I tempi della scomunica a Crotone e Isola

Giorgio Vasari, Scomunica di Federico II da parte di Gregorio IX (1572-73).

La pena ecclesiastica della scomunica, prevede la sanzione della esclusione dello scomunicato dalla vita ecclesiastica e dalla comunità dei fedeli, con tutto ciò che comporta di sanzioni nella vita sociale ed economica. Essa, oltre a negare tutto ciò che riguarda la sfera ecclesiastica, esentava i sudditi dal vincolo di fedeltà verso colui che era stato “fulminato” e isolato. Usata dapprima saltuariamente contro regnanti ed eretici, in seguito essa divenne un’arma usuale di massa, utilizzata dai vescovi contro feudatari e funzionari statali e locali e contro tutti coloro, che attentavano ai beni della chiesa e alla morale.

 

Il giorno di festa

Gli ufficiali del duca di Nocera, feudatario di Cutro, Rocca Bernarda, Santo Giovanni Minagò e Le Castella, catturano in un giorno di festa il ricercato Gio. Paolo de Bona in territorio di Le Castella, diocesi del vescovo di Isola, e lo portano nelle carceri di Cutro. Interviene il Rev.do Don Gio. Andrea Pirroni, arciprete e vicario di San Giovanni Minagò, il quale fa rompere le carceri e lo fa liberare, adducendo il fatto che era stato catturato in un giorno festivo. Il vicario inoltre scomunica gli ufficiali ed i ministri del duca.

“Ill.mo et ex.mo Sig.re Il Duca di Nocera supp.do fa intendere à V.E. che il vicario foranio di Cutro Arcipreite della Rocca ber.da et Motta de Santo Jo.e sue terre non permetteno che li soi offitiali Laici in giorni di festa possano fare carcerare alcuno per delitto ò debito et quando in tali casi li offitiali procedono ad carceratione, li detti Vicario et Arcipreite l’iscomunicano et non permetteno che la carceratione di delinquenti, ò debitori etiam suspetti di fuga si possi fare in giorni di festa, anzi il detto arcipreiti di san Jo.e havendo li giorni passati li ministri di esso supp.te carcerato un suo vaxallo fece scassare le carcere del detto Santo Jo.e et fece excarcerare il carcerato supp.ca percio V.E. resta servita provedere che per l’advenire non si facci questo notabile preiuditio alla Jurisdictione di sua M.ta et di esso supp.te che lo harà a gratia ut deus. Et si invece il zelo che le feste siano santificati e in noi il medesmo pero per quello che si pretende che voi non volete che si piglino carcerati li delinquenti, o debitori ad altri vi representamo che per quello che tocca alli delinquenti predetti quando fusse vero lo esposto non saria altro che volerli protegere et favorire, et dare occasione che se passegiassero, et che andassero inpuniti di loro dilitti in dispregio dela giustitia et dare occasione ad altri di delinquere, et dopoi in tempo di festa andarno securi, lo che quanto ai vostri superiori ecclesiastici se intendesse non mancaria a fare … tutti provisioni poiche non conviene che sotto il scudo dela Iurisditione ecc.a li delinquenti laici siano protetti et favoriti in prejud.o di quella di sua Mayesta et del iusto et honesto, essendo cosa notoria che in roma et in questa Città di Napoli et in tutti li altri lochi dela Cristianita si procede in detti dì di festa alla captura di detti delinquenti senza impedimento alcuno et per quello che tocca alla captura delli detti debitori ve dicemo che il zelo è buono pero in questo regno mai pratticato, et ne nasce che se daria incentivo alli debitori di non pagare, et a robbare alli creditori et cosi perseverare in peccato pertanto vi esortamo à che li sop.tti par.ci si osservi il solito mai innovato da tanti prelati che sono stati et non farceti il contrario per quanto desiderate far cosa alla p.tta Mayesta et a noi. La presente resti al presentante. Datum Neap. Die ultimo Januarii 1585.”[i]

La cattedrale di Crotone.

 

Il cappellano della chiesa di San Dionisio

In una lite tra il cappellano maggiore ed il vescovo di Crotone Carolo Catalano (1610-1622), il quale in base ad antichi diritti pretendeva di esercitare la cura delle anime, i sacramenti e la giurisdizione ecclesiastica dentro il castello di Crotone e di scegliere anche il cappellano, scelta che invece il cappellano maggiore contrastava ed attribuiva a sé come avveniva in tutti i castelli del Regno, è inquisito dalla curia vescovile il presbitero il R.do dottor D. Giovanni Pietro Borghesio UJD, canonico della chiesa cattedrale di Crotone e cappellano del regio castello di Crotone.[ii]

Il cappellano è accusato di aver rivelato il contenuto di una confessione e di altri delitti (“de revelatione confessionis ludo taxillorum et olearum et celebratione missarum cum candelis de …”). Sono chiamati per essere interrogati alcuni testimoni.

  1. “In p.s Interrogentur chi l’ha produtto per esaminarsi nella presente causa.
  2. Interrogentur se li son stati letti l’articoli, ò vero parlatoli da qualche persona, che si esaminassero, ò instrutti di quel che havessero da deponere.
  3. Interrogentur quanto tempo ha che non si sonno confessati, et communicati.
  4. Interrogentur si sonno stati alcuna volta excom.ti et perche causa, ò veram.te carcerati et di che delitto sonno stati inquisiti et in quale Corte et si ne sonno stati condennati o liberati.
  5. Interrogentur si sonno parenti, affini, compadri ò amici stretti del d.o D. Gio. Pietro, et di che grado di parentela et d’affinità sonno congiunti.
  6. Interrogentur se desiderano, ch’esso D. Gio. Pietro sia liberato della presente inquisitione.
  7. Interrogentur si conoscono a fran.co Lopes, Alois Crevera Gio. Battista Urso Jo.es Garsia dove li conoscono, che prattica hanno havuto insieme in che opisicone stanno li detti nel loro, dove li sono se no.
  8. Interrogentur si sanno ch’il d.o D. Gio. Pietro sia stato altre volte inquisito et di che causa, et si ne sia stato condannato o absoluto …”.[iii]

Arme di alcuni vescovi di Crotone (sec. XVII-XVIII).

 

L’immunità fiscale

L’otto giugno 1634 in Crotone nella piazza pubblica davanti al sedile, il regio capitano della città Antonio de Noriega y Salazar ed il regio giudice della città l’UJD Vito Magnisio, in presenza di molti cittadini, protestano in quanto sono venuti a conoscenza, che il vicario capitolare ha fatto affiggere un editto alle porte della chiesa cattedrale.

L’editto contiene un ordine di scomunica contro coloro, i quali hanno fatto esecuzione sopra i beni di alcuni clerici selvaggi. L’editto non solo colpisce il capitano ed il giudice, ma minaccia anche gli ufficiali, che hanno eseguito l’esecuzione. Preso atto della copia dell’editto, il regio capitano ed il giudice protestano e dichiarano che l’editto è ingiusto, nullo e sdegnoso di ogni legge canonica e civile, perciò ne chiedono la nullità, anche perché tale editto è stato emesso non rispettando la forma del decreto della Sacra Congregazione. Riguardo poi all’immunità dei clerici si fa presente che in detto editto si fa menzione di un certo Cola Noreta. Il Noreta è un pubblico “camizero” e resta tale e in nessun modo può essere confuso come un presunto clerico e se anche in passato lo fosse stato, il che non si crede, pubblicamente ha fatto molti atti di rinuncia e pubblicamente è stato ed è tenuto per mero laico; egli è stato sempre vestito da laico e “camizero”. Sono testimoni il sindaco Francesco Antonio Petrolillo ed i nobili Horatio Lucifaro, Mutio Lucifero, Pietro Suriano, Gioseppe Presterà, Francesco Lucifero Horatio Antinori e Fabritio Bernale.[iv]

 

Il cerimoniale della scomunica

L’uso dell’arma della scomunica contro gli avversari ebbe il suo apice alla metà del Seicento con il vescovo di Crotone Juan Pastor di nazionalità spagnola. Molti episodi ebbero per protagonista il vescovo, il quale anche da Roma, dove spesso si intratteneva, non mancava di intervenire nei fatti della città attraverso il suo economo e procuratore.

Il 18 dicembre 1643 il reverendo Paolo Nigro, parroco di Santa Margherita ed economo e procuratore del vescovo, affermò che Gio. Francesco Silla di Papanice, in qualità di procuratore di Giovanni Salamanca, cappellano maggiore del Regno, pretendeva di esigere una pensione di ducati 100 sulle entrate del vescovato di Crotone, che col tempo erano diventati ducati 450 in quanto il vescovo non voleva pagare. Il Salamanca aveva ottenuto un breve dal tribunale della Camera Apostolica per far sequestrare molti “effetti et animali” del vescovo, costringendolo così a saldare il debito.[v]

Il 5 febbraio 1657 Paolo Nigro economo del vescovo è in lite con alcuni coloni di Papanice, i quali nel novembre del 1656 avevano preso in affitto la gabella di San Biase ad uso di masseria per tre anni dalla mensa vescovile per tt.a 400 l’anno di grano. I coloni avevano cominciato a scippare e seminare; essendo arrivata la notizia delle clausole dell’affitto al vescovo, questi ne richiese tt.a 800. Perciò i coloni sono costretti a lasciare la gabella con tutto il seminato.[vi]

Il 15 marzo 1657 Paolo Nigro, procuratore del vescovo Juan Pastor, come da procura rogata in Roma il 30 aprile 1654, si reca con il regio giudice Julio Rayola nella casa dove abitava la defunta Donna Isabella Figaroa in parrocchia di Santa Margherita. Egli ha ricevuto una lettera dal vescovo, che gli ordina di andare assieme al giudice nella casa della Figaroa per fare l’inventario dei beni lasciati dalla defunta, in quanto gli appartengono come suo donatario “irevoc. inter vivos” et per altre giuste cause conforme appare per pubbliche scritture. Finito l’inventario della casa e del magazzino il Nigro ed il giudice si recano nella bottega di Leonardo Vetero ed anche qui fanno l’inventario. Alla fine il Vetere affermò che le robe della bottega erano sue come pure molti altri oggetti della casa, come pure altre cose erano state date dalla defunta alla sua schiava di nome Maria.[vii]

L’azione intimidatoria del vescovo Pastor assunse toni così aspri da suscitare un atto di ribellione da parte dei cittadini. Nella primavera del 1653 la nobiltà ed il popolo di Crotone inviarono una supplica al Vicerè, nella quale lamentavano che “il loro vescovo gli inquieti e gli strapazza, trattandoli generalmente da inquieti, sediziosi, macchinatori e oltreggiando la città con altre simili ingiurie”. Per tale motivo il vescovo sarà richiamato a Roma per discolparsi.[viii] Nel maggio 1653 Innocenzo X nominava Petro Matteo de Rubeis come vicario apostolico della chiesa di Crotone.[ix]

Gli atti attraverso cui si pronunciava la scomunica nel Seicento sono così descritti da alcuni testimoni al tempo del vescovo di Crotone lo spagnolo Juan Pastor, il quale aveva scomunicato due servi del capitano regio della città Don Gabriel de Carbazal.

Il 4 luglio 1655 in Crotone, essendo vescovo lo spagnolo Juan Pastor dei minimi di S. Francesco di Paola e qualificatore del Sant’Uffizio (1638-1662), Domenico Sacco, Ridolfo Chirillo, Sibio alias Scipione Rizzo, Gio. Pietro di Franco e Domenico di Messina, fanno presente che il primo di luglio prossimo passato “circa hore 21 il R.do D. Jacono Ant.nio Longobucco Canonico di questa Cathedrale con cappa negra candela accesa con uno secchio di Rame con acqua dechiarò escomunicati a Gio.e de Agytre e Fran.co Testai creato e famiglio del Mag.co R.io Cap.n D. Gabriel de Carbazal Cap.no di detta Città, e dopo detta dechiaratione d’escomunica il detto D. Jacono Ant.nio estinse la detta candela in detta acqua, toccando tre volte il campanello che tenea in mano, e dopò fando toccare le campane grandi ordinarie altre tre volte secondo il solito, e nell’istessa hora affissero il Cedolone nella porta maggiore di detta Cathedrale, e dopò dillà unhora nelo levorno et di novo l’affissero il dì sequente dui dell’istesso mese, e così fanno fede e ne giurano tastis scripturis.”[x]

La cattedrale di Isola.

 

Attentato ai beni ecclesiastici

Il vescovo di Crotone Juan Pastor scomunica il nobile Mutio Berlingieri e alla sua morte ne impedisce la sepoltura.

15 ottobre 1656. Il nobile Mutio Berlingeri ottiene ducati 100 all’8% in prestito dalla arciconfraternita del SS.mo Sacramento della cattedrale di Crotone. Per i primi anni fino al 1641, il nobile pagò puntualmente il censo annuo, poi “per la potentia che tenea non volle più pagarlo anzi fece occultare l’istrumento”, impedendo così ai procuratori della arciconfraternita di poterlo perseguire legalmente.

Il nobile non pagò più per il resto della sua vita, anche se tutti erano a conoscenza del debito, che egli aveva. Colpito dalla scomunica del vescovo di Crotone, lo spagnolo Juan Pastor, quando morì fu “impedito il sotterro”. La vedova Antonina Ormazza fu così costretta nel 1651 ad impegnarsi a pagare, per poter seppellire il marito. Tuttavia una volta avvenuto il sotterro continuò a non pagare, adducendo il fatto che era stata costretta e che non vi era alcun documento, che la obbligava. Tuttavia alcuni anni dopo minacciata assieme alle figlie Lucrezia e Vittoria Berlingeri dal procuratore della arciconfraternita, il canonico Januario Pelusio, “tanto per discarico di sua coscienza, quanto per disgravio dell’anima di d.o suo marito et per utile di d.e figliole” fu costretta a pagare il capitale con tutte le rate maturate.[xi]

Il vescovo Juan Pastor scomunica il feudatario di Isola Luise Catalano, perché attenta ai beni della chiesa.

Il 3 dicembre 1660 in Crotone, D. Carlo Bonello, procuratore ed economo della Mensa Vescovile di Crotone, presenta una istanza al vicario generale di Crotone, l’arcidiacono Muzio Suriano. L’economo fa presente, che il barone di Isola Luise Catalano ha fatto carcerare le pecore che pascolano nel territorio di Bucciafaro, che appartiene alla mensa vescovile, “sotto pretesto che vuole imponere novamente pesi et impositioni sopra detto territorio e fra l’altri un ius detto della finaita, che mai da tempi immemorabili vi è stata con grandissimo danno, e preiudicio della med.a Mensa Vescovale, che pertanto come usurpatore di beni ecclesiastici e destruttore di quelli, fa istanza che si proceda di giustizia con monir detto Sig.r Barone, che scarceri le dette pecore, e che si proceda à queltanto commandano li Sacri Canoni quando non vorrà attenersi da simil fatto, fando anco istantia che detto Sig.r Barone si monisca in valvis ecclesiae”.

Ricevuta l’istanza dell’economo, l’arcidiacono ordinò di accertare i fatti. Il 14 dicembre 1660 il vescovo di Crotone Juan Pastor, tramite il suo vicario generale, l’arcidiacono Muzio Suriano, faceva affiggere i cedoloni di scomunica nelle porte della cattedrale di Crotone, non essendo la città di Isola sicura e mancandovi sia il vescovo che il vicario generale. La scomunica colpiva sia il barone, che coloro che avevano per suo ordine fatto carcerare le pecore, cioè l’erario Hiacynto de Soda, il mastro Matteo Parise, Gio. Battista alias Gallarizza e Gio. Petro alias Tricoci de Nota ed altri.

La scomunica sarà rinnovata dal vescovo di Crotone successivo. É del 29 maggio 1666 un atto di scomunica contro gli Isolani debitori della mensa vescovile di Crotone dal vescovo Geronimo Carafa (1664-1683) contro il barone di Isola Luise Catalano ed i coloni.[xii]

Il vescovo di Crotone Carlo Catalano scomunica alcuni nobili perché non si erano confessati a Pasqua

Il primo giugno 1620 in Crotone, davanti a notaio, giudice, testimoni ed a onesti cittadini, Alfimatia Crescente, vedova di Giulio Cesare Leone, Fabritio Leone e Lelio Lucifero della città di Crotone affermano che“ in valvis Ecc.ae Cathedralis eiusdem Civitatis reperiuntur affixi cedulones, quibus ipsi pronunciantur excom.ti ex quo non confessi furunt eorum peccata in pascate prox.e preterita iux.a dispositiones sacri canonis et al.s ut in dictis cedulonibus; quod eis per parochum fuit denegata de ord.ne Ill.mi D.ni Episcopi et pluries et pluries requisierunt eumdem parochum et Ill.mum D.num pro eorum absolutione tam ante quam post fulminationem dittae sententiae exc.nis et semper persistendo non eis fuit concessa audientia eorum peccatorum et quia dittus Ill.mus et R.mus D.nus Episcopus non habet generalem vicarium coram quo possint comparere nec reperitur …”. Così in presenza di testimoni e cittadini hanno deciso di chiedere la nullità della sentenza di scomunica e dell’affissione del cedolone alla sede apostolica e richiedono pertanto al notaio ed al giudice di compilare l’atto.[xiii]

 

Attentato alla morale

Il 16 luglio 1706 la Curia Vescovile di Isola emetteva un mandato nei confronti dei concubini Paolo Arlotti ed Elisabetta Sacco, dando ai destinatari tre giorni di tempo per presentarsi davanti alla Curia Vescovile per non essere dichiarati “insordescentes in excom.ne, et tamquam de heresi suspecti”. Da circa tre anni i due erano stati pubblicamente scomunicati con l’affissione dei cedoloni alle porte. Tuttavia essi hanno perseverato nel concubinato contravvenendo ai comandi della chiesa ed abitando di continuo insieme nella stessa casa, non senza pubblico scandalo. Passati i tre giorni se non verrà presentato niente a loro favore, saranno dichiarati “insordescentes in excom.ne, ac de heresi suspectos”, con tutte le conseguenze previste.

Il 17 luglio 1706 il servitore della Curia Vescovile di Isola Michele Spinelli sotto giuramento dichiara di aver consegnato copia del mandato della Curia Vescovile nelle mani di Paolo Arlotta e di Elisabetta Sacco in presenza dei testimoni Salvatore Codamo e Ippolita Fabiano.

Lettera al vescovo di Isola Francesco Marino.

“Paolo Arlotti di Filogasi habitante in Isola umilissimo oratore di VS Ill.ma con supp.ca Li fa intendere, come si ritrova scomunicato per causa di concubinato da m.to tempo; ma poiche ad’esso si trova separato da d.a prattica per haver mandato in Cutro la concubina; Supp.ca la Benigità di VS Ill.ma che si degni di ordinare al suo Sig.r Vic.o, che lasolva di d.a scomunica acciò in avenire potesse vivere da vero christiano che il tutto laverà à Gra. Da Vs Ill.ma.” Il 27 settembre 1706 il vescovo ordina di assolvere l’oratore dalla scomunica che aveva per causa di concubinato tuttavia dopo aver “imposita poenitentia salutari”.[xiv]

 

La scomunica contro gli avversari

Nel concorso per assumere l’incarico prestigioso di medico dell’università di Crotone si scontrarono Alfonso Letterio, “pubblico speziale” ed il sacerdote e dottore fisico Agostino Beltrani. Il Beltrani, nativo di Strongoli, ottenuta la carica di regio cappellano curato del castello, godeva la benevolenza e dell’appoggio del vescovo Gaetano Costa e degli ufficiali del castello. Così mentre alcuni dipingevano il Letterio come “huomo ripieno di carità con li poveri nell’esercitio della sua professione medica, probbo, sincero e timoroso di Dio”, gli avversari lo accusavano di essere un “huomo scelerato et inquieto et all’incontro molto lodassero le operazioni del R.do Agostino Beltrano sacerdote e medico di lui competitore”. Per favorire il Beltrani interveniva il vescovo Costa che nel dicembre 1731 faceva processare il Letterio nella curia vescovile e utilizzando testimonianze false ed estorte con le minacce lo “fulminava” con la scomunica. Assolto in seguito “con reincidenza pubblicamente per ordine della Sacra Congregazione de vescovi e regolari”, alla fine di marzo del 1732 il vescovo tentò nuovamente di inquisire il Letterio obbligando con minacce i parroci della città ad attestare contro il Letterio ed a favore del Beltrano.[xv]

Il 25 settembre 1739 in Crotone, il regio giudice con i testimoni Filippo Anguilli di Taranto e Gasparo Cavaliere di Crotone il 18 settembre 1739 su richiesta di Vincenzo Amalfitani dei marchesi di Crucoli, patrizio dell’Antichi e coadiutore cantore della cattedrale di Crotone, si reca assieme al notaio Pelio Tirioli alla curia vescovile per notificare alcuni atti. Il notaio infatti doveva notificare “d’alcune lettere della Sacra Congregazione del Concilio contenente l’assoluzione del marchese circa le censure fulminate dalla Curia vescovile di Crotone contro il marchese”. Il giudice ed il notaio si recano dal vicario generale e tesoriere D. Domenico Gerolamo Suriano e presentano le lettere della Sacra Congregazione. Il Vicario le osservò e vide che erano dirette al vescovo Gaetano Costa e perciò le restituì. I testimoni ritornarono dal marchese a riferirgli. Il marchese li rimandò dal vicario. Il vicario lesse le lettere della Sacra Congregazione con i memoriali inclusi e disse che il marchese doveva presentarle al vescovo.[xvi]

Il 14 maggio 1642 in Crotone, il barone di Isola Antonio Catalano e i suoi creati sono inquisiti dalla Regia Corte e scomunicati dal vescovo di Isola Antonio Celli per aver commesso alcuni fatti delittuosi. Nel mese di maggio del 1641, “tempo si lottava il palio della festa della chiesa di Santa Maria delli Angeli della Città dell’Isola”, il presbitero Gio. Alfonso de Neapoli durante una rissa è ferito con un colpo di mazzetta dai creati del barone Benedetto Zurlo e Giuseppe de Santis. La corte ecclesiastica di Isola prese informazioni e li scomunicò. In seguito essi furono assolti, dopo essere stati discolpati dallo stesso Gio. Alfonso de Neapoli. Il clerico Desiderio Toscano mentre si trovava nel Bosco di Isola fu assalito dal barone e dai suoi servi. Incarcerato, fu “con molte bastonate offeso maltrattato et battuto”. Beatrice Corraduccio della città di Isola, moglie di Francesco de Lillo, fu per ordine del barone incarcerata e maltrattata di molte bastonate per avere contro la volontà del barone fatto sposare la figlia con Tomaso Bonello. Per tutti questi delitti oltre ad usare la scomunica il vescovo di Isola informò il Vicerè, il quale inviò il regio consigliere Scipione Salituro per accertare i fatti. Con l’arrivo del consigliere il barone intimorì coloro che avevano subito le sue violenze, i quali furono costretti a ritrattare le accuse davanti al regio capitano della città di Crotone Didaco Ram de Montoro.[xvii]

Foglio dell’atto notarile riguardante la decapitazione di Francesco de Paula a Catanzaro nel 1614 (ASCZ, Not. Dionisio Spetiale B. 108, f.lo 1614, ff.173-175)

 

Note

 

[i] ASCz, Not. Gio.Laurentio Guercio, B. 12, 1585, ff. 119-120.

[ii] Nel 1630 il canonico dota la sorella Paula Borghese che sposa Jacinto de Arena di Cosenza. La dote promessa è di ducati 500. Per il pagamento della dote il canonico si obbliga a ipotecare le sue case situate in parrocchia di Santa Margherita, consistenti in più e diversi membri inferiori e superiori e confinanti con la casa di Gio. Francesco Giuliani e la casa di Mutio Favara ed inoltre le sue vigne e alberi da frutto con case ed altri edifici in località la Brica. ASCz, Not. Rigitano G. F., B. 49, f.lo 1630, f. 5.

[iii] Causa Anno 1616 (?) cart. 115, f. 29 AVC.

[iv] ASCz, Not. Gio. Antonio Protentino B. 118, 1634, f.35.

[v] ASCz, Not. Gio. Antonio Protentino, B. 119, f.lo 1643, ff. 67v-69r. Il 26 febbraio 1646 sono presenti a Crotone gli spagnoli i reverendi Bartolomeo e Alonso Garsia Pastore.

[vi] ASCz, Not. Hieronimo Felice Protentino B. 229, f.lo 1657, ff. 37v-38.

[vii] ASCz, Not. Hieronimo Felice Protentino B. 229, f.lo 1657, ff. 48v-49.

[viii] ASV, Nunz. Nap. 49, f. 196.

Crotone 9 giugno 1652. Il regio giudice ad contratto, il notaio e testimoni sono stati chiamati dal regio capitano della città. Essi devono recarsi dal vescovo, per presentargli alcune lettere ortatoriali del vicerè e del regio collaterale consiglio, datate 3 maggio 1652 e riguardanti il banco del governo cittadino, situato nella chiesa cattedrale, dove di solito siedono il governatore e gli altri ufficiali della città. Essi protestano perché con le minacce, il vescovo li ha costretti a scrivere cose non vere. Poiché il vescovo Juan Pastor “tentò li mesi passati amovere con privare li sopp(rde)tti offitiali delli lochi che li spettano” … “ci semo personalmente conferiti per tal effetto nel Palazzo Vescovale et in presentia di detto Mons(igno)r Ill.mo et à quello presentato d(ett)e lettere hortatoriali fu per il detto Ill.mo prelato che in presentia nostra li legessero da me p(redi)tto not(a)ro, quale havendosele lette, volse detto Prelato, che in suo nome respondesse et scrivesse dell’istesso modo, che esso adictava, havendo prima prosorto in varie parole discovenienti et ingiuriose et molta colera et furore et havendo incommenciato a scrivere d(ett)a resposta come venne in quella parte nella quale si dice, che il notaro, giudice ad contratto et testimoni fanno fede esser vero quanto esso Mons(igo)r diceva, fu replicato che non si dovea quello teneri, ma il detto Mons.r per forza volse che detto not(a)ro seguisse lo scrivere et la fede del modo preditto, andandoli di sopra con gran furia et con gridati et minacci, che per esser dentro sua casa, et per il  timore di non perdere la reputatione, esso not(a)ro fu forzato così scrivere con tutto che vero et reale la pura verità sia quella che si contiene in dette hortatoriali, giache e cosa publica et notoria che il giorno di Pasqua prossimo passato il detto Prelato à sono di campana fe congregar Capitolo in sua casa et se li propose  la levata di detto banco et calarno in chiesa per tal effetto dove forno impediti dal R(everen)do Cap(ito)lo et altri offitiali, il che fu tanto proprio che ci concorse la magior parte della città”. Notaio H. F. Protentino, B. 229, f. 32.

[ix] Russo F., Regesto, 37024.

[x] AScz, Not. F.G. Protentino B. 229, a. 1655, ff. 113-114.

[xi] AScz, Not. H. F. Protentino, B. 229, a. 1657, f. 63.

[xii] Arch. vesc. Crotone, Cart. 76.

[xiii] AScz, Not. Protentino F.G. B. 229, a. 1620, ff. 113-114.

[xiv] Arch. Vesc. Crotone, Cart. 76.

[xv] AScz, Not. Stefano Lipari, B. 614, a. 1732, ff. 28-32.

[xvi] AScz, Not. Antonio Asturi, B. 911, a. 1739, f. 19.

[xvii] AScz, Not. H. F. Protentino, B. 229, a.1642, ff. 16-17.


Creato il 12 Febbraio 2020. Ultima modifica: 29 Febbraio 2020.

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