Il “Castello” di San Mauro Marchesato
Dal vecchio al nuovo abitato
Nella seconda metà del Quattrocento il casale medievale di San Mauro de Caravà, o Carabà, spopolava. Devastata al tempo della ribellione del Centelles, nel 1451 la “motta” di San Mauro de Caravà risultava “dissabitata”, contando solo 20 fuochi;[i] trent’anni dopo, nel 1482, era concessa dal re Ferdinando a Lodovico de Rinaldo come casale “dishabitato”.[ii] Nello stesso lasso di tempo veniva a mancare anche il vicino priorato di S. Pietro de Niffis che, in un documento del marzo 1479, è descritto come ridotto a semplice grancia, nella quale “conventus aut dignitas non est”.[iii] Entrambi segni di un generale declino, dovuto sia alle vicende belliche legate alle rivolte contadine della metà del secolo, che alla fuga dai centri abitati per sfuggire le tasse.
San Mauro di Caravà che nel passato, era stata autonoma da Santa Severina, godendo di una giurisdizione separata, con un proprio capitano e banco di giustizia, all’inizio del Cinquecento diverrà uno dei feudi rustici del conte di Santa Severina Andrea Carrafa. Bisognerà attendere alcuni decenni per trovare il nuovo abitato, fondato al tempo di Galeotto Carrafa. Con il ripopolamento San Mauro diverrà un semplice casale di Santa Severina, anche se la sua nascita sembra essere stata dettata, più che dall’intento di valorizzare un feudo rustico, dall’esigenza militare di proteggere la città di Santa Severina da possibili incursioni turche.
La costruzione del castello
Nei primi documenti riguardanti il nuovo abitato di San Mauro, si trova che esso è indicato quasi sempre come “castrum”, anzi questo termine fa parte integrante del suo nome. In un atto stipulato il 26 agosto 1586 “in Castro S.ti Mauri” dal notaio Gio. Lorenzo Guercio di Cutro, viene dato a censo del denaro lasciato in eredità da Pandolfo Scryi del luogo; denaro che dovrà essere concesso a censo e poi consegnato come dote a delle discendenti, quando si sposeranno.[iv] Nei primi anni del Seicento Maria Benincasa del “castello di S.to Mauro”, dona alcune terre al monastero dei minimi di Roccabernarda.[v] In un altro atto, riguardante una donazione alla chiesa di S. Maria della Pietà, rogato il 28 dicembre 1608 “in Castro Sancti Mauri”, è richiamato il fatto che, alcuni mesi prima, era stata costruita la nuova chiesa dedicata alla Madonna SS.ma della Pietà, “nel loco detto l’Arricella … sotto lo Spontone di detto Castello”, mentre tra i censi annui promessi dai confrati, vi era quello sulla casa di Colella Longo, che era “posta dentro questo castello di Santo Mauro loco detto lo Spontone, confine le case del quondam Colandrea Longo, e proprio quella casa unita con la torre dello Spontone, e la via publica.”[vi]
In due documenti del 1619 sono citate la chiesa dell’Annunciazione “castri S. Mauri”, e la chiesa parrocchiale di S. Giovanni Battista “castri S. Mauri”.[vii] L’arcivescovo Fausto Caffarelli, descrivendo i luoghi della sua diocesi, li divide in “civitas”, “oppida”, “castra” e “pagi”. “Sanctus Maurus” fa parte dei castra.[viii] Dalla “Relazione dello Stato del Convento di S. Agostino del Castello di S. Mauro”, compilata nel marzo 1650, si sa che il convento era situato “vicino l’habitato in strada pubblica sito in una pianura distante dalle mura dell’habitato per essere loco aperto passi cinquant’otto e mezzo”.[ix]
Negli atti notarili e nei libri parrocchiali il termine “Castrum Sancti Mauri” è di continuo richiamato. A titolo di esempio: nel luglio 1624 Augustinus Strati “de Castro S.ti Mauri” testimonia a favore del monastero di S. Maria di Altilia, contro il barone di Caccuri, per la carcerazione di alcune vacche del monastero.[x] Il 22 settembre 1630, nella chiesa matrice di Rocca di Neto, Lupo Burza di “Castrum S.cti Mauri”, sposa Laura Tramonte, ed il 30 aprile 1633, nella stessa chiesa, Lupo Balsamo sposa Feliciana Burza di “Castrum S. Mauri”.[xi] Nel settembre 1659 Scipione Bisciglia di “Castri Santi Mauri”, procuratore e legittimo amministratore e tutore di Giovanni Battista Bisciglia, assieme al chierico Giovanni Paulo Guarano della stessa terra, tutore e curatore della nipote Isabella Bovino, intervengono in un atto dotale.[xii]
Anche negli anni seguenti, la particolarità dell’abitato di San Mauro, rispetto ad un semplice casale, è di continuo evidenziata negli atti che gli abitanti stipulano, e nei passaggi del feudo di Santa Severina di cui il castello fa parte. In essi Santa Severina è insignita del titolo di città, San Mauro di “Terra” e Scandale di casale.[xiii]
Dall’apprezzo del tavolario Giambattista Manni, compilato nel 1688, si ricava che la terra di San Mauro aveva “tre uscite, due piane, ed una un poco scoscesa, da levante, da mezzogiorno, e da libice”; era composta dai due quartieri detti “lo Spontone” e “lo Vignale”; la chiesa parrocchiale di San Giovanni Battista era situata nel quartiere “lo Spontone”; vi era “la Piazza”; la casa della corte era “diruta”, ma rimaneva una torre che serviva per l’orologio all’università e, nonostante che “detta Terra sta aperta, e si può entrare dapertutto”, il tavolario aggiungeva ed evidenziava, che “è stato castello forte, come si conosce dalli muri, e vestiggi romasti”.[xiv] Edifici, mura, ruderi, resti e forme, che tuttora ci fanno intravedere la struttura e l’estensione del castello e dell’abitato originario.
Struttura della città cinquencentesca
Mettendo assieme questi elementi, possiamo ipotizzare che, al tempo del feudatario Galeotto Carrafa, fu realizzato un piccolo abitato murato e fortificato, sul punto più elevato della collina, che prese il nome di Castello di Santo Mauro. Questo nuovo abitato risulterà nettamente distinto in due quartieri, separati anche dal punto di vista spaziale, ad evidenziare la loro diversità sia sociale che funzionale: uno detto “Lo Spontone”, in posizione dominante, dove si trovavano le strutture fortificate del “castello”, e l’altro detto “Il Vignale”, dove c’era il villaggio.
Il primo era circondato da rupi, fosso, e da mura di cinta scarpate e bastionate, con porte di accesso fortificate. Esso sarà realizzato a scacchiera, secondo cioè uno schema geometrico ortogonale, e comprenderà gli edifici pubblici più importanti: dalle case della corte alla chiesa parrocchiale. Gli edifici saranno realizzati lungo delle strade diritte, larghe e pianeggianti, incrociate da altre trasversali. Sulla strada più larga e centrale, detta “la piazza”, al centro del castello, viene costruita la chiesa parrocchiale dedicata a S. Giovanni Battista, sede di un arciprete, al cui mantenimento dovrà concorrere la nuova comunità,[xv] con la cappella del patrono e protettore S. Mauro Abbate, mantenuta con l’elemosina dell’università. Sempre nella piazza sarà situata l’area commerciale e mercantile. All’interno di queste mura troverà dimora il ceto dominante composto dagli amministratori dei beni feudali ed ecclesiastici che, all’inizio, saranno quasi tutti forestieri, in gran parte originari di Santa Severina.
Il quartiere detto “Il Vignale” era situato in posizione sottostante allo “Spontone”. Esso, probabilmente, era munito di mura, più per un controllo fiscale che difensivo, ed era distanziato e nettamente separato dall’altro quartiere. A pianta di forma rettangolare, era costituito da strade diritte, lunghe, larghe e piane, intersecate in maniera ortogonale da altre strade diritte, larghe e piane, ma più corte. Esso costituiva il villaggio, o “rus”, dove erano stati realizzati i pagliari, le case in creta, ed alcune in pietra, delle famiglie dei braccianti e dei massari.
Solamente con la crescita della popolazione e con il passare degli anni, i due quartieri si unificheranno. All’inizio del Settecento il Mannarino così descriverà la struttura urbana di San Mauro: “La città, non però all’intutto, ma così decimata ritirossi con quella sua poca gente non lunghi in luogo più alto … Si divise in due superiore ed inferiore; che poi cresciuti, ed uniti insieme, la dove or sono, tornassi a chiamare non città ma castello di San Mauro, del qual santo ancor vi si conserva la memoria, con una capella assai divota fondata nella matrice chiesa”.[xvi]
Turchi e braccianti
La fondazione del castello di San Mauro al tempo dei Carrafa, oltre che dettata dalla necessità di mettere a coltura e valorizzare le tenute feudali, come nel caso di Gaudioso[xvii] e di Scandale,[xviii] utilizzando a tale scopo la nuova manodopera a buon prezzo rappresentata dagli “Albanesi” e dagli “schiavoni”, sembra quindi avere anche la funzione di protezione della via che, dalla marina, conduceva a Santa Severina. In questa ottica, il castello di San Mauro si inserisce tra gli interventi di fortificazione, attuati dai conti di Santa Severina, per proteggere la contea dalla minaccia turca. La struttura del nuovo abitato, inoltre, ricalca, anche se in maniera originale, trattandosi di una nuova realtà, i concetti seguiti dai feudatari dell’epoca che, spaventati dal pericolo delle rivolte contadine, tendevano a isolare al di fuori e lontano dalla nuova cittadella fortificata, nel borgo, o sobborgo, i possibili nemici sociali.
Andrea Carrafa che, più volte, ebbe a reprimere le ribellioni della contea, ed il nipote Galeotto, attueranno nella prima metà del Cinquecento una serie di interventi, tenendo conto di queste esigenze difensive, per rendere inespugnabili i loro castelli di Le Castella, Santa Severina, Rocca Bernarda, ecc., secondo i nuovi schemi difensivi ed in relazione ai nuovi pericoli. Si dava, inoltre, anche esecuzione agli ordini emanati dal vicerè don Pedro di Toledo, il quale nel 1535, aveva comandato alle terre vicine alla marina di munirsi di mura, di artiglieria e di fossi. Disposizioni che si dimostreranno inadeguate di fronte alla minaccia turca, così già poco dopo la metà del Cinquecento, gran parte delle fortificazioni risulteranno in abbandono, ed il castello di Santo Mauro seguirà la stessa sorte. I Sammauresi manterranno negli atti per molto tempo, il termine castello, a ricordo della natura importante del loro luogo natio, distinguendolo così dai semplici casali o villaggi. Tuttavia, con il passare del tempo e con il completo degrado delle fortificazioni, sempre più spesso nei documenti esso risulterà indicato come casale di San Mauro o, semplicemente, come S. Mauro.
I colonizzatori
La fondazione del nuovo “castello”, per volontà e sulle tenute del conte di Santa Severina, modifica il territorio circostante. Lo spazio è organizzato e suddiviso. Oltre ai simboli del potere, rappresentati dalle case della corte con accanto la torre civica, dalla chiesa arcipretale di S. Giovanni Battista e dalla piazza, suoli sono concessi dal feudatario ai nuovi abitanti per edificare le abitazioni, le botteghe e per l’uso comune. Per queste concessioni i vassalli dovranno fornire prestazioni personali, valutate in 50 grana per ogni casa, da pagarsi alla corte comitale come “pagliaratico”. Alcuni terreni vicini alle mura sono concessi ad uso di orto, previo il pagamento di un annuo censo al feudatario o alla chiesa. Altre terre non lontane dall’abitato, sono cedute con contratto enfiteutico ad uso di vigna e di vignale. I grandi proprietari di terre di S. Mauro: gli abbati dei monasteri di S. Maria di Altilia, di S. Pietro de Niffis e di San Nicola de Jaciano, l’arcivescovo ed il conte di Santa Severina, facilitando i propri aderenti si creano così la loro base locale di consenso.[xix]
Il nuovo casale avrà un territorio ed organi amministrativi e religiosi. L’università sarà governata dal sindaco, da eletti ed ufficiali scelti dai rappresentanti delle famiglie Sammauresi ogni 15 agosto, e confermati dal feudatario, mentre un arciprete, approvato dall’arcivescovo di Santa Severina, avrà la cura delle anime e la giurisdizione della chiesa parrocchiale, limitata però solo all’interno delle mura, perché il territorio e le campagne rimarranno all’arcivescovo, al quale spetteranno anche le decime sugli animali, che pascoleranno nei corsi.
La crescita cinquecentesca
Dalla fondazione per tutto il Cinquecento il nuovo abitato fortificato di San Mauro, che fa parte del distretto, della contea e della diocesi di Santa Severina, aumentò in popolazione. Assente nella numerazione dei fuochi del 1521 e nei capitoli concessi il 16 marzo 1525 dal conte Andrea Caraffa, a Santa Severina ed ai suoi casali di Cutro e S. Giovanni Minagò,[xx] il casale di San Mauro non compare tra le entrate feudali che passarono a Galeotto Carrafa in seguito alla morte di Andrea Carrafa, avvenuta nell’ottobre 1526, né nel cedolario del 1549.[xxi]
Da altre fonti sappiamo che in quell’anno, il luogo era già abitato e che al popolamento aveva contribuito un folto gruppo di “sclavorum”, stimati nel 1564/1565 in 34 fuochi.[xxii] Anni prima, nel 1544, il rocchese Antonio Ymmus aveva donato al convento di S. Francesco di Paola di Roccabernarda, delle terre situate nel territorio del casale, si trattava di una gabella di circa 140 tomolate in località “Caravà”.[xxiii] Nel 1545 San Mauro era tassato per 12 fuochi, che presto aumenteranno a 25, per passare nel 1565 a 60.[xxiv]
Dall’analisi di alcuni documenti riferiti a questi anni, si può constatare che il nuovo abitato è ormai strutturato ed organizzato, avendo una popolazione stabile residente, degli organi amministrativi ed un proprio territorio.[xxv] Come tale concorre ai pagamenti per la paga della fanteria spagnola, per il donativo, per le “strate”,[xxvi] per la costruzione delle fortificazioni di Crotone,[xxvii] ecc. Nel 1589 l’arcivescovo Alfonso Pisani lo stima popolato da circa 800 anime, con un arciprete e due preti,[xxviii] mentre nel 1595 è tassato per 147 fuochi[xxix] e risulta abbastanza florido.
Dall’analisi dei primi documenti possiamo affermare che all’interno delle mura, vi era un’unica chiesa parrocchiale, sede di un arciprete, intitolata a S. Giovanni Battista. Fuori dell’abitato, verso Scandale, era situata la chiesa di Santa Maria della Pietà mentre, verso mezzogiorno, continuava ad esistere l’antica chiesa della “Nunciata” di Caravà.[xxx] La chiesa parrocchiale si trovava nel quartiere detto “Lo Spontone”, e risulta già esistente nell’agosto 1572, quando l’arciprete del luogo, il “presbiter Alfonsus de Rasis”, originario di Santa Severina, intervenne in un atto riguardante la soppressione del vescovato di S. Leone.[xxxi] L’arciprete e notaio apostolico Alfonso de Rasis, governerà a lungo la chiesa di S. Mauro, essendo ancora vivo nel giugno 1598.[xxxii] Durante la sua arcipretura era dapprima fondata la confraternita del SS. Sacramento[xxxiii] con cappella dentro la parrocchiale. In seguito, sorgerà la confraternita di S. Caterina (già esistente nel 1589), che avrà sede in una propria chiesa, dedicata alla santa, situata nel quartiere “lo Vignale”.[xxxiv]
I nuovi ceti sociali
L’insediamento di molte famiglie di massari e di braccianti, permetterà la crescita urbana e la formazione di un ceto dominante tipicamente cittadino, composto da un ristretto gruppo di piccoli proprietari di terre, formato da “nobili viventi” e da ecclesiastici che, col tempo, sostituirà quello originario di Santa Severina, negli uffici pubblici ed ecclesiastici. Essi daranno in fitto le loro terre e prenderanno in fitto e gestiranno le terre feudali ed ecclesiastiche, che subaffitteranno a coloni e massari, obbligandoli al tempo del raccolto, al pagamento in grano. Grano che ammassato nei magazzini e nelle fosse, costituirà la loro fortuna.
Il crescere di questi ceti sociali faciliterà l’insediamento anche di alcuni bottegai, artigiani, ecc. che forniranno servizi e merci, non solo ai locali ma anche ai paesi vicini. Tuttavia, saranno soprattutto i massari ed i braccianti gli artefici della trasformazione agraria, che permetterà lo sviluppo della nuova terra e la formazione del ceto locale dei possidenti, degli amministratori e degli ecclesiastici che, un po’ alla volta, sostituirà quello originario di Santa Severina, che aveva dominato ed amministrato San Mauro per tutto il Cinquecento.[xxxv]
L’analisi di alcuni documenti della seconda metà del Cinquecento ci permette di seguire la formazione ed il consolidarsi di questo ceto urbano. Nel maggio 1582 nel casale di S. Mauro, con l’intervento di un giudice e di un notaio, l’abbate del monastero di S. Maria di Altilia, Tiberio Barracco, fece redigere una platea in cui furono elencati tutti i beni, le rendite ed i debitori esistenti “in hoc rure S.ti Mauri”. L’atto fu compilato in presenza dell’arciprete Alfonso de Rasis, di alcuni abitanti ragguardevoli “de rure S.ti Mauri”: Oratio Pancali, Scipione Santoro, Mario Barbaro e Fabiano Longo, e di alcuni vassalli originari di Lattarico, baronia dei Barracco.
Le entrate dell’abbazia provenivano da “possessioni” concesse in enfiteusi, e da gabelle affittate a grano e pascolo. Le possessioni concesse a quindici abitanti del casale, tra cui due mastri, erano situate a “la Serra de Permontorio”, una località abbastanza vicina al casale e di facile accesso. La “Serra”, infatti, risultava attraversata da vie pubbliche che collegavano l’abitato di San Mauro con Santa Severina, con Cutro, con Scandale e con la “traccia p.ca che va alla Grillusa”. Tutte le possessioni confinavano con una via pubblica, a volte con due. Quasi tutte erano situate lungo la via che andava al casale di Scandale; parte di queste confinano anche con la via che andava a Cutro, parte con la via, o “traccia”, della Grillusa.
Gli enfiteuti[xxxvi] pagavano “in perpetuum” un canone annuo che, in media, si aggirava attorno i tre carlini e mezzo per un totale di 9 ducati. Facevano eccezione due possessioni che, da sole, contribuivano per metà a questa rendita del monastero. Una era la possessione detenuta dal mastro Mario Polito. Essa era composta da “una vigna con celsi, fico, pira et altri alberi”, dell’estensione di due tomolate e mezza, gravata di 10 carlini, l’altra apparteneva ad Agostino Iuliano ed era “con sei pezzotti di vigna et cinque troppe grandi di celsi”; era estesa 3 tomolate e gravata da un censo di 3 ducati e mezzo.
Le concessioni era state fatte abbastanza di recente, evidentemente poco dopo la fondazione del l’abitato, in quanto solo alcune risultavano detenute da eredi o da persone diverse dal primo enfiteuta. Dall’analisi dei documenti risulta che il fondo del monastero era stato suddiviso in piccoli lotti confinanti tra loro e, nella maggior parte, dell’estensione di una o due tomolate (solo due erano di poco superiori), che gli enfiteuti avevano disboscato e trasformato in vigna, con alberi (cerze, celsi, fico, pira, cerica) e terre coltivabili contigue.
Questi piccoli terreni costituiranno la base economica sufficiente per le famiglie dei nuovi abitanti ed un legame tra queste e gli interessi dell’abbazia. L’affitto delle sette gabelle dell’abbazia per una estensione totale di circa 600 tomolate tra “culte et inculte”, da parte soprattutto del clero e dei chierici locali, ed il loro subaffitto a coloni e massari, costituirà, invece, la prima forma di accumulazione, che darà origine alla formazione e alla crescita economica di un ristretto ceto di possidenti locali,[xxxvii] evidenziato dalle confraternite, dalle cappelle e dalle nuove chiese, che furono costituite e fabbricate tra la fine del Cinquecento ed i primi decenni del Seicento. Sullo stesso modello dell’abate di S. Maria di Altilia, si muoveranno o si erano già mossi, il feudatario, l’arcivescovo e gli altri abati.
Evoluzione dell’abitato
Nella prima metà del Seicento il “castello di Santo Mauro”, formato e distinto nei due quartieri separati: “lo Spontone”, dove c’è la parrocchiale di S. Giovanni Battista, e “lo Vignale” con chiesa di S. Caterina Vergine e Martire, si arricchisce di nuovi istituti religiosi. Fuori le mura furono costruiti il convento degli agostiniani con la chiesa del SS.mo Salvatore, la chiesa della SS. Pietà dell’omonima confraternita, e la chiesa della Madonna del Soccorso. Il primo fu fondato nel 1600 poco fuori mura, col consenso dell’arcivescovo di Santa Severina Alfonso Pisano, e con il contributo dell’università. Esso era situato “vicino l’habitato in strada publica sito in una pianura distante dalle mura dell’habitato per essere loco aperto passi cinquant’otto e mezzo”.[xxxviii]
La seconda fu edificata nel 1608 nel luogo detto “Arricella … sotto lo Spontone”. Nel luglio di quell’anno alcuni abitanti del Castello di S. Mauro, tramite il sacerdote Giovanni Geronimo Migale, avevano fatto presente all’arcivescovo di Santa Severina che avevano edificato la nuova chiesa sotto il titolo di S. Maria della Pietà, ed avevano espresso l’intenzione di costruire anche un ospedale per i poveri. Riunitisi in confraternita, chiedevano all’arcivescovo di conservare lo iuspatronato sulla chiesa da poco edificata, e di godere di alcuni privilegi. Tra le richieste per costruire l’ospedale vi era quella di trasferire il titolo dalla chiesa vecchia alla nuova, utilizzando il materiale della vecchia chiesa abbandonata, situata anch’essa fuori dell’abitato e recante lo stesso titolo. La seconda richiesta però non sarà accolta.[xxxix]
La terza quasi certamente fu edificata poco dopo il terremoto del 1638,[xl] che aveva scosso l’abitato e distrutto alcuni paesi della vallata del Tacina. La chiesa dedicata a Santa Maria del Soccorso sorgerà presso l’incrocio delle vie che da San Mauro conducono a Santa Severina, a Scandale ed a Cutro, e nei suoi pressi si celebrerà una bellissima fiera “con molto concorso di popoli lontani e vicini o per voto, o per devozione”.[xli]
L’abitato si estende da tramontana a mezzogiorno sul pianoro di una collina ed è attraversato dalla strada principale “molto larga e piana” detta “La Piazza”, da vie pubbliche e vinelle. Esso è composto da semplici case terrane nella maggior parte “fabricate di creta”, da poche case palaziate (casa palatiata del chierico Gio. Bernardino Amoruso) e da qualche “poteca” sulla “via seu piazza publica”: la “poteca” di Marcantonio Grandello, quella di Giovan Andrea Amoruso, e quella di Giovan Vincenzo Camarda. I due quartieri si arricchiscono di due oratori. Dapprima nel quartiere “Lo Vignale”, accanto alla chiesa di Santa Caterina, è costruito l’oratorio dell’Immacolata Concezione; poco dopo in quello detto “Lo Spontone” l’oratorio del SS. Rosario, che è presso la chiesa parrocchiale. Entrambi sono le sedi delle confraternite omonime. Sempre in questi anni venivano fondate nella chiesa matrice le cappelle dedicate a Sant’Andrea Apostolo della famiglia Olivieri, di Santa Maria del Carmelo e dell’Immacolata Concezione.[xlii]
Modifiche del paesaggio
Nonostante gli interventi di qualificazione del territorio attuato dai nuovi abitanti, che, ottenute a censo le terre sul pianoro e sulle serre, trasformano il paesaggio vicino all’abitato in vigne, giardini ed orti, predomina il bosco. Esso si estende su ampie aree dei terreni feudali ed ecclesiastici, che costituiscono quasi la totalità del territorio di San Mauro, specie verso la vallata del Tacina (“Foresta de Santo Petro de Niffi”, “difesa di Santo Nicola de Yaciano”, “difesa di Collitelle”, “corso di Pantano”, ecc.). L’attacco ai terreni boschivi, per ricavare terreni da coltura, trova un ostacolo nella natura collinare del territorio. Predominano le timpe ed i timponi (“de Aurusa”, “dela Zita”, “delo Corvo”, ecc.), segnati da profondi valloni e valli (“che cala di S.ta Maria dela Pietà”, “Siccagno”, “di Calidura”, “della Leuca”, “dell’Acqua”, “de Aurusa”, “che discende di S.to Mauro”, “de Cropasia”, “de Niffi”, ecc.) con frequenti sorgenti ed acque (“L’acqua de Permontorio”, “acqua che piove”, “acqua dela nuce”, “ombra dela Galipusa”, “valle dell’acqua”, “puzzo di Santo Lorenzo”, ecc.) ma con pochi pianori (“dell’ulmo”, “delo Re”, ecc.) e serre (“Moganà”, “Contrise”, “Permentorio”, ecc.).
L’erosione del bosco proseguirà per tutta la metà del Cinquecento e nei primi decenni del Seicento. Su molti terreni l’incolto lascerà il posto alla rotazione triennale tra grano e pascolo,[xliii] ciclo che si espande con la continua crescita della popolazione. L’aumento della produzione cerealicola è costante per tutto il Cinquecento e nella prima parte del Seicento. Di ciò ne beneficiano i grandi proprietari ma soprattutto, le famiglie emergenti del casale (Guercio, Olivieri, Benencasa, Marescalco, Giuliano, Amoroso, Di Bona, Giordano, Megale, Modio, Visciglia, Melioti, Scaccia, ecc.), le quali gestiscono le terre dei grandi proprietari assenti e sfruttano il lavoro dei coloni e dei massari. Esse si dedicano all’incetta del grano, che conservano nelle numerose fosse in attesa del momento più adatto per speculare. Dal commercio cerealicolo, unica attività produttiva importante di San Mauro, e dal prestito ad usura, trarranno i mezzi per poter allargare la proprietà fondiaria e per accedere agli uffici civili ed ecclesiastici.
Durante il Seicento alcuni di essi ricopriranno uffici e cariche importanti: Martino Megale fu vescovo di Bova (1646-1656), Francesco Megale vescovo di Isola (1679-1681), Giovanni Francesco Giuliano e Giovanni Matteo Amoroso furono medici rinomati, Giovanni Battista e Biase Marescalco ricoprirono l’ufficio di notaio, Nicola Richetto fu lettore alla Sapienza e poi vescovo di Martirano (1703-1712).[xliv] A quest’ultimo si deve la fondazione della cappella dedicata a S. Nicola vescovo di Mira ed il restauro di quella di S. Mauro,[xlv] entrambe situate nella matrice.
Il Seicento
Morto Alfonso De Rasis diviene arciprete del castello di S. Mauro Gio. Pietro Modio, il quale risulta già in possesso della carica nel 1606, come testimonia l’iscrizione “IO. PETR. MODIUS V. J. D. F. C. / 1606”, che l’arciprete fece apporre sulla fonte battesimale della matrice, fatta costruire a sue spese. Morto nel giugno 1619 il Modio, che era anche rettore della chiesa senza cura della SS.ma Annunziata di Caravà, in ottobre era nominato arciprete il prete della diocesi il Dottore Salvatore Brundolillo,[xlvi] il quale risulta ancora presente negli atti del sinodo di S. Anastasia della fine di maggio 1634.
Sempre dagli atti sinodali ricaviamo i nomi di alcuni ecclesiastici sanmauresi che versarono il cattedratico all’arcivescovo di Santa Severina Fausto Caffarelli. Oltre all’arciprete, il Doctor Salvatore Brundolillo, che versò come arciprete e come cappellano delle cappelle della matrice di S. Andrea Apostolo, di S. Maria de Carmelo, dell’Immacolata Concezione e di S. Caterina, sono presenti Ioannes Paulus Quercius, che pagò come cappellano della nuova chiesa di S. Maria della Pietà, e il Diac. Scamilla in qualità di cappellano della chiesa di S. Caterina.[xlvii]
All’arciprete Salvatore Brundolillo seguì Gio. Maria Rincola e, alla sua morte, fu nominato nell’ottobre 1650 Sebastiano Scaccia, il quale dopo pochi mesi lascerà, favorendo la nomina nel marzo 1652, di Marcantonio Giuliano.[xlviii] Il Giuliano eserciterà ancora la carica di arciprete nel 1688. Seguirà dopo poco Giuseppe Amoroso che, nel 1692, risulta arciprete del casale di San Mauro.[xlix] Si deve all’arciprete Amoroso la fondazione della nuova cappella nella matrice dedicata a San Giuseppe, e del pio monte omonimo che, dotato di 300 ducati, aveva lo scopo di imprestare denaro ai coloni indigenti in cambio di pegni.[l]
La decadenza
I relevi dei feudatari, le visite arcivescovili e l’apprezzo del Manni, evidenziano il precipitare della crisi che investe il casale verso la metà del Seicento, prolungandosi per buona parte del secolo. Il terremoto del 1638 e la peste del 1656, si inseriscono ed aggravano la situazione delle campagne, che sono esposte alle incursioni ed agli incendi dei “latrorum et perditorum hominum”, ed immiserite dal succedersi di “male annate”.
Le terre che con il ripopolamento erano state dissodate ed avevano decuplicato le rendite dei grandi proprietari, permettendo la formazione di un ceto di proprietari locali, ora per mancanza di braccia e di animali, inselvatichiscono e ritornano alle rese primitive.[li] Il calo è evidenziato dall’abbandono delle numerose fosse per conservare il grano, che sono lungo la strada del casale, indicando con certezza l’estinzione di alcune famiglie e la rovina di altre. L’abitato “nel quale si può entrare dappertutto”, mostra i segni della decadenza. Le chiese e le cappelle, malconce e dissestate per il terremoto, rimangono per lungo tempo in stato di abbandono per la povertà degli abitanti.[lii] La casa della corte simbolo del potere “è diruta”; è rimasta solo la torre che serve come orologio. Alcune iniziative di miglioramenti, soprattutto attuate da religiosi, hanno vita breve. Le case “cominciate con gran disegno” nello “Spontone” nel 1688, dal vescovo Francesco Megale, a sette anni dalla sua morte, non sono ancora state portate a “perfezione”. I beni del reverendo Giacinto Marescalco, che poco fuori dell’abitato, accanto alla chiesa di S. Maria della Pietà, aveva costruito una torre con un bellissimo giardino circondato da mura, alla sua morte avvenuta nel 1692, sono gravati di debiti e di pesi. La chiesa dedicata a S. Pietro de Niffis, distante quattro miglia dall’abitato che, per ordine dell’arcivescovo Fausto Caffarelli (1624-1654) era stata abbandonata, va ben presto in rovina. La cappella omonima, fatta costruire nella chiesa matrice di S. Mauro, dove era stata portata l’antica icone dipinta su tela con l’immagine di S. Pietro, ed alcuni ornamenti della chiesa abbandonata, nel novembre 1660, dopo quindici anni dall’inizio dei lavori, non era ancora finita.[liii]
Alla fine del Seicento
L’abitato alla fine del Seicento contava un migliaio di abitanti,[liv] con una decina di sacerdoti ed altrettanti chierici. Le casette terranee in pietra, o in creta, costituivano ancora la maggior parte delle abitazioni, anche se col tempo, alcune decine di queste avevano lasciato il posto a case palaziate, composte quasi sempre da un alto ed un basso, ed a qualche “palazzo”. L’esigua struttura artigianale e commerciale era costituita da “3 scarpari, 5 cuscitori, un barbiero, e pilucchiero napolitano, 2 ferrari, 2 mastri d’ascia, 3 fabbricatori ed un commodo merciero”. Tra le poche botteghe erano annoverate due rinomate spezierie, che erano meta anche di abitanti dei paesi vicini.
La matrice era senza dubbio l’edificio più importante. Vi si entrava per tre porte, che si aprivano nella facciata che dava sulla piazza: una grande centrale e due piccole ai lati. La struttura dell’edificio era costituita da tre navate, separate da archi e pilastri; mentre all’esterno c’era il campanile con tre campane. Vi erano la fonte battesimale, il coro, la sacrestia e le cappelle di S. Pietro de Ninfis, del protettore San Mauro, della SS. Annunziata, di S. Andrea Apostolo, della SS. Annunziata, del SS. Rosario e del SS.mo. Quest’ultima era situata in capo alla navata maggiore centrale, dove c’era l’altare maggiore. La matrice comunicava tramite una piccola porta interna con l’oratorio del SS.mo Rosario, che era attaccato alla matrice. L’altra chiesa dedicata a S. Caterina aveva accanto l’oratorio dell’Immacolata Concezione. Fuori dell’abitato c’erano alcune chiese: quella del SS. Salvatore, che era stata rifatta, quella di S. Maria della Pietà, la nuova chiesa detta delle Cinque Piaghe, che era in costruzione, la chiesa della Madonna del Soccorso e la chiesa della SS. Annunziata di Caravà.[lv]
Note
[i] Nel 1451 l’università della Motta di Santo Mauro de Caravà, in pertinenza di Santa Severina, aveva inviato una petizione al governatore Francesco de Siscar, chiedendo di diminuire la tassa sui fuochi. Tassata per 31 fuochi, sei di essi erano andati ad abitare a Santa Severina, mentre di altri cinque se ne erano perse le tracce. Fonti Aragonesi, II, pp. 65-67.
[ii] Maone P., San Mauro Marchesato e le sue vicende attraverso i secoli, Mancuso Catanzaro, 1975, pp. 101-102.
[iii] Russo F., Regesto, II, 12488.
[iv] Pandolfo Scryi morendo ha lasciato ducati 50. Il denaro dovrà essere dato a censo e dovrà servire per dotare due discendenti. ASCZ, Busta 12, anno 1586, ff. 108-112.
[v] ASCZ, Libri Antichi e Platee, Cart. 80/2, f. 6.
[vi] Istrumento di dotatione fatta alla venerabile Chiesa di S. Maria della Pietà, in appendice a Caridi G., Chiesa e società in una diocesi meridionale. Santa Severina dal Cinque al Seicento, 1998, pp. 137 sgg.
[vii] Russo F., Regesto, VI, 28185, 28221.
[viii] ASV, Rel. Lim. S. Severina., 1625.
[ix] Maone P., San Mauro Marchesato e le sue vicende attraverso i secoli, Mancuso Catanzaro, 1975, p. 282.
[x] 1624. Lite tra Marcello Barracco ed il feudatario e gli abitanti di Caccuri, per la deviazione del Neto e la carcerazione di animali del monastero. ASCZ, Misc. Monastero di S. Maria di Altilia, fasc.529, 659, B. 8.
[xi] Libro parrocchiale di Rocca di Neto, ff. 233, 235.
[xii] ASCZ, Busta 180, anno 1659, ff. 32v-33.
[xiii] Morto il 3 agosto 1656 Carlo Sculco, succede nello stato di Santa Severina il fratello Gio. Andrea Sculco. Lo stato di Santa Severina consisteva “nella città di S. Severina decorata con titolo di Duca, la terra di S.to Mauro et il casale di Scandale”. Gio Andrea Sculco lo donerà nel 1674 al figlio Domenico. ASN, Ref. Quint. Vol. 198, ff. 120-122; Vol. 201, ff. 318-321, 400-406.
[xiv] “Apprezzo dello Stato di Santa Severina fatto nel 1687”, in appendice a Caridi G., Uno “stato” feudale nel Mezzogiorno spagnolo, 1988, pp. 167 sgg.
[xv] L’arciprete di S. Mauro aveva diritto ad avere da ogni massaro un tomolo di grano per ogni paio di buoi che aravano, da ogni bracciante che seminava un mezzo tomolo di grano, dagli altri abitanti 2 carlini all’anno e da ogni vedova un carlino all’anno. Egli possedeva una gabella, dei vignali e dei censi su case e vigne. “Apprezzo dello Stato di Santa Severina fatto nel 1687”, in appendice a Caridi G., Uno “stato” feudale nel Mezzogiorno spagnolo, 1988, p..172.
[xvi] Mannarino F. A., Cronica della Celebre ed Antica Petilia detta oggi Policastro (1721-23) f. 68v.
[xvii] Nel dicembre 1565 il casale di Gaudioso fu tassato per 25 fuochi albanesi che, per ordine della Regia Camera, furono soggetti solo alla metà dei pagamenti fiscali ordinari e straordinari, essendo Albanesi. ASN, Tesorieri e Percettori, Vol. 4087, f. 67.
[xviii] “In la num.ne vecchia de Scandali se fa notamento per li num.ri com’essendono andati in d.ta t.ra no ce hanno ritrovato persona alcuna ne segno di habitatione”. Nel 1565 Scandale veniva tassato per 1 fuoco. ASN, Tesorieri e Percettori, Vol. 4087, f. 51.
[xix] Censi su orti e vigne: Abbazia di Altilia n. 15 per una rendita annua di duc. 9; Mensa arcivescovile n. 11 per duc. 5 tari 4 e grana 17; feudatario n. ? per duc. 10. ASCZ, Copia di Platea antica con i pesi de’ vassalli, Misc. Monastero di S. Maria di Altilia, fasc. 529, 659, B. 8. Maone P., San Mauro Marchesato e le sue vicende attraverso i secoli, Mancuso Catanzaro, 1975, p. 109. “Apprezzo dello Stato di Santa Severina fatto nel 1687”, in appendice a Caridi G., Uno “stato” feudale nel Mezzogiorno spagnolo, 1988, pp. 58-59.
[xx] Costituzioni della città e stato di Santaseverina, in Siberene, Cronaca del Passato per le Diocesi di Santaseverina – Crotone – Cariati, 1999, a cura di Scalise G. B., p. 370.
[xxi] “Nel cedulario dell’anno 1549 si tassò detto Galeotto Carrafa conte di S. Severina dedotte le rate de vassalli per l’infratte terre: S. Severina con li casali di Cutri, S.to Giovanni Minagò (47.1.5) Castelle (39.1.17), Rocca bernarda (29.2), Feudo di Crepacore inhabitato (18).” ASN, Ref. Quint. 207, ff. 78-122.
[xxii] ASN, Tesorieri e Percettori, Vol. 4087, f. 51v.
[xxiii] Mazzoleni J. Fonti per la Storia della Calabria nel Viceregno (1503-1734) esistenti nell’Archivio di Stato di Napoli, p. 9.
[xxiv] “In sup.to cedular. R. 80 taxabatur inf.a uni.tas S.ti Mauri per veterem num.nem p. infr.is f.bus 25. De inde per novam num.nem generalem fuit liquidata p. foc.bus sessaginta jux. Tenorem l.rarum R.ae Cam.ae XI Xbris 1565 … Taliter q. augmentavi. per dictam novam numerationem focularia triginta quinque.” ASN, Tesorieri e Percettori, Vol. 4087, f. 51v.
[xxv] Una vertenza territoriale tra S. Mauro e Roccabernarda sorgerà poco dopo la metà del Seicento. Essa riguarderà il territorio su cui sorgeva l’abbazia di S. Pietro de Niffi. ASCZ, Busta 181, anno 1663, ff. 37 sgg.
[xxvi] Nella lista dei “Denari esatti … per conto delle strade”, nel 1565 troviamo che i versamenti riguardanti S. Mauro sono fatti: il 14 gennaio 1565 dal sindaco di S. to Mauro Placito Carnevale ed il 6 agosto e l’11 settembre da Gio. Tho.si Romanazo, ASN, Tesoriere Turino Ravaschieri, Strate 1564-1565, Vol. 4088, ff. 79 sgg..
[xxvii] Nel 1578 S. Mauro, contando 60 fuochi, è tassato a fornire 6 canne di pietra per la costruzione del baluardo del castello di Crotone. ASN, Torri e Castelli, vol. 35.
[xxviii] Relatione dello stato della chiesa metropolitana di Santa Severina, S.cta Severina 22 martii 1589.
[xxix] Giustiniani, Dizionario Geografico-Ragionato del Regno di Napoli, tomo VIII, Napoli 1804, p. 322.
[xxx] La chiesa senza cura della “Santissima Annuntiata de Caravà” nel 1586 possedeva delle terre in territorio di S. Mauro dentro il corso di Pantano. ASCZ, Busta 12, anno 1586, ff. 108v-112. Essa era di iuspatronato della famiglia Modio. Morto Io. Petro Modio, nel luglio 1619 vi provvede il chierico Io. Battista Modio. Russo F., Regesto, VI, 28185.
[xxxi] Per San Leone, in Siberene, Cronaca del Passato per le Diocesi di Santaseverina – Crotone – Cariati, 1999, a cura di Scalise G. B., p. 115.
[xxxii] Le cappelle di Patronato nella Metropolitana, in Siberene, Cronaca del Passato per le Diocesi di Santaseverina – Crotone – Cariati, 1999, a cura di Scalise G. B., p. 168.
[xxxiii] Il primo agosto 1577 Gregorio XIII concedeva l’indulgenza a favore della cappella della confraternita del SS. Sacramento, situata nella chiesa parrocchiale di S. Giovanni Battista. Russo F., Regesto, V, 22878.
[xxxiv] Relatione dello stato della chiesa metropolitana di Santa Severina, S.cta Severina 22 martii 1589.
[xxxv] Tra i proprietari di terre in territorio di San Mauro nel 1582 sono ricordati: Antonio Mellea, Salvatore Amoroso, Giovanni Antonio Telesio, Luca Mascendano, i Basuini, i Novellisi, i De Bona, i Miniscalchi, i Ferrari. ASCZ, Copia di Platea antica con i pesi de’ vassalli, Misc. Monastero di S. Maria di Altilia, fasc. 529, 659, B. 8.
[xxxvi] Gli enfiteuti erano: Eredi di Niccaro, Panfutio Arratta, Polita de Pugliano, Salvatore Pugliano, mastro Scipione de Albo, mastro Mario Polito, Agostino Iuliano, Fabio e Colella Longo, Alessandro Longo e per esso Cesare Zaccaria, Carlo Russo, Io. Fran.co Bunaccio, Polito Mancio, Blasio Amoruso, Gregorio Muschetta e per esso Martino Iemma, Ruccio Amuruso e per esso Cola Indilicato. ASCZ, Copia di Platea antica con i pesi de’ vassalli, Misc. Monastero di S. Maria di Altilia, fasc. 529, 659, B. 8.
[xxxvii] In un documento del 1586 sono citati alcuni cittadini benestanti di Castro S. Mauro: Salvatore Amoroso “homo facultoso et persona sicura”, proprietario della gabella de Caladu, l’“honorabilis” Joseph Carvonolli, l’arciprete Alfonso de Rasis, Francesco Benincasa, Horatio Greco, Mercuri Mancuso, Fra Matteo Cavarretta. ASCZ, Busta 12, anno 1586, ff. 108v-112.
[xxxviii] Maone P., San Mauro Marchesato e le sue vicende attraverso i secoli, Mancuso Catanzaro, 1975, p. 282.
[xxxix] Istrumento di dotatione fatta alla venerabile Chiesa di S. Maria della Pietà, in appendice a Caridi G., Chiesa e società in una diocesi meridionale. Santa Severina dal Cinque al Seicento, 1998, pp. 137 sgg.
[xl] La chiesa, che non è menzionata nel sinodo del 1634, reca due iscrizioni risalenti agli anni del 1644 e 1645, quando ne era procuratore Maurizio Olivieri. Varietà, in Siberene, Cronaca del Passato per le Diocesi di Santaseverina – Crotone – Cariati, 1999, a cura di Scalise G. B., p. 42. Maone P., San Mauro Marchesato e le sue vicende attraverso i secoli, Mancuso Catanzaro, 1975, pp. 276-278.
[xli] Fiore G., Della Calabria Illustrata, II, p. 454.
[xlii] Varietà, in Siberene, Cronaca del Passato per le Diocesi di Santaseverina – Crotone – Cariati, 1999, a cura di Scalise G. B., p. 42.
[xliii] L’abbazia di Altilia possedeva in territorio di San Mauro le tenute di “Pendino e Cristana”, di “Valle Calidura”, di “Valle Leuca” e la gabella di “Mogana”, le quali per tre anni erano messe a coltura dall’abbate commendatario e per tre anni dal feudatario di Santa Severina. ASCZ, Copia di Platea antica con i pesi de’ vassalli, Misc. Monastero di S. Maria di Altilia, fasc. 529, 659, B. 8. f. 27.
[xliv] Russo F., Regesto, IX, 49887, X, 51939.
[xlv] Mannarino F. A., Cronica della Celebre ed Antica Petilia detta oggi Policastro (1721-23) f. 68v.
[xlvi] Russo F., Regesto, VI, 28221.
[xlvii] Varietà, in Siberene, Cronaca del Passato per le Diocesi di Santaseverina – Crotone – Cariati, 1999, a cura di Scalise G. B., p. 42.
[xlviii] Russo F., Regesto, VII, 36319, 36714.
[xlix] Maone P., San Mauro Marchesato e le sue vicende attraverso i secoli, Mancuso Catanzaro, 1975, p. 326.
[l] ASV, Rel. Lim. S. Severina, 1735, 1765.
[li] Le rendite dei corsi Pantano e Verde, pur nei limiti delle cifre, dalla resa di ducati 175 nel 1527, erano passate ai duc. 280 nel 1557, ai duc. 1530 nel 1617, ai duc. 490 nel 1651, ed a meno di duc. 150 nel 1657. Rendita feudale dello stato di Santa Severina secondo i relevi, in appendice a Caridi G., Uno “stato” feudale nel Mezzogiorno spagnolo, 1988,
[lii] Nella matrice molte cappelle erano malmesse ed alcune dirute, come quella dedicata a S. Andrea Apostolo. “Apprezzo dello Stato di Santa Severina fatto nel 1687”, in appendice a Caridi G., Uno “stato” feudale nel Mezzogiorno spagnolo, 1988.
[liii] AASS, Fondo Arcivescovile, volume 37A, Visita Pastorale Mons. Francesco Falabella, 1660.
[liv] Nel 1675 viene dato per circa 1050 abitanti, nel 1678 per 1150, nel 1725 per 931, nel 1735 per 774, nel 1744 per 934. ASV, Rel. Lim. S. Severina, 1675, 1678, 1725, 1735, 1744.
[lv] ASV, Rel. Lim. S. Severina, 1675, 1678. “Apprezzo dello Stato di Santa Severina fatto nel 1687”, in appendice a Caridi G., Uno “stato” feudale nel Mezzogiorno spagnolo, 1988.
Creato il 23 Febbraio 2015. Ultima modifica: 11 Maggio 2023.