La costruzione di magazzini tra la città di Crotone e l’Esaro
Sul finire del Cinquecento vi erano dei magazzini fuori mura e tra questi, alcuni erano tra la città e l’Esaro, nei bassi del convento di Gesù e Maria dell’ordine di San Francesco di Paola.[i] Essi venivano presi in fitto dai mercanti di grano, i quali li utilizzavano per riporvi la merce in attesa dell’imbarco per Napoli.[ii] I magazzini aumenteranno. Sappiamo che all’inizio del Seicento, nel 1612, essendo vescovo Carlo Catalano, iniziava la costruzione del convento dei cappuccini.[iii] Cinque anni dopo i frati ne prenderanno possesso. La costruzione era composta oltre che dalla chiesa, da numerose celle, magazzini, un refettorio, un chiostro, un orto, il pozzo ed il giardino. Oltre ai magazzini situati nei due conventi, ve ne erano, e ce ne saranno altri, dentro alcuni terreni e giardini nelle vicinanze, dove i proprietari costruiranno case e torri, come alla “Campitella”,[iv] a “Potighelle”,[v] a “Pignera”,[vi] ad “Acquabona”,[vii] ecc.
I magazzini dei nobili
Sempre in questi anni sorsero fuori le mura, sulla strada che dalla porta principale della città si dirigeva al ponte sull’Esaro, delle costruzioni isolate, adatte al solo uso di magazzino per conservare grano. La loro costruzione avvenne entro i limiti imposti dalle esigenze difensive della città. I costruttori dovevano ottenere l’approvazione dell’università e poi il regio assenso.
Sappiamo che nel 1610 Livia Lucifero, come erede del nipote Gio. Pietro Lucifero, possedeva dei magazzini a “Li Pignatari”,[viii] e che sempre sulla strada vi erano altri magazzini, che non facevano parte né di conventi, né di casini o torri. Da una ricognizione fatta da alcuni esperti “negozianti” del luogo, su richiesta del luogotenente del regio secreto e mastro portolano di Crotone, alla metà di marzo 1630, per valutare i danni causati dal caldo e dai parassiti al grano appartenente alla Regia Corte, che era in deposito a Crotone, veniamo a conoscenza che esso era conservato nei magazzini fuori mura di Gio. Domenico Pantisano e dei Mangione, nel luogo “Li Pignatari”, nel magazzino di Dezio Suriano a “Spataro”, e in alcuni magazzini del monastero di Gesù Maria dei minimi.
Dall’indagine risultò che dopo la cernitura fatta dalle donne, che avevano tolto la terra, il grano pertugiato dai pidocchi e la scagliola, il grano della Regia Corte si era ridotto di circa il 20%. Gli esperti consigliarono, che per rinfrescare e conservare il rimanente, i “grani si cernessero tutti et si allargassero et cambiassero di magazeni e si voltassero ogni tre dì”. Comunque, poiché stava per arrivare la stagione calda, che avrebbe peggiorato la situazione, bisognava smaltirli: “oltre al pericolo eminente di perdersi ci corre spesa grossa di magazeni … se si piglia maggio sarà bisogno pagarli per l’anno che segue”, in quanto è alla “prima di maggio che li magazeni s’affittano per tutto l’anno seguente con pagarse anticipatamente”.[ix]
Allora quasi tutti i magazzini si trovavano ancora dentro le mura, nei bassi delle abitazioni nobiliari, dove al tempo del raccolto veniva convogliato il grano, prodotto dai coloni e incettato tramite la speculazione e l’usura. Fuori, oltre a quelli presso i conventi ed i casini e torri, sorgevano “avanti la porta della città nelle vicinanze della medesima”, in località “Spataro”,[x] a “Li Pignatari”, mentre almeno altri quattro, detti i “magazeni delli Capuccini”, erano vicino al convento.
Prima della metà del Seicento ne erano proprietari gli aristocratici: i Suriano quelli di Spataro, i Mangione e poi i Pipino[xi] a Li Pignatari, e per quanto riguarda quelli presso i Cappuccini, due appartenevano a fra Ciccio Suriano, che li aveva ereditati dal padre, il barone di Apriglianello Gio. Dionisio, morto nel 1647, un altro era degli eredi di Luccio Caparra, ed infine l’ultimo, che era “contiguo all’horto delli P.ri Capuccini”, apparteneva a Gio, Berardino Longobucco di Catanzaro.[xii]
Quest’ultimi, che si trovavano “dirimpetto le mura dell’orto dei capuccini”, come anche gli altri, a volte venivano affittati a coloro che esportavano grano.[xiii] Essi erano stati costruiti “sopra un pezzo di terra che prima era vignale”. I proprietari, che avevano avuto in concessione il suolo, dovevano perciò pagare ogni anno al proprietario, cioè al canonicato di Santa Sofia della cattedrale di Crotone, un censo enfiteutico perpetuo, il cui importo variava a secondo dell’ampiezza del terreno occupato. Alla fine del Seicento, i proprietari dei magazzini presso il convento dei cappuccini, sono i grandi possidenti: Nicola Gerace, che era subentrato a Gio. Pietro Gerace,[xiv] il duca di Santa Severina Antonio Grutther, Annibale Berlingieri, Geronimo Longobucco di Catanzaro, ed il capitano Valerio Antonio Montalcini con Tota Suriano;[xv] a questi si era aggiunto quello del beneficio di San Leonardo della cattedrale, che era composto da due membri e confinava con l’orto dei Cappuccini.[xvi]
Il grano esce dalla città
Sul finire di quel secolo i magazzini cominciarono ad abbandonare i bassi dei palazzi, particolarmente insalubri, umidi ed inadatti ad una buona conservazione del cereale, e ad uscire dalle mura. Anche se maggiormente esposti alla minaccia di razzie, e agli assalti delle popolazioni affamate, i magazzini fuori porta garantivano una migliore conservazione del prodotto e soprattutto, un minore controllo sul suo commercio, facilitando il contrabbando, anima e corpo della nobiltà locale.
Specie nei momenti di carestia, quando era particolarmente controllata o vietata l’esportazione, il grano poteva tranquillamente di nascosto, uscire di notte solo dai magazzini fuori mura ed essere imbarcato, essendo infatti la porta della città chiusa e vigilata.[xvii] L’area dei magazzini cominciò perciò a dilatarsi, allungandosi costeggiando la strada in direzione del ponte sull’Esaro. Ai cinque che sorgevano vicino alla porta della città in località Spataro, due dei Suriano e tre del beneficio della Concezione,[xviii] e più oltre ai due dei Pipino a Li Pignatari, che confinavano da una parte, con “il biviero” e dall’altra con “il vallone delli mattoni”,[xix] e ai sei presso il convento dei cappuccini, si aggiunsero i nuovi presso la chiesa di Sant’Antonio Abate e la chiesa dell’Annunziata.
Risale a questi anni la decisione di Gio. Battista Barricellis ed Alessandro Albani, di costruire dei magazzini fuori mura “innanzi il largo della chiesa della SS.ma Annunciata”. Perciò i due nobili stipularono dei contratti con dei mastri. Una testimonianza su tale iniziativa la troviamo in un atto notarile. In data 22 aprile 1696 i mastri fabricatori Gio. Antonio di Mazzeo di Rogliano e Giuseppe Jerace di Cotrone, conclusero un accordo con il canonico Pietro Albani, figlio di Alessandro. I mastri si impegnarono a fare a loro spese due magazzini di fabrica di calce e arena, simili a quelli che dovevano costruire per il signor Gio. Battista Barricellis, nel luogo indicato e secondo il disegno che sarebbe stato loro fornito dall’Albani, fuori le mura della città, vicino alla chiesa della SS. Annunziata. Essi lo consegneranno finito entro l’otto settembre 1697. L’Albani dovrà fornire “travi, tavoli, chiodi, ciaramidi et mastro carpentiero per inchiodare et aggiustar legname”. Il prezzo convenuto è di ducati 266, dei quali 186 vengono consegnati dall’Albani alla stipula del contratto ed i restanti all’inizio dei lavori. I mastri, inoltre, faranno a loro spesa una porta e due finestre di cantoni per magazzino, ed a “ponerci l’inferriate che li se consegneranno da d.o Albani della med.ma grandezza di quelli delli magazeni di d.o Gio. Batt.a Barricellis”.[xx] Sempre in questi anni il nobile Gio. Pietro Presterà faceva costruire dei magazzini dietro la chiesa di Sant’Antonio Abate,[xxi] e ne vendeva uno a Fabritio Manfredi.[xxii]
Mercanti e massari
La costruzione di magazzini continuerà anche durante il viceregno austriaco (1707-1734), spingendosi verso la chiesa dell’Annunziata ed il convento di Gesù e Maria. I magazzini “per conserva di grani”, erano utilizzati dai padroni o affittati. In questo secondo caso l’uso prevedeva che gli “affitti de’ magazeni in questa sudetta città si pagano a carlini venti a centenaro per uno anno intiero dalla prima giugno, sino l’ultimo di maggio dell’anno seg.e. E le voltature delli grani si pagano tre tornesi a centenaro, come pure li grani. Li grani in tempo d’està si voltano due volte la settimana e l’inverso una volta”.[xxiii]
Nel 1718 l’università di Crotone concedeva, previo regio assenso, al figlio ed erede di Alessandro, Annibale Albani, di ampliare la proprietà costruendo un nuovo magazzino vicino alla chiesa dell’Annunziata, accanto a quello costruito dal padre,[xxiv] e dieci anni dopo accoglieva le richieste di Gerolamo Camposano, che voleva edificare due magazzini dell’estensione di palmi 100X100 in località “Il Fosso”,[xxv] e di Domenico e Scipione di Vennera, per altri due.[xxvi] Sempre in questi anni rimaneva inalterata la proprietà dei cinque vecchi magazzini seicenteschi dirimpetto la porta della città, appartenenti ai Suriano ed al beneficio dell’Immacolata Concezione, mentre a quelli presso il convento dei cappuccini di Nicola Gerace, del duca di Santa Severina Antonio Grutter, di Cesare Berlingieri, erede del padre Annibale, di Gerolamo Longobucco di Catanzaro, di Valerio Montalcini con gli eredi di Tota Suriano, e del beneficio della famiglia Susanna, si erano aggiunti i magazzini di Isidoro Messina, ed il magazzino degli eredi di Gio. Tommaso di Vennera, che sorgevano vicino all’orto e dietro il convento.[xxvii]
Più in là verso la chiesa dell’Annunziata, vi erano i magazzini degli Albani, dei Capocchiano, dei Lucifero e dei Barricellis; quest’ultimi erano due, di cui uno grande e uno diviso in due piccoli.[xxviii] Alla fine del viceregno, nonostante le spese che i costruttori dovevano sostenere per l’approvazione dell’università di Crotone, e per ottenere il regio assenso a Napoli, a salvaguardia dell’importanza militare della città, l’area dei magazzini ormai si era estesa da Spataro per i Pignatari ed il convento dei Cappuccini, alla chiesa dell’Annunziata.
L’espansione settecentesca
Con l’arrivo dei Borboni, il divieto di costruzione si restrinse solo ad alcune aree adiacenti alle mura, riprese perciò con forza la costruzione di magazzini soprattutto nei terreni compresi tra la chiesa di Sant’Antonio Abate, la chiesa dell’Annunziata ed il monastero di Gesù Maria. Il luogo era comunemente noto come “Il Fosso” e al tempo del raccolto, vi confluiva il grano e si svolgeva la sua compra-vendita; dalle varie contrattazioni si ricavava il prezzo a tomolo, che serviva come base per fissare la voce da parte del governo e dei magistrati cittadini.
Non mancarono anche costruzioni in luoghi vicini, come nella località “li Furchi”,[xxix] che confinava con il “Vallone delli Mattoni”, ed era circondata dalle terre comuni dalla parte della marina e, dall’altra parte, dalla “pubblica strada detta delli Pignatari”. Trattasi di terreni che appartengono quasi sempre ad enti ecclesiastici, i cui rettori ed economi, col pretesto di una apparente e perpetua rendita annua maggiore e certa, di fatto ne cedono il diritto di proprietà. Infatti, stipulando contratti di censo enfiteutico, che in teoria dovrebbero apportare maggiori entrate, in pratica col tempo risultano un pessimo affare. Frazionata la rendita del fondo tra più enfiteuti, il più delle volte essa risulta inesigibile, sia per la morosità che per complicità. Col tempo poi le nuove porzioni di terra ed i magazzini vanno ad alimentare una crescente speculazione immobiliare. Così, il legame di interesse tra clero e possidenti, trasforma gli orti e i vignali di una vasta area davanti alla città in suoli edificabili, aprendo la via alla privatizzazione ed alla partizione tra più proprietari.
È il caso di un vignale di circa una tomolata appartenente al beneficio semplice dell’Immacolata Concezione della famiglia Vezza. Il pezzo di terra, situato nel luogo detto “li Furchi”, confinato dalla parte della marina, dalle terre comuni e, dall’altra parte, dalla via pubblica detta li Pignatari, è ceduto nel maggio 1741 ai possidenti Francesco Gallucci, Pietro Asturelli e Domenico Aniello Farina, i quali hanno intenzione di costruirvi dodici magazzini. L’operazione è condotta in porto per merito del chierico beneficiato Nicola Gallucci, figlio di uno dei costruttori. Egli fa leva sul fatto che, attraverso tale alienazione, invece degli usuali cinque ducati annui di rendita, che dava il vignale quando era affittato a semina, il beneficio ora ne incamererà il doppio, proveniente ogni agosto dai tre enfiteuti. Ma in breve il beneficio oltre a perdere per sempre una sua proprietà, sarà in difficoltà anche a racimolare la rendita.[xxx]
I luoghi ben presto si presteranno alla speculazione e saranno ceduti ad altre persone da coloro che, utilizzando il vincolo parentale, li avevano ottenuti.[xxxi] Se nel passato i magazzini erano stati edificati soprattutto per conto dei nobili, ora alla costruzione partecipano anche i “negozianti” e, in misura minore, i massari.
Dall’analisi del catasto onciario del 1743 risulta che, fuori porta, lungo l’asse che, partendo da Spataro, per le Furche, Pignatari, Li Capuccini, chiesa di Sant’Antonio Abbate, chiesa dell’Annunziata e Fosso, vi erano più di ottanta magazzini, senza tenere conto di quelli esistenti nei due conventi dei minimi e dei cappuccini. La maggior parte appartenevano ai nobili della città (65%), proprietari di feudi e di grandi estensioni di terre, ed a cittadini negozianti corrispondenti di negozianti di Napoli, mentre pochissimi erano quelli di proprietà di massari.
Sempre dal catasto rileviamo che al “Fosso” vi erano i sei magazzini di Francesco Sculco e di Berardino Suriano, i cinque di Francesco Cesare Berlingieri, i quattro di Francesco di Vennera, Francesco Lucifero e Gio. Batt.a de Silva, i tre di Pietro Barricellis e Carlo Albani, i due di Cesare Presterà, Domenico di Vennera, Giuseppe Camposano, Ignazio Coccari, Monte dei Morti, Certosini di Rocca di Neto e del duca di Santa Severina, mentre uno per ciascuno ne avevano: Antonio Cirrelli, Domenico Tirioli, Dionisio Curcio, Francesco Partale, Francesco La Nocita, Laura Antinori, Domenico Rinaldi, Domenico Coccari, Benedetto Milioti e il Duca di Montesardo; in località “Le Furche” vi erano i due di Domenico Aniello Farina e quello “diviso in due” di Antonio Massa; presso la chiesa Sant’Antonio Abate, i quattro di Gio. Battista Venturi ed i due di Giovanni Capocchiano; alla chiesa della Nunziata i cinque magazzini di Giovanni Capocchiano e i quattro di Pietro Zurlo. Alla “Conicella” il magazzino di Vittoria La Nocita; a “Li Capuccini” quello di Gregorio Cimino; a Spataro i due di Fabrizio Suriano ed i tre del beneficio della Concezione, e ai “Pignatari” i due di Mirtillo Barricellis.[xxxii]
Per avere un’idea della rapidità con cui si sviluppò l’espansione di questi edifici, basta considerare che, tra il 1739 ed il 1744, sul solo vignale detto “il Piano di Giesù Maria”, o anche “San Francesco di Paola”, confinante con le “terre della Pignera” e situato presso il monastero dei minimi di San Francesco di Paola, ed in un angolo delle attaccate terre ortalizie del “Biviero”, di proprietà della mensa vescovile,[xxxiii] furono edificati almeno sedici magazzini.
Essi appartenevano, quattro per ciascuno, a Dionisio Ventura e a Giuseppe Grasso,[xxxiv] tre ai certosini di Rocca di Neto, due per ciascuno all’arciprete Rinaldi, e a Geronimo Cariati ed uno a Domenico Giglio. Pochi anni dopo, nel 1749, il canonico Felice Messina, rettore della chiesa della SS.ma Annunziata, costruisce due magazzini attaccati al muro della chiesa,[xxxv] e sempre la mensa vescovile concederà tra il 1758[xxxvi] ed il 1759, altre parti del vignale, dove sorgeranno i magazzini di Giovanni Contestabile,[xxxvii] Domenico Rodriquez, Felice e Antonio Giglio, Gaetano e Nicola Scicchitano, e del sergente Michele Messina.[xxxviii]
Così nel dicembre 1759 è descritto il luogo: la mensa vescovile possiede “un comprensorio di terre rase ed aratorie denominato volgarmente il vignale di S. Francesco di Paola, sito nelle vicinanze di questa città e propriamente vicino all’orto comunemente detto dello Biviere e limitrofe e confine al territorio della Pignera da una parte e dall’altra alla via publica, che si va al convento de P.ri de minimi del glorioso S. Francesco di Paola di questa città alla punta del quale vi è un comprensorio di terre vicino a d.o Beviere ove vi esiste un orto ed alcuni alberi fruttiferi appartenenti alla mensa vescovile quale comprensorio tutto cossi dalla parte di detto orto che di publica strada va circondato di fossi seu chiusura ed in esso da detta parte di detta strada s’attrovano presentemente edificati il numero di dieceotto magazini di già compliti in virtù di concessioni in enfiteusim fattoli del solo terreno di d.o vignale”.
Gli enfiteuti, anche a nome degli eredi e successori, che avevano beneficiato del suolo della mensa vescovile, avevano dovuto impegnarsi ad utilizzarlo solo per la costruzione di magazzino, e niente altro, da costruire entro tre anni dalla stipula, a pagare ogni 15 agosto l’annuo canone, a non dividere mai la particella, a non fare o aprire mai porta nel muro nella parte di dietro del magazzino, affacciante a mezzogiorno, dove era il vignale, per non arrecare danno al terreno seminato, inoltre il “terreno vacuo che serve per spiazzo del magazzino, che sporge alla strada è ancora della mensa vescovile e non del publico e ciò per petra memoria”.[xxxix]
Nonostante la grave crisi agricola che investirà il Marchesato negli anni Sessanta, causando il fallimento di molti coloni e massari, ed il concentrarsi della proprietà in poche mani,[xl] la costruzione di magazzini proseguirà, investendo con piccole speculazioni anche i terreni pubblici. Nel 1767 il mastro Pasquale Juzzolino ottiene previo “Regio Assenso ottenuto a sua supplica dalla Real Camera di S. Chiara e parlamento formato dalli Sig.ri sindaci ed eletti della città”, un pezzo di terra nel luogo detto “Li Furchi” presso il magazzino del massaro Antonio Massa per costruire tre magazzini, impegnandosi a pagare un censo perpetuo annuo. Tre anni dopo ne rivende una piccola estensione a Gio. Paolo Massa, figlio di Antonio, che costruisce un magazzino accanto a quello del padre e si impegna a pagare la metà del censo.[xli]
Ormai il mercato del grano stava declinando e nuove attività cominciavano ad insediarsi nei magazzini fuori porta. Spartitisi i suoli degli enti ecclesiastici, i nobili, che avevano proprietà nella zona, pensarono bene di allargarle, mettendo le mani su alcuni terreni comunali. Controllando il governo cittadino, con uno scambio di favori nel 1780, il sindaco Anselmo Berlingieri concedeva a canone perpetuo un terreno pubblico dirimpetto ad Acquabona e la chiesa della Pietà, a Valerio Grimaldi e due anni dopo, il sindaco Diego Grimaldi, figlio di Valerio, concedeva un terreno pubblico presso l’Esaro ad Anselmo Berlingieri.[xlii]42.
Note
[i] Durante il Cinquecento davanti al monastero di Gesù Maria dell’ordine di San Francesco di Paola, si svolgeva la prima domenica di maggio la fiera di Gesù Maria. ASCZ, Busta 49, anno 1591, f. 76.
[ii] Dall’inventario compilato da Gio. Pietro Sculco, esecutore testamentario di Gio. Aloysio Biscario, si nota che il Biscario aveva grano in un magazzino vicino alla sacrestia nel convento di Gesù Maria, ed in quattro magazzini nel monastero dell’Osservanza: uno era vicino la scala che va al dormitorio, un altro era detto del dormitorio, il terzo era chiamato della cocina e l’ultimo si trovava vicino alla sacristia. ASCZ, Busta 118, anno 1629, f. 46. All’interno del convento dei domenicani vi era un largo dove era stato edificato un magazzino per conservare il grano. ASV, S. C. Stat. Regul. Relationes, 25, ff. 723-726.
[iii] ASCZ, Busta 49, anno 1612, ff. 12-13.
[iv] Verso la fine del Cinquecento Prospero Leone vendeva al marchese di Casabona, Scipione Pisciotta, un annuo censo di ducati 50 per un capitale di ducati 500 sulle sue proprietà, cioè sulle rendite delle terre dette il Fellà e quelle della Campitella, dove vi erano delle case una torre ed un orto. ASCZ, Busta 119, anno 1637, f. 72.
[v] Piero Antonio Pagano possedeva all’inizio del Seicento un orto con diversi alberi, pozzo, torre e case terranee, sito in località Potighelle, circondato parte da mura e parte da fossati. ASCZ, Busta 49, anno 1612, f. 19.
[vi] Diego Barricellis possedeva il giardino della Pignera con torre, vaglio, magazzini, diecimila viti e quattrocento alberi. ASCZ, Busta 336, anno 1689, f. 60.
[vii] Nei primi decenni del Seicento Fabio Pipino possedeva il “giardino, turri ed altri edificii”, detto “delli Capuccini e L’Acqua Vona”, che era appartenuto ai coniugi Laura Cano e Camillo Lucifero ed ai genitori Aurania Foresta e Peleo Pipino. ASCZ, Busta 229, anno 1657, f. 26.
[viii] ASCZ, Busta 49, anno 1610, f. 100.
[ix] Dentro le mura vi erano i magazzini di Marcantonio Barricellis, di Vittoria Ralles, di Pietro Pelusio, dei Pagani, di Gio. Paulo Suriano e di Fabio Pipino. ASCZ, Busta 118, anno 1630, ff. 49-51.
[x] Il 30 settembre 1647 Fabritio Montalcini protesta contro Nicolò Casanova, al quale ha venduto parte del grano che è riposto in uno dei magazzini di Spataro, fuori le porte della città. Il Casanova, infatti, è andato via dalla città portandosi la chiave del magazzino, ed il Montalcino non può fare curare il suo grano rimanente che si trova nel magazzino. ASCZ, Busta 119, anno 1647, ff. 99-100.
[xi] Alla fine del Seicento il seminario esigeva un annuo censo sopra le botteghe dei Pignatari, fuori la porta della città, che erano appartenuti al fu Fabio Pipino. AVC, Acta Sanctae Visitationis ab Ill.mo ac R.mo D.no Episcopo D. Marco Rama, A. D. 1699 confecta, f. 130v.
[xii] Il 30 aprile 1657 Cesare Presterà ordina al suo magazziniere Cesare Ferrazzano, di aprire i quattro magazzini che egli ha affittato nel luogo detto “li magazeni delli Capuccini”, dove era conservato il grano che doveva fornire a Tomaso d’Aquino di Napoli. ASCZ, Busta 229, anno 1657, ff. 74v-75r.
[xiii] “In horreis sitis ante monasterium f.rum Capuccinor.” era stipato il grano di Cola Maria de Vite. ASCZ, Busta 229, anno 1651, f. 17v.
[xiv] Nel dicembre 1678 Giuseppe Gerace era addetto alla conservazione del grano per conto del fratello Jo. Pietro Gerace che si trovava a Napoli. Il grano era conservato “in horreis in loco ubi dicitur li Capuccini”. ASCZ, Busta 334, anno 1678, ff. 216-218.
[xv] Nicola Gerace doveva pagare al canonicato di Santa Sofia ducati 6 all’anno, Antonio Grutther carlini 22, Annibale Berlingieri carlini 16 e mezzo, Geronimo Longobucco carlini 16, e Valerio Antonio Montalcini con Tota Suriano carlini 5 e mezzo. AVC, Acta Sanctae Visitationis ab Ill.mo ac R.mo D.no Episcopo D. Marco Rama, A. D. 1699 confecta, f. 140.
[xvi] Acta Sanctae Visitationis ab Ill.mo ac R.mo D.no Episcopo D. Marco Rama, A. D. 1699 confecta, f. 148.
[xvii] Numerosi memoriali ed inchieste ebbero per oggetto il contrabbando di grano che di notte si svolgeva tra i magazzini di Gesù e Maria, di Spataro e dell’Osservanza, e le tartane. ASCZ, Busta 611, anno 1712, ff. 179-180.
[xviii] In località Spataro dove c’era un vignale dei Suriano, vi erano cinque magazzini: tre magazzini di proprietà della cappella dell’Immacolata Concezione della famiglia Suriano, uno dei quali era detto “Il Palazzotto”, e due dei Suriano, uno detto della “Fossa” e l’altro a pontone verso la Carrara. ASCZ, Busta 858, anno 1755, f. 6. AVC, Acta Sanctae Visitationis ab Ill.mo ac R.mo D.no Episcopo D. Marco Rama, A. D. 1699 confecta, ff. 100v-101.
[xix] Nel gennaio 1702 Francesco Pipino, che si era trasferito a Napoli, concede i due magazzini detti i “Pignatari”, ai mastri pignatari Natale e Domenico Siciliano, e a Diego Lucifero. Nel 1732 Sigismonda Pipino, che possiede i due pignatari, ne concede uno ai due soci Gio. Vincenzo de Angelis e Domenico Bertuccia per annui ducati 12. ASCZ, Busta 496, anno 1702, ff. 1-6; Busta 664, anno 1732, f. 162.
[xx] ASCZ, Busta 337, anno 1696, ff. 59-60.
[xxi] Nel gennaio 1732 Mutio Manfredi afferma di possedere numerosi magazzini dietro la chiesa di Sant’Antonio Abate. Egli vende “il magazeno grande” per ducati 200. Tale magazzino è il secondo magazzino della fila iniziando da dietro la chiesa, e confina con un magazzino dei Presterà e con uno dello stesso Manfredi. Esso era pervenuto a Mutio dall’eredità del padre Fabrizio il quale, a sua volta, l’aveva comprato da Gio. Pietro Presterà. ASCZ, Busta 664, anno 1732, f. 9.
[xxii] Nel settembre 1701 Gio. Pietro Presterà dona al figlio emancipato Gregorio alcuni beni tra cui: “horrea sita extra moenia huius civitatis, ubi dicitur Sant’Antonio iuxta horreum q.m Fabritii Manfredi”. ASCZ, Busta 497, anno 1701, ff. 54-55.
[xxiii] Testimonianza dei conservatori di grano Ciriaco Tesoriero e Tomaso Varano. ASCZ, Busta 661, anno 1722, f. 292.
[xxiv] ASN, Prov. Caut. Vol. 349, f. 7 (1718).
[xxv] ASN, Prov. Caut. Vol. 369, f. 13 (1728).
[xxvi] Il 29 aprile 1731 Gio. Carlo Arrighi afferma che circa due anni prima, dovendosi recare a Napoli, gli furono consegnati dai Di Vennera “due memoriali con due regimenti” dell’università di Crotone, per ottenere due regi assensi per la costruzione di due magazzini. Ottenuti i due regi assensi, li consegnò ai Di Vennera i quali gli diedero 32 ducati per le spese sostenute. ASCZ, Busta 614, anno 1731, f. 26v.
[xxvii] AVC, Anselmus de la Pena, Visita, 1720, ff. 39, 40 sgg.
[xxviii] ASCZ, Busta 660, anno 1720, ff. 152-164.
[xxix] Il luogo volgarmente detto “li Forchi” era situato a circa 400 passi dalla città ed era così detto perché vi erano stabilmente piantate le forche per uso dei macellai. Nel 1786 le forche furono trasportate in un luogo più vicino, cioè a circa 50 passi dalla porta della città. AVC, s.c.
[xxx] Domenico Aniello Farina aveva intenzione di costruire quattro magazzini, Francesco Gallucci cinque e Pietro Asturelli tre. Per il suolo di ogni magazzino dovranno essere versati 83 grana e 4 cavalli, per un totale di dieci ducati, da pagarsi ogni mese di agosto al beneficio. ASCZ, Busta 911, anno 1741, ff. 18-21.
[xxxi] Due suoli furono ceduti ad Antonio Micilotto e Francesco Barbieri, e poiché i loro magazzini erano uno di fronte all’altro, considerato che vi era un altro suolo tra i loro magazzini, i due si misero d’accordo per averlo in comune “per restar tra li medesimi un competente largo comodo all’ingresso de’ carri e condotte”. ASCZ, Busta 854, anno 1746, ff. 38-40.
[xxxii] ASN, Cam. Som., Catasto Onciario Cotrone, 1743, vol. 6955.
[xxxiii] I due terreni appartenevano alla mensa vescovile fin dal Cinquecento, quando erano così descritti: “uno hortale fora la porta de Cotrone ditto delo beveri arborato del alcuni pedi de celsi con uno puzo dentro, un altro terreno piccolo nomato de Santo Antonio juxta lo monasterio de J. Maria et le terre delli heredi de Pignero”. ASN. Dip. Som. 315/9, Conto del m.co Giulio Cesare de Leone deputato sopre l’intrate del vescovato de cutrone 1570 et 1571.
[xxxiv] Il 25 agosto 1742 l’economo della mensa vescovile concede a Giuseppe Grasso quattro porzioni di terra nel vignale S. Francesco di Paola, per edificarvi quattro magazzini della stessa lunghezza e larghezza di quelli già costruiti sul luogo dai certosini di Rocca di Neto e dal canonico Girolamo Venturi, per l’annuo censo enfiteutico di carlini 48, cioè 12 per ciascuno. Nel dicembre 1744 il Grasso, che ha già edificato tre magazzini, concede il suolo rimasto ai certosini che vogliono costruirvi un magazzino. ASCZ, Busta 912, anno 1744, f. 78.
[xxxv] Il canonico Felice Messina nel novembre 1749, utilizza 180 ducati ottenuti dalla vendita di una casa appartenente al canonicato di San Cataldo e della SS.ma Annunciazione, per costruire due magazzini accanto alla chiesa. ASCZ, Busta 1268, anno 1760, f. 175.
[xxxvi] Sul finire del 1758 Giovanni Contestabile chiede la concessione di un suolo nel luogo detto San Francesco di Paola della mensa vescovile, per costruire due magazzini accanto a quelli di Gerolamo Cariati. Egli si assoggetterà allo stesso pagamento che già pagano alla mensa vescovile i molti particolari cittadini che già “edificarono coll’annuo censo enfiteutico perpetuo di carlini 12 per ciascun magazeno”. ASCZ, Busta 1126, anno 1758, ff. 211-213.
[xxxvii] Il 21 gennaio 1759 Giovanni Contestabile di Scandale raggiunge un accordo con Michele Messina, il quale si impegna a costruire due magazzini nelle terre concesse al Contestabile dalla curia vescovile, accanto ai magazzini di Girolamo Cariati. Il Messina li costruirà della stessa lunghezza e larghezza di quelli del Cariati, e inizierà la costruzione il 15 febbraio 1759 e la terminerà entro il seguente settembre, a ragione di carlini 26 la canna, con alcuni patti e condizioni. Pochi giorni dopo Michele Messina subappalta la costruzione ai mastri muratori Giuseppe Gerace, Dionisio Messina, Antonio Bertuccia e Nicola Pangari. ASCZ, Busta 1126, anno 1759, ff. 23-30.
[xxxviii] AVC, Platea della Mensa vescovile, 1780/1781, ff. 18-22.
[xxxix] ASCZ, Busta 860, anno 1759, ff. 480-487.
[xl] Carlo Rinaldi indebitato a causa delle annate 1761 e 1762, non avendo altro che un magazzino fuori le mura, lo cede per ducati 184 a Giuseppe Grasso. ASCZ, Busta 1128, anno 1762, ff. 214-215.
[xli] ASCZ, Busta 917, anno 1771, f. 49.
[xlii] ASCZ, Busta 1590, anno 1780, ff. 8-12; Busta 1330, anno 1782, ff. 246-247.
Creato il 16 Marzo 2015. Ultima modifica: 19 Ottobre 2022.