La famiglia Lilio nella Cirò del XVI secolo
Luigi Lilio
A Luigi Lilio di Cirò, medico, matematico e astronomo del XVI secolo, dobbiamo una svolta fondamentale nella storia del computo del tempo, quella legata all’introduzione del calendario gregoriano, che dal 1582 in poi ha radicalmente cambiato il nostro modo di scandire giorni, mesi e anni. Il calendario da lui elaborato è quello che ancora adoperiamo dopo circa mezzo millennio e permette di determinare senza incertezze e per sempre le date della Pasqua.
Nel corso dei secoli la discordanza tra le date del calendario giuliano, in vigore dal 46 a.C., e l’equinozio di primavera, impone la necessità di correggere le regole adottate per registrare il computo del tempo. Di questo problema soffre in particolare la Chiesa Cattolica che già dal Concilio di Nicea del 325 aveva legato al novilunio e all’equinozio di primavera il suo mistero fondamentale: la Resurrezione di Cristo.
I Padri del Concilio di Nicea avevano stabilito che la Pasqua di Resurrezione doveva essere celebrata nella domenica seguente alla XIV Luna (plenilunio) del primo mese dopo l’equinozio di primavera. Ma, nella metà del 1500, il calendario giuliano aveva segnato come giorno dell’equinozio il 21 marzo, ma gli astri l’avevano segnato l’11 marzo cioè circa 10 giorni prima. In considerazione di ciò la Pasqua veniva celebrata nel periodo astronomicamente non corretto. Si trattava quindi di correggere le regole adottate per registrare il tempo e contemporaneamente evitare che l’equinozio astronomico di primavera rimanesse indietro, rispetto al calendario civile, com’era successo nel corso dei secoli. Appare ormai improcrastinabile la riformulazione del calendario, ma è un compito arduo da svolgere.
Papa Gregorio XIII subito dopo il suo insediamento, al fine di mantenere in tutte le nazioni cristiane l’armonia nella celebrazione della Pasqua, e di tutte le feste mobili che ne discendono, nominò una Commissione col mandato specifico di valutare e approvare un progetto di riforma del Calendario.
La Commissione valutò diverse proposte, ma l’attenzione si concentrò su un ingegnoso progetto di riforma che era stato elaborato da Luigi Lilio. Il progetto, presentato dal fratello Antonio, permetteva di mantenere l’equinozio di primavera in una data fissa e certa, il 21 marzo, e consentiva di determinare con precisione la data della Pasqua. La Commissione accettò definitivamente il lavoro di Lilio che il 5 gennaio 1578 venne stampato in forma di Compendium e inviato alla comunità scientifica e a tutti i Principi cristiani, affinché esprimessero un preciso parere. Nel 1582, con la bolla papale “Inter gravissimas”, Gregorio XIII impose al mondo l’adozione del Calendario elaborato da Lilio.
La grandezza dell’astronomo di Cirò appare evidente se si considera che nel Cinquecento mancavano le leggi dei modelli planetari, i metodi della fisica e gli strumenti della matematica. Essi vedranno la luce non molti anni dopo grazie a Brahe, Keplero, Galileo e Newton, ma al momento non erano disponibili. Le frazioni decimali non erano ancora in uso, ma per una strana coincidenza lo saranno dal 1582 in poi, e solo a partire dal 1593 viene progressivamente introdotto un simbolo come la virgola per indicare i numeri decimali. Nonostante queste limitazioni, Lilio ebbe il merito di essere giunto alla soluzione di un problema, quello del calendario, che sembrava irrisolvibile e che per molti secoli aveva tenuto occupati insigni astronomi e studiosi come Copernico, senza riuscire a venirne a capo.
Mediante due equazioni accorda i due cicli, solare e lunare, e propone un originale ed efficace ciclo delle epatte che permette di stabilire la data della Pasqua di qualsiasi anno. I suoi calcoli offrono al contempo un potentissimo strumento di calcolo che permette di adattare il calendario alla variazione della durata dell’anno tropico che si verifica nel corso dei secoli, mentre le date della Pasqua sono sincronizzate all’equinozio di primavera per altri 5 miliardi di anni. Il Calendario di Lilio si accorda con l’inclinazione esatta dell’asse terrestre rispetto al sole e di conseguenza con i cicli delle stagioni.
Per i suoi conti Lilio si affida a dati astronomici approssimati, contenuti in tavole compilative ormai vecchie di tre secoli. Le difficoltà astronomiche da risolvere riguardavano sia il moto apparente del Sole, sia il moto relativo della Luna. Si trattava di sincronizzare il tempo civile con gli indicatori celesti, mantenendo un vincolo inamovibile: la data dell’equinozio di primavera, convenzionalmente fissata in modo perenne il 21 marzo. Luigi Lilio riuscì in questa difficile impresa elaborando un calendario così perfetto da sfidare i secoli.
Brevi cenni biografici
Lilio nacque presumibilmente nel 1510 a Psycrò, oggi Cirò, un ricco feudo che faceva parte della Calabria Citeriore. Cirò, nel XVI secolo, fu signoria della potente famiglia dei Carafa della Spina che nel 1496 comprarono il feudo dalla famiglia Ruffo.[1]
I dati biografici di Luigi Lilio sono incerti perché i registri anagrafici dell’archivio comunale di Cirò risalgono ai primi anni del 1800, mentre quelli parrocchiali, che sono i più antichi, risalgono al Seicento.[2]
Luigi Lilio ebbe almeno un fratello, Antonio, con cui condivise l’interesse per gli studi scientifici. Sono poche le vicende note della sua esistenza, tanto che in passato ne è stata persino messa in dubbio l’origine calabrese. Il Cardinale Arrigo Noris (1631-1704), l’astronomo Francesco Levera (1681-1694 e Jean-Étienne Montucla (Histoire des Mathématiques 1759) lo confondono con il veronese Lilio Gregorio. L’astronomo Delambre in Histoire de l’Astronomie moderne del 1812, lo equivoca con Luigi Lilio Giraldi di Ferrara, autore di De Annis et Mensibus scritto nel 1541. Norbert Elias, una delle più grandi figure della sociologia del secolo scorso, autore del Saggio sul tempo (1986), lo vuole napoletano. Secondo Bartolomeo da Fano (1582) era perugino. Qualcuno era convinto che fosse romano, secondo altri di Strongoli, mentre lo storico e drammaturgo Scipione Maffei (1675-1755) lo dice di Umbriatico, che in realtà era la curia vescovile in cui allora insisteva Cirò; poiché nella corrispondenza gli ecclesiastici usavano l’indirizzo generico diocesano, era facile che un cittadino di Cirò venisse equivocato come nativo di Umbriatico. A dissipare ogni dubbio, che Cirò dette i natali a Luigi Lilio, è sufficiente leggere quanto scrisse nel 1603 il gesuita tedesco Cristoforo Clavio, matematico e membro della Commissione istituita da Gregorio XIII per studiare la riforma del calendario:
“E magari fosse ancora vivo Aloysius Lilius di Cirò uomo più che degno di immortalità, che fu il principale autore di una correzione tanto valida e risplendette sugli altri grazie alle cose da lui scoperte.”[3]
Altra prova inconfutabile che Cirò dette i natali a Lilio è fornita dall’umanista Giano Teseo Casopero, che in una lettera inviata allo stesso Luigi Lilio lo prega di porgere un saluto ai compaesani che dimoravano in Napoli: “nostratibus omnibus qui Neapoli degunt ex me salutem dica”.[4] Nulla era noto delle condizioni sociali della sua famiglia di origine di cui sembrava essersi persa ogni traccia. Secondo alcuni era nato da modesti genitori, secondo altri da modesti genitori non privi di una certa agiatezza o da nobile e ricca famiglia. Supposizioni non suffragate da alcuna evidenza documentaria.
L’unico documento di cui disponevamo sulla presenza della famiglia Lilio a Cirò era una lettera datata 1535 che il poeta Casopero scrisse all’amico Girolamo Tegano. Casopero nella lettera segnalò trentaquattro famiglie primarie di Cirò, tra cui quella dei Gigli (Lilÿs nel testo)[5] la famiglia appunto di Antonio e Luigi Lilio. Da allora la famiglia Lilio sembrava essere scomparsa nel nulla.
Atti del notaio Baldo Consulo
Riferimenti ben precisi sulla famiglia Lilio a Cirò sono emersi recentemente da alcuni atti del notaio Baldo Consulo e del notaio Giovanni Alboccino, depositati presso l’Archivio di Stato di Catanzaro e rinvenuti da Pino Rende.[6]
Uno di questi atti notarili datato 3 settembre1574 riguarda un passaggio di denaro (120 ducati) tra il nobile Ferdinando Puglisio di Corigliano da una parte, e il nobile Gio: Battista de Amato e Joanne Susanna di Cirò dall’altra. L’atto è sottoscritto da Ant.no de liljo.[7] Un altro atto del notaio Consulo (8 luglio 1574) riguarda il matrimonio tra Actilio Papaioannes di Cirò e Laudonia Glisara figlia della m.ca Deca Glisara della città di Rossano. L’atto è sottoscritto da Ant.no de Liljo e Matteo de Liljo.[8] Questi due documenti rinvenuti dallo scrivente, attesterebbero la presenza della famiglia de Liljo a Cirò, ma non ci consentono di affermare con certezza se i due de Liljo: Antonio e Matteo, appartenessero alla famiglia di Luigi Lilio.
Altri documenti rinvenuti potrebbero aiutare a fugare questi dubbi. Un atto dello stesso notaio Consulo del 1573, riporta integralmente: “Il giorno 2 del mese di gennaio prima indizione 1573, nella terra di Cirò, innanzi a noi, per lettera, è costituito Antonino de Lilio della detta terra, che asserisce di dover conseguire da D. Petro Bordono, vescovo di Umbriatico, venti ducati che gli erano stati tutti mutuati in Roma per mano di Cesare de Lilio suo cugino. Il detto Antonino fa quietanza al detto vescovo poiché, innanzi a noi, riceve materialmente i venti ducati dal detto vescovo, e per esso, dal Reverendo Antonino Galeoto vicario generale che è presente. Sottoscrivono il giudice ed alcuni testi”.[9]
Il documento testimonia che Cesare Lilio, in quel periodo si trovava a Roma ed era ben inserito nelle alte sfere ecclesiastiche. Egli è impegnato in un passaggio di danaro tra la curia di Cirò e la curia di Roma per mezzo di Antonino, suo cugino. Quest’ultimo riceve il danaro dal vicario generale Antonino Galeoto e lo consegnerà a Cesare Lilio.
Un atto redatto dal notaio Consulo il 24 febbraio 1573 riporta: “Sylvester de Lilio, in relazione alla dote di donna Nicolae de Lilio sua sorella, promette “more graecorum” a Octavio Orifex, due casalini “sotto lo castello”, confinanti con il casalino di Cicco de Loysio, il casalino di Renzo Labalestra, le vie pubbliche da due lati ed altri fini”.[10]
Il matrimonio di tipo more graecorum era diffuso nei ceti sociali più alti: l’alienazione di dote e dotario era proibita. In caso di premorienza della moglie senza figli la dote veniva restituita alla famiglia della donna, mentre in caso di premorienza dell’uomo, alla vedova spettava la dote e il dotario.
Un altro atto notarile del 25 gennaio del 1573, tratta di Fran.co Bisantio che giunto ad un accordo con Ant.nus de lilio di Cirò, gli retrocede “la possessione loco detto s.to Blasio” che aveva acquistato all’incanto nel passato.[11]
Dal notaio Consolo apprendiamo pure che il 5 novembre 1576, Ant.o Abbas vendeva al magnifico Ant.o de Martino “hyspanus”, un “hortale” arborato con fichi sito in “loco dicto fulcuni sub rupe rictusae”, confinante da due lati, con gli “hortalia” dei magnifici de Liliis, il “vallonem dela rictusa” ed altri fini.[12]
I documenti sopra citati mostrano per la prima volta dopo quasi cinquecento anni la presenza della famiglia Lilio a Cirò nella seconda metà del Cinquecento. Una famiglia certamente agiata e di elevato rango sociale, da meritare l’appellativo di “magnifico”, termine che nel XVI e XVII secolo aveva perso il significato originario, ma che denotava comunque una superiore dignità della persona titolata.
I documenti sopra citati testimoniano la presenza di cinque membri della famiglia de Liljo o de Lilio: Antonino de liljo e Matteo De liljo, Cesare de Liljo cugino di Antonino de Lilio, Sylvester de lilio e sua sorella donna Nicolae de liljo.
Variazioni del cognome Lilio
Una questione fondamentale ai fini della nostra indagine è quella di accertare se il cognome de Liljo, o de Lilio, di cui parlano gli atti del notaio Consulo, coincida col cognome Lilio-Lilius citato nei documenti ufficiali della riforma del calendario gregoriano.
Bisogna considerare che i moderni nomi di famiglia, o cognomi in senso stretto, si consolidarono diffusamente in tutti gli strati sociali a partire dai secoli XII e XIII. In Italia, come nel resto d’Europa, essi possono avere avuto un’origine “antroponomastica” (dal nome di un antenato, maschio o femmina); “toponomastica” (luogo di provenienza, aggettivo etnico, etc.); “soprannominale” (nome di mestiere o professione, soprannome scherzoso o allusivo a caratteristiche fisiche o morali, etc.).[13]
I notai nei documenti ufficiali in latino, specialmente quelli di età tardomedievale e moderna, generalizzavano per i cognomi (benché non esclusivamente) una marcatura di tipo sintattico: “de + toponimo, antroponimo o soprannome in ablativo”.[14] L’omissione della preposizione “de” (eccetto alcune sopravvivenze) ha dato origine alle forme dei cognomi odierni.
Accanto a questa costruzione con “de” convive il trattamento del cognome come termine aggettivale, o comunque appositivo, e perciò, per lo più, in “-us” per soggetti maschili e in “-a” per soggetti femminili.[15]
Ne consegue che “de Lilio” per oscillazione morfosintattica diventa Lilius, ed è ragionevole supporre che nei documenti ufficiali della riforma del calendario il cognome de Lilio abbia subito l’eliminazione della particella patronimica “de”.
Atti del notaio Giovanni Alboccino
L’ipotesi sopra esposta ha trovato conferma in 4 atti notarili, redatti in italiano, del notaio Giovanni Alboccino, rinvenuti nel 2018 da Pino Rende nell’Archivio di Stato di Catanzaro.
Nel primo documento si legge: “21 dicembre del 1586. Il no: Antoninus de giglio della terra di Cirò, vende al nobilis Francesco Aligia, un ortale con siccomis che deteneva in comune ed indiviso con gli eredi del quondam Sante Natale della terra di Crucoli, posto in territorio di Cirò loco detto yustra, confine i “siccomis” del detto “no:” Francesco, la possessione ed i “siccomis” degli eredi del quondam m.co Alfonso Susanna, la via pubblica “per quam itur ad eclesiam dive annunciate” ed altri fini.[16]
La nobile famiglia de giglio aveva dei terreni agricoli nella zona ora detta “la yusta”.
Un altro atto notarile di Giovanni Alboccino riporta che Antonino de giglio possedeva dei terreni nella località di “santi biasi”,[17] mentre altri due atti notarili riportano l’ubicazione di vecchie abitazioni della famiglia di giglio nella zona della rittusa: “18.12.1588. Libertino Papandro di Cirò vende al m.co Joannes Maria Casopero di Cirò, una casa palaciata dentro la terra di Cirò, loco detto “la rittusa”, confine con i “casalena que fuerunt m.corum giglis”;[18] “l’onorabile Petro Antonio Curto, vende al m.co Joannes Maria Casoppero di Cirò, la casa posta dentro la terra di Cirò, loco detto “la rittusa”, confine la casa palaziata di donna Marina Cadea, la casa degli eredi di Joannes De Luca, vinella mediante, la via pubblica ed altri confini, oltre un casalinello, confine con la casa di Jo. Matteo di Rossano, “li casalini foro dili m.ci gigli” ed altri fini.[19]
Possiamo concludere affermando che il cognome Lilio in latino (dativo e ablativo) diventa de Lilio, de lilio, de liljo, Lilius (con funzione di soggetto), oppure di giglio/de giglio in italiano (atti notarili G. Alboccino), oppure Gilio, Giglio, Gigli (con oscillazioni grafiche e fonetiche), come da documenti ufficiali della riforma del calendario.
I documenti sopra riportati mostrano la presenza di un piccolo nucleo della famiglia Giglio/Lilio nella Cirò del XVI secolo. La famiglia Giglio possedeva il titolo di “nobile”, dei terreni nelle zone “Fraccuni, Yusta e Santi Biasi” e delle abitazioni sotto “lo castello” e nella località detta “la rittusa”.
Note
[1] NICASTRI R., Cirò, patria del riformatore del calendario, Catanzaro, 1920, p. 25.
[2] MEZZI E, VIZZA F., Luigi Lilio Medico Astronomo e Matematico di Cirò, Laruffa Editore, Reggio Calabria, 2010, p. 14.
[3] Vizza F. “Vita e opera di Luigi Lilio, principali documenti rinvenuti”, in Atti del Convegno Aloysius Lilius, Cirò 22 Ottobre 2010, Centro Stampa, Cirò Marina 2011, pp. 25-63.
[4] JANI THESEI CASOPERI PSYCHRONAEI, Epistolarum Liber duo, Venetiis MDXXXV, Liber primus, c. 24 bis.
[5] JANI THESEI CASOPERI PSYCHRONAEI, Epistolarum Liber duo, Venetiis MDXXXV, c. 38 bis.
[6] https://www.archiviostoricocrotone.it.
[7] ASCZ, Notaio Consulo B., f. 72.
[8] ASCZ, Notaio Consulo B., busta 8, ff. 59-59v. Regesto, 08.07.1574. La m.ca Deca Glisara alias Malena della città di Rossano, moglie del m.co Nicolai Papaioannes promette alla m.ca Laudonia Glisara sua figlia, che andava sposa al m.co Actilio Papaioannes, la dote more nobilium. Il “palazzo” con i suoi “membri” del detto m.co Nicolai Papaioannes posto “al convicinio de s.to petro loco dicto girifalco”, confine la casa dotale di Camillo Caputo, la casa di Minico e Jacobo dele Castelle, “le mura dela t(er)ra” ed altri fini.
[9] ASCZ, Notaio Consulo B., busta 8, f. 5. Il documento è stato gentilmente fornito da Pino Rende.
[10] ASCZ, Notaio Consulo B., busta 8, f. 14. Il documento è stato gentilmente fornito da Pino Rende.
[11] ASCZ, Notaio Consulo B., busta 8, f. 8v. Il documento è stato gentilmente fornito da Pino Rende. Regesto, 25.01.1573. Cirò. Fran.co Bisantio, giunto ad un accordo con “Ant.nus de lilio” di Cirò, gli retrocede la possessione loco detto “s.to Blasio” che aveva acquistato all’incanto nel passato.
[12] ASCZ, Notaio Consulo B., busta 8, f. 194v. Il documento è stato gentilmente fornito da Pino Rende. Regesto, 1576. 05.11.1576. Cirò. Ant.o Abbas di Cirò, vende al m.co Ant.o de Martino “hyspanus”, un “hortale” arborato con fichi, sito in “loco dicto fulcuni sub rupe rictusae”, confine con gli “hortalia ex duobus lateribus m.corum de liliis”, il “vallonem dela riptusa” ed altri fini.
[13] GIULIO MAURO PACCHETTI, Alcune note sull’evoluzione storica del nome di famiglia in italia, Alessandria 2007, p. 137.
[14] IBIDEM, Alcune note sull’evoluzione storica del nome di famiglia in Italia, Alessandria 2007, p. 162.
[15] IBIDEM.
[16] ASCZ, Notaio Alboccino G., busta 13, ff. 425-426. Il documento è stato gentilmente fornito da Pino Rende.
[17] 17. ASCZ, Notaio Alboccino G., busta 13, ff. 525-526. Regesto, 07.10.1588 Petro Antonio Calvo di Cirò, figlio ed erede del quondam Divico Calvo, trasferisce a Francesco e Cesare Calvo di Cirò, suoi nipoti, figli del suo quondam fratello Saladino Calvo ed agenti anche per parte delle loro sorelle Framinia e Cassandria, la possessione arborata con diversi alberi posta nel territorio di Cirò, in loco “dove se dice santi biasi”, confine la possessione del “no: antonino di giglio”, la possessione degli eredi del quondam Cesare Basili, la possessione di Francesco Lalice ed altri fini”. Il documento è stato gentilmente fornito da Pino Rende.
[18] 18. ASCZ, Notaio Alboccino G., busta 13, ff. 533v-534. Il documento è stato gentilmente fornito da Pino Rende. Regesto, 18.12.1588. Libertino Papandro di Cirò vende al m.co Joannes Maria Casoppero di Cirò, “una sua airo di casa palaciata” lasciatogli dalla quondam Laurenza Scurco sua moglie, figlia di Laurenzo Scurco e donna Maria di Liotta di Melissa, posta dentro la terra di Cirò, loco detto “la rittusa”, confine “lo catogio de ditto airo” di Petro Antonio Curto di Melissa, “puro dotale”, la domus di donna Marina Cadea, la via pubblica ed altri fini, nonché “la ragione” che detiene sopra “un casalinello nello medesimo loco”, confine la domus di Joannes Matteo de Rossano, i “casalena que fuerunt m.corum giglis”, la via pubblica ed altri fini.
[19] 19. ASCZ, Notaio Alboccino G., busta 13, ff. 531-531v. Il documento è stato gentilmente fornito da Pino Rende. Regesto, 18.12.1588. Libertino Papandro di Cirò vende al m.co Joannes Maria Casoppero di Cirò, “una sua airo di casa palaciata” lasciatogli dalla quondam Laurenza Scurco sua moglie, figlia di Laurenzo Scurco e donna Maria di Liotta di Melissa, posta dentro la terra di Cirò, loco detto “la rittusa”, confine “lo catogio de ditto airo” di Petro Antonio Curto di Melissa, “puro dotale”, la domus di donna Marina Cadea, la via pubblica ed altri fini, nonché “la ragione” che detiene sopra “un casalinello nello medesimo loco”, confine la domus di Joannes Matteo de Rossano, i “casalena que fuerunt m.corum giglis”, la via pubblica ed altri fini.
Creato il 22 Agosto 2018. Ultima modifica: 22 Agosto 2018.