Dalla chiesa di Santa Caterina al monastero di Santa Chiara alla chiesa della Immacolata Concezione. Storia delle clarisse di Cutro
Nel 1685 la costruzione del monastero delle clarisse di Cutro era stata completata, ma, anche se tutto era pronto per l’apertura, mancava ancora il permesso della Santa Sede. L’arcivescovo di Santa Severina Carlo Berlingieri, sotto la cui giurisdizione il monastero ricadeva, così si esprimeva nella relazione dell’ottobre di quell’anno: “In oppido autem Cutri huius diocesis amplum monasterium reperitur, recenter aedificatum, sufficienti dote provisum, virgines tamen in illud nondum introductae, deficiente S. Sedis licentia pro qua S.C. negotiis Episcoporum propositae informationes, iuraque omnia iamdiu fuerunt trasmissa” (Rel. Lim., Mesoraca 20 ottobre 1685).
Erano passati 25 anni da quando per testamento il sacerdote Gio. Leonardo Quercia aveva istituito erede di tutti i suoi beni, che ascendevano a 8000 scudi, la chiesa di Santa Caterina d’Alessandria, chiesa situata nella piazza, con l’onere di costruire presso la chiesa un monastero di monache.
Ne dovranno passare ancora altri, prima che il monastero possa assumere una sua vita autonoma. Solamente nel 1693 il monastero è riconosciuto e può cominciare la vita comunitaria secondo la regola di Santa Chiara. In quell’anno iniziano l’anno di noviziato le educande Caterinella Zurlo, Innocenza Terranova, Porzia Boffa, Anna Asteriti, Elisabetta Oliverio, Elisabetta Morelli, Clara Raymondo, Dianora Raymondo, Porzia Oliverio e Elisabetta Oliverio. Per il primo periodo della sua vita comunitaria il monastero sarà governato dalla badessa Elisabetta Modio e dalla vicaria Ippolita Suriano, due clarisse provenienti dal monastero di Santa Chiara di Crotone . L’anno seguente, dopo aver versato la dote di ducati 200, hanno luogo le prime professioni .
Il monastero della SS.ma Concezione
Il monastero prese dapprima il nome della SS.ma Concezione. Così come appare in alcuni documenti della fine del Seicento, dove sono richiamati alcuni fondi donati al monastero di “monache della SS.ma Cocettione” dal benefattore Quercia, quali “Lo Scinetto”, “Capo di Ferro”, “Misula” ecc.
Il nome era legato al fatto che Gio. Leonardo Quercia aveva nominato erede testamentario universale la cappella della SS.ma Concezione, eretta nella chiesa di Santa Caterina, con l’onere di edificare un monastero di donne vergini in detta chiesa.
Avviata la vita comunitaria, sono nominati il procuratore, che dovrà gestire i beni del monastero, ed il confessore. Nell’agosto 1699 l’arcivescovo di Santa Severina , al quale il monastero è soggetto, chiedeva alla Sacra Congregazione il permesso di nominare per confessore ordinario nel nuovo monastero di Monache eretto in Cutro, poiché “stante la partenza delle monache ivi destinate per istruirle, tiene precisa necessità per meglio confermare nello Spirito le medesime monache di persona esemplare e di credito che però per il d.o effetto stima assai proprio valersi dell’opera del P. Fra Bonaventura da Tipignano Reformato Religioso di vita esemplare e di stima per le cariche esercitate nella sua Religione, di m(aest)ro di Novitii, Diffinitore et altro”.
Inizia l’accumulazione
All’inizio del Settecento il monastero è già abitato da dieci monache corali e da due terziarie. E’ questo il periodo di maggior floridezza del monastero. Ai fondi donati dal Quercia si aggiungono ora le doti delle nuove professe. Le famiglie del ceto nobiliare di Cutro sono quasi tutte presenti con una o più clarisse nel monastero, il quale può contare sulle doti spirituali, che ogni clarissa ha versato all’atto della professione, dote che è stata stabilita in ducati 200.
Il denaro è impiegato parte in fondi rustici ed in botteghe e parte è nella cassa del monastero, in attesa di trovare una collocazione proficua.
Già pochi anni dopo il suo inizio, nel 1702, le rendite annuali, provenienti dall’affitto dei fondi rustici (Tre porzioni delli Miccisi, Scinetto, Mergolei e Altomare, Gurgurà, Misola e Destra di Capo di ferro, tre porzioni di Gullì, porzioni di Strongiolito) e dall’affitto di due botteghe situate in piazza, ascendevano a ducati 556.4.2/3.
Le spese erano costituite dal vitto e vestito per ogni monaca (ducati 33 tari 2 e grana 5 per ciascuna) dalle spese per medicine, provvisioni del medico, del barbiere, del serviente, ripari del monastero, e versamenti al primicerio di Crotone ed al parroco di S. Nicolò di Cutro). Il tutto per ducati 460.2.0.
Quindi l’attivo del monastero era di circa 100 ducati, ai quali andavano aggiunti ducati 875, che erano nella cassa del deposito del monastero. Anche l’anno successivo il monastero sarà in attivo per circa 66 ducati.
Il numero prefissato delle monache professe, che il monastero poteva contenere, era stato fissato in dodici ma, poiché ci sono “alcune verginelle” che vogliono accedervi, il sindaco Domenico Olivieri e i due eletti Gio. Gregorio de Mayda e Gio. Paolo Foresta a nome dell’università chiedono all’arcivescovo di Santa Severina di aumentarlo. Il monastero, soggetto alla visita dell’arcivescovo di Santa Severina Carlo Berlingieri (1679–1719), è amministrato economicamente dal suo vicario foraneo di Cutro, l’arciprete Andrea de Mayda.
Il pericolo dei corsari
Dopo che il 9 giugno 1707 i corsari avevano messo a sacco la città di Cirò, a fine giugno le monache a causa del pericolo di invasione dei corsari barbareschi, essendo i muri di Cutro “scasati”, accolgono l’invito di trovare momentaneo rifugio nel monastero di Santa Chiara di Crotone, dove sono state destinate a loro le stanze nei luoghi migliori. A Crotone infatti è arrivato il governatore e “s’è dato riparo alle porte della Piscaria, et alle porte maggiori, e s’è destinato che ogni notte rondi per la città uno Capo Cappella con tutti li suoi genti e vigili per la guardia della città e muraglia”.
La ribellione
Ben presto però muta il clima tra le monache e coloro che amministrano i beni ed i capitali del monastero . Il 2 dicembre del 1707 le clarisse si ribellano e si rivolgono direttamente alla Sacra Congregazione. Esse fanno presente che da cinque anni l’arciprete Andrea De Mayda si trattiene ducati 400, che sono la dote di due monache della famiglia Suriano, cioè di Suor Ursula e di Suor Costanza, “e né ha curato, né cura pagarle, et ha fatto perdere due volte l’occasione di detta applicatione in grave danno di noi povere monache”. L’arcivescovo Carlo Berlingieri, loro superiore, non “ha havuto rimorso di coscienza di fare pagare detto deposito”. L’arcivescovo quando viene nella visita al monastero è “alquanto freddo” e non interviene in quanto tra i due prelati c’è l’accordo infatti l’arciprete è suo vicario foraneo e “beneamino e ne riceve alla giornata delle murmuratione e l’arcivescovo e l’arciprete se stanno come i lupi alle gridate”.
La protesta non ebbe certamente il risultato sperato dalle monache, anzi esse molto probabilmente andarono incontro alle censure ed alle vendette dell’arcivescovo e dell’arciprete, come risulta dal fatto che la supplica delle monache il 18 febbraio successivo fu rimessa da Roma all’arcivescovo, il quale doveva indagare sulla condotta dell’arciprete. La supplica si trova infatti tra le carte dell’arcivescovo di Santa Severina.
Al tempo della visita al monastero dell’arcivescovo Nicola Pisanelli (1719–1731) il monastero è abitato dalle 12 coriste previste fin dalla sua fondazione alle quali si aggiungono altre tre soprannumerarie aggiunte per indulto apostolico; vi sono inoltre quattro serve ed otto educande. L’arcivescovo durante la visita al monastero, per rendere più rigorosa la clausura, ma anche per rendere più confortevole la dimora, ordina di ampliarlo. Nel 1721 è badessa Suor Chiara Raymondi.
“Et quoniam crescente monialium numero, praelibato coenobio, non tantum ad aedificii elegantiam, et commodam habitationem, quam potius ad forniorem clausurae custodiam, novum suffoddere membrum ad maiorem Dei Gloriam expediens in actu visitationis praedictae Terrae Cutri visum est, cuius exinde iacta fuerunt fundamenta; ut citius crescant, et absolvantur consuetae doti ducatorum biscentum monetae Regni pro puellis tantum exteris ad velum accipiendum in eodem monasterio confluentibus, triginta reliquos ducatos accedere decrevi, ut novis sumptibus hac via consulatur et monasterium tantum decrementi non patiatur” ( Rel. Lim. S. Severina., 1725).
In questi anni si succedono come procuratori del monastero Andrea de Mayda e poi Domenico de Mayda (1721-1727).
Sarà la gestione economica del monastero la causa di molte liti, che determineranno anche il suo abbandono da parte di molte famiglie. Il monastero infatti attraverso la continua accumulazione determinata dalle nuove doti assume sempre più un ruolo economico importante nella vita cittadina, alimentando le liti tra le varie casate. Il monastero, tramite il suo procuratore, oltre ad avere una importante attività finanziaria, interviene anche in acquisti di fondi.
Nel 1731 il clero di Cutro ed il monastero di Santa Chiara comprano la gabella della Gana.
Il Catasto
Durante questi primi decenni del Settecento si assiste all’ascesa della famiglia Oliverio, che assume un ruolo dominante nella vita del monastero.
Nel Catasto Onciario di Cutro del 1744 sono elencate 17 monache coriste, delle quali ben sei appartengono alla famiglia Oliverio. E’ badessa Suor Anna Oliverio e vicaria Suor Maria Eufrasia Petrucci. Ci sono inoltre le monache coriste : Sor Agata Zurlo, Sor Rosa Boffa, Sor Maria Aloisia Morelli, Sor Maria Umile Oliverio, Sor Maria Bonaventura Cirrelli, Sor Maria Gaetata Venturi, Sor Maria Angela Scarnera, Sor Maria Delizia Oliverio, Sor Maria Angelica Pagano, Sor Maria Frosinia Colucci, Sor Maria Maddalena Abinante, Sor Maria Colomba Oliverio, Sor Maria Cherafina (Cherubina) de Mayda, Sor Maria Teresa Oliverio, Sor Maria Crocifisso Oliverio. Le educande sono tre e sono tutte della famiglia Oliverio : Dianora Oliverio, Isabella Oliverio e Diana Oliverio. Vi sono poi quattro converse professe: Suor Cecilia Paludi, Suor Benedetta Garà, Suor Teodora Leto e Suor Fortunata di Nardo. A queste sono da aggiungere la serviente Bruna Foti ed il garzone Francesco di Vona.
Il monastero possedeva in territorio di Cutro le gabelle Mergolei e Scinetto e la metà della gabelluccia Altomare ed in territorio di Crotone il territorio Li Miccisi, la gabella La Misola, due terze parti della gabella Gullì , la metà della gabella La Gana, una porzione della gabella Strongiolito, la gabelluccia detta La destra della Concezione e le gabelle Jacopuccio e Gurgurà. Aveva inoltre due botteghe nella piazza di Cutro e sette capitali per oltre 2500 ducati, con una rendita del 5 – 7 %, dei quali uno di 1000 ducati sopra i beni di Giuseppe Oliverio di Crotone (Università di Cutro, Gregorio Morelli, Luca Gio. Casanova, Casimiro Oliverio, Colucci di Cropani, Cesare Presterà di Crotone, Giuseppe Oliverio di Crotone).
Le monache, oltre ad avere diritto a “vitto e vestito”, potevano spesso contare anche su vitalizi. Suor Maria Cherubina de Mayda, figlia di Bruno barone di Stalatti, riceveva un vitalizio di ducati 7 annui, Suor Maria Teresa Oliverio, sorella del barone di Crepacore e Rivioti Giuseppe Antonio, annui ducati10 come vitalizio per la rinuncia dei beni fatta in favore del fratello, Suor Maria Aloisia Morelli un vitalizio di ducati 5 da D. Gregorio Morelli, le sorelle suor Maria Eugenia e suor Maria Eufrasia Colucci ducati 5 ciascuna di vitalizio dai fratelli Filippo e Paolo e Suor Rosa Boffa un vitalizio di ducati 3 dal magnifico Nicola Boffa. Anche le educande possedevano delle rendite come nel caso di Dianora Oliverio che per testamento aveva diritto alla porzione paterna e materna, che fruttava 30 ducati annui (Catasto Onciario, Cutro Vol. 6959, 1744, ff.198v, 213–215).
La Chiesa di Santa Caterina diviene chiesa dell’Immacolata Concezione
Il 21 marzo 1744 i sindaci ed il popolo di Cutro in processione si recano nella chiesa di Santa Caterina presso la cappella della Immacolata Concezione , dove in ginocchio fanno voto che se la Madonna preserverà Cutro dai pericoli del terremoto, che ha devastato molti luoghi della Provincia, la festa della Immacolata Concezione sarà celebrata in modo solenne e col versamento di ducati 6 annui alla cappella (594, 1744, 19 -20).
Nel catasto di Cutro di quell’anno la chiesa di Santa Caterina, all’interno della quale vi era la cappella della Immacolata Concezione, non è richiamata ed al suo posto compare la chiesa dell’Immacolata Concezione.
La chiesa sarà la sede della confraternita omonima eretta con il suo altare situato dentro la chiesa delle monache (Rel. Lim. S. Severina, 1765).
Mutano gli equilibri
In seguito si assiste ad un mutamento nella composizione delle monache; alla famiglia Oliverio, ormai trasferitasi a Crotone, si sostituisce la famiglia Morelli, che dalla seconda metà del Settecento fino alla soppressione sarà presente con ben sei clarisse.
Due Brevi di Clemente XIII diretti all’arcivescovo di Santa Severina Giovan Battista Pignatelli del 10 luglio e del 2 settembre 1761 si concede la possibilità a Livia, Marianna e Maria Elisabetta Pecoro, figlie del fu Giuseppe Pecoro e di Prudenza Franco di Cutro, di dimorare nel monastero di monache di S. Chiara di Cutro, per l’educazione, anche se sono di sei, cinque e tre anni ed il numero delle bambine è completo (Russo,64887, 64912).
Quattro anni dopo nel monastero ci sono tredici monache professe, sei educande e quattro converse (Rel. Lim. S. Severina, 1765).
La soppressione del monastero
A causa del terremoto del 1783 Cutro di circa 1900 abitanti risulta “parte distrutto e parte inabitabile”. In quell’anno venti monache, tra coriste, converse ed educande, abitano il monastero di Santa Chiara. (Vivenzio G., Istoria, 15).
Al momento della soppressione erano rimaste otto monache, di cui sei coriste tutte della famiglia Morelli (Suor Maria Raffaella Morelli, Suor Maria Michela Morelli, Suor Maria Aloisia Morelli, Suor Maria Chiara Morelli, Suor Maria Giuseppa Morelli, Suor Maria Eugenia Morelli) e due converse (Suor Rosaria Oliverio e Suor Margarita Calcararo).
Oltre ai vasti e numerosi fondi rustici il monastero aveva un capitale di 3000 ducati proveniente dalle doti e dato a censo al 5%, infisso sui beni di cinque possidenti (Placanica, Il patrimonio, 356).
La Cassa Sacra
Il 3 novembre 1785 l’ufficiale del Ripartimento D. Saverio Pecilla ordinava di permettere il ritorno nel monastero alla clarissa Maria Delizia Olivieri ed a tre monache converse “che la servono e l’assistono in tutto il bisognevole”. Il ritorno della monaca nel monastero soppresso è dettata da “urgenti istantanei motivi e di politica e di economia, anche nel riflesso, che ne patissero le fabriche, siccom’è accaduto” (f. 56).
Infatti sette giorni dopo quando la Olivieri, riceverà le chiavi, troverà il monastero completamente spogliato dei suoi arredi. La monaca infatti dichiara “di aver ritrovato le fabriche e stanze in conformità le lasciò, benche vacui, eccetto d’essere ivi rimasti: Nel quarto di sopra: il coro esistente ed un organo, ed un campanello nel entrare del coro e nel campanile due campane.
Nel piano di basso: un giardinello con piedi d’alberi n. 9 cioè 4 d’arangi quattro di fichi ed una palma.
Una stanza con un stipo, con frasche e candelieri per altare e suppellettili sacri appartenenti al Sig. Arciprete. Altra stanza con grada di ferro con un quadro di S. Caterina, altro dell’Immacolata con due statue, una di S. Caterina e l’altra dell’Ecce homo, altra stanza piena di …
Altra stanza con 6 tavole per desinare, un stipo ed un cassone.
Due campanelli avanti il portone ed altro nella stanza del refettorio, e nell’entrare il primo portone un quadro coll’Immacolata ed altra con impresa del monastero. Due some di legna e il parlatoio con grade di ferro e nel portone due catinacci di ferro” (f. 57).
“Il monastero istesso è di due appartamenti, cioè superiore ed inferiore.
Nel primo piano vi è un cortile coverto in cui vi esistono un portone di legname e due finestre colle di loro respettive ferriate.
Dirimpetto alla porta del cortile vi è un altro portone con due catenacci , mascatura e chiave, che conduce nell’appartamento inferiore in dove vi esistono quattro corritoi con cinque arcate di pietre lavorate per ogni lato, sostenute dalle rispettive colonne di pietra lavorata con un giardinetto nel mezzo in cui vi sono tre alberi di arangi amari e quattro alberi di fichi.
Nel primo corritoio a mano sinistra vi sono quattro stanze delle quali due sono per parlatorio colle rispettive porte, finestre, chiavi ed ogni altro bisognevole, oltre della cucina in cui vi sono tre forni ed un focolaro.
Nel secondo corritoio a mano sinistra vi esistono due stanze una per refettorio e l’altra per dispensa.
Nel terzo corritoio di rimpetto al portone dellì’entratura vi esiste un magazeno, una stanza per confessarsi le monache, un’altra per comunicarsi le stesse, e due altre per uso di magazeni tutti colle rispettive porte.
Nel quarto corritoio a mano destra del portone vi esistono cinque stanze, cioè quattro per uso di magazeni, ed un’altra per luoghi comuni.
Nel quarto superiore in cui si sale per due gradiate di pietre lavorate.
Nel primo corritoio a mano destra vi sono dodeci stanze, colle rispettive porte finestre e senza chiavi e mascature.
Nel secondo corritoio a prospettiva alla gradiata vi sono cinque stanze colle rispettive porte e finestre e a due di esse vi sono le chiavi e mascature che asseriscono le monache di essere loro proprie e tre sono sfornite di chiusura.
Passato all’altro corritoio vi sono cinque altre stanze colle rispettive porte e finestre oltre del coro, in cui vi sono i sedili di noce e tutte le dette stanze sono fornite di porte e finestre.
Nel quarto corritoio vi esistono dodeci altre stanze colle rispettive porte e finestre.
Il patrimonio comincia a venir meno
Nel 1793 il monastero risulta ancora soppresso e parte delle sue proprietà cominciano a venir meno.
Nel catasto di Crotone del 1793 sono elencati i fondi che il soppresso monastero possiede in territorio di Crotone. Essi sono: Le gabelle La Misola, La Gana, Iapocuccio, La Destra della Concezione, Gullo e Sparta, metà delli Miccisi e due quinte porzioni del quarto soprano del comprensorio Strongiolito. Però la gabella Iapocuccio è già passata in rubrica a Tomaso Bisciglia, Strongiolito è stata affittata per 29 anni a Salvatore Orsino e la gabella Gullo è in passaggio al marchese Lucifero (Catasto Cotrone 1793, f. 112v).
Durante questi anni il monastero perde numerosi suoi beni : Girolamo de Riso acquista dalla Cassa Sacra il fondo Misola per 3090 ducati, Caterina de Bona per ducati 2600 un altro vasto fondo ecc. Anche i capitali dati a censo al 5% ed infissi su fondi rustici svaniscono , il monastero perde così altre entrate ( Placanica).
Il monastero è reintegrato
Il monastero in seguito fu in parte reintegrato. Infatti nell’”Inventario de’ beni, e rendite de’ Luoghi Pii della Città di Cutro, che si consegna al Dep.to Eccl.co D. Francesco Prim.rio Ascoli, al Sig.r D. Nicola Spagnolo Dep.to eletto dall’Ill.re Prin.pe della Rocca, ed al Sig.r D. Giuseppe Albo Dep.to eletto da quell’Università, il tutto a tenore degli Ord.ni da S. E. il Sig.r Marchese di Fuscaldo destinato da S. M. (D.G.) Visitatat.re G.le di q.sta Prov.cia, comunicatimi con venerata carta de’ 23 Gennaro 1796 ” si legge che del monastero di Santa Chiara “Non si descrivono i Beni e Rendite di questo Monastero per esser stato reintegrato, ed il di esso particolare statino è stato passato al Sig.r can.co D. Pier Ant.o Franco Procuratore del d.to V.bile Monastero”. Le rendite annue del monastero erano stimate in circa 1100 ducati.
Anche se reintegrato di parte dei beni, il monastero va verso l’estinzione. Così nella relazione del 1800 dell’arcivescovo Pietro Grisolia è descritta la situazione del monastero di Santa Chiara di Cutro. “Vi è un solo monastero di monache di Santa Chiara e si trova nella città di Cutro. Vi abitano non più di sette monache professe coriste, delle quali una è offesa agli occhi ed è anziana e perciò se ne sta giorno e notte in cella. Le altre sei intervengono al coro, e tra queste una per morte della badessa, avvenuta nel mese di gennaio del 1799, con titolo di presidente vicaria governa le altre. Nel monastero ci sono quindi solo sei monache professe coriste oltre ad alcune laiche professe. Le entrate del monastero sono di molto diminuite a causa degli oneri imposti e perciò nessuna chiede di entravi, né educande né per rimanervi. Il monastero va quindi verso l’estinzione. Vige tuttavia la regolare osservanza della disciplina” (Rel Lim. S. Severina, 1800).
Nel catasto di Cutro del 1806 il monastero delle donne monache di S. Chiara possiede in territorio di Cutro le gabelle Mirgolio e Scinetto, metà gabella Altomare, sei botteghe e cinque capitali impiegati del valore complessivo di ducati 1407. Nel settembre di quell’anno a causa degli eventi bellici le monache abbandonano il monastero e si rifugiano a Crotone (Camposano).
La soppressione arriverà due anni dopo il 30 novembre 1808. (Caldora U., 223).
Le terre del monastero furono poste dapprima in regio demanio e successivamente un quarto di esse assegnate ai comuni per la ripartizione.
Un’ordinanza del Commissario ripartitore Angelo Masci in data 26 marzo 1811 assegnava al comune di Crotone un quarto sopra i seguenti fondi del soppresso monastero di Santa Chiara di Cutro: Misola di Pudano, Gana, Gabella della Concezione e Sparta.
La chiesa della Immacolata Concezione
Nel 1822 il monastero è ancora sopresso. Infatti in quell’anno sotto il sindacato Francesco Maria Fiore “fu costruito la porta interna del carcere comunale di Cutro con due catenacci propriamente detta criminale vicino il monastero soppresso di Santa Chiara”.
E’ del 5 dicembre 1826 un decreto che approva le regole “per la ripristinazione nel comune di Cutro del Conservatorio delle donzelle sotto il titolo della SS. Vergine Immacolata da ristabilirsi nello stesso antico locale aggregato che alla mensa Arcivescovile di S. Severina e da quell’arcivescovo a tal uopo conceduto, eseguendosene la spesa di restaurazione a carico del decurionato, del clero e de’ particolari cittadini (n. 1141, Napoli 5.12. 1826, Valente G., La Calabria, 132).
Un successivo decreto in data 27 novembre 1852 “accorda la facoltà alla cappella della SS. Immacolata nella chiesa dello stesso nome di Cutro per accettare la pia disposizione in pro di essa fatta da D. Diodato Foresta con atto tra vivi del giorno 1.6.1852) (Valente G., cit., 574)
La piazza di Cutro
Nel 1818 nel 2° anno del sindacato di Francesco Maria Fiore “fu riattata la casa comunale e costruito l’orologio”.
Nel 1822 sotto lo stesso sindacato “fu costruito la porta interna del carcere comunale di Cutro con due catenacci propriamente detta criminale vicino il monastero soppresso di Santa Chiara”.
Creato il 23 Febbraio 2015. Ultima modifica: 21 Maggio 2015.