Dall’ordine della “Militiae Templi” a quello Gerosolimitano, la chiesa di San Giovanni di Santa Severina (sec. XII-XIV)
Dopo la loro affermazione in Terra santa durante le Crociate, gli ordini cavallereschi formatisi a seguito di questo movimento, oltre ad assumere la difesa dei luoghi sacri della Cristianità, ebbero il compito di presidiare i principali luoghi sensibili del regno. Essi furono quindi addetti al controllo ed alla gestione delle principali strade, dei passi e dei porti, ed a loro furono affidati i castelli che munivano questi luoghi strategici di transito.
Ospitalieri e Templari
In ragione della sua particolare importanza nella rete delle comunicazioni “ultra mare”, legata ai suoi antichi scali portuali, posti sui favorevoli promontori che caratterizzavano la sua costa, il Crotonese fu interessato precocemente, da una diffusa presenza degli ordini cavallereschi formatisi in Terra santa dopo la prima crociata (1099), come testimoniano alcuni atti dei primi anni del sec. XII.[i]
In questo quadro, il controllo dei luoghi principali di attraversamento del territorio di Santa Severina, dove convergevano le più importanti vie d’accesso ai passi sui fiumi Tacina e Neto, nell’area in cui queste incrociavano quelle che risalivano verso l’altipiano della Sila, fu affidato agli Ospitalieri ed ai Templari, la cui presenza è documentata in questo contesto, nel periodo 1228-1229, quando troviamo i “magistri et provisores inperialium castrorum”, “frater Burrellus tenplarius” e “frater Rogerius hospitalarius”, impegnati a condurre un’inchiesta presso gli abitanti di alcune terre appartenenti alla diocesi di Santa Severina, con lo scopo di accertare se l’abbazia cistercense di Sant’Angelo de Frigillo, fosse tenuta a concorrere al riparo e al servizio dell’“inperialis castri Sancte Severine”.[ii]
Risalgono a questo periodo del dominio svevo, anche le prime notizie riguardanti la locale chiesa di San Giovanni, che fu realizzata secondo la “forma” del Santo Sepolcro di Gerusalemme, presso cui era stato fondato l’ordine degli Ospitalieri dopo la prima crociata, riproducendo un modello che troverà ampia diffusione in diversi luoghi europei.
Queste notizie sono contenute in un atto del gennaio 1223 scritto in greco, attraverso cui il presbitero Andrea Scaldieri ed il figlio Nicolao, donarono al santo monastero del Teologo ed Evangelista Giovanni detto di Fiore (ἀγίαν μoνὶν τoυ ϑεoλόγoυ ϰαὶ ευαγγελιστoυ ιωάννoυ τὴς λεγoμένης χειoυρε), una casa ricevuta in dono da domina Constantia Caninea, posta in Santa Severina, entro i confini di San Giovanni Evangelista (ἐνορίαν ϑεoλoγoυ), limitante con l’abitazione del presbitero Ioseph Cubiculario e con l’abitazione di Gaudioso e del presbitero Nicolao de Phiso.[iii]
Anche se non possediamo notizie esplicite a riguardo, dobbiamo ritenere che, in origine, questa chiesa appartenne ai Templari, come lasciano intendere alcuni documenti risalenti agli inizi del secolo successivo, quando l’ordine fu inquisito con l’accusa di eresia da parte del re di Francia Filippo il Bello. Accuse che determineranno papa Clemente V a sopprimerlo ed a confiscarne i beni, passati poi a quello Gerosolimitano. A questo punto, gli appetiti sollevati attorno ai beni dell’ordine soppresso, determinarono alcuni interventi da parte del papa. Interventi che sottolinenano la loro particolare consistenza in territorio di Santa Severina.
L’11 agosto 1308 Clemente V, comunicando la soppressione dell’“Ordinem Militiae Templi”, scriveva all’arcivescovo di Cosenza, all’arcivescovo di Rossano ed a quello di Reggio, nonché ai loro suffraganei, dando mandato “ut omnia eiusdem Ordinis bona in custodiam recipiant”[iv] mentre, il giorno successivo, ordinava agli arcivescovi di Napoli e di Brindisi, al vescovo di Avellino e ad altri ecclesiastici, di condurre un’inchiesta circa “de Fratribus Ordinis Militiae Templi”. Questo secondo documento, oltre ad essere indirizzato agli arcivescovi di Cosenza e di Reggio, fu inviato anche all’arcivescovo di Santa Severina.[v]
Quasi due anni dopo, il 4 aprile 1310, il papa scriveva agli arcivescovi di Cosenza e di Reggio ed ai loro suffraganei, nonchè all’“archiepiscopo S. Severinae et suffraganeis eius”, comunicando di aver prorogato la convocazione del Concilio di Vienna perché il processo “contra Ordinem Militiae Templi” non era stato ancora completato.[vi] A compimento di ciò, il 2 maggio dell’anno dopo, il papa poteva finalmente comunicare ad alcuni presuli calabresi “quod bona Ordinis Militiae Templi, approbante generali concilio Viennensi, Hospitali S. Iohannis Ierosolymitani assignantur”.[vii]
A testimonianza di questo passaggio, in occasione della reintegrazione della decima dovuta alla Santa Sede per l’anno 1310, “In provincia S. Severine et eiusdem Diocesis”, risulta il pagamento effettuato dal presbitero Petro Senatura (“Presbiter Petrus Senatura eo iure tar. II, gr. II”) che, relativamente alle decime dello stesso anno, pagò anche “In episcopatu Gennicastrensi eiusdem Provincie”, essendo cappellano della “ecclesie S. Iohannis Ierosolimitani” di Genicocastro (Belcastro).[viii]
L’inchiesta pontificia
Il passaggio dei beni dall’ordine Templare a quello Gerosolimitano non fu certamente né subitaneo né esente da frodi, considerato che, ancora nella seconda metà del secolo, nell’ambito di una vasta inchiesta condotta in tutto il Mezzogiorno, il papa doveva intervenire anche nei confronti dell’arcivescovo di Santa Severina, per cercare di far luce circa la reale consistenza dei beni posseduti dai Gerosolimitani nella sua diocesi ed in quelle dei suoi suffraganei.[ix]
In merito a tale inchiesta, gli inventari cinquecenteschi superstiti delle scritture esistenti presso l’Archivio Arcivescovile di Santa Severina, conservano memoria di una “L(icte)rae Gregorii Papae Undecimi super redditibus religionis S. Joannis Hierosolimitani”, come segnala l’inventario delle “scritture appartenenti alla Chiesa, e Mensa Arciv.le di S. Sev.na che stanno in Archivio separati da l’altre sotto chiave segnata con questi segni R. R. fatto da me D. Gasparo Caivani Archid.o all’ultimo di settembre 1594”.[x] Tale documento però, non si ritrova più tra quelli conservati in questo archivio, ma è stato possibile rintracciarlo ancora presso l’Archivio Segreto Vaticano.
Da questa fonte apprendiamo che il 16 luglio 1373, in Santa Severina, alla presenza di Roberto Guarano “analis (sic) judex”, del presbitero Lucha Bruno e dell’arcidiacono Rogerio, tutti della città di Santa Severina, il regio pubblico notaro Nicolao Bruno anch’egli di Santa Severina, scrisse un “p(u)p(li)cum istr(ument)um” mediante il quale “Guill(elm)us dei et ap(osto)licae sedis gr(ati)a sante sev(er)ine Archiep(iscop)us”, rispose in merito alle disposizioni ricevute dal papa Gregorio XI, attraverso la lettera data in Avignone l’11 febbraio 1373 e riportata integralmente nell’atto.
Attraverso questa lettera, il papa, impegnato nella “reformationem status totius religionis hospitalis santi Ioh(anni)s Ierosol(im)itani”, ordinava all’arcivescovo di Santa Severina ed ai suoi “fr(atr)es suffraganei seu v(est)ris vicariis sive officialibus earum”, d’indagare e di relazionare entro il termine di un mese, circa “de n(omin)ibus preceptoriarum seu domorum prefati hospitalis” esistenti nelle loro città e nelle loro diocesi, di riferire i nomi, cognomi ed età dei “preceptorum seu rectorum”, dei “sacerdotum et aliorum constitutorum in sacris ordinibus” e dei “militum fratrum ip(s)ius hospitalis”. Il pontefice, inoltre, chiedeva di conoscere anche ogni singola situazione, circa “de fructibus redditibus et proventibus annuis ip(s)arum preceptoriarum seu domorum” ed i relativi oneri, disponendo che fosse anche fornita una stima del denaro che si sarebbe potuto ricavare annualmente, da un ipotetico affitto dei beni.
Volendo ottemperare diligentemente alla richiesta papale, l’arcivescovo fece citare numerosi testi che furono esaminati, chiedendo loro se “in Civitate sante sev(er)ine vel eius tenim.to”, esistessero “bonis hospitalis santi Ioh(ann)is Ierosolimitani”, ma questi deposero tutti, concordemente, che “nihil esse de bonis predicti in predicta Civitate et eius tenim.to”. Similmente, “per manus vicarii sui”, l’arcivescovo fece indagare circa l’esistenza dei detti beni in tutta la sua diocesi, ma niente fu trovato.[xi]
In potere dell’arcivescovo
Non conosciamo ulteriori sviluppi ufficiali della vicenda, ma è documentato che il papa continuò a mantenere sulla chiesa di San Giovanni l’antico patronato, anche dopo che questa era divenuta una delle parrocchiali della città. Il papa esercitava tale diritto che gli consentiva di nominare il parroco, ancora alla metà del Cinquecento anche se, in questo frangente, la chiesa passò ad appartenere all’arcivescovo, che riuscì così ad ottenerne infine il pieno controllo.
In questa direzione leggiamo già l’intervento dell’arcivescovo Alessandro de Marra che, il 24 luglio 1489, VII indizione, essendo vacanti la chiesa curata di “s(an)ti joh(ann)is bactiste” e quella rurale di “s(an)ti opi”, per la morte del “quondam dopni duranti novellisi olim rectoris sup.a dictarum ecc.arum”, unì le due chiese donandole al Capitolo, ossia all’arcidiacono “dopnum Venturam”, fatti salvi tutti i diritti arcivescovili.[xii]
Agli inizi del Cinquecento, la nomina del parroco della chiesa di San Giovanni Battista, posta vicino la casa di Giovanni e Francesco Iaquinta e quella di Giovanni Millesimo,[xiii] situata e fondata “in ecclesia seu iuxta ecclesiam metropolitanam S. Severinae”, era ancora di pertinenza del papa, come riferiscono i documenti vaticani.[xiv] Ciò risulta da questa fonte ancora verso la fine del 1557 quando, vacante per remissione di Salvatore Fracsio, il 27 marzo 1557 la chiesa fu concessa da papa Paolo IV al clerico riminese Hectore Brancati[xv] con il titolo di rettore “seu perpetuus capellanus”, come risulta nell’atto di convalida di questo passaggio del 5 ottobre seguente.[xvi]
I documenti locali evidenziano, invece, che già in questa fase, la chiesa era divenuta “mensalis”, ossia appartenente alla Mensa arcivescovile, così la nomina del parroco spettava ora all’arcivescovo che vi esercitava il diritto di visita.
Lo testimoniano gli atti della visita ai luoghi pii della città, compiuta dal vicario arcivescovile Giovanni Tommaso Cerasia nel maggio 1559, quando la chiesa parrocchiale di “s(anc)ti jo: bact.ae quae est prope et Conjunctim cum met.opolitana ecc.a”, era servita dall’arciprete della cattedrale D. Petro Gallo e ne era rettore l’Ill.mo e R.mo D. Nicolao Carrafa che era anche cappellano della cappella di Santo Andrea in cattedrale, di jus patronato dei conti di Santa Severina.
Ancora a quel tempo, la parrocchiale possedeva una rendita consistente derivante dal possesso di beni e diritti: “unam gabellam positam a Corazo”, un’altra “in loco dicto lo piro Citrino” assieme a molte altre terre, una casa nella città posta nella stessa parrocchia, due vigne nella valle detta “la valle delo giar.o”, annui ducati 4 derivanti da censi, e le decime dei suoi parrocchiani.[xvii]
Il suo edificio era “ad lamiam Cum nonnullis Colunnis marmoreis” e vi era un fonte battesimale “de fabrica diversis lapidibus” ben chiuso e ben conservato, nel quale si trovava “mag.a quantitas aquae ut sac.i Canones”, ma il vicario ordinò lo stesso che, entro il termine di sei mesi, se ne facesse un altro di pietra in unico blocco (“sasseum”). In questa circostanza si faceva osservare come “sempre ab immemorabili tempo si è osservato, e di presente si osserva”, solo la cattedrale era “Chiesa Battesimale”, conservandosi in essa solamente il fonte battesimale, nel quale si ministra il Sacramento del Battesimo”.[xviii]
Oltre all’altare maggiore, sopra il quale si trovava una “Cona decente” con l’immagine della Vergine Maria e dei Santi Giovanni Battista e Giovanni Evangelista, nella chiesa vi erano l’altare della “S.ta Cruce”, iuspatronato della famiglia Protopapa, di cui era rettore il R.do D. Nicola Carrafa, l’altare di “s.ta m.e de Conceptioni”, di cui era rettore sempre il detto Carrafa e che serviva l’arciprete D. Petro Gallo, e l’altare dedicato a “S.te marie de nive” di cui era rettore Jo: Antonio Tilesi. Nel “Campanile” si trovavano due “Campane”.[xix]
Un edificio antico
Classificato tra le “costruzioni a cupola centrale”,[xx] nella quale furono riutilizzati materiali di spoglio provenienti da edifici dell’età classica, come le sue colonne “di granito”,[xxi] l’edificio della chiesa di San Giovanni Battista di Santa Severina dimostra ancora oggi una evidente antichità delle sue strutture, che sembrano comunque adeguarsi a quelle della cattedrale,[xxii] trovando numerosi esempi simili in varie parti del nostro Paese e d’Europa, come ad esempio, quello della chiesa di Sant’Angelo a Perugia, già evidenziato dal Loiacono,[xxiii] e quello di San Giovanni al Sepolcro a Brindisi.
Tale antichità è evidenziata anche dai documenti seicenteschi, come riferisce l’apprezzo della città del 1687 che la definisce “antichissima”[xxiv] mentre, nell’apprezzo cittadino del 1653, si menziona l’esistenza di una iscrizione (di cui è conservata una “una copia del sec. XVI” all’Archivio Segreto Vaticano),[xxv] posta sopra una delle colonne di questa chiesa “anticha”, dove ricorreva il suo anno di costruzione.[xxvi]
In questo periodo, l’esistenza di una “memoria” dell’arcivescovo Giovanni di Santa Severina, scritta “a caratteri greci” nel “Battisterio, senza sapersi altro del tempo” è testimoniata dal Fiore,[xxvii] mentre l’Ughelli, sulla base di quanto gli fu riferito dalle sue fonti locali, ne riportò il testo nella sua “Italia Sacra”, opera pubblicata per la prima volta alla metà del Seicento:
IΩAN. BAΠT. ΔAPXHETTHCKIT. KATEKEBA. ΔIK. IΓ.[xxviii]
Rispetto a questa prima edizione “da cui non se ne può cavare senso alcuno”, il conte Vito Capialbi di Monteleone, agli inizi dell’Ottocento, sulla base del testo che gli fece pervenire monsignor Deodato Ganini, arcidiacono e vicario generale di Santa Severina, fornì questa interpretazione:
“ιωανη o αγιoτατoς αϱxηεπησxoπoς ϰατεστευατε ιηω, ινδιτ. IΓ – Ioannes Sanctissimus Archiepiscopus construxit templum (supple hoc) indictione XIII.”
La sua lettura, però, non riuscì a sciogliere il nodo principale contenuto in questo antico testo: ovvero la data di costruzione dell’edificio. A riguardo egli riteneva che le “tre cifre che vi sono innanzi alle lettere INΔIK potrebbero dinotare l’anno della edificazione del tempio”, ma non riusciva, comunque, a comprenderne il significato, perciò era propenso a riconoscervi la parola “Nηως doricamente per Nαõς templum.”[xxix]
Relativamente a tale fondamentale questione, in una lettera del 27 dicembre 1829 scritta in Monteleone a monsignor Ganini, il “dotto Storico”, pur dovendo confessare di non essere riuscito a svelare la data di costruzione dell’edificio, lo consigliava di “fare osservare bene le tre sigle, che sono avanti alle altre INΔIK”, e che seguivano “le lettere Kατεσευασε”, nelle quali aveva ragione di credere si celasse o esprimesse “la voce Nηως”, oppure “l’anno della costruzione”. Quest’ultimo, stando a “come voi la delineaste”, era il 582 che però, risultava incompatibile con la storia della città che, a quella epoca, “non aveva pastore.” C’era poi da considerare, secondo il Capialbi che, “a quell’epoca”, i “greci” numeravano gli anni dalla creazione del mondo, fissata il primo settembre del 5509 a C., e ciò non si accordava con le tre lettere di cui sopra che, in questo caso, invece, sarebbero dovute essere quattro.[xxx]
Questi risultati e queste considerazioni dell’autore sono espresse anche più tardi nel suo volume Opuscoli Varii: “In Santa Severina. Le colonne che sostengono il battistero della Cattedrale, già chiesetta di San Giambattista, serbano la memoria di un Arcivescovo Giovanni nella seguente iscrizione posta nel giro di uno de’ capitelli: IωANHC O AΓIOTATOC APXHEΠHCK.Π KATECKEUACE NHCINΔIKIΓ Joannes Sanctissimus Archiepiscopus construxit …. indictione XIII. Nel sito avanti l’indizione vi sono tre lettere delle quali non arrivo a capirne il significato. Dovrebbero indicare o l’oggetto costruito, o l’anno della costruzione.”[xxxi]
Risultati e considerazioni che non furono comunque accolte a Santa Severina, come dimostra una tarda “GNOSEΩGRAFIA” manoscritta conservata nel locale Archivio Arcivescovile,[xxxii] che riporta questa iscrizione con un testo che non menziona l’anno di costruzione, accompagnato da una traduzione latina che lascia ampi dubbi.
IΩANNHΣ AΓIΩTATOΣ APXIEΠIΣKOΠOΣ
KATEΣKEϒAΣE NHΣIN ΔῙK ῙΓ
“yoannes Sanctissimus Archiepiscopus Superstruxit parvum Templum Duplica XIII”.[xxxiii]
Dopo la pubblicazione da parte di Vito Capialbi, l’iscrizione esistente nel “baptistère” di Santa Severina, il cui stile “atteste son origine byzantine”, fu pubblicata da Edouard Jordan, al termine del suo viaggio fatto in Calabria al principio del 1889 in compagnia di Pierre Batiffol.[xxxiv]
Questi, dopo aver riportato la trascrizione dell’Ughelli,[xxxv] e quella più recente dello Schultz (1860),[xxxvi] pubblicò, per la prima volta, un suo facsimile (accompagnato da una pianta e da una sezione dell’edificio), che trascriveva così:
Ἰωάννῆς ὁ ὰρ[χιεπίσϰoπoς] Ἰωάννῆς ὰρχ[ιεπ]ίσϰoπoς ϰατεσϰεαύσσεν ης (pour ὲἰς) ἰνδιϰ ίγ.
A riguardo dell’epoca di costruzione, egli pensava che, presumibilmente, questa dovesse coincidere con il periodo compreso, tra quello in cui era documentata l’esistenza della metropolia e l’arrivo dei Normanni, anche se, malauguratamente, la “simple mention” dell’indizione, non consentiva di stabilire con precisione l’anno di costruzione.[xxxvii]
Archeologi al lavoro
Agli inizi del Novecento, al dilettantismo degli ecclesiastici locali e dei viaggiatori stranieri alla ricerca di antichità, andò progressivamente sostituendosi il professionismo degli archeologi di mestiere che, comunque, pur basandosi su metodi d’indagine più oggettivi, non riuscirono lo stesso a stabilire con certezza l’anno di costruzione dell’edificio. Continuò, invece, a radicarsi la teoria priva di riscontri, secondo cui l’edificio in questione doveva rappresentare un “Battistero” risalente al periodo Bizantino, fase in cui, sempre secondo coloro che condivisero questa teoria, la cattedrale si trovava invece in un altro luogo della città.
La voce più autorevole di questo periodo a sostegno di questa tesi, fu certamente quella dell’archeologo Paolo Orsi (Rovereto, 1859-1935) che, al tempo, dirigeva “l’appena costituita Regia Soprintendenza agli scavi e musei di Reggio Calabria”,[xxxviii] ed era impegnato ad effettuare scoperte archeologiche in tanti luoghi della Calabria. L’Orsi, assieme ai suoi collaboratori, soggiornò “alcuni giorni” a Santa Severina “in due riprese”, nei mesi di maggio e giugno del 1911, mentre il suo collaboratore Rosario Carta ritornò a Santa Severina nel novembre di quell’anno, per completare i suoi disegni ed effettuare dei sondaggi.[xxxix] I risultati ottenuti dalle indagini condotte, furono pubblicati una prima volta nel 1912, sul Bollettino d’arte del Ministero della P. I.[xl] e successivamente, nel volume Le Chiese Basiliane della Calabria (1929) che, a differenza di qualche precedente incerto, costituivano il primo tentativo condotto da un archeologo, di appurare la realtà esistente direttamente sul campo.[xli]
Questo primo studio del “monumento” che, al tempo, era da considerarsi praticamente inedito,[xlii] risultava corredato anche da una pianta e una sezione dell’edificio più rispondenti alla realtà, rispetto alla pianta “del tutto inesatta” realizzata precedentemente dal Jordan nel 1889 che era l’unica esistente.[xliii]
Risale al lavoro dell’Orsi anche un disegno dell’iscrizione esistente sul “pulvino SO” che, dopo l’edizione dell’Ughelli, era stata pubblicata “più correttamente” ma con errori paleografici, dallo Schultz e dal Jordan, e di cui si dava, finalmente, “il facsimile col testo preciso e definitivo”:
+ Ἰωάννῆς ὁ ἁγιώ(τατoς) ἀϱχηεπήσϰ(o)π(oς)
ϰατεσϰεύασεν ης (=ɜἰς), ἰνδιϰ(τιῶνα) ίγ.[xliv]
Riguardo all’epoca di costruzione dell’edificio, l’Orsi giudicava “il Battistero opera senza dubbio prenormanna”, mentre, a riguardo del suo anno di costruzione, affermava discutibilmente, che tale “data sta nascosta nell’indizione XIII, dalla quale però non è possibile ricavare l’anno esatto.”[xlv]
Il monumento
Dopo l’intervento dell’Orsi, essendo stato ormai riconosciuto con il valore di “monumento” storico, considerato “caposaldo dell’arte bizantina italiana”, il “Battistero” di Santa Severina fu interessato da importanti lavori di restauro, disposti dal Soprintendente alle Antichità Bruzio-Lucane comm. E. Galli, “allo scopo di mettere in luce quanto il monumento celava di originario, e di togliere le sovrapposizioni arbitrarie.”[xlvi]
Durante questi lavori che iniziarono nel 1927, durante i quali fu spostato l’ingresso della chiesa nel luogo attuale, ritenuto originario, mentre una delle colonne esistenti, essendo di fabbrica, fu sostituita con “due frammenti di colonne granitiche trovati come para carri davanti alla facciata della Cattedrale”,[xlvii] furono anche realizzati alcuni disegni “pazientemente delineati sul posto, in cima ad una scala, in condizioni di luce quanto mai difficili”, tra cui quello del “capitello n. 1 sul quale è inscritta la dedica dell’Arcivescovo Giovanni.”[xlviii]
Più recentemente, l’iscrizione esistente sull’unico “capitello di marmo della chiesa”, è stata pubblicata dal Guillou (1999), che ci fornisce una interpretazione analoga a quella dell’Orsi:
+ Ἰωάννῆς ὁ ἁγι-
ώ(τατoς) ἀϱχηεπ-
ήσκ(o)π(oς) κατεσϰεύα-
σεν ἠς (leg. ἐἰς), ἰνδικ(τιῶνα) ίγ.
“L’ha costruita Giovanni, santissimo arcivescovo, durante la tredicesima indizione”.
In relazione alla individuazione dell’anno di costruzione, confrontando la “scrittura” di questa epigrafe con altre simili, l’autore propone “probabilmente” il IX secolo, fissando questa data al periodo 1 settembre 894 – 31 agosto 895, in cui ricorre la XIII indizione.[xlix]
Nel segno di una croce
Accanto a questa iscrizione un po’ enigmatica che ci informa circa il costruttore della chiesa, ma appare incomprensibilmente priva dell’anno di costruzione, pur menzionando la relativa indizione, una seconda iscrizione esistente nella stessa chiesa, ci fornisce qualche altro elemento che ci aiuta a fare maggiore chiarezza, nel tentativo di stabilire quando fu costruita.
Il testo greco di quest’ultima, infatti, che fa menzione di Teodoro in qualità di arcivescovo, secondo alcuni, di “ex-eparca”, secondo altri, le cui lettere sembrano sparse disordinatamente “un po’ ovunque”, accompagnano una “croce di Malta” posta tra “due colombe”,[l] che possiamo ricondurre solo alla presenza dell’ordine Gerosolimitano.
L’Orsi, la cui “attenzione” su questo particolare della chiesa, fu richiamata dal “vicario Mons. Puija”, “avendovi scorto lettere e simboli”, la ricostruì così nel 1911:
+ Θ[εoϑῶϰ]ε βoήϑη Θε[o]δώϱoυ ἀϱχ[ιε]πε[σϰόπ]o[υ][li]
Questa iscrizione, risultava invece ormai “illeggibile” al Guillou che, per la propria edizione (1999), utilizzò “un disegno di Paolo Orsi che la riproduce.”[lii] L’autore, che la descrive come un testo che si sviluppa ai lati e all’interno di un cerchio, in cui è inscritta “una croce di Malta” tra due colombe, lo fissa così accogliendo la proposta di V. Laurent:
+ Θ[εoϑόκ]ε βoήθη [τῷ δoύλῳ σ](oυ) θε(o)δώρ(oυ) ἀπὸ ἐ(πάρχων)
“Vergine, aiuta (il tuo servo) Teodoro, ex-eparca.”[liii]
Accanto a questo simbolo, su altri due capitelli della chiesa compaiono altrettante croci patenti riferibili alla presenza dei Templari.
A questo punto, sulla base delle testimonianze raccolte: documenti, iscrizioni e simboli, possiamo stabilire alcuni punti fermi circa l’epoca di costruzione della chiesa, che, pur non consentendoci di pervenire a fissare l’anno di costruzione, ci permettono comunque sicuramente di riferirla al tempo in cui fiorirono gli ordini cavallereschi formatisi in Terra santa, escludendo che essa possa essere pertinente all’epoca bizantina.
Nelle due iscrizioni osservate, infatti, Giovanni (sicuramente) e Teodoro (forse), ricorrono in qualità di arcivescovi, circostanza che risulta in contrasto con quanto noi conosciamo circa l’apparire di questo titolo, il cui uso non è documentato durante il periodo bizantino, quando la chiesa di Santa Severina era soggetta al patriarca di Costantinopoli.[liv] Risulta poi in contrasto con l’esistenza di un arcivescovo (ma anche di un metropolita), in qualità di costruttore/fondatore di questa chiesa, la sua documentata appartenenza ad ordini immediatamente soggetti al papa ed esenti dalla giurisdizione vescovile durante il Medioevo.
Possiamo quindi considerare estranea a questa chiesa, l’iscrizione che ricorda l’opera dell’arcivescovo Giovanni che, alla luce delle vicende messe in evidenza, deve poter provenire da qualche altra chiesa della città, probabilmente dalla vicina cattedrale dove, ancora nell’Ottocento, esistevano ben altre due testimonianze epigrafiche greche che menzionavano un arcivescovo Giovanni,[lv] successivamente disperse ed andate perdute.
Per chi suona la campana
Un’ultima testimonianza riconducibile alle vicende medievali della chiesa di San Giovanni Battista di Santa Severina, ci provengono da una campana oggi esposta nel locale Museo Diocesano, sulla quale esiste una iscrizione che, nel tempo, è stata oggetto di interpretazioni molto differenti.
Ritenuta greca in un primo momento, tale iscrizione fu sottoposta al conte Vito Capialbi in qualità di esperto. Da una lettera di quest’ultimo scritta in Monteleone il 15 febbraio 1829, “quando ancora non s’erano bene interpretate le iscrizioni greche e latine di Santaseverina”, ossia prima della venuta di Paolo Orsi, apprendiamo quanto il conte ebbe a dire al proposito in questa occasione.
Fu così che, rispondendo a monsignor Deodato Ganini, che gli aveva chiesto “un parere sui caratteri greci scolpiti nella campana di codesta chiesa di S. Maria Maggiore”, il conte “avendole attentamente considerate tali e quali le mi trascriveste, e supponendo in essa confusione di sigle greche e latine, com’è ovvio ne’ monumenti de’ secoli bassi”, stimava “potersino leggere: Θεoς Πατηϱ, Spiritus Aγιoς Πατϱoς, Θεoς Filius, Aμην, Aμην, Aμην. Deus Pater, Spiritus Sanctus patris, Deus Filius, – Amen. Amen. Amen.”[lvi]
Questa “inesatta interpretazione” del Capialbi, dovuta al fatto che “Il Ganini copiò male” e che “si scrisse e si scrive da lontano”,[lvii] fu totalmente sconfessata quasi un secolo dopo dall’Orsi che, durante la sua permanenza a Santa Severina, nella primavera del 1911, salito “faticosamente su quel pericoloso campanile”, per ispezionare la famosa “campana dell’Addolorata” malamente edita dai precedenti autori, pur riconoscendola “pregevole”, la giudicò “forse del sec. XIV, con lettere gotiche che ricordano un M(agister) Andreas, ma nulla di bizantino.”[lviii]
Di fronte a ciò, pur essendo costretti a riconoscere i grossolani errori del passato, le autorità ecclesiastiche locali scelsero di mantenere sospeso il giudizio emesso dall’Orsi, trovando anzi spunto per rivendicare l’estraneità della chiesa di Santa Severina rispetto allo “scisma foziano”.[lix] Meditavano poi di far realizzare nuovi studi, per poter accertare l’effettiva epoca di realizzazione dell’antica campana ed il significato della sua iscrizione, perché “l’ultima parola” non era stata “ancora detta”, riproponendosi di sostituirla con una nuova, in maniera da poterla riporre tra le “antiche memorie” della città, raccolte dall’arcivescovo Puija nella “sala dell’Episcopio”.[lx]
La campana, invece, essendo ormai tramontato ogni interesse attorno ad essa, rimase sul campanile “dell’Addolorata” e, solo dopo essere stata colpita da un fulmine “intorno agli anni Settanta”, fu ricollocata nel locale “Archivio Arcivescovile”, dopo una operazione di recupero realizzata nell’aprile del 1989 dalla ditta locale Nocita “sotto il patrocinio dell’Amministrazione Comunale” e grazie all’interessamento di Ilario Principe dell’Università di Cosenza e di Pino Barone di Santa Severina.[lxi]
Su di essa possiamo ancora leggere l’iscrizione medievale che ricorda il maestro dell’ordine cavalleresco che la donò alla chiesa:
A(MEN) +A(MEN) · M(AGISTER) · ANDREAS · M(I)H(I) · A(MEN).
Il riferimento alla SS.ma Trinità costituito dalle tre A (la maggiore riferita al Padre, quella sormonta dalla croce riferita al Figlio e la terza allo Spirito Santo) poste ai vertici di un triangolo che contiene il testo con il suo nome, infatti, esclude che questo maestro possa essere confuso con l’artigiano che ne realizzò la fusione.
Note
[i] Guillou A., Les Actes Grecs des Fonds Aldobrandini et Miraglia XI – XIII sec., p. 141-144; Delaville Le Roulx J., Cartulaire Général de l’Ordre des Hospitaliers de S. Jean de Jérusalem (1110-1310), Parigi 1897, tome second (1201-1260), pp. 900-901.
[ii] Pratesi A., Carte Latine di Abbazie Calabresi provenienti dall’Archivio Aldobrandini, 1958, pp. 399-403.
[iii] Trinchera F., Syllabus Graecarum Membranarum 1865, pp. 373-374 n. CCLXXII.
[iv] Russo F., Regesto I, 1521.
[v] Russo F., Regesto I, 1525.
[vi] Russo F., Regesto I, 1534.
[vii] Russo F., Regesto I, 2413.
[viii] Vendola D., Rationes Decimarum Italiae nei sec. XIII e XIV, Apulia-Lucania-Calabria, 1939, pp. 203 e 214.
[ix] Salerno M., Toomaspoeg K., L’inchiesta Pontificia del 1373 sugli Ospedalieri di San Giovanni di Gerusalemme nel Mezzogiorno d’Italia, 2008, pp. 109 e 265-267.
[x] AASS, vol. 2A.
[xi] ASV, Instr. Misc., 2788.
[xii] AASS, pergamena 077. Alla metà del Cinquecento, i due benefici risultavano posseduti da R.do D. Nicolao Carrafa, come si ritrova in relazione al pagamento della decima alla Santa Sede. “R.to del S.r Cola Carraffa per S(anc)to Gioanne battista di S(anc)ta Severina per x.a d. 1.1… Et per S(anc)to Oppido d. 0.1…” AASS, 2A, f. 105.
[xiii] 3 maggio 1504. Giovanni Millesimo fa testamento nella sua casa posta “in civitate sancte severine in parrochia sancti joh(an)nis baptiste jux(ta) domum joh(an)nis jaquinte franciscus jaquinte viam puplicam et alias fines.” AASS, pergamena 078.
[xiv] 20 luglio 1539. “Die XX Iulii 1539, d. dionysius quondam Bartholomei de Molariis de Cento, Bononien. dioc., rector cappelle in parochiali ecclesia S. Iohannis Baptiste, site et fundate in ecclesia seu iuxta ecclesiam metropolitanam S. Severinae, per d.num Antonium Massam de galesio, clericum Romanum, procuratorem suum, in manibus S.mi D.N.ppe resignavit, in favorem d. Leonardi Sacchi, pbri S. Severine dictam cappellam, cum reservatione pensionis annue 10 duc. super fructibus parochialis S. Nicolai de plateis, terre Mesurace, dicte dioc., quam idem Leonardus obtinet, …”. Russo F., Regesto IV, 18097.
24 novembre 1539. “Leonardo Sacco, pbro S. SEverinae, providetut de cappella in ecclesia S. Io Baptistae sita et fundata in ecclesia iuxta metropolitanam ecclesiam S. Severinae, vac. per liberam resignationem Dionisii quondam Bartholomaei de Molariis de Cento, Bononien. dioc., reservata eidem annua pensione 10 duc. auri in auro de camera super fructibus parochialis ecclesiae S. Nicolai de Platea, terre Mesurace, eiusdem S. Severinae dioc. Cuius trefatus Leonardus est rector.” Russo F., Regesto IV, 18.141.
[xv] “Hectori Brancati, clerico Ariminen., providetur de parochiali seu s.c. ecclesia S. Io. Baptistae, S. Severinae, vac. per resignationem Salvatoris Fracsii.” Russo F., Regesto IV, 29491.
[xvi] “Die V octobris 1557, d.nus Salvator fracsius, rector seu perpetuus capellanus cappelle, parochialis forsan nuncupate, S. Io. Baptiste, S. Severine, per d.num Decium Alberti, procuratorem suum, consensit resignationi dicte ecclesie seu cappelle, in manibus S.mi D.N.ppe, in favorem d.ni Hectoris Brancati, clerici Ariminen., cui de illa provideri conceditur per supplicationem”. Russo F., Regesto IV, 20534.
[xvii] Tra i fondi esistenti in territorio di Santa Severina, appartenenti alla Vacante Mensa Arcivescovile di Santa Severina (1797), figura: “S. Jannello – Parocchia di S. Gio: Batt(ist)a di S. Severina d. 10”. AASS, 82A.
[xviii] La circostanza è evidenziata già durante la visita arcivescovile in questione (AASS, 16B), ed è rimarcata da una fede fatta dai parroci della città il 29 giugno 1699, nella quale si evidenzia che solo la cattedrale era “… Chiesa Battesimale, conservandosi in essa solamente il fonte battesimale, nel quale si ministra il Sacramento del Battesimo a tutti i bambini della Città medesima che nascono sotto quals.a di dette parrocchie, e così sempre ab immemorabili tempo si è osservato, e di presente si osserva …”. Le Parrocchie di Santaseverina, in Scalise G. B. (a cura di), Siberene Cronaca del Passato per le Diocesi di Santaseverina – Crotone – Cariati, pp. 149-150.
[xix] AASS, 16B, ff. 2 e 18v-19v.
[xx] Orsi P., Siberene – S. Severina, in Le Chiese Basiliane della Calabria, Firenze 1929 p. 210.
[xxi] “Parecchio altro materiale costruttivo antico fu impiegato nella erezione del Battistero bizantino; delle otto colonne, sette sono di granito ed una di pezzami intonacati;”. Orsi P., Siberene – S. Severina, in Le Chiese Basiliane della Calabria, Firenze 1929 p. 205. “Delle otto colonne, per quanto ho potuto vedere, una sola è in fabbrica, le altre di granito;”. Ibidem, p. 207.
[xxii] Secondo il Loiacono, la mancanza di una finestra sul lato sud, corrispondente alle tre esistenti disposte ad inquartare la rotonda dell’edificio in corrispondenza dei quattro punti cardinali, lasciava pensare che “il Battistero” potesse essere stato costruito posteriormente alla cattedrale. “Sull’arco murario AB non si riscontrò traccia di una quarta luce. Ciò forse perché la costruzione della chiesa madre era già iniziata quando fu fondato il Battistero. Questa considerazione potrebbe darci maggior lume sulla datazione del monumento.” Loiacono P., Sul restauro compiuto al Battistero di Santa Severina, in Bollettino d’arte del Ministero della P. I., 1934, p. 175.
[xxiii] Loiacono P., Sul restauro compiuto al Battistero di Santa Severina, in Bollettino d’arte del Ministero della P. I., 1934, p. 179.
[xxiv] “Ed attaccato a detta Chiesa vi è un’altra Chiesuola piccola antichissima detta di S. Giovanni coperta a lamia con un intercolunnio circolare con colonne di granito orientale d’ordine Toscano, dentro della quale chiesa vi è il fonte battesimale per esser chiesa parrocchiale.” Scalise G. B. (a cura di), Siberene Cronaca del Passato per le Diocesi di Santaseverina – Crotone – Cariati, p. 104.
[xxv] “cod. Vat. Gr. 1862, 153 recto”. Guillou A., Le iscrizioni bizantine di Santa Severina, in Quaderni Siberenensi, giugno 1999, p. 37.
[xxvi] Nell’apprezzo della città di Santa Severina del 1653, scritto da Carlo Maffeo con l’aiuto di alcuni collaboratori, dopo la morte della principessa di Scilla Giovanna Ruffo, troviamo: “Da detta Nave destra app.o è la Sacrestia si entra in una Chiesa piccola, la quale è de forma circolare coverta con Cupola sustentata da Colonne sotto titolo di San Gio: Battista nella quale è il fonte Battesimale la quale fu fatta nell’anno 13 come appare dal millesimo s.a una di dette Colonne e questa è la Chiesa anticha parrocchiale.” AASS, 31A, f. 20.
[xxvii] “Giovan Battista, la cui memoria a caratteri greci si conserva ancora nel Battisterio, senza sapersi altro del tempo;”. Fiore G., Della Calabria Illustrata, tomo II, p. 534.
[xxviii] “JOANNES BAPTISTA Graecus Sanctae Severinae Episcopus, cujus memoria Graecis chraracteribus extant in epistylio columnae Parochialis Ecclesiae S. Joan. Baptistae prope Cathedralem. IΩAN. BAΠT. ΔAPXHETTHCKIT. KATEKEBA. ΔIK. IΓ. Plures aliae Graecae inscriptiones tum in Cathedrali, tum in aliis ejusdem civitatis Ecclesiis sunt, et Episcoporum Graecorum inscriptiones quae vetustate pene deletae vix videri, non tamen legi possunt.” Ughelli F., Italia Sacra, VIII, Venezia 1721, c. 475.
[xxix] “Circa l’iscrizione di Giovanni Arcivescovo, io la trovo anche interessante. L’Ughelli la riferisce con molti errori, non saprei se da lui o da coloro che gliela comunicarono commessi: così IΩAN. EAΠT. ΔAPXHTTCKIT. KATEKEBA. ΔIK. IΓ., da cui non se ne può cavare senso alcuno. – Dalla forma delle lettere, se ne potessi avere un fac simile, spererei indovinarne approssimativamente il secolo, in cui venne scolpita.” Scalise G. B. (a cura di), Siberene Cronaca del Passato per le Diocesi di Santaseverina – Crotone – Cariati, Un’altra lettera del Conte Vito Capialbi, p. 248.
[xxx] “A proposito: nell’iscrizione del capitello del battisterio dopo le lettere Kατεσευασε dovrebbe fare osservare bene le tre sigle, che sono avanti alle altre INΔIK. In quelle ho ragione da credere che vi si nasconda o esprima la voce Nηως doricamente scritta per Nαõς templum, o l’anno della costruzione. Stando come voi la delineaste direbbe 582; ma in quell’epoca Santaseverina non aveva pastore. Con lieve mutazione potrebbero dire 882 e tutto converrebbe coll’istoria oscura di que’ tempi; ma l’indizione era 15 e non 13, …”. “Ma se pure ciò fosse il costumo di segnare gli anni de’ greci, a quell’epoca era ben differente numerando essi dalla creazione, per cui debbo candidamente confessare che le tre cifre anteriori all’INΔIK o non giungo a capirle, o legger si debbono come diceva Nηως alla dorica invece di Nαõς.” Scalise G. B. (a cura di), Siberene Cronaca del Passato per le Diocesi di Santaseverina – Crotone – Cariati, A proposito d’iscrizioni greche, p. 240.
[xxxi] Capialbi V., Opuscoli Varii del Dottor Vito Capialbi, Tomo I, Napoli 1840. Estratto Dal Faro, Anno IV, Tomo 11, Fasc. N. 11 e 12, Novembre e Dicembre 1836, Sopra alcuni monumenti del medio-evo esistenti in Calabria. Lettera del Cavaliere Vito Capialbi al Signor Carlo Bonucci, Architetto Direttore degli Scavi di Antichità in Napoli, p. 5.
[xxxii] “GNOSEΩGRAFIA, Storica Critica Cronologica della Regia Metropolitana Chiesa di Santa Severina”, AASS 084A.
[xxxiii] AASS 084A, f. 52.
[xxxiv] Jordan E., Monuments byzantins de Calabre, Santa Severina, in Mélanges d’archeologie et d’histoire, tome 9, 1889, pp. 321-324. https://www.persee.fr/doc/mefr_0223-4874_1889_num_9_1_6593.
[xxxv] “IωAN. BAΠT. ΔAPXHTETHCKIT KATEKEBA ΔIK. IΓ.” Jordan E., Monuments byzantins cit., p. 322.
[xxxvi] Schultz H. W., Denkmaeler der Kunst des Mittelalters in Unter Italien, II, Dresda 1860, p. 351.
[xxxvii] “Malheureusement la simple mention de l’anneé d’indiction ne permet pas de préciser davantage.” Jordan E., Monuments byzantins cit., p. 324.
[xxxviii] www.treccani.it/enciclopedia/paolo-orsi_(Dizionario-Biografico)/
[xxxix] “Ho passato in due riprese nella primavera del 1911 alcuni giorni a S. Severina …”. Orsi P., Siberene cit., 1929, p. 201. “Quanto espongo è il frutto di due rapide visite fatte a S. Severina nel maggio e giugno del 1911, coadiuvato dai miei bravi collaboratori prof. Sebastiano Agati e Rosario Carta, il quale ultimo vi fece una nuova visita nel novembre per completare i suoi disegni, ed eseguire qualche tasto.” Orsi P., Siberene cit., 1929, pp. 205-206.
[xl] Orsi P., Le chiese Basiliane della Calabria, Santa Severina in Bollettino d’arte del Ministero della P. I., VI (1912), pp. 189-239.
[xli] “Nessun archeologo, che a me consti, è stato lassù, e nemmeno il Lenormant; e così non fu visitata nè dallo Schultz, nè dal Salazaro, nè dal Bertaux, che pubblicarono opere grandiose sull’arte ed i monumenti del Mezzogiorno.” Orsi P., Siberene cit., 1929, p. 200. In nota afferma poi l’Orsi: “Forse la visitò, ma in ogni caso troppo rapidamente, il DIEHL, che ai suoi monumenti medioevali dedicò brevi ma sensate pagine (L’Art byzantin dans l’Italie méridionale, pag. 199-203). Un rapido sguardo ai monumenti sanseverinati è stato dato anche dal Croce in Napoli Nobilissima 1894, pag. 71-72, riassumendo le opinioni, giuste od errate, dei vari studiosi stranieri.” Orsi P., Siberene cit., 1929, p. 234, nota n. 18.
[xlii] “Malgrado la sua alta importanza, il Battistero di S. Severina va considerato come monumento inedito. H. Wil. SCHULTZ (Denkmaeler der Kunst des Mittelalters in Unter Italien), II vol., pag. 351 (Dresda 1860), dedica a S. Severina appena poche righe della sua classica opera, citando solo l’iscrizione battisteriale di Iohannes. Il Salazaro nei suoi farraginosi Studi sui monum. dell’Italia mer. dal IV al XIII sec. (Napoli 1877, 2 voll. gr. fol.) non ne parla affatto, come non esistesse. Invece lo Jordan, che visitò la città col Batiffol nel 1889, ne dà una pianta e sezione, con breve commento della epigrafe (Monum. byzantins de Calabre in Melanges Ecole franç, de Rome, 1889; estratto di pag. 1-4). Il disegnatore sig. Carta, è ritornato nel novembre 1911 a S. Severina per redigere con tutte le regole d’arte la pianta, la sezione ed i dettagli del Battistero che qui presento e che ho ragione di credere esattissimi.” Orsi P., Siberene cit., 1929, p. 235, nota n. 21.
[xliii] “Di fronte a tali difficoltà debbo limitarmi a descriverlo nel suo stato attuale, presentando una pianta ed una sezione (figg. 134 e 135) che il sig. R. Carta mio disegnatore ha eseguito sul vero, controllando quella del tutto inesatta del Jordan, che è poi l’unica esistente.” Orsi P., Siberene cit., 1929, p. 206.
[xliv] “Sul pulvino SO è scolpita nelle quattro fronti l’iscrizione che è stata riprodotta con lezione errata per primo dall’Ughelli (Italia Sacra, vol. IX, pag. 670), e più correttamente dallo Schultz (Denkmaeler, II, pag. 351), e dal Jordan (op. cit., pag. 3, estr.), ma pur sempre con errori paleografici. Sono ora lieto di poterne dare il facsimile col testo preciso e definitivo (fig. 138), osservando che le lettere sono disuguali di modulo ed altre da 5, 6 centimetri.” Orsi P., Siberene cit., 1929, p. 208.
[xlv] Orsi P., Siberene cit., 1929, p. 208.
[xlvi] Loiacono P., Sul restauro compiuto al Battistero di Santa Severina, in Bollettino d’arte del Ministero della P. I., 1934, p. 174.
[xlvii] Loiacono P., Sul restauro cit., p. 178.
[xlviii] Loiacono P., Sul restauro cit., pp. 176-177.
[xlix] Guillou A., Le iscrizioni bizantine di Santa Severina, in Quaderni Siberenensi, giugno 1999, pp. 37-39.
[l] “Il disegno riproduce la faccia principale del cuscino, con croce di Malta in disco affiancato da due colombe, una delle quali legata da un nastro al collo. Il lavoro di incisione, e non di scoltura, è anche qui condotto penosamente, e così le lettere, sparse un po’ ovunque.” Orsi P., Siberene cit., 1929, p. 209.
[li] Orsi P., Siberene cit., 1929 p. 209.
[lii] Orsi P., Siberene cit., 1929, p. 198, fig. 140.
[liii] Guillou A., Le iscrizioni bizantine di Santa Severina, in Quaderni Siberenensi, giugno 1999, pp. 39-40.
[liv] Rende P., La cattedrale di Santa Severina tra Alto e Basso Medioevo, www.archiviostoricocrotone.it
[lv] Capialbi V., Opuscoli Varii del dottor Vito Capialbi, Tomo III. Epistole, Riviste, Illustrazioni e Descrizioni, Napoli 1849, pp. 82-83. Scalise G. B. (a cura di), Siberene Cronaca del Passato per le Diocesi di Santaseverina – Crotone – Cariati, A proposito d’iscrizioni greche, p. 240. Capialbi V., Opuscoli Varii del Dottor Vito Capialbi, Tomo I, Napoli 1840. Esposizione di un anello d’argento, e di un bollo di rame. – Al chiarissimo Cav. Roberto Betti Intendente della Prima Calabria Ulteriore, pp. 9-10.
[lvi] Capialbi V., Opuscoli Varii del dottor Vito Capialbi, Tomo III. Epistole, Riviste, Illustrazioni e Descrizioni, Napoli 1849, pp. 70-71. Scalise G. B. (a cura di), Siberene Cronaca del Passato per le Diocesi di Santaseverina – Crotone – Cariati, Un’altra lettera del Conte Vito Capialbi, pp. 241-248.
[lvii] Scalise G. B. (a cura di), Siberene Cronaca del Passato per le Diocesi di Santaseverina – Crotone – Cariati, A proposito d’iscrizioni greche, p. 241.
[lviii] “Mons. Taccone-Gallucci, Epigrafi, p. 50, e da lui copiando Mons. Puija, Cronotassi p. 42, traggono da vecchi scrittori il ricordo di una epigrafe greca sulla campana dell’Addolorata. Salito faticosamente su quel pericoloso campanile vi ho riconosciuta una pregevole campana conica forse del sec. XIV, con lettere gotiche che ricordano un M(agister) Andreas, ma nulla di bizantino.” Orsi P., Siberene cit., 1929, p. 235, nota n. 40.
[lix] “La iscrizione della vecchia campana di Santasevrina fu, dunque, letta male e, per ciò, male interpetrata da’ lontani e dallo stesso valente archeologo e storico il Conte Vito Capialbi: noi di Santaseverina non negammo mai la processione dello Spirito Santo dal Padre e dal Figlio. La nostra campana non fu, quindi “un pubblico monumento” contro le «credenze dei latini limitrofi.»” “Se quanto dice il Comm. Orsi è vero, non solo cade il vecchio equivoco, ma anche cadono tutte le interpetrazioni dell’epigrafe, non letta bene dai vecchi osservatori e le congetture che n’erano venute, ma anche avremmo un monumento che ci provi essere passata la Chiesa nostra dal rito greco al latino nel XIV secolo. E si: perché se nella campana non sono greche le lettere ma gotiche – introdotte qui con i Normanni – è da ammettersi che noi non alla fine, ma nel corso di quel secolo accettammo il rito della Chiesa di Roma; come sin dall’XI secolo ne avevamo accettata la piena dipendenza.” Puija A., Un Vecchio Equivoco, in Scalise G. B. (a cura di), Siberene Cronaca del Passato per le Diocesi di Santaseverina – Crotone – Cariati, pp. 264-265.
[lx] “Ma l’ultima parola su la nostra campana non è ancora detta: tanto che, per studiarne bene le lettere che vi si trovano, l’attuale arcivescovo intende farla togliere dal campanile e sostituirla con altra nuova.” “Su la data della fusione della campana nulla può dirsi, se prima non è studiata da vicino, e da intendenti della materia. Né l’M interpetrato per Magister, ci appaga pienamente.” “Per evitare anche che si possa rompere, l’Arciv. C. Puija pensa portare la campana nella sala dell’Episcopio: ove ha già posto le pietre con le iscrizioni greche e quanto altro ha trovato di antiche memorie.” Puija A., Un Vecchio Equivoco, in Scalise G. B. (a cura di), Siberene Cronaca del Passato per le Diocesi di Santaseverina – Crotone – Cariati, pp. 264-265 e note n. 7 e 8.
[lxi] Barone P., Santa Severina: la storia e le sue campane, 1991 pp. 87-88.
Creato il 21 Settembre 2018. Ultima modifica: 31 Ottobre 2024.