Notizie su alcuni luoghi religiosi in territorio di Strongoli

S. Maria delle Grazie strongoli

Strongoli (KR), Santa Maria delle Grazie (da www.paesionline.it).

Convento del conventuali di S. Maria delle Grazie

Da alcuni documenti del dicembre 1475, sappiamo di una iniziativa per la costruzione di un eremitorio con chiesa dedicato a San Francesco. La costruzione doveva essere edificata fuori le mura della città, per iniziativa di frate Antonio de Leone da Strongoli, il quale avrebbe utilizzato i suoi beni paterni. Doveva ospitare otto frati, o eremiti, viventi secondo la vita e l’abito eremitano. Fintanto fosse vissuto il fondatore, sarebbe stato il governatore e rettore dell’eremitorio.[i] Di questa iniziativa non sappiamo altro. È certo che nel Cinquecento, per munificenza di Lucia Gatona, si fondò in contrada “Planeta” un eremitorio,[ii] per i religiosi claustrali del terzo ordine di S. Francesco d’Assisi.[iii] Il convento prese il titolo dalla preesistente chiesa di S. Maria delle Grazie de Planetis,[iv] e dopo pochi anni, nel 1511, fu concesso ai frati minori conventuali di S. Francesco.[v]

Il convento situato fuori e lontano dalle mura, si trovava particolarmente esposto al pericolo delle incursioni turche, tanto che nel 1540, ci fu da parte dei frati il tentativo di abbandonarlo.[vi] Alla fine del Cinquecento si presentava abbastanza florido. Un altare della chiesa, intitolato alla Annunciazione, otteneva da Gregorio XIII di essere privilegiato in perpetuo,[vii] ed il convento ospitava dieci frati.[viii]

Alla metà del Seicento è segnalata la presenza nella chiesa di una confraternita dedicata all’immacolata Concezione,[ix] e dei due altari dedicati a Santa Maria del Carmine ed al SS.mo Crocifisso.[x] Il convento continuò ad esistere anche dopo la costituzione innocenziana, anche se rischiò più volte la soppressione, come dimostra una lettera con la quale i frati chiedevano di poter mantenere un numero di frati inferiore a quello previsto dalla bolla papale, in quanto le rendite del convento erano diminuite, a causa del boicottaggio praticato dal vescovo e dal feudatario, i quali incitavano quanti dovevano denaro e grano al convento a non darli. In tale maniera tentavano di cacciare i frati per sostituirli con un monastero di monache.[xi]

Situato troppo distante dalla città, fu abbandonato ed i frati si trasferirono vicino alle mura in località “la Motta”. Nel giugno 1743 il nuovo convento è già tracciato ed in parte costruito. Per edificarlo i frati hanno dovuto procedere all’acquisto di alcune case e casilini esistenti sul luogo prescelto, tra le quali la casa di Nicolò Masci. Tuttavia, mancano i mezzi per poter acquistare altre costruzioni vicine e completare il fabbricato, anche perché difettano i lasciti e le elemosine. All’inizio di quel mese il guardiano del convento, Bonaventura Politi, otteneva finalmente due donazioni: una dal sacerdote Agostino Palazzo di Strongoli, consistente in due casalini, e l’altra, un casalino, da Pietro Sella di Strongoli. Tutti gli edifici acquisiti sono situati presso la fabbrica del convento in località la Motta.[xii]

Nonostante questi contributi il convento non procedeva, e nel 1747 la costruzione non era stata ancora completata.[xiii] In seguito, il convento sarà al centro di gravi scandali, tanto da richiedere l’intervento energico del vescovo Domenico Morelli. Il frate magister Giuseppe Andriacoli incolpato di essere concubino ed adultero, in quanto convivente con una donna sposata e perciò occasione di pubblico scandalo, è colto in flagranza e rinchiuso nel carcere vescovile. Processato e condannato, su istanza del vescovo è rimosso dal convento e trasferito altrove.[xiv] In decadenza il convento verrà soppresso durante il Decennio francese (7.8.1809). Al momento della soppressione aveva solo un sacerdote ed un laico.[xv]

Monte di Pietà (frumentario)

Il primo monte frumentario fu eretto nel 1617 dal vescovo Sebastiano Ghislieri (1601-1626). Esso era situato vicino alla chiesa di Santa Maria della Sanità ed era provvisto di 100 tomoli di frumento, che venivano concessi, a volte a mutuo, a volte anche gratis, ai coloni poveri e miserabili della città.[xvi] Il monte governato da un procuratore ecclesiastico di nomina vescovile, andò ben presto in rovina. Alla metà del Seicento se ne era cancellata anche la memoria.[xvii] Segno evidente che aveva prevalso la volontà di quanti ne avevano beneficiato e non avevano più restituito l’avuto. Bisognerà attendere parecchi anni per ritrovare un nuovo monte frumentario.

Da una relazione del vescovo Domenico Marzano (1719-1735) scritta nel 1723, sappiamo che da poco erano stati costituiti due monti di pietà: uno che imprestava frumento ed uno denaro.[xviii] Sappiamo inoltre che, all’atto di fondazione, il nuovo monte frumentario era stato dotato con 400 moggi di grano; grano che veniva dato in prestito ai coloni, i quali si impegnavano a pagare la trentaduesima parte oltre la prestanza.[xix]

Il monte in breve tempo aumentò, almeno formalmente, la sua dotazione. Nel 1736 dichiara di poter contare quasi 1000 moggi,[xx] nel 1753 i moggi salgono a 1300,[xxi] e poi si raggiungono, almeno così si dice, anche i 4000. Più volte riformato ed integrato dai vescovi, il monte era valutato ancora sui mille moggi alla fine del Settecento. Così lo descriveva il vescovo Pasquale Petruccelli (1793-1798): “nella restituzione si rende oltre alla sorte la decima sesta parte di un tomolo, se bene sin ora si sia renduta l’ottava, passati però due anni è in determinazione mons. Vescovo di rimettere qualunque accrescimento essendo supplicante li mille tomoli per il bisogno dei cittadini e mantenimento dei ministri”.[xxii]

Poco dopo lo stesso vescovo prendeva atto del fallimento del monte, che andava ad estinguersi “per la povertà dei cittadini e per la negligenza degli amministratori”. I coloni che ricevevano il grano in prestito non rispettavano i patti, mentre coloro che amministravano il monte erano collusi. Infatti, il vescovo aggiungeva che il monte, con il passare del tempo, era stato “rovinato dalla malizia degli uomini” che lo avevano amministrato, i quali, nonostante i continui richiami del vescovo, si rifiutavano di render conto delle loro malefatte.[xxiii]

Convento agostiniano di S. Maria del Popolo

Fondato nel 1598/1599 dal frate agostiniano Guglielmo di Tarsia, detto anche da Strongoli,[xxiv] col consenso di Clemente VIII e su richiesta del vescovo Claudio Vico e dei cittadini. Contribuirono alla costruzione ed al mantenimento dei frati la vedova Persia Pica ed il figlio Agostino Simonetta.[xxv] Il convento che apparteneva all’ordine degli Agostiniani Zumpani, era situato fuori mura “in una pianura vicino alla strada publica e distante dall’abitato passi 160”.[xxvi] Abitato da pochi frati (nel 1612 sono solo due[xxvii] e nel 1625 appena cinque[xxviii]), il convento fu soppresso nel 1652, in conseguenza della bolla di Innocenzo X.[xxix]

Pochi anni dopo, nel 1657, su richiesta del feudatario e dei cittadini, il convento fu restituito agli agostiniani con la condizione che vi dimorassero e si mantenessero almeno sette religiosi, dei quali almeno cinque fossero sacerdoti di provata vita, altrimenti sarebbe stato lecito al vescovo prenderne possesso senza chiederne ulteriore licenza. Poiché i frati non adempivano a quanto disposto, il vescovo Domenico Marzano nel 1726, dopo aver formato un processo, decretò, in vigore di quanto stabilito dalla bolla di Innocenzo X, la soppressione del convento e stabilì che le rendite del convento dovessero essere assegnate al seminario. Nello stesso tempo il vescovo cominciò a perseguitare i frati costringendo tre di essi, incolpati di crimini, ad allontanarsi.[xxx] I frati, tuttavia, si appellarono contro il decreto vescovile ed il vescovo lasciò perdere la causa.[xxxi]

La questione fu ripresa anni dopo dal vescovo Domenico Morelli il quale, essendo il convento sotto la giurisdizione vescovile, ne richiese la soppressione a tenore dei decreti innocenziani, continuando a mantenere il convento un numero inferiore a quello prefissato. Così nel 1750 tentò nuovamente di sopprimerlo per aprire con le rendite il seminario. Anche questa volta il feudatario ed i cittadini si opposero[xxxii] ed il tentativo fallì. Tuttavia, il vescovo non desistette dal perseguire i frati. Il frate Nicola Garritano, priore del convento, poiché viveva scandalosamente, insidiando ed accompagnandosi pubblicamente a donnette, incurante dei numerosi richiami vescovili, su esortazione del vescovo fu rimosso e mandato via.[xxxiii] La soppressione arriverà solamente nel maggio 1808.[xxxiv]

Convento dei cappuccini con chiesa di San Francesco d’Assisi

Il convento fu costruito all’inizio del Seicento, durante il vescovato di Sebastiano Ghislieri (1601-1626). Lo stesso vescovo nella sua relazione del 1625, così ne descrive la fondazione: Otto anni fa a mie spese, per la maggior parte, edificai il convento dell’ordine dei cappuccini di S. Francesco, nel quale al presente dimorano sette frati cappuccini, ai quali, quattro anni fa, per il loro sostentamento assegnai 24 libbre di carne alla settimana, vita mia durante.[xxxv]

In una relazione gli stessi frati fissano il loro arrivo a Strongoli nell’anno 1614. Il provinciale frate Matteo da Corigliano il 22 aprile 1614 piantò la croce per la fondazione, ed il 22 agosto seguente il frate Matteo Persiani diede inizio alla permanenza dei cappuccini a Strongoli. L’anno dopo il provinciale ispezionò il luogo, tracciò la pianta del convento e stabilì il numero dei frati che doveva contenere. I frati giunsero in quello stesso anno e cominciarono a raccogliere il materiale ed i mezzi per iniziare la costruzione del convento. Si iniziò dapprima a scavare e fabbricare la cisterna che doveva essere situata in mezzo al chiostro. Il 2 giugno 1616, alla presenza del vescovo di Strongoli Sebastiano Ghislieri e del nuovo provinciale, Frate Francesco da Paola, fu posta la prima pietra della chiesa e del convento.

La presenza dei cappuccini con la costruzione del convento fu particolarmente voluta dal vescovo della città Sebastiano Ghislerio, il quale si interessò presso i superiori della Provincia per ottenerne il permesso. Poiché questi crearono degli ostacoli, il vescovo dovette rivolgersi ai superiori di Roma. Rafforzarono e facilitarono la volontà vescovile anche le richieste in tal senso avanzate dall’università di Strongoli e dallo stesso feudatario Annibale Campitelli, conte di Melissa e signore di Strongoli. Il feudatario, divenuto in seguito primo principe di Strongoli, dispose per testamento di essere seppellito nella chiesa del convento, che fu fabbricata a sue spese e che alla sua morte, avvenuta in Napoli, non era stata ancora completata nel tetto, ed era senza il quadro del titolare. Il feudatario, infatti, nel suo testamento rogato il 22 gennaio 1624 in Napoli, oltre a disporre che il suo corpo fosse seppellito nella chiesa dei cappuccini di Strongoli, accanto al corpo della defunta moglie Antonia Staiti de Aragona,[xxxvi] lasciava “alla chiesa de Patri Capuccini di Strongoli 500 docati perché se ne coplisca la coperta di detta chiesa oltre il peso del quatro di detta chiesa che ordino che resti a carico del S. Lelio de Raimo di farlo fare con il denaro del grano et orgio che venerà in primo loco”.[xxxvii]

Se il feudatario si adoperò per la chiesa, il vescovo Sebastiano Ghislieri, l’università ed i cittadini costruirono a loro spese il convento, che fu edificato con 18 celle, secondo la povera forma dei cappuccini.[xxxviii] Il convento, circondato da mura, era situato all’esterno della cinta muraria della città, alla distanza di un tiro di moschetto. Il luogo era abbastanza isolato anche se attraversato dalla via pubblica. Fu soppresso nel 1811.[xxxix]

Chiesa di San Giacomo

Tra le tre chiese “rurali”, cioè non parrocchiali, esistenti all’interno delle mura al tempo del vescovo Claudio Vico (1590-1600), vi è la cappella dedicata ai santi Giacomo Apostolo e Luca Evangelista.[xl] Le rendite annue della chiesa, valutate in 12 ducati, di cui beneficiava Gio. Michele Micheli, alla sua morte, avvenuta nell’agosto 1599, nell’aprile 1601 furono concesse al prete strongolese Gio. Domenico Cordali.[xli] Dopo essere stata restaurata durante il vescovato di Sebastiano Ghislerio (1601-1626),[xlii] la cappella col suo beneficio fu concessa a Marcello Micheli, e dopo la sua morte avvenuta nel febbraio 1636, passò ad Ottavio Pudorico, chierico napoletano e familiare del cardinale Geronimo Colonna.[xliii] La chiesa esisteva ancora nel Settecento.

Chiesa della SS. Trinità

Situata all’interno delle mura, la chiesa compare all’inizio del Seicento. Essa è una delle sei chiese che, secondo la relazione del 1625 del vescovo Sebastiano Ghislieri, erano quasi distrutte, tanto che non ci si potevano celebrare le funzioni sacre, e che il vescovo si adoperò a far restaurare.[xliv] Si sa che nell’ottobre di quell’anno, nella chiesa erano fondate due cappellanie entrambe vacanti: una per morte di Antonio de Aragona e l’altra per quella di Annibale de Campitelli. Queste con le loro rendite, che assommavano a 24 ducati annui, furono concesse da Urbano VII al chierico strongolese Ferrante Caparra.[xlv]

Le vicende della chiesa furono particolarmente legate a quelle dei feudatari di Strongoli. Francesca Pisciotta, principessa di Strongoli, nel giugno 1663 per testamento, lasciava ducati trecento per dotare un beneficio di iuspatronato da erigersi nella chiesa, col peso di celebrare due messe alla settimana per la sua anima. Nello stesso tempo disponeva che lo iuspatronato si dovesse fondare nell’altare, che lei stessa aveva fatto erigere e adornare dentro la chiesa. Inoltre, faceva un lascito affinché nella stessa chiesa si celebrassero altre tre messe alla settimana, da sacerdoti scelti dal suo erede, cioè una messa dedicata allo Spirito Santo, una a Sant’Antonio da Padova ed una a San Domenico.[xlvi]

L’interessamento per la chiesa da parte dei feudatari di Strongoli proseguì anche successivamente. Tra gli oneri da versare alla morte di Francesco Campitelli, troviamo ducati 42 che dovevano essere dati ogni anno al cappellano della chiesa, per legato di Domenico Campitelli seniore.[xlvii] Inoltre, al tempo del successore Domenico Pignatelli, nella chiesa vi era un altare, o cappella, dedicato ai santi Didaco e Antonio, di iuspatronato del principe di Strongoli, che aveva il diritto di presentare il cappellano o rettore.[xlviii] La chiesa esisteva ancora alla fine del Settecento.

Chiesa di San Giovanni Battista

Era situata all’interno delle mura nel luogo che ancora oggi conserva il nome. La chiesa è di fondazione antica anche se essa compare all’inizio del Cinquecento, quando durante il pontificato di Giulio II, nel novembre 1508, delle sue rendite ne beneficia il vescovo di Strongoli Gaspare de Murgiis. In seguito, la chiesa, o cappella, fu concessa a Gregorio Susanna, a Gio, Pietro Bisanti, a Francesco de Pirillo, a Gio. Bernardino Pagano, a Alessandro Propertio, ecc.[xlix] Alla fine del Cinquecento è una delle tre chiese “rurali” esistenti all’interno delle mura.[l] Restaurata durante il vescovato di Sebastiano Ghisleri,[li] risulta attiva per tutto il Settecento.

Chiesa di S. Francesco di Paola

Situata all’interno delle mura, la chiesa compare all’inizio del Seicento. Una epigrafe all’interno dell’edificio ci informa che esso fu costruito con le elemosine dei fedeli nel 1604.[lii] Sappiamo che alla metà del Seicento, il beneficio semplice sotto il titolo di S. Francesco di Paola era posseduto dal Reverendo Petro Antonio Arnone Psygroneo, e che nella chiesa aveva sede una confraternita compuntina numerosa e molto devota.[liii] Una confraternita sotto il titolo di San Francesco di Paola, che aveva sede nella chiesa omonima, esisterà ancora nel Settecento.[liv]

Chiesa di San Mauro

Tra le terre concesse, o confermate, all’abbazia cistercense di S. Maria di Corazzo, alla metà del dodicesimo secolo, da Guglielmo II, re di Sicilia, ve ne erano alcune in territorio di “Strumbolo”. Su supplica dell’abbate Milo, nel 1225 Federico II confermerà i privilegi ed i possedimenti dell’abbazia e tra essi, troviamo la chiesa di “Sancti Mauri cum omnibus possessionibus et pertinetiis suis in tenimento Stronguli”.[lv] In un documento della fine del Quattrocento, dopo la Congiura dei Baroni, tra le entrate feudali di Strongoli, che erano state del Principe di Bisignano, ma che ora erano gestite dalla Regia Camera, vi si trova “l’herbaggio del curso di Santo Mauro”.[lvi] Il corso, in seguito, sarà al centro di dispute per il pagamento delle decime tra i vescovi di Strongoli ed i feudatari,[lvii] ma della chiesa non è fatta più menzione.

Chiesa di San Leone

La chiesa risulta citata in alcuni documenti della fine del Quattrocento. Il 25 maggio 1490 ne era in possesso “D.nus Guill.mus Carnerii”, poi passò a Gaspare de Murgiis, che risulta canonico della chiesa di San Leone. In seguito, S. Leone è citato tra i canonicati della chiesa di Strongoli. Nel 1737 per morte di Gregorio Susanna, viene concesso a Gio. Pietro Bisanti e nel 1549, per cessione del Bisanti, il canonicato passa a Francesco de Pirillo.[lviii] La chiesa era situata all’interno delle mura e dopo la sua scomparsa, avvenuta verso la fine del Quattrocento, a ricordo rimase il toponimo. Ancora alla metà del Seicento troviamo la “strada che va da S.to Leo verso la piazza”,[lix] mentre il feudatario possedeva “lo palazzo di Santo Leo con magazeni e camere”.[lx]

Chiesa, o cappella, di Santa Maria del Rosario

In territorio di Fasana, posseduto da Lelio Lucifero seniore, figlio di Giovannella Pica e di Gio. Paulo seniore, e sposato con Hippolita Pipino, nel 1586 fu iniziata la costruzione di una torre. Sappiamo che, morto Lelio Lucifero, nel giugno 1586 senza lasciare figli, Fasana con la sua torre passò agli eredi, e che in seguito, in questa fu edificata dai possessori del luogo una cappella. Tra i beni che il marchese di Casabona Scipione Pisciotta nel 1622 lascia agli eredi, che se li litigano, troviamo il territorio di Fasana con magazzini, cisterna e cappella.[lxi]

In seguito, Fasana passerà ai feudatari di Strongoli, prima ai Campitelli e poi ai Pignatelli, che avranno anche il iuspatronato della cappella. Nell’inventario dei beni, fatto nel giugno 1668 da Domenico Pignatelli, per morte del principe di Strongoli Francesco Campitelli, che aveva sposato Francesca Pisciotta, figlia del marchese di Casabona Scipione, troviamo “Il territorio di fasana sopra il quale verte una lite nel S(acro) C(onsilio) con gli heredi del signor Marchese di Casabona”.[lxii]

Con il passaggio del feudo e di Fasana a Domenico Pignatelli, questi ebbe anche il iuspatronato della chiesa, o cappellania. Il 17 marzo 1689 Domenico Pignatelli, principe di Strongoli e conte di Melissa, patrono del beneficio, o cappellania, intitolata a Santa Maria del Rosario, ed ai santi Agostino, Domenico ed Antonio, poiché possiede il diritto di presentare il cappellano della “cappella e altare che si trova costruita nella torre di Fasana”, e poiché attualmente la cappella ne è priva per morte del rettore il sacerdote D. Giacomo Pilo, affinché non si trascurino ulteriormente le funzioni divine, nomina come rettore della cappella costruita nella torre di Fasana, il reverendo Domenico Riccardo di Strongoli, il quale dovrà essere confermato nel possesso dal vescovo o dal suo vicario generale.[lxiii]

Chiesa di San Stefano

La chiesa era situata all’interno della città. Essa è una delle sei chiese che durante il vescovato di Sebastiano Ghisleri furono restaurate. Citata nella relazione del vescovo del 1625,[lxiv] in seguito non compare più. A ricordo rimaneva a metà Seicento il toponimo: “Strada di S.to Stefano verso li Cavatini”.[lxv]

Chiesa di Santa Maria della Catena

La chiesa era situata fuori le mura ed è documentata nel Settecento.[lxvi]

Chiesa di Santa Croce

La chiesa era situata fuori le mura ed è documentata nel Settecento.[lxvii]

Chiesa di Sant’Anna

La chiesa, o cappella, era situata dentro le mura ed è documentata nel Settecento.[lxviii]

Chiesa di Santa Maria della Pietà

La chiesa era situata fuori le mura ed è documentata nel Settecento.[lxix]

Chiesa di Santa Maria di Verga d’Oro

La chiesa volgarmente detta di Virgadoro, era situata fuori le mura nella località omonima, ed è documenta nel Settecento.[lxx]

Strongoli (KR), Santa Maria di Verga d’Oro.

Chiesa delle Anime del Purgatorio

La chiesa era situata all’interno delle mura. Si fa risalire la sua fondazione tra il 1723 ed il 1729. Vi era eretta una confraternita detta delle Sante Anime del Purgatorio, che ancora alla fine del Settecento era attiva.[lxxi]

Chiesa della SS.ma Annunziata

La chiesa compare già alla fine del Cinquecento. Essa è una delle tre chiese non parrocchiali, poste all’interno delle mura, segnalate dal vescovo Claudio Vico (1590-1600) nelle sue relazioni. Secondo il vescovo dentro la chiesa fu fondata nel 1593, col suo consenso e con l’assenso e la concessione riservati all’autorità apostolica, la confraternita detta dei Morti, che aveva il compito di raccogliere le elemosine per i poveri e di seppellire i morti.[lxxii]

Sempre in questi anni, nel maggio 1596, le rendite della chiesa, valutate in 22 ducati annui, erano concesse al chierico Colasancto Sando.[lxxiii] La chiesa, che si reggeva su un beneficio semplice sotto il titolo dell’Annunciazione di Beata Maria e di San Geronimo, alla metà del Seicento minacciava rovina, in quanto le pareti ed il tetto dovevano essere riparate. Dopo che più volte il vescovo Carlo Diotallevi (1639-1652) aveva ingiunto e comandato al possessore del beneficio, il reverendo Luca Antonio Febronio, residente a Roma, di porre riparo alla costruzione,[lxxiv] finalmente ottenne nel 1647 il rilascio del beneficio in favore del cantore della cattedrale il reverendo Ferdinando Caparra,[lxxv] previa la concessione di un’annua pensione sulle entrate del beneficio.[lxxvi] Nella seconda metà del Seicento, tra il 1664 ed 1675, fu eretta nella chiesa una confraternita laica sotto il titolo dell’Annunciazione. La chiesa e la confraternita sono presenti per tutto il Settecento.[lxxvii]

Note

[i] Russo F., Regesto, II, 12337, 12338.

[ii] Russo F., Regesto, II, 12338.

[iii] Fiore G., Della Calabria Illustrata, II, p. 421.

[iv] Nel 1490 la chiesa è già esistente, Russo F., Regesto, 13334.

[v] Russo F., Regesto, III, 15375.

[vi] Russo F., Regesto, IV, 18315.

[vii] Russo F., Regesto, V, 23369.

[viii] Nel 1612 sono segnalati solo 3 frati, che in seguito saliranno a 6. ASV, Rel. Lim. Strongulen., 1612, 1625.

[ix] ASV, Rel. Lim. Strongulen., 1649.

[x] Nel giugno 1663 la principessa di Strongoli Francesca Pisciotta, per testamento disponeva che il suo erede e marito Francesco Campitelli, dovesse far celebrare due messe alla settimana: una nell’altare del SS. Crocifisso e l’altra in quello di S. Maria del Carmine. Le due messe dovevano essere celebrate dagli stessi frati conventuali. ASCZ, Busta 177, anno 1763, f. 63.

[xi] Russo F., Regesto, VIII, 43758.

[xii] ASCZ, Busta 981, anno 1743, ff. 23-26.

[xiii] ASV, Rel. Lim. Strongulen., 1747.

[xiv] ASV, Rel. Lim. Strongulen., 1765.

[xv] Caldora U., Calabria napoleonica, Brenner Cosenza 1985, p. 220.

[xvi] ASV, Rel. Lim. Strongulen., 1625.

[xvii] ASV, Rel. Lim. Strongulen., 1662, 1664.

[xviii] ASV, Rel. Lim. Strongulen., 1723.

[xix] ASV, Rel. Lim. Strongulen., 1797.

[xx] ASV, Rel. Lim. Strongulen., 1736.

[xxi] ASV, Rel. Lim. Strongulen., 1753.

[xxii] ASV, Rel. Lim. Strongulen., 1793.

[xxiii] ASV, Rel. Lim. Strongulen., 1797.

[xxiv] Fiore G., Della Calabria Illustrata, II, p. 386.

[xxv] Il convento è così descritto: “è posto in quadro, di larghezza palmi 150, di lunghezza palmi 125. La chiesa è alta palmi 132, lunga palmi 118 e larga palmi 138. Un dormitorio solo vi è finito, dove sono sei camere con una cucina; sotto vi sono tre magazeni. Il detto monastero è chiuso, ma non vi è chiostro, perché sta in fabrica”. Vaccaro A., Fidelis Petilia, 1933, pp. 112-113.

[xxvi] Vaccaro A., Fidelis Petilia, 1933, pp. 112-113.

[xxvii] ASV, Rel. Lim. Strongulen., 1612.

[xxviii] ASV, Rel. Lim. Strongulen., 1625.

[xxix] ASV, Rel. Lim. Strongulen., 1653.

[xxx] ASV, Rel. Lim. Strongulen., 1729.

[xxxi] ASV, Rel. Lim. Strongulen., 1793.

[xxxii] ASV, Rel. Li. Strongulen., 1753.

[xxxiii] ASV, Rel. Lim. Strongulen., 1765.

[xxxiv] Caldora U., Calabria napoleonica, Brenner Cosenza 1985, p. 216.

[xxxv] Vaccaro A., Fidelis Petilia, 1933, pp. 112-113.

[xxxvi] Cosentino A., Melissa, pp. 74-75.

[xxxvii] ASN, Arch. Pignatelli Ferrara, B. 77, prat. 23, f. 4v.

[xxxviii] Fiore G., Della Calabria Illustrata, II, p. 416. Ughelli F., Italia Sacra, IX, 524. Vaccaro A., Fidelis Petilia, 1933, p. 111.

[xxxix] Caldora U., Calabria napoleonica, Brenner Cosenza 1985, p. 218.

[xl] ASV, Rel. Lim. Strongulen., 1594.

[xli] Russo F., Regesto, V, 25692.

[xlii] ASV, Rel. Lim. Strongulen., 1625.

[xliii] Russo F., Regesto, VI, 32108.

[xliv] ASV, Rel. Lim. Strongulen., 1625.

[xlv] Russo F., Regesto, VI, 29396.

[xlvi] Nello stesso testamento rogato dal notaio Stefano Barbuscia di Cirò il 6 maggio 1663, la Pisciotta nominava cappellano Stefano Sabbatino, figlio di Carlo, dandogli lo iuspresentandi del cappellano del beneficio. ASCZ, Busta 177, anno 1663, f. 63.

[xlvii] Inventario fatto da Domenico Pignatelli per morte di Francesco Campitelli (26.6.1668). ASN, Arch. Pignatelli Ferrara B. 77, prat. 41, f. 3v.

[xlviii] Il 17 marzo 1689 Domenico Pignatelli, principe di Strongoli e conte di Melissa, essendo morto il rettore nomina il nuovo. ASCZ, Busta 373, anno 1689, ff. n.n.

[xlix] Russo F., Regesto, III, 15222; IV, 17871, sgg.

[l] ASV, Rel. Lim. Strongulen., 1594, 1597.

[li] ASV, Rel. Lim. Strongulen., 1625.

[lii] “D. F. DE PAULA TEMPLUM ELEMOSINIS AERE COLLATO DICATUM A. D. MDCIIII”. Russano Cotrone A., Strongoli, Gangemi 1997, p. 73.

[liii] ASV, Rel. Lim. Strongulen., 1646.

[liv] ASV, Rel. Lim. Strongulen., 1723.

[lv] BAV, Vat. Lat. 7572, f. 47.

[lvi] AVC, Processo grosso di fogli cinq.cento settanta due della lite, che Mons. Ill.mo Caracciolo ha col S.r Duca di Nocera per il Vescovato, ff. 474v.

[lvii] La mensa vescovile di Strongoli, da tempo immemorabile, esigeva le decime sul pascolo delle pecore e altri animali in quattro corsi: Virga Aurea, San Mauro, Serpito e Zuccaleo. ASV, Rel. Lim. Strongulen., 1753.

[lviii] Russo F., Regesto, III, 13333, 13359, sgg.

[lix] Vaccaro A., Fidelis Petilia, 1933, pp. 196-197.

[lx] Inventario fatto da Domenico Pignatelli per morte di Francesco Campitelli (26.6.1668). ASN, Fondo Pignatelli Ferrara Fs. 77, Prat. 41.

[lxi] Pesavento A., La torre di Fasana (Strongoli) e le altre torri nel contesto storico-ambientale calabrese, Brutium n. 1/1990.

[lxii] ASN, Fondo Pignatelli Ferrara, Fascio 77 Prat. n.41, f.1v.

[lxiii] ASCZ, Busta 373, anno 1689, Notaio Fortuna Giuseppe, Strongoli 17.3.1689.

[lxiv] ASV, Rel. Lim. Strongulen., 1625.

[lxv] Vaccaro A., Fidelis Petilia, 1933, pp. 196-197.

[lxvi] ASV, Rel. Lim. Strongulen., 1723, 1753, 1759.

[lxvii] ASV, Rel. Lim. Strongulen., 1723, 1747, 1753, 1759.

[lxviii] ASV, Rel. Lim. Strongulen., 1723, 1747, 1753, 1759.

[lxix] ASV, Rel. Lim. Strongulen., 1747, 1753, 1759.

[lxx] ASV, Rel. Lim. Strongulen., 1747, 1753, 1759.

[lxxi] ASV, Rel. Lim. Strongulen., 1747, 1797.

[lxxii] ASV, Rel. Lim. Strongulen., 1597.

[lxxiii] Russo F., Regesto, V, 25134.

[lxxiv] ASV, Rel. Lim. Strongulen., 1643,1646.

[lxxv] ASV, Rel. Lim. Strongulen., 1649.

[lxxvi] Russo F., Regesto, VII, 35333, 35334.

[lxxvii] ASV, Rel. Lim. Strongulen., 1747, 1797.


Creato il 23 Febbraio 2015. Ultima modifica: 7 Agosto 2024.

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