La presenza del cervo e dell’orso in provincia di Crotone

Cervo

La presenza del cervo in epoca storica, non solo nel territorio provinciale di Crotone ma anche nell’intera regione calabrese, è messa in dubbio da Armando Lucifero. Il nobile crotonese all’inizio del Novecento dopo aver affermato, che “questo ruminante non abitò mai la nostra regione nell’epoca storica, e possiamo soltanto annoverarlo fossile”, avanza anche l’ipotesi che i pochi “avanzi fossili, cui il maggior numero è rappresentato da oggetti d’uso di popoli preistorici”, potessero essere stati trasportati in Calabria da altre regioni (1).
Di diverso parere è Gabriele Barrio, storico piuttosto controverso e non sempre ben informato, il quale afferma con certezza che tra la selvaggina, che abbondava nei boschi della Calabria alla metà del Cinquecento, vi era ancora il cervo. Nella sua opera infatti si legge: “Venatio ibi et aucupium nobiles sunt et variae, nam multigenae quadrupedes stabulantur, et alites nidificant, ut apri, cervi, capreae, lepores, vulpes, lynces, lutrae, sciuri, martes, meles, viverrae, istrices, herinacei, testudines, tum aquaticae, tum terrestres, glires” (2). Per altri scrittori questa affermazione, almeno per l’altopiano silano, era da prendere con il dubbio della verifica, mentre per quanto riguardava la presenza stanziale del cervo nell’area boschiva nel Pollino, era data per sicura fino a pochi decenni fa (3).

Un animale mitologico
Fin dall’antichità il cervo fu oggetto di culto. Per i suoi palchi di corna, che in primavera si rinnovano, fu considerato il simbolo della vita che di continuo risorge e si rinvigorisce. Anche per tale motivo fu spesso associato al culto solare e le sue corna assimilate ai raggi. Per la mitezza, dolcezza, forza, agilità e maestosità compare spesso in araldica come simbolo di nobiltà. Nel Medioevo era la preda più ambita dai cacciatori e la sua caccia fu esclusivamente un privilegio riservato all’aristocrazia, che la esercitava al pari di un combattimento bellico con lunghi inseguimenti a cavallo ed utilizzando a seconda del tempo i cani, l’arco, la balestra e le reti. Per le sue qualità e perché ritenuto nemico dei serpenti velenosi e quindi anche del peccato, il cervo fu assunto a simbolo positivo dal Cristianesimo, che lo assimilò all’immagine del Cristo perseguitato ingiustamente, come bene evidenzia l’episodio di Sant’Eustachio. Per tutte queste ragioni durante l’antichità ed il Medioevo fu tra gli animali selvatici quello più caro agli dei ed ai santi e fu spesso oggetto di protezione contro la spietata caccia esercitata dagli aristocratici e dalle popolazioni affamate, che lo cacciavano di frodo, in quanto garantiva un considerevole apporto di carne.
Di tale problematica ne abbiamo chiaro esempio nella leggenda riguardante il fiume Esaro. Il fiume, che attraversava la città greca di Kroton, secondo una leggenda doveva il suo nome ad un cacciatore che vi era affogato. Il fatto è così tramandato dal Nola Molise, che lo riprende da fonti greche: “Esaro essere talmente detto da un cacciatore nominato Esaro, il quale andando in questi luoghi cacciando appresso una Cerva, cascò dentro questo fiume, annegandosi, perilche il Fiume dal cacciatore prese tal nome” (4). Secondo questa spiegazione mitologica il cacciatore era stato punito in quanto voleva uccidere una cerva, un animale protetto da Artemide. La dea greca della natura e della caccia, spesso rappresentata attorniata da ninfe, che scorre per i boschi su un carro tirato da cerve, munita di arco ed di frecce, ed alla quale erano sacri i fiumi e le fonti, aveva un forte legame di protezione con la cerva e perciò era intervenuta, punendo l’attentatore.

Reperti
All’inizio del Novecento tra i cinque reperti fossili pertinenti al cervo, che si conservavano in Calabria, il Lucifero ne enumera uno in suo possesso che così descrive: “un palco di corno (di cervo comune), oggetto di dubbia determinazione intorno al suo uso, scoperto a poca distanza da Cotrone, ad un metro o poco più di profondità in un terreno scassantesi per vigneto di pertinenza dei signori Morelli, e dal compianto cav. Gaetano gentilmente donatomi” (5). La presenza del cervo in età neolitica nel territorio di Crotone è stata anche di recente accertata e documentata in maniera scientifica.
Dall’analisi dei resti della fauna di un sito archeologico, risalente al medio ed al tardo periodo neolitico, circa 4000 a.C., esistente in località Capo Alfieri, in territorio di Crotone, tra gli animali selvatici sono stati trovati oltre al lupo ed alla volpe anche resti di “Cervus Elephus, Linn” (cervo rosso) (6). Un utensile in osso di cervo d’epoca magnogreca, utilizzato forse per incidere il rame, è conservato tra i reperti del museo archeologico di Crotone. La presenza del cervo e dell’orso in periodo greco – romano sembra inoltre convalidata dal ritrovamento in territorio crotonese d’alcuni frammenti di un piccolo altare (arula) fittile, depositati nel museo di Crotone, che mostrano lotte tra animali e precisamente scene di cervi assaliti da orsi. E’ evidente che l’artigiano per poter raffigurare così bene i due animali selvatici, doveva averne diretta conoscenza. Questa proveniva dalla presenza dei due animali nei vicini boschi.

La toponomastica
La toponomastica ci mostra ancora oggi, che nei tempi antichi il cervo e l’orso popolavano i boschi di Calabria.
Numerosi toponimi, che richiamano la loro esistenza, costellano il territorio calabrese, specie la sua parte più montuosa, impenetrabile e forestale. Essi sono l’indice più sicuro per dimostrare come l’ambito, in cui questi due animali erano presenti, è stato anticamente molto vasto, ma che in età storica si è andato restringendo ad aree forestali ristrette, difficilmente penetrabili dall’uomo, il più pericoloso predatore. Limitando la nostra ricerca toponomastica alla Sila ed alla Presila, troviamo in Sila i toponimi: “Cervo”, detto anche “Timpone del cervo”, e “Serra dei Cervi” in località “Macchia Sacra” ( Botte Donato), “Cervonello” e “Cerviolo” presso il monte “Pettinascura”, Cervinolo affluente del fiume Lese, “Campo de’ Cervi” (7), ecc. e “Orsara” vicino al bosco di Tafuri presso Parenti, Serra d’Orso vicino Cozzo Cacanella (Conflenti) ed Ursara presso Rossano (8). Nella presila, non molto lontano dal territorio provinciale crotonese, abbiamo il comune di Cerva, un abitato ripopolato nel 1716 (9) e la località “Ursiello” in territorio di Sersale.
Toponimi riguardanti l’orso ed il cervo sono presenti anche nel territorio della provincia di Crotone: la località detta “Macchia dell’Orso” è in territorio di Mesoraca; “Manca del Cervo” in quello di Petilia Policastro e “Cervinello” in territorio di Cotronei, tutte e tre le località sono situate presso la folta foresta del monte Gariglione. Nel passato i toponimi riferiti al cervo e all’orso in territorio crotonese dovevano essere più numerosi, come documenta un antico documento, che descrive i confini della terra di Mesoraca, allegato ad un atto notarile dell’inizio del Seicento. Si legge: “… Et feriunt ad vallonem qui dicitur Caput Albi et ascendunt per ipsum vallonem ad crucem viam S. Mariae de Monte et per ipsam viam publicam ascendunt ad petram, que dicitur de Cervo deinde descendunt vallonem de Cervo ad flumen Croque et ascendunt per ipsum …” (10).

Documentazione agiografica e storica
Pur non avendo a disposizione molte fonti, possiamo affermare la presenza del cervo e dell’orso in Calabria durante l’alto medioevo. Convalida questa nostra certezza alcuni episodi tratti dalla vita di santi vissuti nell’evo bizantino e precisamente negli ultimi secoli del primo millennio. Anche se gli scritti agiografici, che li riguardano, sono stati compilati dopo la loro morte e con lo scopo di un uso liturgico e panegirico, essi ci offrono utili elementi, che ci permettono di penetrare una realtà così sconosciuta. E’ questo un periodo storico in cui le comunità eremitiche calabro-greche cominciano a colonizzare le folte ed estesissime aree boschive, che attorniano i loro piccoli e modesti cenobi. In quest’opera di utilizzo delle risorse naturali e di dissodamento e di messa a coltura di piccoli suoli, che sono tolti alla selva, essi entrano in contatto con gli animali selvatici. La convivenza risulta spesso difficile, anche se non trascende mai nello scontro cruento. Nel bios di Sant’Elia Speleota, detto anche Sant’Elia di Reggio o “Lo Speleota”, è narrato un avvenimento che ha per protagonista un’orsa. L’animale veniva saltuariamente a rubare il miele, che i monaci della spelonca di Melicuccà producevano con il loro lavoro quotidiano. I furti proseguirono finché un giorno il santo affrontò l’animale e lo rimproverò aspramente, minacciandolo di incorrere nell’ira di Dio, in quanto toglieva il vitto a monaci, che erano sotto protezione divina (11). Un episodio simile, anche se con protagonisti diversi, si trova nella vita di San Nicodemo di Mammola. In questo caso i monaci avevano dissodato e messo a coltura un piccolo terreno adiacente al monastero di Cellarano. Poiché una cerva di continuo usciva dalla vicina selva e invadeva il seminato, vanificando il lavoro dei monaci, il santo l’affrontò agitando un bastone e da allora l’animale non comparve più (12).
Per quanto riguarda l’orso non abbiamo alcun documento che ci permetta di affermare la sua presenza sul territorio crotonese in età medievale; considerazioni diverse valgono per il cervo.
Dall’analisi di un’esigua, ma sufficiente, documentazione possiamo affermare, che la presenza del cervo nel territorio provinciale di Crotone proseguì fino alla fine del Medioevo. L’animale non solo era frequente nella presila ma anche nelle foreste e nei boschi della pianura e presso la marina.
Nei privilegi della chiesa di Isola concessi, o confermati, al vescovo isolano Luca dal re di Sicilia Ruggero II verso la metà del Dodicesimo secolo, troviamo che il presule aveva diritto “etiam pellium decimas, venatorum, cerborum porcorum, carnium capreorum vulpium pellium silvestrium”. Il documento giunto a noi in copia cinquecentesca fa esplicito riferimento ad animali selvatici esistenti nella foresta regia in territorio di Isola, tra i quali sono chiaramente richiamati i cervi (13). Un documento più tardo, ma certamente nella sua prima forma compilato prima dell’introduzione delle armi da fuoco, perché fa riferimento a forme di caccia per mezzo di reti e di balestre, ci informa dei diritti che aveva il feudatario di Crucoli sugli animali cacciati sul territorio sotto la sua giurisdizione. Nelle consuetudini di Crucoli, stese nel Medioevo ed in seguito in parte modificate, si legge: “Che nella caccia de’ palombi, tortore, ed uccelli la Marchesal Corte riceveva una porzione come compagno in tutti i diversi siti che si cacciava. Egualmente doveva avere un quarto tanto di cinghiali che di caprii, e cervi “e di ogni altra natura di bestiame selvaggi, che s’ammazzeranno colle balestre, o si pigliano con li rituni, o a caccia di cani. Dichiarandosi che se uno balestriere ammazza un giorno un porco o più, la Corte ci deve avere solamente un quarto” (14). Le consuetudini di Crucoli sono certamente antecedenti alla metà del Quattrocento, in quanto si fa esplicito riferimento alla gabella della quarta parte. Una richiesta di esenzione dalla gabella della quarta parte, che deve essere pagata al feudatario per ciascuna bestia selvatica uccisa dai cacciatori, è già presente nei privilegi chiesti dall’università di Tiriolo e concessi da Alfonso d’Aragona il 12 febbraio 1445 (15).
Una ulteriore testimonianza ci viene da un fatto bellico, che investì il marchesato di Crotone alla metà del Quattrocento. Il re di Napoli Alfonso d’Aragona, grande appassionato di caccia tanto da far recitare alcune messe in onore di Sant’Antonio di Padova per ottenere il rinvenimento di un suo cane disperso, nel dicembre 1444, mentre era accampato nelle terre del Marchesato per stroncare la ribellione del Centelles, ordinava di far comprare “ fino alla somma di ducati 200, filo di canapa per le reti necessarie alla caccia de’ cervi” (16).
E’ questo l’ultimo documento conosciuto che certifica la presenza del cervo in territorio crotonese.

La scomparsa del cervo
Durante il Medioevo l’animale fu più volte protetto dalla legislazione imperiale e regia. Un funzionario regio, il magistro forestario, fu incaricato di proteggere il patrimonio boschivo e di impedire l’esercizio della caccia ai piccoli dei daini e dei cervi durante i mesi primaverili (17).
L’uso delle armi da fuoco ed il ripopolamento della Sila e dei territori contermini determineranno in breve la scomparsa degli ultimi esemplari, almeno sul territorio crotonese e silano.

L’immagine del cervo
La presenza del cervo nel Crotonese, almeno nel Medioevo, non ha lasciato alcuna testimonianza iconografica. Nessuna statua, nessuna immagine e nessun oggetto di origine medievale sono conservati, o visibili, attualmente sia negli edifici pubblici che religiosi. Nessun riferimento al cervo esiste negli inventari presi in esame e redatti nell’area crotonese tra la fine del Cinquecento e del Seicento. Rare iconografie e riferimenti alla presenza del cervo sono riscontrabili nell’area silana e nella presila della provincia cosentina. Fa eccezione il mosaico conservato nella chiesa di Santa Maria del Patire di Rossano, parte dell’abazia greca, già esistente in età normanna. Il ricco e monumentale complesso monastico era situato alle falde della Sila in diocesi di Rossano e nei pressi di una folta foresta. Ancora oggi davanti alla porta di nord della chiesa troviamo rappresentato in una forma circolare inquadrata su fondo bianco la figura di un cervo a testa bassa. L’animale è formato da tessere musive rossastre (sec. XIII ?) ed accanto ad esso in un’altra forma identica c’è un centauro, simbolo della violenza selvaggia e della caccia. Il centauro tende l’arco con la freccia che andrà a colpire il vicino cervo, rappresentato già in forma cadente. L’insieme ha una forte valenza religiosa e di condanna dell’attività venatoria distruttiva della natura, rappresentando da una parte il cavaliere – cacciatore simbolo dell’aristocrazia, che distrugge la natura, dall’altra il cervo, simbolo della vita che patisce e si rinnova, ossia l’immagine del Cristo e del santo. Sempre dall’area rossanese ci viene il racconto miracoloso che ha per protagonisti dei cacciatori ed una cerva. L’episodio, così come lo racconta Giovanni Fiore, è collocato nel tardo medioevo (fine Trecento?). Esso narra d’alcuni cacciatori di Rossano che, trovandosi nel territorio detto di Gadella, inseguirono una bellissima cerva, che li condusse dentro una piccola e stretta grotta, che si apriva in una rupe. I cacciatori vi entrarono, ma invece della cerva trovarono una tavoletta con l’immagine della Vergine, che portarono a Rossano. Il racconto prosegue con altri episodi miracolosi, che daranno luogo e fondamento sacro alla costruzione della chiesa- santuario di Santa Maria delle Armi nei pressi della grotta (18). Un riferimento ad un fatto miracoloso simile, legato alla presenza dei cervi, è anche richiamato nella fondazione dell’abbazia cistercense di Santa Maria del Sagittario, situata in territorio di Chiaromonte, diocesi di Anglona, sul versante del Pollino verso la Basilicata. La leggenda narra che un cacciatore (il sagittario), che si era inoltrato nella folta ed impenetrabile selva a caccia di cervi, volendo trafiggere l’animale, non tenendo in alcuna considerazione la protezione di Sant’Eustachio, scagliò la freccia. Il dardo tuttavia non si diresse verso l’animale, anzi ritornò al cacciatore, colpendolo senza però ferirlo. Allora il cacciatore vide nel luogo un’immagine della Beatissima Vergine, eretta presso le radici di un castagno. Avuta questa visione, il cacciatore ne informò il vescovo di Anglona, il quale si recò con il clero sul luogo dell’apparizione e dette ordine di erigere una chiesa dedicata alla Vergine (19).

Note

1. Lucifero A., Mammalia Calabra, Chiaravalle C. 1983, Rist., pp. 140 –141.
2. Barrius G., De Antiquitate et situ Calabriae, Roma 1737, p. 43.
3. Mirabelli P., Guida naturalistica della Calabria, Cosenza 1989, p. 49.
4. Nola Molise G.B., Cronica cit., pp. 56 -57.
5. Lucifero A., Mammalia cit., p. 141.
6. Scali G., The faunal remains from the Neolithic site of Capo Alfiere, in The Chora of Croton. 1983 -1989, The University of Texas at Austin, p. 28.
7. Valente G., La Sila dalla transazione alla riforma (1687 -1950), Rossano 1990, pp. 56 sgg..
8. Rohlfs G., Dizionario toponomastico e onomastico della Calabria, Longo Ed. 1974, p. 407.
9. Rel. Lim. Bellicastren., 1758.
10. ANC. 158, 1634, 71, Arch. Stat. CZ.
11. Misasi G., Lo Speleota ovvero S. Elia di Reggio Calabria, Napoli 1893, p. 117; Russo F., Storia della chiesa in Calabria, Rubbettino 1982, p. 251.
12. Saletta V., Vita inedita di S. Nicodemo di Calabria, Roma 1964, p. 102; Russo F., Storia cit., p. 252.
13. Processo Grosso cit, f. 420v, Arch. Vesc. Crotone.
14. Pugliese G. F., Descrizione ed istorica narrazione dell’origine, e vicende politico-economiche di Cirò, Napoli 1849, Vol. II, p. 261.
15. Montuoro D. – Gargano F., Un privilegio di Alfonso V d’Aragona all’università di Tiriolo (12 febbraio 1445), in Rogerius n. 2, 2000.
16. Minieri Riccio C., Alcuni fatti di Alfonso I di Aragona. Dal 15 aprile 1437 al 31 maggio 1458, ASPN, a. VI, fasc. II, pp. 242, 247.
17. Reg. Ang., XI, 140 –141.
18. Fiore G., Della Calabria Illustrata, Vol. II, Rist. pp. 430 –431.
19. “ quidam venator … intendens emittere sagittam in cervuum, velut alter Eustachius a cervo monitus et cervi monitione perterritus dum ea, quam emiserat sagitta ad se ipsum regressa est absque laesione tangens eum, illico prospexit imaginem beatissimae Virginis, prope radices arboris castaneae erectam, qua prospecta visione, perrexit ad episcopum Anglonensem, qui cum clero illuc se conferens ecclesiam illic beatissimae Virgini dicandam aedificari eamque ordini vero nostro destinari sategit”, De Leo P., Certosini e Cistercensi nel Regno di Sicilia, Rubbettino Editore 1993, pp. 201 -202.


Creato il 9 Marzo 2015. Ultima modifica: 16 Aprile 2015.

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