, non più nella sua forma di prima, mà alato, e congiungendosi maschio à femina, partoriscono quella semenza, dalla quale l’anno appresso rinasce”.[ix]

Negli inventari seicenteschi delle abitazioni di Policastro, troviamo abbastanza comunemente, sia la presenza di “Cannizza”[x] e “Cistuni”[xi] utilizzati per metterci sopra le foglie de gelso e allevare il baco da seta (“serico”), che il prodotto realizzato.[xii] Per ottenerlo, i bozzoli di seta (“Cucullo”) erano immersi in acqua calda dentro un apposito recipiente detto “Conca”,[xiii] per poi essere filati usando il “mangano”,[xiv] ottenendo così il filo di seta grezza,[xv] che veniva raccolto in matasse (“marrelle”).[xvi]

Alcuni indizi ci permettono di evidenziare che, all’epoca in cui gli Ebrei abitavano ancora a Policastro, essi realizzavano qui anche la tintura, come è documentato nella vicina Santa Severina.[xvii] A questo titolo, infatti, dai tempi antichi, gli Ebrei di Policastro, come del resto tutti quelli del Ducato di Calabria, pagavano il diritto, o gabella, detta volgarmente “de mortafa”,[xviii] ovvero “Iura tinturie seu mortafa”,[xix] come è documentato il 17 novembre 1444, quando risale la richiesta da parte della “universitatis et ho(mi)num t(er)re Pulicastri” al re Alfonso de Aragona, affinché gli Ebrei del luogo “no siano tenuti de pagare si no tari sey per mortofa como era per lo tempo Antiquo”.[xx]

A proposito di queste antiche attività, nei pressi del luogo dell’odierna Petilia Policastro dove un tempo abitavano gli Ebrei (“Judeca”), e passava il “valonnem magnum dittum la iudeca”,[xxi] si conservano ancora oggi i toponimi: via Stella e vico Tintori.

Trattato dell’arte della seta, cap. 24 c19v fig.17, “Del tingere il pagonazzo di-chermisi” (da lacittaimmaginaria.com).

La “fronda”

Nei documenti stipulati dai notari di Policastro durante la prima metà del Seicento, gli alberi di gelso nero (Morus nigra L.) risultano detti indifferentemente, “sicomos” o “celsi”,[xxii] mentre, nei casi in cui ricorre la presenza, meno diffusa, del gelso bianco (Morus alba L.), troviamo l’espressione “Celso bianco”,[xxiii] come evidenzia il Fiore: “Di questi, altri sono bianchi, cioè di frutto bianco, altri neri per la cagione opposta del frutto nero, e perciò volgarmente detti celsi mori, e maggiori di numero incomparabilmente, che non gl’altri bianchi; tanto che dalla loro gran copia molte abitazioni n’han preso le nominanze”.[xxiv] Sulla maggiore diffusione del gelso nero così si esprimerà a riguardo di Catanzaro il Saint-Non, verso la fine del Settecento: “vi si fa grande quantità di seta che vi si fila e vi si lavora; ma questa seta è d’una quantità forte e rozza; ciò dipende, a quanto dicono, dal fatto che i bachi si nutriscono con foglie di gelsi neri, più comuni in queste contrade che i gelsi bianchi.”[xxv]

Questo viaggiatore ci fornisce anche una descrizione pittoresca dei luoghi incontrati, soffermandosi sulle peculiarità dell’ambiente che, a suo dire, risultavano particolarmente favorevoli a questa produzione. “La contrada che percorremmo era piantata ad oliveti, ficheti e a gelseti mori da cui si raccoglievano le foglie per i bachi da seta, che essi ricevevano al momento della monta; ne ho visti molti impianti presso i contadini: essi li tengono nei loro granai su graticci di canne, tapezzati di felce, e buttano con la cattiva foglia tutti quelli che non sono vigorosi, o che ritardano sugli altri al cambiamento di pelle. Il vantaggio è la dolcezza del clima non obbligando a raccogliere le foglie con precauzione, e a darle, come in Francia, spesso appassite e umide, rendono i bachi molto più forti e ben più facili a curare.”[xxvi]

Gli atti dei notari policastresi del Seicento ci consentono di evidenziare che la coltivazione del gelso interessava una vasta parte del territorio di Policastro, a cominciare dall’interno dell’abitato, dove, analogamente a quello di Mesoraca,[xxvii] la presenza di questi alberi caratterizzava, sia i piccoli spazi lasciati liberi dall’edificato, nei pressi delle abitazioni,[xxviii] come quando si menziona la presenza di “uno piede di Celso in nanti la casa”,[xxix] sia gli orti ed ortali[xxx] esistenti all’interno delle mura, in particolare nelle vicinanze della chiesa di Santa Caterina,[xxxi] e nel luogo detto “la Vasilea”.[xxxii]

Fuori dell’abitato, invece, la presenza del gelso si evidenzia nelle vigne, nelle possessioni arborate, nei vignali, e nei pezzi e pezzotti di terra, a cominciare dagli appezzamenti esistenti subito fuori le mura: nel loco detto “lo ringo”,[xxxiii] “di sotto le mura di s.ta Maria della grande”,[xxxiv] “sotto Santa Caterina”,[xxxv] “sotto la timpa ubi dicitur la rina russa”,[xxxvi] in loco detto “la fiomara”,[xxxvii] e nel loco detto “Cropa”,[xxxviii] a “santo Dimitri”[xxxix] e “avanti li grutti di santo dimitri”,[xl] nel loco detto “gorrufi”,[xli] nel loco detto “le manche”,[xlii] nel loco detto “la chianetta”,[xliii] a “Caroleno”,[xliv] a “santo donato”,[xlv] e nel loco detto “della valle”.[xlvi]

Essendo coltivati esclusivamente per utilizzare il loro fogliame (“fronda”) necessario per alimentare i bachi da seta, questi alberi di gelso erano allevati in maniera tale da consentire loro un vigoroso ricaccio vegetativo, rinnovando così costantemente il loro fogliame attraverso decise potature, in maniera che fossero anche meno soggetti all’“anneghoramento”.[xlvii] Oltre ad alberi allevati monocaule (“pede sicomis”), anche di una certa dimensione (“pede sicomoris magno”,[xlviii] “pede magno sicomi”,[xlix] “un pede di Celso grande”[l]), i documenti menzionano, infatti, anche piante allevate in maniera cespugliata, impostate con più tronchi (“troppa”, o “troppata”),[li] in maniera da poter sfruttare anche la vegetazione prodotta dai polloni basali (“porghe”).[lii] Troviamo così descritto un “pedem seu troppam sicomis”, al pari di “una truppa di fico”,[liii] distinguendo tra le due diverse forme di allevamento: “uno pede sicomis, et unius porghe parve qua porga est sotto pede sicomis ipsius Costantini quod emit à ottavio Blasco”.[liv]

Considerato l’impiego del loro fogliame, il valore di queste piante risultava in genere elevato. Troviamo così, ad esempio il 10 marzo 1630, Tiberio Grigoraci di Policastro, vendere a Salvatore Bua del casale di Cotronei, “unum pede sicomi inter alios sicomos” di detto Tiberi, esistente nel loco detto “li carisi”, territorio di Policastro, per il prezzo di un ducato,[lv] valore che appare commisurato a quello della produzione ottenibile da queste piante. Il 31 dicembre 1604, nel proprio testamento, Joannes Angilo Rotella di Taverna, ma abitante in Policastro, “in Convicino s.me Annuntiate la nova”, dichiarava di dovere a Marco Ant.o Coco, ducati ventiquattro per la vendita di un cavallo e tre ducati per tre libre di seta.[lvi]

Un’idea generale circa la produttività di questi alberi, c’è data scorrendo le “Riveli della seta di tutta la diocesi per la Franchigia della fronda Padrimoniale, e non esser Controbando” che, nel marzo 1665, su richiesta del nunzio di Napoli, furono chiamati a presentare all’arcivescovo, tutti gli ecclesiastici della diocesi di Santa Severina che, possedendo gelsi a titolo di patrimonio, li usavano a tale scopo, anche se la produttività delle piante era molto variabile, in funzione del loro stato, età e dimensioni, mentre da parte dei membri del clero avvenivano “molte fraudi, è contrabandi”.

A titolo di esempio, troviamo che il Cl.co Conforto Curcio della terra di Mesoraca, da 100 piedi di gelsi che possedeva in diversi luoghi di Mesoraca, “con li quali si suole nutricare lo Anno cinque mesure seu Cozze di semente delle quali sene suole de fertile ad infertile libre trenta di seta”, mentre il clerico coniugato Fran.co Di Bona di Mesoraca dichiarava che, dai 20 piedi di gelsi posseduti in diversi luoghi della detta terra, “con li quali si suole nutricare lo anno tre misure seu cozze di semente di serico”, da fertile ad infertile, produceva 15 libre di seta.[lvii]

La preziosità di ogni singola pianta è evidenziata da numerosi atti notarili, come troviamo nei capitoli stipulati il 23 aprile 1605, relativamente al matrimonio tra Polisena Carcello di Policastro e Giallupo Pecuro di Policastro. Tra i beni appartenenti alla dote, risulta “la mita di un pede di celso” posto dentro la terra di Policastro, loco detto “lo vallone della turana”, che la futura sposa possedeva in comune con Minicella Azzarito, relativamente al quale le due padrone rimanevano in accordo che “uno anno l’habbia de cogliere detto futuro sposo, et uno anno essa minicella”.[lviii]

Per il suo elevato valore, la fronda dei gelsi compare ricorrentemente tra i beni dati in dote alle spose, oppure, a volte, risulta utilizzata nelle transazioni al posto del denaro. Ne riportiamo alcuni esempi.  Il 13 febbraio 1610, in occasione della stipula dei capitoli relativi al matrimonio tra Paulo Caccurio di Policastro e Antonina Manfride di Policastro, i genitori della futura sposa le promettono in dote la fronda dei loro gelsi “della valle” per tre anni continui.[lix]

L’11 agosto 1618, Fran.co Spinello di Policastro che, nei mesi passati, aveva venduto a Fran.co de Franco di Castellovetere ma abitante in Policastro, la “possessionem arboratam” con diversi alberi, posta nel territorio di Policastro loco detto “la valle”, confine i beni di Andrea Rizza, la possessione di Mundio Rizza, ed altri fini, riceve la restante parte del prezzo d’acquisto pattuito, parte in mezzi carlini, e parte attraverso il futuro ricavato “pro venditione tot frunde sicomorum in hoc p(raese)nti anno”.[lx]

15 gennaio 1622. Davanti al notaro compaiono Daria Marchese di Policastro e Fabritio Cirisano figlio di Horatio Cirisano, per la stipula dei capitoli relativi al matrimonio tra detto Fabritio e Vicensa Pettinato, figlia di detta Daria e del quondam Marco Antonio Pettinato. Apparteneva alla dote una vigna arborata di “celsi, et fico” ed altri alberi loco “le scalille”. Si pattuiva che “la fronda di detto loco la notrichino insieme, et che si spartino la sita che si farà et che detti Celsi vadano gratis ò vero non volendo nutricare come di sopra che lo detto fabritio le dà lo Celso seu troppa della Grutta per questo anno tantum”.[lxi]

10 gennaio 1632. Negli anni passati i fratelli Marco Ant.o e Horatio Fanele di Policastro, avevano venduto ad annuo censo a Jacobo Larosa di Policastro, la “Continentiam domorum palatiatam”, consitente in due membri inferiori e superiori, posta dentro la terra di Policastro nel convicino della matrice di S.to Nicola “de platea”. Al presente detto Jacobo retrocedeva il bene ai detti Fanele, ed in considerazione dei miglioramenti realizzati, veniva ricompensato attraverso l’impegno a ricevere per 4 anni continui, dal giorno del presente contratto fino al luglio del 1635, la “frondam suorum sicomorum” di detti fratelli Fanele, appartenente ai loro gelsi posti nel territorio di Policastro loco “lo molino di Juso”.[lxii]

30 luglio 1633. Honorata Faraco di Policastro, vedova del quondam Joannes Crivari, essendo debitrice di ducati 5 nei confronti di Horatio Blasco di Policastro, “per tanta Fronda” vendutagli dal detto Horatio in questo presente anno, gli vende il vignale di una “mezalorata” arborato di “fico” ed altri alberi posto nel territorio di Policastro loco detto “Santo Cesario”.[lxiii]

Il 18 marzo 1654, nel proprio testamento, la vedova Vittoria Richetta dichiarava che il quondam Gio: Dom.co Caccurio suo marito, aveva lasciato ad Anastasia Jordano ducati 7, per i quali veniva pagato l’annuo censo di carlini 7, sopra un casalino posto dentro la terra di Policastro, nella parrocchia di S.ta Maria “la grande”. In merito a ciò, disponeva che, annualmente, fossero dati alla detta Anastasia carlini 15 “di fronda”.[lxiv]

Un esemplare di gelso nero (Morus nigra L.) ai margini di una radura presso Cutro (KR).

Seta come denaro

La facilità con la quale la seta era scambiata localmente nei mercati, ad esempio nelle fiere di Molerà a Roccabernarda oppure in quella di San Vittorio a Cutro, determinava spesso che questa merce fosse utilizzata nelle transazioni alla stregua del denaro contante.

18 settembre 1605. Joannes Fran.co Carcello de Cola di Policastro, vende a Sebastiano Traijna di Policastro, la “vineam” posta nel territorio di Policastro, per il prezzo di ducati venticinque in moneta d’argento. Tale prezzo fu pagato parte in contanti e parte con il ricavato della vendita di seta: “libras settem cum dimidio o lo serici ad rationem carolenorum viginti quatuor per quaslibet libras prout empta fuit in foro molera”.[lxv]

6 agosto 1606. Nel proprio testamento, Dianora de Ceraudo di Policastro, abitante nella casa del figlio Joannes Thoma Ceraudo, disponeva che le 4 libbre di seta detenute in casa, restassero in potere del figlio, il quale però, le avrebbe dovute usare per la dote della nipote, al tempo in cui si fosse maritata.[lxvi]

1 ottobre 1614. Joannes Furesta di Policastro permuta con Joannes Fran.co Durante di Policastro, la propria “domum palatiatam consistentem in quatuor membris” posta nel convicino della chiesa di “santo Petro”, con la “casa palatiata” di detto Joannes Fran.cus Durante. Considerata la differenza di valore tra i due immobili, il detto Joannes Fran.co compensava il detto Joannes pagando parte di questa differenza in “seta”.[lxvii]

8 agosto 1627. In occasione del matrimonio tra Joannes Thoma Ferraro e Laura Sarcune, entrambi di Policastro, appartenevano alla dote: 2 “libra di seta”.[lxviii]

15 agosto 1627. Laura Russo di Policastro, in qualità di erede del quondam Ant.o Russo suo padre, volendo affrancare l’annuo censo di carlini 16, per un capitale di ducati 16 sopra la possessione detta “li porcili”, posta in territorio di Policastro, consegna a Auria Mazzacaro di Policastro, vedova del quondam Ferdinando Cerasaro, e a suo figlio Camillo Cerasaro, ducati 10 in tanta “seta” alla ragione di carlini 18 la “libra”, considerato che gli altri ducati 6 li aveva già pagati con moneta in precedenza.[lxix]

24 settembre 1627. Costantia Nigro di Policastro vende per ducati 115 al Cl.o Scipione Tronga di Policastro, la possessione arborata con “sicomorum, ficorum, Castaneis” ed altri alberi fruttiferi e “pastino seu vinea” dentro la detta possessione, posta nel territorio di Policastro loco “gorrufi”, ricevendo 76 “librarum serici” alla ragione di carlini 17 la libra, che facevano ducati 112 e tari 1. Per i restanti carlini 28, il detto Cl.o Scipione pagava in moneta.[lxx]

14 novembre 1630. In occasione della stipula del proprio testamento, Caterina de Cola di Policastro, sorella dell’ordine di S. Francesco d’Assisi, dichiarava di essere debitrice in ducati 12 e tari 3 nei confronti di Camilla Carcello, per altrettanti denari prestati parte in contanti e parte in “seta”.[lxxi]

30 agosto 1631. Negli anni passati, Berardina Tropiana aveva venduto al quondam Filippo Faraco, alcuni “Casalina” posti dentro la terra di Policastro, nel convicino di S.ta Maria “olivella”, con il patto che, alla morte di detto quondam Filippo, dovessero essere dati agli eredi di Scipione Faraco, fratello di detto Filippo. Morto il detto quondam Filippo e venute le parti ad un accordo, donno Lupo Ant.o Coschienti di Policastro, tutore testamentario di Marco Antonio Faraco, figlio del quondam Filippo Faraco, si teneva i casalini e dava alla detta Berardina ducati 12 e ½, pagando in parte con onze 9 di “seta”, alla ragione di carlini 14 quanto al momento vale.[lxxii]

29 agosto 1634. Il Cl.o Gio: Berardino Accetta di Policastro vende per ducati 50 al mastro Joannes Carcello di Policastro, una casa esistente in Policastro nel convicino di S.to Angelo “lo melillo”. In relazione a tale prezzo detto Cl.o Gio: Berardino riceveva “libras serici decem”, da scomputarsi al valore di Molerà prossimo venturo del presente anno mentre, per i restanti ducati 25, il detto mastro Joannes s’impegnava a pagare l’annuo censo al 10 %.[lxxiii]

Petilia Policastro (KR), tessitrici all’opera nelle strade del paese (da pagina fb I Ricordi dei “Petilini Emigranti”).

Alla fiera della Maddalena di Cosenza

Anche se in alcuni casi, in occasione delle transazioni che si registrano a Policastro, ricorre il prezzo della seta spuntato nelle vicine fiere di Roccabernarda e di Cutro, più ordinariamente queste avvenivano sulla base della “voce” fissata in occasione della fiera della Maddalena di Cosenza, che rappresentava l’indice principale riguardante il prezzo della seta riconosciuto da tutti nel Crotonese.

Le prime notizie riguardanti il “forum seu nundine sancte Marie Magdalene”, ovvero del “fori magni Cosentie”, che per antica consuetudine, si soleva celebrare annualmente nel mese di luglio,[lxxiv] e durava dodici giorni,[lxxv] risalgono agli inizi del sec. XV, anche se l’esistenza di una fiera di Cosenza è già documentata nel gennaio del 1234.[lxxvi] Agli inizi del Cinquecento, il “forum magdalenae” iniziava il 22 luglio, giorno della Maddalena,[lxxvii] e si svolgeva per 15 giorni[lxxviii] presso il “flumen basenti”, “in Capo” al “burgo” della città di Cosenza detto “li revocati”.[lxxix]

I documenti evidenziano che, per quanto riguarda i tessuti, come tanti Crotonesi, i Policastresi la frequentavano già a quel tempo,[lxxx] come dimostra un documento del 26 luglio 1540 (?), dove la scadenza del contratto alla fiera della Maddalena, ricorre assieme a quella alla fiera di Molerà, che iniziava l’otto di settembre, in cui si attestava che Fran.co de Yurdano “de pulicast.o Comitatus s.te sever.ne”, era debitore nei confronti del nobile Salvatore Campanino per ducati 117.1.10, di cui ducati 27 da pagarsi “in foro molera” e il restante “in foro magdalenae”.[lxxxi]

I Giordano, una famiglia di ebrei di Policastro, come evidenzia il sigillo dell’U.J.D. Mutio Giordano, assieme a molti altri loro conterranei, ricorrono in numerosi atti seicenteschi riguardanti l’acquisto e la vendita di seta, dove li troviamo agire in numerosi e diversi ambiti commerciali, ed intessere relazioni con i commercianti di diversi luoghi della Calabria.

15 febbraio 1608. Antonino Gatto di Taverna, ma al presente abitante in Policastro, riceve ducati centoquindici dal capitano Baltasario Nocita di Catanzaro, consegnatigli per mano di Joannes Baptista Larosa, “pro olim sericis prout valebit voci Matalene Cosentie p.e venturii”, come appariva dalla relativa cautela.[lxxxii]

18 novembre 1608. Vincentia Cerasaro di Policastro cede a suo fratello Joannes Alfontio Cerasaro, una obbligazione di ducati duecento, per tanta “seta”, che vantava nei confronti di Serafino Cavarretta e Gio: Fran.co Schipano.[lxxxiii]

29 dicembre 1611. Pompeo Tabernense serviente ordinaro della regia curia di Policastro e pubblico banditore, su istanza di Fabio Rotundo, incanta “in platea pp.ca in locum ubi solitum est”, al chierico Narciso Rizza di Policastro, la “Gabellam” o gabelluzza di Mutio Campana posta “in territorio ubi dicitur la gabelluzza ipsius mutii”. L’esecuzione era avvenuta per un debito di trenta ducati che detto Mutio aveva ricevuto in “mezi Carlini” dal detto Fabio, come si rilevava in un atto del 18 gennaio 1610, con il quale il detto Mutio si era obligato a consegnare al detto Fabio, “tanta sita alla matalena p.a di cosenza conforme vale alla voce di detta matalena per quanto piglia il prezzo di docati trenta”.[lxxxiv]

27 aprile 1620. Gegnacovo de Torres, Ferrante Cerasaro e Gio: Berardino Blasco, tutti di Policastro, assieme a Fran.co Antonio de Cola, Gorio Bruna e Salvatore Lamanno, anche loro tutti di Policastro, avendo bisogno di ducati 200 per alcuni loro “negotii”, tutti assieme avevano convenuto di ricorrere al dottor Gio: Fran.co de Vona di Cutro per ricevere il prestito di questa somma, impegnadosi a consegnargli il primo di agosto prossimo futuro, “tanta seta”, “bona, recittibile non vagnata, ne vitiata, et senza malafri”, da computarsi alla “vuce che si fara nella citta di cosenza il di della matalena p.o futuro”.[lxxxv] Lo stesso giorno, una società composta da Livio Zurlo, Camillo Campana, Marcello Leusi ed il dottore Gerolimo Poerio, tutti di Policastro, insieme con Petro Paulo Serra e Marco Ant.o Poerio della stessa terra, ricorreva sempre al dottor Gio: Fran.co de Vona di Cutro, per un prestito di altri 200 ducati, impegnadosi a consegnargli il primo di agosto primo futuro, “tanta seta”, “bona, recittibile non vagnata, ne vitiata, et senza malafri”, da computarsi alla “vuce che si fara nella Citta di cosenza il di della matalena p.o futuro”.[lxxxvi]

17 giugno 1620. Gegnacovo Torres, Ferrante Cerasaro, Petro Paulo Serra, Fran.co Ant.o de Cola e Gugliermo Coliccia, tutti di Policastro, insieme con il dottor Mutio Giordano, Marcello Leusi e Marco Ant.o Poerio, similmente di Policastro, avendo bisogno della somma di ducati 500 per alcuni loro “negotii”, ricorrevano per il loro prestito a Giangisaro, o Giangesaro, Scazzurlo della città di Crotone, impegnadosi a consegnargli il primo di agosto primo futuro, “tanta seta” “bona, recittibile non vagnata, ne vitiata, et senza malafri” da computarsi alla “Comune vuce che si fara nella citta di cosenza il di della matalena p.a futura”.[lxxxvii]

20 novembre 1620. Mario Melito di “spetiano piccolo”, casale di Cosenza, persona deputata da Ottavio de Filippis, mediante lettera del 8 ottobre 1620, in virtù della lettera del dottor Horatio Venturi del 22 settembre 1620, detenuta in potere di Petro Paulo Serra, procuratore del detto dottor Horatio, riceve, per portarli al detto Ottavio de Filippis nella città di Cosenza, libre 101 ed onze 3 di “seta Cruda”, consistenti in “marrelle” 258, “non vagnata ne di altro modo vitiata del Segno”, e ducati 155 in mezzi carlini ed altra moneta siciliana, pervenuti al detto Petro Paulo per l’aver esatto le entrate fiscali di Policastro affittate dal detto dottor Horatio.[lxxxviii]

8 marzo 1621. Davanti al notaro compaiono il R.do D. Gio: Thomaso Faraco e Petro Paulo Serra, procuratore del dottor Horatio Venturi, assente nella città di Napoli. Per consentire al detto dottor Horatio di recuperare i propri beni, il detto R.do D. Gio: Thomaso dichiarava che, negli anni passati, come procuratore del detto Dottor Horatio, aveva consegnato mediante la persona di Giulio Maccarrone, al notaro Giulio di Vona della Rocca Bernarda, ducati 214 e grana 15, oltre a 199 “pelli di Zaccarelle” e 14 libre di “seta”, affinchè fossero portate nella città di Napoli.[lxxxix]

28 agosto 1621. Camillo Campana, Ferrante Cerasaro, Marcello Leusi, Fabio Rotundo e Petro Paulo Serra, tutti di Policastro, insieme con Gegnacovo de Torres, “tenendono di bisogno” di 196 libre di seta ed unze 2, “per alcuni loro negotii occorrenti”, si accordano con il dottor Marcello Castagna di Satriano. Al presente, dovendo stipulare le necessarie cautele, eleggono detto Gegnacovo de Torres loro procuratore, affinché andasse in Catanzaro, o in altri luoghi, dove si trovava il detto dottor Marcello, per stipulare gli atti necessari e ricevere la detta seta.[xc]

25 ottobre 1621. Joannes Jacobo de Torres, Camillo Campana, Petro Paulo Serra, Joannes Baptista Callea, Ferdinando Cerasaro e Marcello Leusi, tutti di Policastro, eleggono loro procuratore lo U.J.D. Horatio Venturi degente in Napoli, affinchè consegni al dominus Julio de Sangro, ducati 250 “in tot sericum” prodotta in Policastro, al prezzo che sarà spuntato nella città di Cosenza “in festo Madalena” prima ventura.[xci]

9 settembre 1623. Serafino Cavarretta costituito nella sua casa posta dentro la terra di Policastro nel convicino di S.ta Maria “la grande”, rilasciava la propria quietanza, asserendo che, negli anni passati, aveva cambiato a Gio: Thomaso Callea di Policastro, in qualità di procuratore di Marcello Barracca, ducati 56 nella città di Reggio, relativamente ai quali, detto Gio: Thomaso si era obbligato assieme al quondam Salvatore Traijna di Policastro, di pagarli a detto Marcello Barracco. Relativamente a tale somma detto Gio: Thomaso aveva consegnato a detto Serafino “libre di seta tridici, et unze due”, conformemente al valore di detta seta “alla voce della matalena di Cosenza di detto anno”. Il “complim.to” per raggiungere la somma di ducati 56, era stato pagato dal detto quondam Salvatore Traijna come “pleggio” di detto Gio: Thomaso a detto Serafino, insieme con gl’interessi della rimanente seta non consegnata. Tale denaro spettava a Stefano Capozza in qualità di cessionario di Lucretia Traijna, erede del detto quondam Salvatore, che poteva esigerlo dal detto Gio: Thomaso.[xcii]

21 dicembre 1625. In quest’atto che ripercorre una vicenda iniziata nel 1609, si evidenzia che, non essendo stata nelle condizioni di far fronte ai pagamenti fiscali nei confronti della regia corte, l’università di Policastro aveva preso in prestito da Jo: Dom.co Franco, complessivamente, ducati 1493, tareni 4 e carlini 1, che aveva speso “pro benefitio ditte Un(iversita)tis ac pro solutione tot fiscalium”, come appariva dalle relative “apocas bancalibus”, impegnandosi a consegnargli il primo di luglio prossimo venturo “tanta seta bona, et recittibile”, “non vitiata”, “et bona Conditionata”, corrispondente a detta somma, pagandola alla voce della Maddalena di Cosenza, e “scomputandola un carlino de più per la megliorezza della sita di questa terra a quella di Cosenza”. Detta seta era stata venduta alla ragione di carlini 22 la libra.[xciii]

26 giugno 1629. Laurentio Ceraldo serviente della regia curia di Policastro, in vigore dell’obbligazione incusata contro Isabella Curto e Laurentio de Maijda per ducati 12, aveva fatto escuzione della loro vigna posta nel territorio di Policastro loco “la chianetta”. Attaverso tale obbligazione del 31 gennaio 1625, i detti Laurentio ed Isabella si erano obbligati a consegnare a Gio: Serrano, “al patello primo” ed alla voce della Madalena di Cosenza, tanta seta per i ducati 12 che avevano ricevuto in moneta da detto Gio: Serrano.[xciv]

22 settembre 1629. Nel corso dell’anno passato lo U.J.D. Horatio Venturi di Policastro, aveva preso in prestito da Joannes Thoma Tronga di Policastro ducati 500, “per tanta seta Conforme valera alla voce della matalena di Cosenza prossima passata”. Considerato che “la voce della matalena fu posta per decreto a rag.ne di Carlini 14 la libra meno un quarto”, e considerato l’ammontare del detto capitale comprensivo dell’interesse maturato fino ad oggi, il debito del detto Horatio ascendeva alla somma di ducati 640, dedotta la ragione di grana 15 per libra “servata la forma del deCreto della Reverendiss.a Corte Archiviscovale”. In relazione a tale debito, il detto Horatio cedeva a detto Joannes Thoma il territorio posto nel territorio di Policastro detto “Camporaso”, con il patto che, per tutto agosto 1630, il frutto maturando nel detto territorio che si trovava “maijsato”, sarebbe andato in beneficio di detto Horatio, che avrebbe corrisposto a detto Joannes Thoma ducati 64. Si pattuiva inoltre che, appena detto Horatio avesse saldato il suo debito di ducati 640, avrebbe potuto riprendersi il detto territorio. Il detto Horatio rinunciava ad ogni beneficio di legge ed espressamente al “privileggio di cittatino Napolitano”.[xcv]

3 febbraio 1630. In occasione del testamento di Caterina Jerardo “seu petua”, vedova del quondam Vangelistro Condo, la testatrice dichiarava che doveva ricevere da Innocentia Mannarino carlini 21e ½ “per tanta seta vendutali”.[xcvi]

24 marzo 1630. In occasione del testamento di Joannes Zagaria di Policastro, il testatore dichiarava che era debitore nei confronti di Gioseppe de Luca per carlini 25, dichiarando che detto Gioseppe deteneva “onze” 6 “di seta” sopra detti carlini 25.[xcvii]

15 aprile 1630. Nel passato, per provvedere ai pagamenti dovuti nei confronti della regia corte e dell’università di Policastro, avendo incantato la riscossione dei pagamenti fiscali, Livio Zurlo di Policastro aveva ottenuto il prestito del denaro necessario “pro seta”, alla voce della Matalena di Cosenza “et accambio da più persone”, convenendo con Gio: Thomaso Cepale e Gio: Vittorio Accetta, di cedere loro “detta quarta parte di fiscali” per ducati 980, che avrebbe pagati in questo modo: ducati 550 “in seta”, da computare alla voce della Matalena per tutto il prossimo mese di luglio; seta che doveva essere della “pp.a che si lavora in detta Citta bona, et non vagnata senza malafri”. Il restante lo avrebbe saldato in denaro in occasione della fiera di Molerà. Gio: Alfonso Cerasaro aveva ottenuto dal detto Livio un’altra quarta parte. Il detto Livio dichiarava che tra le “partite di seta” pigliate, vi era quella di ducati 300 presa da Salvatore Cirentia nella terra di Mesoraca.[xcviii]

16 ottobre 1639. Nei mesi passati, il dottor Mutio Giordano di Policastro aveva ricevuto dal dottor Valerio de Filippi ducati 450 “per seta Conforme la voce di Cosenza”, di cui ducati 230 spettavano al Sig.r D. Horatio Sersale, mentre i restati 220 a detto D.r Mutio. Tale denaro era quello dovuto dal detto dottor Valerio, in relazione alla seta che il detto Sig.r D. Horatio Sersale aveva provveduto a fargli consegnare, tanto per proprio conto che per quello del detto D.r Mutio.[xcix]

29 marzo 1649. Nei mesi passati i fratelli Cl.co Fulvio, Cl.co Gio: Dom.co, Gio: Fran.co e Gio: Vincenso Riccio, di Policastro, avevano mosso lite contro Catarina de Pace, nella “Corte Seculare” di Policastro, per i molti debiti che il quondam Gerolimo, padre di detta Catarina, aveva nei confronti della quondam Livia loro madre, per “tanta seta” alla ragione di Carlini 15 la libra, oltre ad altre partite di danari.[c]

21 marzo 1654. Davanti al notaro comparivano Gio: Tomaso de Pace di Policastro e Gio: Battista Callea. Il detto Gio: Tomaso dichiarava che, l’anno passato, insieme con Fran.co Maria Caivano e Pietro Curto di Policastro, si era impegnato a consegnare a Gio: Battista Callea ed al R. D. Parise Ganguzza, “nel di della Madalena” del 1653, “tanta seta, q.to importavano” ducati 250, impegnadosi a scomputarli alla “voce” che si poneva nella “fera di S.to Vittorio de Cutro” dell’anno 1653. Dato che i detti Gio: Tomaso e Fran.co Maria non avevano consegnato detta seta nel tempo stabilito e neanche successivamente, il detto Gio: Battista era ricorso alla Regia Udienza, incusando la cautela per la somma di ducati 123 ed ottenendo lettera esecutiva mediante la quale era stata fatta esecuzione di alcuni beni di detto Gio: Tomaso.[ci]

Sigillo di Mutio Giordano di Policastro, raffigurante una palma e le acque del fiume Giordano.

La gabella

Essendo tra le attività economiche più importanti praticate in Calabria, la seta era tassata dallo stato attraverso l’imposizione di una gabella a carico dei produttori. L’undici luglio 1426, papa Martino V confermava al “nobilis vir Nicolaus Ruffus Marchio Cotronis” i propri possessi, tra cui: “nec non Cabellam sete predicte civitatis Catanzarii et aliorum locorum eidem marchioni iam dudum per Carolum iij Bonamemorie concessas et Concessa Ac ladizlaum eiusdem regine germanum sucessive Jherusalem et sicilie dive memorie reges confirmatas et confirmata”,[cii] mentre l’otto luglio 1443, nel Castello Capuano di Napoli, re Alfonso de Aragona confermava e riconcedeva, sub feudale servizio, “seu Adoha”, al mag.co Nicolao Antonio Zurulo di Napoli, consigliere e fedele nostro, la gabella della seta della città di Cosenza e casali, e di ogni altra terra e luogo del Ducato di Calabria, che i suoi predecessori avevano posseduto e che lui stesso al presente possedeva, già concessagli dall’accampamento contro Napoli il 7 dicembre 1441.[ciii]

In occasione dei lavori di fortificazione riguardanti il castello e la città di Crotone, avviati al tempo di Carlo V, le nuove opere furono finanziate dalla regia corte in larga parte (dall’aprile 1541 all’ottobre 1543, il 78% della spesa), con le entrate provenienti della gabella della seta in Calabria, nuovamente imposta per l’occasione.[civ] A questo titolo, il 31 gennaio 1543, l’università di Policastro, in parte di quanto le era dovuto, pagava alla regia corte 161 ducati: “Pone havere receputo dali ditti de Caval.te per mano de Anto.no de Clasedonte de policastro docati cento sesanta uno et sonno in parte de la gabella de la sita in posta per ditta R.ia fabrica appare per cautela fatta per mano de notario Antonino Xillano d. 0161.0.0.”[cv]

Normalmente la gabella della seta era posta all’incanto ed affittata (“arrendata”) al migliore offerente. Il 19 febbraio 1565, il regio tesoriere riceveva ducati 441 dal M.co Camillo de Diano, per mano del m.co Mario Barone, pagati per ordine della Regia Camera della Sommaria “per haverse trovato debitore in l’administ.e de larre.to de le sete e Zaffarane”. Si annota la cautela del 27 settembre 1564 relativa al “man.to exigendi a m.co Camillo de diano perceptore cabelle sirici in civj.te regii” per ducati 441 tari 3 e grana 5 5/12, essendo risultato debitore “In computo dato per m.cus simone lottj florentinum m.co martio marzato olim arren.ri sirici et Zaffarane huius Regni”, relativo all’amministrazione fatta in nome di detto Simone dal detto Martio “in provintiis Calab.e”.[cvi]

Alla metà del Seicento l’università di Policastro esigeva il pagamento di 1 carlino per ogni libra di seta prodotta,[cvii] entrata di cui il sindaco era garante nei confronti del fisco. Nel bilancio dell’università dell’anno 1647, troviamo che “il Cassiere di Policastro deve avere D.i 1316 t. 4 e gr. 10 per l’apprezzo universale di quell’anno; di più D.i 117 per storno della contropartita della promissione dei soldati perché, essendo l’Università in attrasso per il pagamento di più annualità, la R. Corte ha ordinato che non si paghi; D.i 20 son dovuti per il discarico della seta che, sebbene è a carico del Sindaco, questi deve essere bonificato in proporzione dai cittadini che industriano in seta”.[cviii]

Note

[i] D’Amato V., Memorie Historiche di Catanzaro, 1670, p. 19. Il D’Amato pone l’introduzione dell’arte della seta in Catanzaro nel 1072 e subito a seguire, nel 1073, la chiamata degli Ebrei nella città: “E perché sin dal tempo di Giustiniano Imperadore d’Oriente erasi in Costantinopoli l’uso di far la seta introdotto per via di due Monaci stati in India, ove dicono haver havuto origine questo mestiere, benche prima per la comunicatione s’haveva con le genti Orientali sapevasi il modo benissimo di nutrir il Verme della Seta, le continue turbolenze della Calabria non havevano permesso la pianta degli Alberi necessari al nutrimento di quello: Hora godendo Catanzaro una perfettissima quiete, diedesi alla cultura delle piante sudette, appellate Celsi, ò come altri dicono Mori, e col beneficio dell’acque, che l’irrigavano, crebbero in breve: con le foglie poi delle quali cominciossi à nutrir il Verme; indi dà gusci del detto à cavar nell’acqua bollente la seta”. Ibidem, pp. 17-18.

[ii] 14 agosto 1386, Tra i legati esistenti nel testamento del “nobilis et Egregii viri Simeonis de Bondelmontibus de flor.a”, stipulato il 14 agosto 1386 nel castello di Policastro, troviamo quello di “uncias quatuor pro emendis funichellis pro faciendus setam”, fatto in favore di Simeone della terra di Cirò. ASFI, Pergamene Normali; cod. id. 00078061 Segnatura antica (su cartellino) 1386 Agosto 14. Rinuccini. Regesto in tomo 85 carta 52 V.

[iii] Sisca D., Petilia Policastro, 1964 rist. 1996, p. 133 che cita: Decretum del Collaterale 1614-1638. Decr. 10 comitis de Lemnos iunioris 1616 fol. 28.

[iv] Sisca D., Petilia Policastro, 1964, rist. 1996, pp. 167-180.

[v] Sisca D., Petilia Policastro, 1964 rist. 1996, p. 321 che cita: Sacco AB. O. Francesco, Dizionario Geografico disico del Regno di Napoli, V. Faluto, Napoli 1796, pag. 111.

[vi] “Nel 1673 cominciò a non poter pagare il conto come sopra perché in quell’anno vi fu una moria di 790 persone. (…). per riscuotere il debito vengono ogni tre anni i regi Commissari e, non trovando beni comuni, si riversano sulle entrate personali e sequestrano tutta la seta che si produce in paese, portano via il bestiame che trovano in campagna; di conseguenza nell’anno in cui debbono venire i detti Commissari, restano sospesi i negozi, il popolo si ribella e la misera gente è in preda a paura e dolore.” Sisca D., Petilia Policastro, 1964 rist. 1996, p. 156.

[vii] AASS, Fondo Arcivescovile, volume 31A.

[viii] ASN, Fondo Notai del Seicento, Notaio Giuseppe de Vivo, scheda 714 prot. 18.

[ix] D’Amato V., Memorie Historiche di Catanzaro, 1670, pp. 18-19.

[x] A titolo di esempio. dicembre 1632. In occasione dell’inventario fatto nella casa del quondam Joannes Fran.co Schipano, furono trovati “quattro Cannizza di fare sirico di Carroijari”. ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 299, ff. 91v-92v. 26 giugno 1634. In occasione dell’inventario dei beni del quondam Paulo Varveri, fuono trovati tre “Cannizza di sirico” vecchie. ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 301, ff. 112v-114v. 3 novembre 1648. Nell’inventario fatto nella casa della quondam Vittoria Furesta, nel catoio furono trovati “octo cannizza incirca de sirico”. ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 875, ff. 96-98.

[xi] A titolo di esempio. 27 gennaio 1635. In occasione dell’inventario fatto nella casa del quondam Joannes Fran.co Costantio di Policastro, furono trovati alcuni “Cistuni di sirico”. ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 302, ff. 12v-14v. 8 luglio 1636. In occasione dell’inventario fatto nella casa del quondam Fabio Rotundo furono trovati “cistuni di sirico”. ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 303, ff. 73v-76.

[xii] A titolo di esempio. 15 febbraio 1638. Tra le robbe del quondam D. Gio: Fran.co Rocca di Policastro, inventariate dal suo tutore testamentario Gio: Antonio Costantio, risultano 22 libre di seta. ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 305, ff. 17v-20. 9 ottobre 1639. Nell’inventario dei beni appartenuti al quondam Joannes Serrano di Policastro, risultano “otto onze di seta bianca” e “una marrella di seta cruda di onze due”. ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 306, ff. 111-112v.

[xiii] Nell’inventario delle robbe del quondam Gio: Baptista Larosa, fatto il 25 ottobre 1611 nella sua casa posta dentro la terra di Policastro, nel convicino della chiesa di S.to Nicola “de platea”, risulta “Una Conca vecchie de sita”. ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 287, ff. 209-212v.

[xiv] 26 gennaio 1649. Nell’inventario fatto nella casa del quondam Giacinto Cavallo di Policastro, furono trovate sei libre di seta e “uno mangano di seta”. ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 876, ff. 13v-15.

[xv] 12 giugno 1634. In occasione della compilazione dell’inventario del quondam Luca Fran.co Tronga, nella sua casa fu trovato “uno pocu di Cucullo di filare”. ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 301, ff. 109v-112. 26 giugno 1634. In occasione dell’inventario dei beni del quondam Paulo Varveri, fuono trovati “tre quarti di Coculli”. Ibidem, ff. 112v-114v. In qualità di beni feudali, l’“Affitto del mangano, e Conca della seta d. 3.00”, si ritrova a Melissa nel bilancio del mag.co Gio: Dom.co Mazzei, erario di quella terra, relativo al periodo dal primo settembre 1737 per tutto agosto 1738. ASN, Archivio Ferrara Pignatelli, fasc. 15, inc. 5 f. 1v.

[xvi] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 292, f. 72.

[xvii] “Nel 1308 la gabella della tintoria fu data in affitto a Mataluso Giudeo per l’annuo canone d’otto tarì.” Dito O., La Storia Calabrese e la Dimora degli Ebrei in Calabria, 1967, p. 169.

[xviii] 6 novembre 1443, Sulmona. Re Alfonso conferma al milite Nicholao de Leofante, regio camerario, la concessione in feudo della “Cabella de mortafa”, ovvero della “Cabellam seu jus vulgariter dictum lo mortafa que seu quod colligitur et levatur seu colligi et levari debet pro nobis et nostra Curia a judeis residentibus in ducatu Calabrie”. ACA, Cancillería, Reg. 2909, ff. 64v-66r.

[xix] Colafemmina C., The Jews in Calabria, 2012, pp. 231-232, n. 157.

[xx] “Et passato lo d(ic)to t(em)po no siano tenuti de pagare si no tari sey per mortofa como era per lo tempo Antiquo Et cossi Ancora che nullo conmissario che venesse da parte de la v(ost)ra maiesta no li possa constringere ad nullo Alt.o pagamento. Placet Regie ma.ti t.actare d(ic)tos judeos ut aliorum terrarum demanialium.” ACA, Cancillería, Reg. 2904, ff. 185v.

Nella toponomastica attuale di Petilia Policastro, troviamo “Vico Tintori” senza collegamento con la Giudecca medievale.

[xxi] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 295, ff. 59-60; Busta 79 prot. 297, ff. 160-161; Busta 80 prot. 301, ff. 98v-99v.

[xxii] Si vedano ad esempio: ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 288, ff. 50v-51v; Busta 79 prot. 296, ff. 138-142v; prot. 297, ff. 51v e 56; Busta 80 prot. 305, ff. 23-24, ff. 24-25 e ff. 34-35. 16 luglio 1639. “sicomis vulgo Celsi di frondi di sirichi”. ASCZ, Notaio Biondi G. F., 1639, Busta 654, f. 39.

[xxiii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 295, ff. 115-116v.

[xxiv] Fiore G., Della Calabria Illustrata, tomo I, 1691, Ed. Rubettino, p. 540.

[xxv] Richard de Saint-Non J. C., Viaggio Pittoresco, Rubbettino ed., pp. 53-54.

[xxvi] Richard de Saint-Non J. C., Viaggio Pittoresco, Rubbettino ed., p. 60.

[xxvii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 293, ff. 14-14v.

[xxviii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 291, ff. 67-68.

[xxix] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 298, ff. 88-90.

[xxx] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 290, ff. 136v-13; Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 879, ff. 124-126; Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 295, ff. 40v-54.

[xxxi] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 298, ff. 4-5; Busta 80 prot. 305, ff. 23-24 e ff. 24-25.

[xxxii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 307, ff. 48v-50.

[xxxiii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 287, ff. 89v-90; Busta 78 prot. 292, ff. 49-49v; Busta 79 prot. 295, ff. 81v-82v.

[xxxiv] ASCZ, Notaio Ignoto Policastro, Busta 81, ff. 37-40.

[xxxv] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 298, ff. 23-24v.

[xxxvi] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 289, ff. 3v-4v.

[xxxvii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 286, ff. 152-152v.

[xxxviii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 298, ff. 23-24v.

[xxxix] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 287, ff. 9-10v; Busta 79 prot. 296, ff. 138-142v.

[xl] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 297, ff. 104v.

[xli] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 287, ff. 37v-39; Busta 80 prot. 305, ff. 63-63v.

[xlii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 287, ff. 58-59.

[xliii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 288, ff. 50v-51v.

[xliv] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 297, ff. 51v e 56.

[xlv] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 305, ff. 34-35.

[xlvi] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 287, ff. 183-184.

[xlvii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 290, ff. 54-56.

[xlviii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 293, ff. 14-14v; Busta 79 prot. 295 ff. 13v-14v.

[xlix] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 298, ff. 4-5.

[l] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 295, ff. 40v-54.

[li] Una “troppa di Celso” posta nel loco detto “lo ringo”, confine i beni “seu ortale” del notar Francesco Accetta, i “Celsi” degli eredi del q.m Costantino Calendino “con la solita entrada della parte della Conicella di detto Ringo Cioe tra detti notar fran.co, et Costantino”. ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 295, ff. 81v-82v. Una “troppata” di gelsi posta nel loco detto “lo ringo”, confine i gelsi di Costantino Calandino ed altri fini. ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 292, ff. 49-49v.

[lii] Le “porghe di sotto le mura di s.ta Maria della grande”. ASCZ, Notaio Ignoto Policastro, Busta 81 ff. 37-40. “porghe seu Celsi”. ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 306, ff. 54-55.

[liii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 287, ff. 89v-90.

[liv] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 288, ff. 107-108.

[lv] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 297, ff. 92v-93.

[lvi] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 286, ff. 225v-226.

[lvii] AASS, Fondo Capitolare, cartella 6D, fasc. 4. La “cozza” era una misura di capacità che nel Vallo di Cosenza, corrispondeva a ¾ di oncia. Marcelli A., Produzione serica, cultura contadina e politiche di intervento pubblico in età contemporanea, Aracne Ed. Roma, 2013, p. 239.

[lviii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 286, ff. 98v-99v.

[lix] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 287, ff. 183-184.

[lx] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 291, ff. 102-103.

[lxi] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 294, ff. 5-6.

[lxii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 299, ff. 2v-4.

[lxiii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 300, ff. 46-47v.

[lxiv] ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 879, ff. 29-30.

[lxv] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 286, ff. 131-132.

[lxvi] ASCZ, Notaio Ignoto Policastro, Busta 81 ff. 27-28.

[lxvii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 289, ff. 29-30v.

[lxviii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 296, ff. 134v-135.

[lxix] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 296, ff. 135v-136.

[lxx] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 296, ff. 147v-148v.

[lxxi] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 297, ff. 183v-184v.

[lxxii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 298, ff. 63-63v.

[lxxiii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 301, ff. 134-135.

[lxxiv] Lo svolgimento della fiera della Maddalena di Cosenza nel mese di luglio, risale già ai tempi della regina Giovanna II, come evidenzia il suo privilegio del primo novembre 1416: “… forum seu mercatum francum sive nundine, quod seu que annis singulis celebrari consueverunt et celebrantur de mense Iulii, quod seu que dicuntur forum seu nundine sancte Marie Magdalene …”. Cancro M., Privilegii et Capitoli della Citta de Cosenza et soi Casali, concessi dalli Serenissimi Re de questo Regno de Napoli confirmati et di nuovo concessi per la Maiesta Cesarea et la Serenissima Maiesta del Re Philippo Nuostro Signore, Napoli 1557, f. 11v. Biblioteca del Senato, http://notes9.senato.it

[lxxv] Nella conferma dei privilegi, capitoli e grazie data in Roma da re Ludovico il 15 giugno 1422, si legge: “tempore fori magni Cosentie, quod dicitur de Santa Maria Magdalena, et durat diebus duodecim”. Privilegii et Capitoli della Citta de Cosenza et soi Casali, concessi dalli Serenissimi Re de questo Regno de Napoli confirmati et di nuovo concessi per la Maiesta Cesarea et la Serenissima Maieta del Re Philippo Nuostro Signore, Napoli 1557, f. 16v. Biblioteca del Senato, http://notes9.senato.it

[lxxvi] L’importanza della fiera di Cosenza nell’ambito di quelle del regno, durante il Medioevo, risulta già evidente nel gennaio 1234: “Sexte erunt Cusentie, et durabunt a festo beati Matthei usque ad festum beati Dyonisii.” Pertz G. H., Ryccardi de Sancto Germano Notarii Chronica, Hannoverae 1864, p. 123.

[lxxvii] Pesavento A., Il giorno della Maddalena a Crotone, www.archiviostoricocrotone.it

[lxxviii] Fiore G., Della Calabria Illustrata, II, p. 457. Terzi F., Cosenza Medioevo e Rinascimento, 2014, p. 273 n. 4.

[lxxix] 7 marzo 1537 X indizione, Cosenza. Il mag.co Alfonso Barracca, figlio nonché procuratore del mag.co domino Joannes Barracca di Cosenza, vende al R.do domino Joannes Ber.no de Tarsia della città di Cosenza, un viridario con due botteghe contigue e con certo terreno “seu maccla arborata arboribus siccomorum”, beni siti e posti nel “burgo” della città di Cosenza, loco detto “in Capo li revocati ubi fit forum magdalenae”, confinante con il “flumen basenti” e altri fini. ASCS, notaio Napoli di Macchia vol. 7-8, 1533-34, ff. 77-81v.

[lxxx] Rende P., Commercianti di panni “nobiles et ignobiles” nel Crotonese (sec. XVI-XVII), www.archiviostoricocrotone.it

[lxxxi] ASCS, notaio Napoli di Macchia vol. 13, 1540, ff. 75-75v.

[lxxxii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 287, ff. 66-66v.

[lxxxiii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 287, ff. 110-111.

[lxxxiv] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 288, ff. 9-11v.

[lxxxv] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 292 ff. 25v-26.

[lxxxvi] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 292, ff. 26-26v.

[lxxxvii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 292, ff. 43v-44.

[lxxxviii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 292, f. 72.

[lxxxix] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 293, ff. 13-13v.

[xc] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 293, ff. 50-51.

[xci] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 293, ff. 76v-77v.

[xcii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 294, ff. 107-107v.

[xciii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 295, ff. 171-181v.

[xciv] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 297, ff. 29-32.

[xcv] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 297, ff. 58v-59.

[xcvi] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 297, ff. 81v-82.

[xcvii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 297, ff. 94-95.

[xcviii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 297, ff. 100-100v e 103-104v.

[xcix] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 306, ff. 114v-115.

[c] ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 876, ff. 26-27v.

[ci] ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 879, ff. 30-32v.

[cii] ASV, Reg. Vat. Vol. 355, ff. 287-288.

[ciii] ACA, Cancillería, Reg. 2904, ff. 87v-88v.

[civ] 11 novembre 1543. Il mag.co Salvatore de Cavalcanti di Cosenza, “perceptor gen(er)alis R.ta Cabellae serici in provinciis Cal(a)br(iae) noviter imposite Per R.iam Curiam pro R.ia fabrica Civ.tis Crotoni” e il mag.co Thoma de Cavalcanti “eius College in dicta Cabella deputati”. ASCS, notaio Napoli di Macchia vol. 16, 1543, ff. 49-49v.

[cv] ASN, Dipendenze della Sommaria, Fs. 196 fslo 6, f. 6v.

[cvi] ASN, Tesorieri e Percettori vol. 4087 (ex 485), Conto di Turino Ravaschiero (a. 1564-1565) I-II, f. 288v e f. 361.

[cvii] 3 dicembre 1645. ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 804, ff. 181-185v.

[cviii] Sisca D., Petilia Policastro, 1964 rist. 1996, pp. 153-155.


Creato il 23 Gennaio 2025. Ultima modifica: 23 Gennaio 2025.

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