Alcuni avvenimenti storici della Vallata del Neto (parte seconda)
Dagli Angioini agli Aragonesi
Passati gli abitati della vallata sotto dominazione angioina, durante l’avanzare dell’esercito di Corradino, essi si ribellarono e si schierarono dalla parte di Raynaldo de Ypsigro. Dopo la sconfitta sveva e la morte di Corradino (1268), i feudatari e gli abati ribelli vennero espropriati delle terre, che furono concesse a cavalieri provenzali.
La malvagia signoria
Furono così confiscati i beni dei “traditori” tra i quali quelli di Goffredo di Cusentia e di Flore Alterius ( in territorio di Strongoli) (1), di Raynaldo de Ypsigro (casale di Crepacore e tenimento di Foce) (2) e quelli che erano del monastero greco di S. Maria la Nova o dei Tre Fanciulli, che si presentava particolarmente rovinato (casale di Cutronei e territorio di Coczuli o Cazuli) (3). I nuovi signori sono: Henrico de Cunilla o Cimillis (terra di Strongoli) (4), Johanni Ploivier o Pluvier de Trosilles (Gerentia) (5), Petro de Folioso (terra di S. Leone, Turlotio e Lutrivio) (6), Theodorico de Canz (casale di Crepacore e territorio di Foce) (7), Guido e Iordano de Amantea (Casale di Cotronei e territorio di Coczuli) (8), Giordano Sanfelice (Zorleto, S. Leone, Scandale, ecc.) (9), Boamondo de Cariato (Casabona, Verzino, Cerenzia, Caccuri, ecc. ) (10).
Altri feudatari della vallata di quel periodo sono Guglielmo Brunello, Henrico Ruffo, Roberto de Feritate (11), Helia de Gant (12), Iordanus Ruffus (13),Guglielmo de Cortiniaco (14), l’arcivescovo di Santa Severina (15), Giovanni Rocca (16), Fulcone Ruffo (17), il vescovo di Umbriatico (18), Alexandro Stephanuccio (19), il vescovo di Strongoli (20), ecc.
La tassazione del 1276, pur con i suoi limiti, ci offre una panoramica della distribuzione della popolazione. Essa ci mostra come nel periodo normanno- svevo era cresciuta l’importanza degli abitati fortificati lungo la via costiera ionica e quelli situati a controllo delle vie interne verso la Sila e ci testimonia l’emergere di centri commerciali popolosi e fiorenti con una folta presenza di Ebrei. Predominano le due città fortificate presso la costa di Cutronum e Strongulum e seguono per importanza economica e popolazione Caccurium, Gerentia, Tiganum, Bertinum, Casabona, Sancta Severina,Crepacorium, Torlocium, Gipsus cum Sancto Stefano, Cutrunei, Scandali, Sanctus Leo, Lucrum, Briaticum, Strongulum et S.tus Stefanus e Bellumvedere (21).
La vallata, che faceva parte del Giustizierato di Val di Crati e Terra Giordana, viene nel 1280 divisa ed il Neto segna nella nuova ripartizione amministrativa il confine tra il Giustizierato di Calabria, al quale sono aggregate le due città demaniali di Crotone e Santa Severina con i loro casali, e quello di Valle di Crati e Terra Giordana (22).
La Guerra del Vespro
Scoppiata l’insurrezione in Sicilia (1282), gli Angioini, al comando di Bertrando Artois, costituiscono una linea di difesa lungo l’istmo di Catanzaro e la valle del Neto (23) e si ordina a Bernardo Enrico ed a Gualtiero di Melficta di fortificare e di rifornire di generi alimentari e di armi alcuni castelli della regione, tra i quali anche quello regio di Crotone. All’inizio del 1283 il castrum di Crotone non era ancora stato riparato dai feudatari delle terre vicine,che per antica consuetudine erano obbligati a farlo ed era indifeso per la mancanza di “quarellis et balistis”, mentre l’approvvigionamento di frumento, miglio, formaggio, carni salate, aceto, olio ecc. sufficente per un anno e tre mesi, era stato solo in parte eseguito. Su richiesta del castellano Guglielmo Mascone, che fa presente la situazione, il re Carlo ordina di sequestrare ed utilizzare per consolidare la fortificazione, che doveva ancora essere in gran parte di legno, alcune travi provenienti dal naufragio di una nave e sollecita sia i rifornimenti, che il tributo dei feudatari (24). In seguito nell’agosto 1283, Carlo, principe di Salerno, invia Ribaldo de Alemania con cento cavalieri e cento fanti a custodire e difendere il litorale crotonese (25). Le difese delle coste ioniche vengono rafforzate per fronteggiare un prevedibile sbarco aragonese (26). Sei galee e due galeoni sono inviati nel porto di Crotone, mentre si rifornisce la città di orzo, di frumento e di armi per sostenere l’imminente assedio. L’esercito di Pietro d’Aragona nel 1284 invade la Calabria; Strongoli “senza aspettare la violenza delle armi vincitrici, guidate da Fortunio Aldobelli, passò volontario alla devozione di quelli” (27). Dopo la cattura da parte degli Aragonesi del principe Carlo, avvenuta nella battaglia navale al largo di Napoli, re Carlo ordina a sessantaquattro galee di lasciare Napoli e, circumnavigata la Sicilia, di riunirsi con il resto della flotta che è ormeggiata a Brindisi. Il re partito da Napoli e portatosi a Brindisi con un forte esercito e dato ordine alle navi di salpare, percorre la via ionica, seguito al largo dalla flotta. Nel frattempo la flotta che aveva circumnavigata la Sicilia, “affaticata del lungo cammino appresso la piaggia di Cotrone si unisce con l’altra armata che venia da Brindisi, e quivi prende nuove vettovaglie, e tutta la gente si riposano alquanto”. Dopo poco la flotta, iunita e composta da circa duecento grandi vascelli, e l’esercito del re vanno all’assedio di Reggio (28). Il re ricaccia le truppe aragonesi fino a Reggio, mentre alla sue spalle Ruggero di Lauria devasta i centri costieri. Ritiratosi da Reggio e seguendo di nuovo la via ionica, il re si ferma a Crotone (29) dal 17 al 22 agosto, dove segue personalmente i lavori di fortificazione e, prima di lasciare la città, nomina Ponzio de Blancfort, capitano a guerra col compito di difenderla dai nemici “e per mantenere quelli abitanti in istato pacifico” (30).
Nello stesso anno Ruggero di Lauria devasta la città di Crotone (31), che era stata data in castellania al conte di Catanzaro Pietro Ruffo (32), ed i paesi della costa ionica e della valle del Crati. Matteo Fortunato, capitano di due mila Almugaveri (33), distrugge i paesi dell’interno e dopo aver “destructum et desolatum” il monastero di San Giuliano di Rocca Falluca (34) ed incendiato il monastero di S. Giovanni in Fiore (35), devasta i casali di Santa Marina, S. Nicola de Alto e Marathia (36) e scende lungo la vallata del Neto, mettendola a ferro e fuoco.
Dopo il passaggio delle truppe catalane, la vallata si presentava particolarmente devastata, anche per la resistenza che esse incontrarono da parte dei fratelli Ruggero e Lucifero Stefanizia, uno arcivescovo di Santa Severina e l’altro vescovo di Umbriatico (37), e dei vescovi di Strongoli, Rogerio (38), e di Crotone, Nicolò di Durazzo (39). I presuli apertamente si erano schierati dalla parte angioina e contro i nemici della chiesa romana, opponendosi con le armi e dovendo poi esulare mentre i loro beni, “a Cathalanis totaliter consumpta sunt”, furono particolarmente saccheggiati. Per il loro attaccamento alla causa angioina e per i danni subiti, essi furono dal papa Nicolò IV, tramite il Legato nel Regno di Sicilia, il vescovo prenestino Bernardo, ricompensati con altri benefici ecclesiastici (40). Morto il re Carlo I nel 1285 e prigioniero l’erede, Crotone ritornò in potere degli angioini dopo il trattato di Campofranco (1288) e la liberazione di Carlo II d’Angiò.
Ritornata la valle in potere degli Angioini, Strongoli viene data da Carlo II in feudo ad Americo de Possiaco (Ponziaca) (41), Cariati, Casabona, Verzino, Cerenzia e Caccuri sono concessi a Gentile di San Giorgio (42), i casali di Cotronei e Santa Venere al milite Andrea de Pratis (43), il castello di Belvedere a Giovanni Monfort (44), mentre Crotone e Santa Severina con i loro casali rimangono in demanio regio (45). La guerra non cessò in Calabria, ma continuò tra alterne vicende. Più volte gli abitati subirono il saccheggio ora dell’uno ora dell’altro, mentre i tradimenti e le improvvise e frequenti incursioni dal mare (46), con sbarco delle bande dei due contendenti, portavano devastazioni e stragi (47).
Nel 1289 Ruggero di Lauria si impadronì del porto di Crotone, tentando di soccorrere Catanzaro, che aveva alzato le bandiere aragonesi, ma sconfitto presso Cutro, dovette reimbarcarsi (48). Ritornata nuovamente Crotone in mano agli Aragonesi, Giacomo d’Aragona vi mandò a presidiarla Riccardo di Santa Sofia, ma questi nel 1291 passò dalla parte angioina, consegnando la città (49). Riconquistata nuovamente da Ruggero di Lauria nel 1292, Crotone ritornava per opera di Ugo Rosso agli Angioini nell’agosto del 1294 (50).
Il conflitto divenne più violento quando nell’estate del 1296 Federico II d’Aragona passò con un esercito lo Stretto e ricacciò le truppe angioine dalla Calabria. Durante la tregua stipulata tra Pietro Ruffo, conte di Catanzaro, e Ruggero di Lauria, mentre le città si arrendevano agli Aragonesi, re Federico, che stava acquartierato davanti alla città di Crotone, aspettandone la resa, spostò l’esercito contro la città di Santa Severina dove, confidando sulla natura del luogo, l’arcivescovo Lucifero Stefanizia si era asseragliato nella rocca e non voleva né arrendersi, né accettare la tregua (51). Il re assieme a Ruggero di Lauria, vista l’impossibilità di prendere con la forza la città, ritenuta inespugnabile, la costrinse alla sete, ponendo il blocco ed impedendo agli abitanti di approvvigionarsi alla fonte (52). Allora l’arcivescovo, vista l’impossibilità di sostenere a lungo l’assedio, chiese le stesse condizioni di due mesi di tregua, poste dal conte Ruffo. Passato il tempo la città si consegnò a Blasco d’Aragona, vicario del re.
La valle ritornò l’anno successivo agli Angioini e venne ripartita tra numerosi feudatari: Pietro Ruffo, conte di Catanzaro (Cotronei ed altre terre) (53), Matteo Aquini (marchese di Casabona) (54), Goffredo Caiazza (alcune terre a Strongoli) (55), Isabella de Possiaco ( Strongoli) (56), Francesco de Riso (Cerenzia e Caccuri) (57), Giovanni de Monterlernis (58), ecc. Santa Severina e Crotone rimasero città demaniali. Mentre permane ancora in tutta la vallata il rito greco, alla metropolia di Santa Severina risultano soggette le diocesi di Umbriatico, Cerenzia, Isola, Strongoli, Belcastro ed il nuovo vescovato di San Leone “grecus”, piccolo casale alla destra del Neto su di una collina tra Crotone e Santa Severina; mentre la diocesi di Crotone rimane soggetta all’arcivescovo di Reggio.
Peste e tirannia
Cessate le ostilità con la pace di Caltabellotta, conclusa nel 1302, l’anno dopo comincia l’opera di ricostruzione del monastero di San Giovanni in Fiore, a cui sono chiamati dal papa Bonifacio VIII a concorrere il guardiano dei frati minori di Messina con una colletta di 30 once ed i grandi possidenti, che per il loro aiuto potranno usufruire di una indulgenza di 100 giorni (59). Sempre per facilitare la rinascita della vallata, il duca Roberto esenta l’arcivescovo di Santa Severina Lucifero Stefanizia, i feudatari e le università della vallata dalla prestazione delle tasse del legname per le galee (60).
Lo stesso re Carlo II nel 1306 accoglie la supplica del vescovo di Umbriatico e concede facilitazioni a coloro che sono accasati, o che andranno a ripopolare i suoi casali rovinati di Santa Marina, San Nicola dell’Alto e Maratea, favorendo così l’incremento delle rendite vescovili, messe a repentaglio dall’abbandono delle terre coltivate (61).
Accrescono lo spopolamento e la fuga della popolazione, oltre alle gravi devastazioni causate dalla guerra, la tirannia insopportabile della miriade di feudatari e la conflittualità tra questi, i vescovi e gli abati. Milizie delle opposte fazioni si scontrano nelle città e nelle campagne. Umbriatico a causa della guerra e della crudele tirannia del feudatario (62) risulta deserta ed in rovina, tanto che il papa Giovanni XXII incarica l’arcivescovo di Santa Severina di trasferire la sede vescovile in un luogo più adatto (Ypsigrò), mentre i beni della chiesa sono stati occupati con la forza dai vari feudatari dei paesi della diocesi (63). In seguito lo stesso feudatario di Umbriatico, Cantono de Messina, chiede ed ottiene l’esenzione dal pagamento delle tasse regie per la durata di dieci anni a favore di coloro che andranno a popolare la città (64). A Strongoli il feudatario Guglielmo de Eboli si impossessa del territorio di “San Basilio” o “Cursimanda” e di altri beni della mensa vescovile e costringe il vescovo Ruggero alla fuga (65). Altra lite vede di fronte il vescovo di Cerenzia e Francesco de Riso, feudatario di Cerenzia e Caccuri. Il vescovo protetto dalla potente famiglia di appartenenza, i Faraco di Santa Severina, occupa illegalmente e percepisce i frutti e non permette al feudatario di disporre delle sue terre (66). Le liti si ampliano investendo vescovi e feudatari anche delle città vicine: l’arcivescovo di Santa Severina è incaricato di inquisire il vescovo di Cerenzia, in quanto il presule ha commesso molti crimini e tra i vari delitti ha fatto bastonare ferocemente una donna su richiesta della sua concubina (67). Anche alcune terre del monastero di San Giovanni in Fiore sono state occupate o concesse illegalmente ed il papa Clemente VI incarica l’arcivescovo di Cosenza di intervenire, per reintegrare il monastero (68).
Le numerose bolle papali di Clemente VI, Urbano V e Gregorio XI, che sollecitano l’arcivescovo di Cosenza a recuperare i beni dell’abbazia, cadono però quasi sempre nel vuoto. I confini di molti fondi sono spariti ed ormai da molti anni hanno cambiato proprietario, altri sono stati concessi illecitamente da abbati compiacenti e non torneranno più all’abbazia (69).
Nei primi decenni del Trecento si assiste ad un massiccio attacco da parte dei feudatari e degli aristocratici sia alle libertà cittadine, sia agli antichi diritti delle popolazioni sulle terre demaniali e sui corsi. Gli stessi “homines” di Crotone devono sopportare la sempre maggiore invadenza del “Dominus Petrus (Ruffo) de Cutrono”, milite, consiliere e familiare di re Roberto, secreto magistro del sale e argento e delle foreste di tutto il ducato di Calabria, così come è descritto in un documento del 1309 (70).
Mentre a Crotone la popolazione si ribella all’esproprio degli antichi diritti sulle terre e dà vita a sommosse violentemente represse (71), Roberto d’Angiò, per fronteggiare le usurpazioni sempre più frequenti del regio demanio, incarica nel 1332 Giovanni Barile e Paolo di Sorrento di stabilire i confini della regia Sila (72). L’anno dopo un editto dello stesso re, confermando la Sila demanio regio, ne descrive e ne stabilisce concretamente i confini, includendo in essa sia la Sila regia, cioè sottoposta alla giurisdizione del regio baglivo, sia la Sila badiale. Facendo presente i diritti della Regio Corte ed i diritti degli abitanti dei casali cosentini, egli inoltre indica alcune prestazioni fra le quali le decime e stabilisce le pene contro gli usurpatori (73). Ormai quasi tutte le terre sono infeudate; solo alcune per la loro particolare posizione strategica godono del privilegio regio. Un editto della regina Giovanna Ia del 1346 ricorda tra le poche terre demaniali le città di Crotone e di Santa Severina (74); città che hanno goduto quasi ininterrottamente di questo privilegio fin dai regni di Carlo I e di Carlo II d’Angiò.
L’effetto devastante della peste, le guerre per la successione nel regno e la fuga della popolazione, causata dalla violenza e dal giogo baronale, determinano nella seconda metà del Trecento e nei primi anni del Quattrocento il mutamento del paesaggio agrario. Molti casali spopolano, alcuni divengono feudi rustici; tra questi ricordiamo Gipso, Polligrone (75), Turrotio, Malapezza, S. Petro de Camastro, Tigano, San Stefano, Casale Nuovo, Scandale, la masseria regia ed il casale di Cromicto, San Leone (76), ecc. Il decadere dei casali e la riduzione delle superfici coltivate fanno avanzare l’incolto, la selva ed il pascolo brado.
Specialmente durante il breve regno di Carlo III di Durazzo (1382 – 1386), nel biennio 1382/1383 la fame e la pestilenza desolarono gli abitati. Il conflitto, originato dallo scisma papale con l’elezione nel 1378 di Urbano VI seguita dopo poco da quella dell’antipapa Clemente VII, causò un lungo periodo di conflittualità. L’appoggio dato dalla regina Giovanna I al papa avignonese, scatenò le ire di Urbano VI, che le oppose Carlo di Durazzo. La guerra per la successione nel regno di Napoli che vide fronteggiarsi Carlo III di Durazzo, marito di Margherita nipote e presunta erede della regina Giovanna I, e Luigi I d’Angiò, adottato dalla regina poco prima di morire (27 luglio 1382), imperversò per le uccisioni e le distruzioni operate dalle soldatesche mercenarie dei due contendenti. La ribellione si prolungherà nel ducato di Calabria anche dopo la morte dell’angioino (21 settembre 1384), in quanto operarono a lungo i nemici ed i ribelli, sotto la guida del potente feudatario Tomaso Sanseverino (77).
Per alleviare il decadimento economico, i feudatari danno vita a tentativi di ripopolamento, che continueranno anche durante il Quattrocento con l’inserimento di genti provenienti da fuori regione. E’ del 1389 una concessione data da Carlo Ruffo, conte di Montalto e signore di Verzino e Casabona. Il conte, nel tentativo di consolidare la terra di Verzino e di mettere a frutto le sue proprietà, esenta dal pagamento di casalinatico tutti gli abitanti che, abbandonato il casale di Lutrò, fossero andati ad abitare quella terra. La concessione sarà confermata dalla figlia Covella Ruffo nel 1427, segno del permanere dello spopolamento (78).
Angioini e Durazzeschi
Durante la guerra per la successione vinta da Carlo III di Durazzo contro Luigi d’Angiò, Nicolò Ruffo, figlio di Antonello e conte di Catanzaro, partecipò dalla parte dei Durazzo. Per i servizi resi al padre e per averlo dalla sua parte, Ladislao, figlio di Carlo, concesse nel 1390 a Nicolò Ruffo il titolo di Marchese di Crotone e molte terre (Strongoli, Santa Severina ecc.) (79). Nella successiva guerra vinta da Ladislao contro Luigi II d’Angiò, Nicolò Ruffo si schierò con gli Angioini. Ripreso in Calabria lo scontro tra Angioini e Durazzeschi, la rivolta si estese a Crotone, Santa Severina, Strongoli, Policastro, Reggio e a molte altre città. Ladislao cercò di giungere ad un accordo con il ribelle Nicolò Ruffo di Calabria, marchese di Crotone e conte di Catanzaro, ed il 4 aprile 1404 gli confermò tutti i privilegi e le immunità ma inutilmente. Verso la fine di giugno 1404 Ladislao mosse da Napoli verso la Calabria ed in breve, all’inizio di agosto era già di ritorno, privò il marchese di quasi tutti i suoi possedimenti comprendenti più di 15 terre e di 40 castelli tra i quali Santa Severina, Bisignano, Seminara, Grotteria e Castelvetere. Il re con le sue truppe assediò Santa Severina, ottennendone la resa, e Strongoli (80). Crotone fu assediata ma resistette a lungo, grazie anche all’aiuto prestato dal re Luigi II D’Angiò che, accogliendo la richiesta di aiuto del marchese, aveva inviato due grosse navi dalla Provenza, cariche di armati, per presidiare Crotone e Reggio. Dopo un lungo assedio cadeva la città di Crotone e Nicolò Ruffo se ne andava in esilio in Francia. Il Marchesato fu allora dato a Pietro Paolo da Viterbo. Il 6 agosto 1414 moriva Ladislao e saliva al trono la sorella Giovanna II d’Angiò Durazzo.
Una nuova rivolta vedeva come contendenti il francese Giacomo conte di La Marche, tenuto in prigione dalla moglie Giovanna II, e l’amante di questa Sergianni Caracciolo. Pietro Paolo da Viterbo e quasi tutte le terre si schierarono per il di La Marche. Nell’estate 1417 le truppe regie del luogotenente Antonuccio dei Camponeschi di Aquila devastavano le città ribelli e le proprietà di Pietro Paolo da Viterbo, marchese di Crotone e conte di Belcastro. Sempre in quell’anno moriva Luigi II d’Angiò e succedeva, ereditandone i diritti, il figlio Luigi III che con l’appoggio del nuovo papa Martino V (1417-1431), che nel dicembre 1420 lo dichiarerà erede del regno di Napoli, del condottiero Muzio Attendolo Sforza e di parte del baronato tentò la riconquista. Luigi III, designato nel 1419 dal partito filoangioino erede di Giovanna II, e invitato a lasciare la Provenza e venire nell’Italia meridionale per far valere i diritti ereditari, quando tentò di raggiungere il regno, fu ostacolato dalla regina che adottò Alfonso V, re di Sicilia (di Aragona e Sardegna), e lo nominò erede e duca di Calabria (1421) e, chiamatolo, lo oppose all’angioino. Nell’agosto 1420 Luigi sbarcava a Castellammare e metteva il campo ad Aversa; dopo poco all’inizio di settembre sbarcava a Napoli l’esercito aragonese, seguito nel giugno dell’anno dopo dallo stesso re Alfonso che accolto dalla regina prese dimora a Castel Nuovo. Si accendeva così la guerra tra i filoangioini ed i filoaragonesi che vide impegnato in Calabria anche Nicolò Ruffo che, rientrato in possesso dei suoi feudi, cercò di contrastare l’avanzata delle truppe aragonesi che, al comando di Giovanni de Ixar, affluivano dalla Sicilia. Mutio Attendolo Sforza, sostenitore di Luigi III, mandò in Calabria il figlio Francesco, col titolo di vicerè. Allo Sforza si unirono molti feudatari, tra i quali il Ruffo, e numerose città tra le quali Santa Severina. La guerra investì anche le terre del marchese di Crotone e quelle della vallata del Neto, situate alla frontiera, tra la Calabria meridionale, occupata dagli Aragonesi, e quella settentrionale, controllata dagli Angioini. Crotone, Santa Severina, Strongoli, Caccuri e gli altri paesi della vallata parteggiarono per Francesco Sforza, vicerè di Calabria per Luigi III d’Angiò. La guerra tra Alfonso d’Aragona e Luigi III d’Angiò si prolungò tra alterne vicende fino al 1434, anno in cui morì in Calabria il re angioino. Sempre in questi anni Luigi III, nel dicembre 1423, concedeva a Enrichetto de Cerseto l’assenso alla vendita del feudo di Santo Stefano, in territorio di Santa Severina; confermava a Covella Ruffo, duchessa di Sessa, le terre già concessale dai regnanti precedenti, che comprendevano tra l’altro Casabona, Rocca di Neto, Caccuri, la città di Cerenzia con la salina di Meliati, la terra di Verzino, la città di Umbriatico, ecc; ordinava , nel maggio 1424, ad Antonio Hermenterii di intervenire accogliendo la richiesta di Ruggero Sanseverino, conte di Tricarico, che protestava per gli abusi commessi nella città di Strongoli dal marchese di Crotone e conte di Catanzaro Nicolò Ruffo; confermava la demanialità della città di Santa Severina, anche se limitandola, nominandone i capitani: Roberto de Marano di Cosenza (1425), Paolo detto Ammirato di Salerno (1425) e Luigi Galeota di Napoli (1431) (81). Luigi III rinnoverà anche in seguito a Luigi Galeoto le entrate della città di S. Severina; concessione che sarà confermata al Galeotto anche da Renato d’Angiò nel 1438 (82). Sempre in questi anni, il 4 aprile 1431, Ludovico III, figlio della regina Giovanna II, ordinava al capitano di Santa Severina di aiutare l’arcivescovo di Santa Severina, Antonio Sanguagalo, o il suo procuratore, nell’esazione delle decime dagli animali che pascolavano in tutta la diocesi (83).
In questo periodo la maggior parte delle terre e dei casali della vallata appartengono alle due famiglie dei Ruffo.
Sulla riva sinistra, Umbriatico (84), Verzino, Cerenzia (al cui vescovato è unito nel 1437 quello nuovo di Cariati) (85), Caccuri, Rocca di Neto (86) appartengono a Covella Ruffo di Montalto, mentre sulla riva destra Nicolò Ruffo possiede il Marchesato di Crotone ed un’annua provvigione di 4000 ducati sui proventi della Salina di Neto (87). Rimangono fuori da questa grande ripartizione tra i due rami dei Ruffo, la città demaniale di Santa Severina, Strongoli (88), Cotronei e Santa Venera (89) ed alcuni feudi rustici (90).
L’occupazione aragonese
Con la sconfitta di Renato d’Angiò nel 1442 il Regno di Napoli passò definitivamente in mano ad Alfonso D’Aragona. Il Marchesato di Crotone con la morte di Nicolò era passato alla figlia Giovanella e da questa alla sorella Errichetta, che nel 1439 concesse al monastero di S. Maria di Altilia il territorio di Alimati (91). Errichetta sposò Antonio Centelles, che divenne marchese di Crotone e signore di molte altre terre tra le quali anche Santa Severina, che in questi anni cominciò a perdere la condizione demaniale (92). Ribellatosi ad Alfonso d’Aragona, il re nel 1444 scese con l’esercito in Calabria per domare la ribellione.
Nel novembre del 1444 l’esercito del re, seguendo la via della marina ionica, pose il campo ed assediò Cirò (93), poi si accampò presso il fiume Neto (94) quindi assediò Santa Severina (95) e Crotone. Nel dicembre, mentre assedia la città di Crotone, Alfonso concede al nobile Ciriello Malatacca da Casobono l’immunità dal pagamento delle tasse dei focolari per 25 anni a favore del castrum di Cinga ( Zinga), di cui è feudatario, a causa della povertà della terra (96) e a Roberto de Astore di Catanzaro un’annua provvigione vitalizia di ducati 100 sui diritti e le entrate della Salina di Santa Severina (97). Sempre in questo periodo Alfonso conferma i privilegi e le concessioni dell’abbazia di S. Maria di Altilia (98), privilegi che saranno poi confermati dal figlio Ferdinando nel 1471, quelli dell’abbazia di S. Giovanni in Fiore (99) e quelli dell’arcivescovo di Santa Severina, al quale riconosce il possesso del feudo di Santo Stefano ed il corso di Casale Nuovo (100).
Dopo il passaggio dell’esercito di Alfonso, il Crotonese si presentava particolarmente desolato e spopolato. Molti casali erano stati distrutti e le città che avevano subito l’assedio erano state saccheggiate e date alle fiamme. La distruzione era così vasta che il papa incaricò il vescovo di Strongoli ed altri di sopprimere il piccolo vescovato di S. Leone e di ridurre la sua cattedrale a chiesa parrocchiale (101) (Tuttavia l’ordine non ebbe seguito). La stessa città di Crotone era stata bombardata, rovinata nelle sue fortificazioni, saccheggiata e devastata da un violento incendio, che aveva distrutto anche la cattedrale (102). I beni dei Ruffo sono posti in demanio. Dalle terre feudali comincia la fuga degli abitanti verso le nuove città demaniali (103). L’introduzione dell’istituto della commenda nei monasteri ne accelera la decadenza economica. Alla fine del 1451 il papa Nicolò V nomina Antonio Genovisio abate di S. Maria di Altilia ma il re, ribadendo il regio patronato sull’abbazia, gli contrappone Enrico delo Mayo. Quando sembra che la commenda debba andare al Genovisio, Alfonso riconferma la concessione allo Moyo, essendo stato quest’ultimo eletto dall’abbate di San Giovanni in Fiore, al quale solo spetta la nomina (104). Mentre proseguono le liti tra il re ed il papa per la nomina degli abati commendatari, i beni dei monasteri sono usurpati dai nobili, che usano liberamente le proprietà badiali. Molti terreni del monastero di Santa Maria di Corazzo sono occupati dai nobili di S. Severina, Strongoli, Crotone (105), ecc.; alcuni fidatori delle mandrie e delle greggi dei casali di Cosenza, che hanno avuto in fitto il territorio di Iuca, detto anche Fluce o Finca, dall’abbazia di San Giovanni in Fiore, sono predati dei loro animali dagli sgherri sia di Bonaccorso Caposacchi, che da quelli del principe Marino Marzano, principe di Rossano e feudatario della Motta di Neto, in cui si trova il territorio, che non riconoscono i privilegi di cui gode l’abbazia (106). Liti per i pascoli, con scontri armati e morti, vedono di fronte gli abitanti dei casali cosentini e quelli di Cerenzia e Caccuri per la definizione dei confini e dei diritti sui territori silani (107).
Il Centelles fu privato del Marchesato e della Contea di Catanzaro a causa della ribellione (108) e le città di Crotone e di Santa Severina ritornarono in demanio. Nel 1445 Alfonso confermava a Marino Marzano, che aveva sposato la figlia Eleonora d’Aragona, “… terram Casiboni, Rocham Neti, Civitatem Gerencia cum salina miliati qua est in eius tenimento, terram Caccurij cum jure plateaci et cum salinis Sanctigeorgij que sunt in eius tenimento, terram berzini …” (109). Pochi anni dopo questa concessione, Marino Marzano vende alcune di queste terre, Umbriatico e Rocca di Neto, a Luca Sanseverino, conte di Tricarico (110). Sempre in questi anni, Alfonso concede la castellania del castrum di Santa Severina al nobile Petro Boca de faro (111), il quale in seguito viene nominato governatore a vita della città e del suo distretto (112). Il Boca de Faro con altri armati custodisce oltre al castrum di Santa Severina anche la torre del casale di San Mauro (113).
Morto Alfonso, nel 1459 il Centelles, radunate alcune soldatesche, si spostò in Calabria e si impossessò con la forza del Marchesato. Per arginare la ribellione, Ferdinando inviò dapprima truppe, comandate da Carlo di Montfort e da Alfonso d’Avalos, che sconfissero il Centelles nel maggio dello stesso anno (114).
Ma la rivolta non fu domata, accanto al Centelles ed al principe di Taranto erano scesi in campo numerosi baroni calabresi tra i quali anche Marino Marzano, principe di Rossano e feudatario di Rocca di Neto, e Ioannetto Morano, feudatario di Cotronei (115). Nell’agosto del 1459 Ferdinando scese con l’esercito in Calabria ed assediò Le Castella e Crotone, che gli resistettero, mentre ebbe a patti Santa Severina, Cirò, ecc. Alcune terre ribelli, come Rocca di Neto, in tale circostanza subirono il saccheggio e la devastazione (116). La suocera del Centelles, la marchesa di Crotone e signora di Amantea Margherita de Poitiers o de Pictavia, che si trovava assediata nella città di Crotone, trattò la resa (117). In seguito il Centelles, che era stato imprigionato, riuscì a liberarsi ed ottenuto l’indulto e la promessa di ritornare in possesso dei suoi feudi (24 giugno 1462), dopo la sconfitta dei filoangioini, divenne nel 1464 principe di S. Severina ed ebbe una rendita di 1000 ducati annui dai proventi delle saline di Neto. Ma pochi anni dopo, all’inizio del 1466 (118) fu catturato a tradimento e portato nelle carceri di Napoli.
I feudi del Centelles furono confiscati e parte furono incamerati nel demanio ed amministrati per molti anni dalla Regia Corte (119).
Nel 1466 le città di S. Severina e di Crotone con i loro casali erano ritornate in demanio (120) come pure i numerosi feudi, che Marino Marzano possedeva nella vallata (121). I due principali protagonisti della rivolta furono entrambi incarcerati. Nel 1479 la Contea di Cariati con le sue terre (Umbriatico, Verzino, Cerenzia, Caccuri, Rocca di Neto, ecc.), che era stata confiscata a Marino Marzano, fu concessa da Ferdinando a Geronimo Riaro, signore di Imola e visconte di Forlì, che poi la cedette al conte di Sarno Francesco Coppola (122) Pochi anni dopo la Contea assieme a Strongoli (123) fa parte dei feudi di Geronimo Sanseverino, principe di Bisignano, marito di Irene Castriota, che ripopolò alcune terre della vallata con popolazioni, che fuggivano a causa dell’avanzata turca (124). Lo stesso re aveva confermato a Bonaccorso Caposacchi da Firenze delle terre feudali vicino Rocca di Neto (125), aveva staccato Casabona ed altre terre dalla Contea di Cariati, concedendole dapprima a Bordone de Galera. In seguito Ferdinando vendeva nel 1472 Casabona al conte di Montella, Diego Cavaniglia, assieme al feudo Cucumazzo ed a S. Nicola dell’Alto (126). Ioannetto Morano nel 1476 fu reintegrato tanto dei feudi “dello Trivio seu Sancta Vennera in le pertinence de Melissa quanto d’Ypsigrò e di Cotronei” (127). Anche il figlio del fu marchese Antonio Centelles, Antonio, ritornò in possesso di parte dei feudi paterni, eccetto Crotone e Santa Severina, pur mantenendo il titolo di marchese di Crotone (128).
Temendo il pericolo di invasioni dal mare, durante il decennio 1467/1477 si ha notizia di costruzione di torri nei luoghi marittimi. Tra il 1467 ed il 1469 il re Ferdinando concede ad Enrico d’Aragona la licenza di edificare una torre nel casale di Crepacore con ufficiali e altro e sappiamo che tra il 1471 ed il 1477 erano in costruzione alcune torri marittime tra le quali una in territorio di Strongoli (129).
Il pericolo turco
Per sfuggire all’avanzata turca numerose popolazioni, provenienti dalla penisola balcanica, cominciano ad insediarsi nella vallata, ripopolando vecchi abitati. Prendono così vita sul finire del Quattrocento i casali di San Nicola dell’Alto e di Carfizzi.
Dopo la caduta di Otranto in mano dei Turchi, le fortificazioni della costa ionica furono rafforzate; nel 1482 iniziano le riparazioni di quelle di Crotone (130), di Santa Severina, (131) di Cerenzia (132) e di Cariati. Tutte le attenzioni del potere sono ormai rivolte a reperire denaro per utilizzarlo per sostenere le spese per la difesa del regno e per la fortificazione delle città costiere, trascurando quelle dell’entroterra. Gli interventi regi, per favorire la sicurezza dei luoghi marittimi a scapito degli abitati interni e di quelli privi di mura, determineranno nel tempo la vendita delle ultime città demaniali, la loro decadenza e la perdita delle libertà civiche.
Due anni dopo Girolamo Sanseverino, principe di Bisignano, è assieme ad Antonio Centelles, uno dei protagonisti della Congiura dei Baroni (1485 – 1487) (133). Soppressa la ribellione, nel 1487 Ferdinando conferma all’università di Crotone le grazie già concesse ed in particolare che gli uomini possano far pascolare il loro bestiame sui terreni della loro città (134). Nel 1488 Strongoli, dove nel corso di Serpico ci sono ancora “gente d’armi” (135), è amministrata dalla Regia Corte. Nel 1487 Francesco Coppola, coinvolto nella Congiura dei Baroni, fu spogliato della contea di Cariati, che passò poi nel 1494 a Goffredo Borgia, principe di Squillace, in occasione del suo matrimonio con Sancia d’Aragona (136). Francesco Ferrari de Colle de Taberna nel 1495 comprò per 1000 ducati dal re Ferdinando il feudo di San Stefano in territorio di Santa Severina (137). Per fronteggiare l’imminente invasione da parte dell’esercito francese di Carlo VIII i castelli regi della regione sono potenziati; fra questi oltre a quello di Crotone è annoverato anche quello di Strongoli (138). Con la discesa di Carlo VIII (1495), Strongoli ed altre terre vicine passarono ai Francesi, mentre Crotone rimase fedele agli Aragonesi e la nobiltà cittadina si adoperò a soffocare la ribellione ed a recuperare le terre ribelli. Successivamente però il territorio crotonese fu oggetto della scorreria dei ribelli che “havevano pigliato oltre molti huomini, sei mila capi di bestiami” (139) e Carlo VIII, nello stesso anno, investì del titolo di marchese di Crotone Guglielmo Poitiers, discendente dalla famiglia della suocera del marchese di Crotone Antonio Centelles (140).
Nel 1496 il re Federico d’Aragona vendette la città di Santa Severina con i suoi casali, la città di Policastro, Castella, Rocca Bernarda, castello di Hypsigrò e Crepacore e ducati 300 annui sopra i diritti e funzioni ficsali ad Andrea Carafa (141) col titolo di conte di Santa Severina, per ducati 9000 con le solite clausole. Il Carafa tuttavia non riuscirà ad entrare in possesso dei feudi per l’opposizione degli abitanti. Solamente con l’arrivo degli Spagnoli verrà domata la ribellione e la città di Santa Severina dovrà subire il giogo feudale. Una volta entrato in possesso del feudo il Caraffa si adopererà a perseguire crudelmente i ribelli ed a fortificare i suoi feudi (142); soprattutto a ricostruire e potenziare i castelli feudali di Santa Severina e di Le Castella. Il principato di Cariati comprendente Umbriatico, Verzino, Cerenzia, Caccuri e Rocca di Neto, viene confermato nel 1497 ai Borgia di Squillace (143) In questo stesso anno Federico conferma i privilegi della città di Crotone (144) e Giorgio Raglia entra in possesso dei casali albanesi di Belvedere e Malapezza (145) Anche Bernardino Sanseverino, principe di Bisignano fu reintegrato nel 1499 della “Civitatem Strongoli cum casali Sancti Blasij et feudo dicto de Venere” (146). Sul finire del Quattrocento molti casali sono stati abbandonati, altri cominciano ad essere ripopolati da genti provenienti da levante, che fuggono a causa dell’avanzata turca. Resistono i vecchi centri murati di Crotone, Santa Severina, Strongoli, Cerenzia, Umbriatico, Caccuri, dove è segnalata la presenza di popolose giudecche.
Durante la guerra franco–spagnola (1502-1503), la città di Crotone parteggia per gli Spagnoli, mentre gli abitati vicini sono per i Francesi. Il presidio spagnolo è assediato e prossimo a soccombere, per tale motivo vengono inviati via mare quattrocento fanti spagnoli per proteggere la città dai nemici (147).
Note
1. Reg. Ang., VI, 116.
2. Reg. Ang. IV, 115.
3. Reg. Ang. VIII, 16; IX, 271; Russo F., Regesto, I, p. 153.
4. Reg. Ang. VI, 116, 156; VIII, 187; Strongoli fu poi data in feudo a Henrico Girardo, Reg. Ang. XXVII, 339, 433.
5. Reg. Ang. III, 199, 201; Reg. Ang. IV, 104; La città passò poi in feudo a Palmerio de Corsiliers , Reg. Ang. IX, 274, e quindi a Icterio de Mignac o Mignat, Reg. Ang. XXVII, 194, 234, 326, 407.
6. Reg. Ang. XXVII, 194, 234, 326, 407.
7. Reg. Ang. IV, 115.
8. Reg. Ang. VIII, 16; IX, 271. Ritornarono poi nuovamente in possesso dell’abbazia, Reg. Ang. VII, 161; VIII, 16; IX,271.
9. Campanile F., Dell’armi ovvero insegne dei nobili, Napoli 1680, pp. 104-105.
10. Maone P., Caccuri monastica e feudale, Portici 1969, p. 14.
11. Reg. Ang. IX, 274.
12. Reg. Ang. VI, 116.
13. Reg. Ang. IX, 271.
14. Maone P., Notizie storiche su Belvedere Spinello, ASCL n. ½, 1962, pp. 13-14.
15. Reg. Ang. XXVI, 41.
16. Nel 1278 ebbe concessione di terreni nei pressi di Strongoli, De Lorenzis M., Catanzaro III, Catanzaro 1968, p. 559.
17. Nel 1275 Carlo I dava disposizione perchè il feudo Malapezza occupato illegalmente da Guglielmo de Cortiniaco fosse restituito a Fulcone Ruffo, Maone P., Notizie storiche su Belvedere Spinello, ASCL n. ½, 1962, pp. 13-14.
18. Possedeva i casali di Marathia, S. Nicola e Santa Marina, Ughelli F., IX, 527. Il vescovo di Umbriatico era feudatario con il titolo di barone di S. Marina, Maratea e Motta, Rel. Lim. Umbriaticen., 1724; Ancora nel sec. XVII la mensa vescovile di Umbriatico riscuoteva duc. 25 per decima dai fondi Bufalarizzo, Militino e Sirangili posti in territorio del casale di S. Nicola dell’Alto e di Casabona, Russo F., Regesto, VII, pp. 48,49.
19. Reg. Ang. VIII, 283.
20. Da tempi immemorabili il vescovo di Strongoli percepiva le decime sul pascolo di animali nei quattro corsi di Virga Aurea, S. Mauro, Serpito e Zuccaleo, Rel. Lim. Strongulen., 1753.
21. Tassazione del 1276: Cutronum unc. 140 tar. 28 gr. 16 (ai quali è da aggiungere la tassa versata dagli Ebrei- Iudei Cutroni unc. 19 tar.12 gr. 12); Strongulum unc. 114 tar. 11 gr. 8; Caccurium unc. 47 tar. 16 gr.16; Gerentia unc. 41; Tiganum unc. 33 tar. 25 gr. 16; Bertinum unc. 30 gr. 12; Casabona unc. 29 tar. 29 gr. 8; Sancta Severina unc. 27 tar. 1 gr. 4; Crepacorium unc. 24 tar. 9 gr. 12; Torlocium unc. 18 tar. 2 gr. 8; Gipsus cum Sancto Stefano unc. 12 tar. 3; Cutrunei unc. 9 tar. 4 gr. 12; Scandali unc. 8 tar. 18 gr. 12; Sanctus Leo unc. 6; Lucrum unc. 4 tar. 3 gr. 12; Briaticum unc. 3 tar.4 gr. 4; Strongulum et S.tus Stefanus unc. 2 tar. 18 gr. 12; Bellumvedere unc. 2 tar. 8 gr. 8, Minieri Riccio C., Notizie storiche tratte da 62 registri angioini, Napoli 1877, p. 215.
22. Reg. Ang. XXII, 89.
23. Minieri Riccio C., Memorie della guerra di Sicilia. Negli anni 1282, 1283, 1284, in ASPN, Vol. I, 1876, p. 97.
24. Reg. Ang. XXVI, 21-22.
25. Reg. Ang. XXVI, 147.
26. Reg. Ang. XXVI, 160.
27. Fiore G., cit., I, 231.
28. Saba Malaspina, Istoria delle cose di Sicilia (1250-1285), ion Del Re G., Cronisti e scrittori sincroni napoletani, Napoli 1868, Vol. II, 397.
29. Runciman S., I Vespri siciliani, Dedalo 1971, p. 325.
30. Minieri Riccio C., Memorie cit., p. 520.
31. “Bartolomeo di Neocastro, Istoria Siciliana (1250-1293), cap. LXXXII.
32. Fiore G., cit., III, 419; Lenormant F., cit., II, 141.
33. Bartolomeo di Neocastro, Istoria Siciliana (1250 – 1293), cap. LXXXII, pp. 56 –58.
34. Vat. Lat. 7572, f. 51, BAV.
35. Russo F., Regesto, I, 1495.
36. Ughelli F., cit, IX, 527; Russo F., La diocesi, la cattedrale ed i vescovi di Umbriatico, in Calabria Nobilissima, n. 43, 1962; Russo F., Regesto, I, 246.
37. Russo F., Regesto, I, 1270.
38. Russo F., Regesto, I, 1274.
39. Ven. dom. Nicolao episcopo Cutronensi, provisio pro solulitate servanda spoliatus fuit dicta… et omnibus eius bonis ab hostibus, Reg. Ang. (1289 –1290), XXXII, 255.
40. Russo F., La guerra del Vespro in Calabria nei documenti vaticani, in ASPN, 1961, p. 207 e sgg.
41. Vaccaro A., Fidelis Petilia, Palermo 1933, p. 90; Fiore G., cit., III, 186.
42. Maone P., Caccuri monastica e feudale, Portici 1969, p. 14; Siberene , p. 312.
43. Nel 1292 Per i servizi prestati al re Carlo I d’Angiò, il milite Andrea de Pratis veniva investito dei feudi dei casali di Cutronei e di Santa Venere, Reg. Ang. XXXVIII, 54; Cotronei farà parte anche dei feudi di Pietro II Ruffo, Maone P., Notizie storiche su Cotronei, in Historica n. 4 /1971, pp. 218 –219.
44. Giovanni Monfort, essendo stata occupata la Sicilia dal re Pietro d’Aragona ed avendo quindi perduto i feudi che vi aveva, ebbe da Carlo d’Angiò S. Mauro, Ipsigro, hoggi detta lo Zirò, Fiscaldo e Montepavone….. e poscia il castello di Belvedere”, Campanile F., cit., p. 41.
45. “La citta pred.a havea per privilegi de Re Carlo primo e secondo che la citta pred.a non possa esser donata a barone nullo”, Un prezioso documento del secolo XV, in Siberene p. 160.
46. Si ha notizia che galeoni armati a Crotone, ov’era capitano Guglielmo Galcerando, scorazzavano nel 1290 per le coste di Terra d’Otranto e di Val di Crati, vi catturano barche anciorate e lasciano discendere gente che fa rapina e stragi nelle terre vicine, Reg. Ang. XXXII, 158.
47. Re Carlo II d’Angiò conferma e concede privilegi ai cittadini di Crotone che resistono all’assalto delle bande siciliane, Reg. Ang. XXXVIII, 27.
48. Lenormant F., cit., II, 142.
49. Bartolomeo di Neocastro, cit., cap. CXXI.
50. Pontieri E., Un capitano della guerra del Vespro: Pietro (II) Ruffo di Calabria, in ASCL, 1931, p. 510.
51. Nicolai Specialis, Historica Sicula, Lib. III, cap. X, in Muratori t. X, pp. 975-976; L’inventario del monastero florense, in Siberene p. 212.
52. Si fa riferimento molto probabilmente alla fonte che si trovava fuori della porta della piazza dalla parte di ponente poco distante da dove sorgeva il monastero dell’Osservanza e delle cui acque di buona qualità si servivano i cittadini. All’interno della città esistevano solo cisterne, la più importante delle quali si trovava nel mezzo del Piano detto Il Campo, Un apprezzo della città di S. Severina (1687), in Siberene pp. 99 sgg.
53. Fiore G., cit., I, 219.
54. Matteo Aquini fu prima del 1297 marchese di Casabona. Casabona passò poi a Gentile San Giorgi la cui figlia Tomasa la portò in dote ad Amerigo de Sus; Pietro de Sus , figlio di Amerigo, ne ebbe l’investitura da Roberto d’Angiò nel 1309, Fiore G., cit., III, 219.
55. Campanile F., cit., p. 296.
56. Nel 1297 la città di Strongoli era stata dichiarata demanio regio ma ai primi del Trecento ritornò ad Isabella Possiaco che la tenne fino al 1306, Vaccaro A., cit., pp. 90 –91.
57. Maone P., Caccuri cit., p. 14; Matteo de Riso ed Enrico suo fratello furono signori di Cerenzia. Francesco ebbe dal padre le signorie di Cerenzia e Caccuri ed altri feudi nella zona di Crotone. Tali feudi furono ereditati dal figlio Alessandro che morì senza prole per cui i feudi stessi tornarono in demanio, De Lorenzis M. cit., III, 539.
58. All’inizio del Trecento (1304) ricorre al re Giovanni de Monterrlenis che era stato privato di alcuni vigneti e terre site in Cirò, Strongoli e Umbriatico dal conte Ruffo di Catanzaro, in Pontieri E., Un capitano della guerra del Vespro: Pietro Ruffo (II) di Calabria, ASCL, 1931, p. 526.
59. Russo F., La guerra cit., p. 215.
60. Dito O., cit., p. 133.
61. Ughelli F., cit., IX, 527; Gli abitati di S. Marina, Maratea e Motta distrutti a causa della guerra rimarranno feudi rustici, Rel. Lim. Umbriaticen., 1735.
62. Russo F., Regesto, I, 2446.
63. Russo F., La guerra cit., pp. 216-217; Sempre in questo periodo l’arcivescovo di Santa Severina veniva incaricato di indagare e di punire il vescovo di Cerenzia che si era macchiato di molti delitti, Dito O., cit., p. 139.
64. Maone P., Precisazione sulla storia feudale di Umbriatico e Briatico, in Historica n. 1/1968, pp. 30 –31.
65. Russo F., La guerra cit., p. 217; Nel 1321 “Carlo figlio di Roberto ordina al Giustiziere di Val di Crati di accertare i fatti, di punire i colpevoli e di restituire Ruggero alla sua sede”, Russo F., Regesto, I, 259; Successivamente nel 1349 Strongoli fu cncessa a Ruggero Sanseverino, conte di Mileto e rimase ai Sanseverino fino al 1390, anno in cui fu data a Nicola Ruffo, Vaccaro A., Fiderlis Petelia, cit., p. 96.
66. Maone P:, Caccuri monastica cit., pp. 14 –15.
67. Dito O., cit., p. 139.
68. Russo F., La guerra cit., p. 219.
69. Barletta P., Leggi e documenti antichi e nuovi relativi alla Sila di Calabria, Torino 1864, pp. 58-59; Il 5 maggio 1382 Carlo III di Durazzo “dispone pagarsi al monastero di S. Giovanni in Fiore, la somma di 50 bisanti di oro, o il valore di essi in 60 carlini d’argento, ossia la somma di 10 once d’oro. Questa rendita il detto monastero percepiva a titolo di decima sui proventi delle Saline di Neto nel tenimento di Santa Severina”, Barone N., Notizie storiche tratte dai Registri di Cancelleria di Carlo III di Durazzo, in ASPN a. XII, fasc. I, p. 16. Il 20 gennaio 1383 lo stesso re conferma l’annua concessione di tomola 12 di sale al monastero di S. Maria la Nova, Barone N., cit., p. 193.
70. Vat. Lat. 7572, f. 57v, ASV.
71. Brasacchio G., Storia economica della Calabria, Effe Emme 1977, II, pp. 306 –308.
72. Dito O., cit., p. 125.
73. Barletta P., cit., pp. 54 –57; Il limite della Sila dalla parte della vallata del Neto era così descritto “…vadit ad vallonem de Afari in confinio Campane et descendit per ipsum vallonem usque ad flumen de Laurenzana et ascendit per ipsum flumen ad serram de Minera et vadit ad serram Alexandrella et descendit ad locum dictum ortum de Menta et abinde vadit ad sanctum Nicolaum de perdice et vadit per terram Nicolai de Laurenzana et exinde vadit ad portium et descendit usque ad flumen neti et ascendit ad hominem mortuum supra Cutroneos et abinde descendit ad flumen Tacine..”; Successivamente vennero costruiti dei pilastri di confinazione dove c’erano delle pietre con iscrizione R. S. (Regia Sila). Essi furono posti per ordine del presidente Valero (1663) del presidente Mercader (1721) e del preside Buonastella (1775) nelle località: … Principio del vallone del cavaliero, Serra della Minera, a destra della strada dell’Irto del ferro, alla medesima linea destra dell’Irto del ferro, Serra d’Alessandrella a Campo di Mazza, Timpone de’ Bovi,m orto della Menta, Timpone della Menta, Perdice alla fiumara di Joele, chiesa di S. Marco di Clavia, Crocevia Arduino, Colle della Giumenta, Serra di laurenzana, in piedi l’acqua della Stragola, principio del vallone di Lepore, vicino la strada di Abate Marco, Porto o Porzio, Cerza del Quarto, Sasso al Montetto d’Acquafredda, chiesa di santa Maria Trium Puerorum, Li Gruttusi, Vorga Negra, Riva del fiume Neto all’imboccatura d’Ambolino, Colle d’Antonello, sotto la strada della Carrara, uomo morto sopra il fiume Tacina..”, Barletta p. cit., pp. 269 e sgg.
74. Dito O., cit., 114.
75. Il feudo rustico di Polligrone fu ceduto per 75 once il 24 febbraio 1343 da Carlo I Ruffo conte di Montalto a Pietro de Frisia. In seguito passò alla figlia Lucente di Frisia e poi al figlio di costei Antonello d’Eboli e quindi a Tomaso d’Eboli, Pellicano Castagna M., Storia cit., IV, 152.
76. Il 20 marzo 1405 il papa Innocenzo VI liberava dalla corresponsione il vescovo di San Leone Geminiano a causa della sua povertà, Russo F., Regesto, II, 9144.
77. Barone N., Notizie storiche tratte dai Registri di Cancelleria di Carlo III di Durazzo, ASPN, 1887, fasc. II, p. 207.
78. Giuranna G., Storia di Umbriatico: Dal Medioevo alla conquista spagnuola, in Studi meridionali, fasc. I, 1971, pp. 22- 26.
79. Minieri Riccio C., Notizie storiche tratte da 62 registri angioini dell’archivio di stato di Napoli, Napoli 1877, p. 99; Fasanella d’Amore di Ruffano R., Memorie storiche di Bisignano, Documenti, Cosenza 1965, p. 81.
80. Nel 1402 il re concesse i beni della città ad Antonio Romano da Policastro per servizio “prestito in reductione dictae civitatis ad fidem nostram”, Vaccaro A., Fidelis cit., p. 97; Summonte G., Historia della città e del regno di Napoli, Napoli 1748, III, 489.
81. Orefice I., Registro della Cancelleria di Luigi III d’Angiò per il Ducato di Calabria, 1421 – 1434, ASCL 1977- 1978, p. 295, 307.
82. Campanile F., cit., p. 287.
83. Di Vari privilegi per la Sede di Santaseverina, in Siberene p. 230.
84. Rinaldo d’Aquino comprò da re Ladislao il feudo di Umbriatico e Iacopello d’Aquino nel 1447 lo vendette a Covella Ruffo, Campanile F., cit., pp. 226 –227.
85. Covella Ruffo, avendo ottenuto da papa Eugenio IV di trasformare la chiesa di S. Pietro di Cariati, che era stata cappella di iuspatronato dei Ruffo, in cattedrale con tutti i privilegi che ne derivano, e di unirla a quella di Cerenzia, donò al vescovo Giovanni, primo vescovo di Cariati e Cerenzia, 10 once d’oro annue provenienti dai diritti di passaggio, dogana e fondaco di Cariati. Successivamente non potendo più il vescovo esigere le 10 once dai diritti di passaggio, dogana e fondaco di cariati, Marino Marzano nel 1448 concesse al vescovo di riscuotere la stessa cifra dall’affitto del corso di Malapezza che il Marzano possedeva in territorio di Rocca di Neto, Siberene , Documenti di Archivi. Diploma dell’anno 1448, p. 376 e sgg.
86. Verzino, Cerenzia, Rocca di Neto, caccuri ecc. passarono da Carlo Ruffo di Montalto a Polissena, moglie di Francesco Sforza, e alla sua morte a Covella Ruffo che li portò in dote ad Antonio Marzano, in maone P., La Contea di Cariati, ASCL n. ¾, 1963, pp. 318 –319.
87. Pontieri E., La Calabria a metà del secolo XV e le rivolte di Antonio Centelles, napoli 1963, p. 183.
88. Strongoli fu da Ladislao data in feudo a Giacomo Gargano, la concessione fu riconfermata da Giovanna II, in Campanile F., cit., p. 244;” Solo nel 1417 ricompare nel dominio della famiglia Sanseverino”, Vaccaro A., Fidelis cit., p. 97.
89. Nicolò Morano nel 1360 acquistò Cotronei, De Lorenzis M. Catanzaro cit., III,p. 440; Trivio e Santa Venera furono concessi da Ladislao a Teseo Morano che possedeva per concessione dei conti di Catanzaro tre suffeudi rustici: “ li cotronei”, “dela fiumara” e “de domino federico”, in Zangari D., Le colonie Italo- Albanesi di Calabria, Napoli 1940, p. 135.
90. Nel 1445 l’arcivescovo di Santa Severina possedeva il feudo di santo Stefano ed il corso di casale nuovo, in Siberene, p. 230.
91. C.S. – S. E. – Cart. 60, fasc. 1333, ASCZ.
92. Un prezioso documento del secolo XV, in Siberene p. 160.
93. 8.11.1444 Campo presso Cirò, Fonti Arag. I, XXIV.
94. 12.11.1444 Campo presso il fiume Neto, Fonti Arag., I, XXIV.
95. 29.11.1444 Alfonso concede presso S. Severina privilegi alla chiesa di S. Severina, in Di vari privilegi per la Sede di Santaseverina, Siberene, p. 230.
96. Fonti Arag., I, 61. I feudi di Cinga, Xiloppico e Carnevale passeranno alla figlia Elisabetta Malatacca e quindi al figlio di costei Giovanni Pipino, Falanga M., Il manoscritto da Como, Riv. Stor. Cal., n. 1/2, 1993, p. 260.
97. Fonti Arag. I, 39.
98. C. S. – S. E. – Cart. 60 fasc. 1333, ASCZ.
99. L’inventario cit., Siberene p. 232.
100. Di vari privilegi per la Sede di Santaseverina, Siberene p. 230.
101. Russo F., Regesto, II, 11151.
102. Zangari D., cit., pp. 1 sgg.
103. Brasacchio G., cit., II, 22.
104. Mazzoleni J. ( a cura), Il “codice Chigi” un registro della Cancelleria di Alfonso I d’Aragona re di Napoli per gli anni 1451 – 1453, Napoli 1965, pp. 175 sgg.
105. Mazzoleni J. ( acura) Il “Codice Chigi” cit., p. 23.
106. Il principe di Rossano sequestra un gregge ad Iacopo Russo di Casole, Fonti Arag., II, 81 –82; L.rae Reg.s Alphonsi directae Viceregi Provinciae Cal. ae de provisione summarie facienda super spolio territorii de Finca facto per Bonaccursiu Camposaccu, anno 1457, In Siberene, L’inventario cit., pp. 242, 249.
107. Barletta P. cit., pp. 81 –82; Capialbi H., Instructionum cit., p. 268.
108. Giampietro D., Un registro aragonese della Biblioteca Nazionale di Parigi, ASPN ,Napoli 1884, pp. 267 sgg.
109. Zangari D., cit., p. 138.
110. Vaccaro A., cit., p. 97.
111. Fonti Arag. I, 61 –62.
112. Fonti Arag. I, 73.
113. Fonti Arag. I, 72 –73. Nelle richieste che l’università di S. Severina fa a Ferdinando nel 1460 c’è anche quella della distruzione della torre di S. Mauro ritenuta inutile e solo fonte di spese, in Un prezioso documento cit., Siberene p. 167.
114. Pontieri E., La Calabria cit..
115. Maone P., La Contea cit., pp. 318 –319; Capialbi H., cit., p. 266; Zangari D., Le colonie cit., p. 138.
116. Il 10 ottobre 1459 Ferdinando era accampato a Belcastro dove rinnovò i privilegi della chiesa di Isola, Processo grosso cit., f. 416. Nel 1464 Ferdinando d’Aragona concesse l’esenzione dai pagamenti fiscali per 10 anni all’università di Rocca di Neto in considerazione del saccheggio e dell’incendio sofferti, Gallo Cristiani A., Storia della Vergine SS. di Setteporte protettrice di Rocca di Neto, Cosenza 1937; Giampietro D., Un registro aragonese nella Biblioteca Nazionale di Parigi, ASPN, 1884, fs. 2, p. 284.
117. Giampietro D., cit., pp. 284 –285.
118. Secondo una fonte Antonio Centelles fu costretto a sposare Costanza Morano dal fratello Ioannetto, avendogli il principe ucciso il padre in una rissa di caccia, Capialbi H., Instructionum Regis Ferdinandi Primi Liber, ASC, 1916; Ioannetto Morano, figlio di Teseo, ereditò il castello di Cotronei nel 1456. Egli possedeva anche Carfizi, De Lorenzis M. cit. III, 440.
119. Pontieri E., cit.
120. Un prezioso cit., Siberene p. 172.
121. Zangari D., Le colonie cit., p. 138.
122. Maone P., La Contea cit., p. 318 sgg.
123. Processo grosso di fogli 572 della lite che Mons. Ill. mo Caracciolo ha fatto con il Duca di Nocera per il detto vescovato nell’anno 1564, f. 474, AVC.
124. Dito O., cit., p. 243.
125. Fonti Arag., III, 136; Zangari D., Le colonie cit., pp. 138 sgg.
126. Il feudo di Casabona passerà poi a Giovanfrancesco Sanseverino, conte di Caizzo, e quindi nel 1501 a Ferrante d’Aragona, Zangari D., cit., p. 140; Maone P., Casabona feudale, Historica n. ¾, 1964, p. 144; Pellicano Castagna M., Storia dei feudi cit., II, 1.
127. Zangari D., Le colonie cit., p. 137.
128. Dito O., cit., p. 251; Lenormant F., cit., II, 145.
129. Falanga M., Il manoscritto da Como, Riv. Stor. Cal., n. !/2, 1993, pp. 251, 253.
130. Fonti Arag. IX, 3-29; Lenormant F., cit., II, 145.
131. Russo F., Regesto, II,12687.
132. Trinchera F., Codice aragonese o sia Lettere regie, Napoli (1866 – 1868), Vol. III, pp. 222- 223.
133. Dito O., cit., p. 251.
134. Mazzoleni J., Regesto della Cancelleria aragonese di Napoli, Napoli 1951, p. 61.
135. Processo grosso cit., f. 474.
136. Pellicano Castagna M., Storia dei feudi cit., pp. 89-91.
137. Fiore G., cit., III, p. 327; Siberene p. 238.
138. 30 gennaio 1495. Il conte di Alife comunica al tesoriere di Calabria che dal primo febbraio si debbono licenziare i compagni il cui numero superi il previsto nei castelli di Strongoli…, Mazzoleni J., Gli apprestamenti difensivi dei castelli di Calabria Ultra alla fine del Regno Aragonese (1493 –1495), In ASPN a. XXX (1944 –46), p. 142.
139. Nola Molise G. B. cit., 196.
140. Lenormant F., cit., II, 146.
141. Processo grosso cit.
142. Costituzioni della città e stato di Santaseverina, in Siberene p. 292.
143. Galasso G., Economia e società nella Calabria del Cinquecento, Napoli 1967, p. 20.
144. Nola Molise G. B., cit., p 196.
145. Zangari D., cit., p. 140.
146. Fasanella d’Amore di Ruffano R., cit., p. 83.
147. Pieri P., La guerra Franco- Spagnuola nel Mezzogiorno (1502- 1503), ASPN, 1952, p. 29.
Creato il 15 Marzo 2015. Ultima modifica: 21 Aprile 2015.