Baluardi, mura, torri e torrette della città di Crotone: Il baluardo Marchese e la torre Pignalosa

Crotone, il baluardo Marchese e la cortina di Terczana (1867).

I lavori di costruzione delle nuove fortificazioni di Crotone, iniziati nella primavera del 1541 e proseguiti per molti anni, determinarono l’abbattimento della maggior parte delle vecchie mura cittadine, dei rivellini e delle torri, che vi erano inseriti.[i] Essi furono sostituiti da spontoni e cortine. Furono demolite “le mura vecchie delo fosso”,[ii] che isolavano la città dalla campagna, furono abbattute la torre rotonda della “Capperrina”[iii] e quella del “Vento”,[iv] e diroccato un rivellino dalla parte della marina e quello “de S.ta Clara”.[v] Il vecchio circuito murario fu in parte allargato e modificato. Alcune strutture che facevano parte delle vecchie fortificazioni furono congiunte, inglobate o riadattate alla nuova costruzione. Tra esse la torre detta Pignalosa.

Il bastione “S. Francesco” (B) già bastione Marchese. Particolare della carta denominata “Piano dimostrativo della cinta e del Castello di Cotrone con le indicazioni delle proprietà militari” (1872). ISCAG-FO 73/4698 B.

Primi documenti

Troviamo citata la torre della Pignalosa fin dalla prima fase dei lavori di costruzione delle nuove fortificazioni di Crotone. Dopo aver proceduto alla costruzione dello spontone Petro Nigro e della cortina della Piscaria, che lo univa allo spontone Villa Franca, si procedeva gettando le fondamenta della cortina de terzana, detta anche “della marina” e Villa Franca.[vi] Si univa così lo spontone Villa Franca con il progettato spontone detto Marchese. La torre della Pignalosa, che faceva parte della precedente cinta muraria della città, verrà inglobata nello spontone Marchese, come risulta chiaramente dalla documentazione, che succintamente si riporta.

Nelle “cedule” dela Regia frabbica dello scrivano de razione Pietro Saporta, troviamo che dall’estate 1542, i mastri frabbicatori, i manipoli e i devastatori, sotto la guida del suprastante Simoni Ferris, erano intenti “al cavamento dela cortina de terzana deritto la pignalosa”. Nella “cedula 57 dali 27 de junio per tutti lo II de julio”, vi è la nota “como li mastri pochissimi jorni hanno frabbicato per caristia de homini hanno cavato lo fosso dela cortina deritto la pignalosa et se hanno pagato per mastri”.

Successivamente, il giorno 7 luglio, si paga Dionisi Furlano de Cotroni, per la fornitura di 20 pezzi di cantoni i quali hanno servito “per lo zoccolo dela cortina de fronti la pignalosa”. Seguono i pagamenti ai mastri frabbicatori, manipoli e devastatori, che “hanno fatigato deritto la pignalosa”, “alla cortina dela marina deritto la pignalosa”, “alla cortina deritto la pignalosa ditta terzana”, “allo spontone ditto villa franca et al cavamento dela cortina del ditto spontoni deritto la pignalosa”, ecc.

Nel novembre 1542 si pagano i mastri de axia “per adpuntallar lo terreno che non caschi allo cavamento de ditto spontoni ditto villa franca dela parte delo fosso vecchio dove se cava ad far li troneri deritto la pignalosa”. Nell’autunno 1546 si procedeva alla fondazione dello spontone Marchese, ed alla costruzione delle lamie, dei contrafforti e del cavaliere, che doveva essere costruito in mezzo.

Mastro Cola Catania e compagni, erano intenti a lavorare “allo muro delo sponton ditto marchese quali muro se va ad juntarse con la turri ditta pignalosa”, “ad annettar lo zocculo dela cortina delo sponton ditto marchese … al principio de cavamento se fa in lo spontoni ditto marchese … in lo quale cavamento nce havera de venir la ala delo ditto spontoni et lo muro che va ad iuntarse con la pignalosa dove nce haveranno de venir le lamie grande supra ditto muro”, “in lo adpedamentar dela 2a bancata delo cavaler delo spontone ditto marchese che va ad iuntarse con la pignalosa”, “allo muro seu cavaler che va ad iuntarse con la pignalosa”, “al cavamento dela ala delo spontoni ditto marchese et terrapieno delo cavalier de ditto spontone”, “al cavamento nce havera de venir la ala delo ditto spontoni et lo muro che va ad iuntarse con la turri ditta pignalosa dove nce haveranno de venir la lamia grande sopra ditto muro”.

In seguito, si proseguiva con il “cavamento deli contraforti dela ala delo ditto spontone ditto marchese”, e si “haveno spetrato la petra deroccata dale mura vecchie delo fosso dela citta et quella portano la carra dela jornata alla fabrica delo sponton detto marchese”, “allo spontoni ditto marchese cioè allo muro che va ad iuntarse con la pignalosa”, “al cavamento dela ala delo sponton detto marchese et cavalere de quello. Al terrapieno dele lamie et contrafforti delo sponton marchese”. Nel 1550 i lavori procedevano ancora. Nel gennaio 1550 “haveno sguttato lacqua che stava dentro le lamie del torrione detto marchese cascate per la pioggia”.[vii]

Così descriverà lo stato del baluardo Marchese l’ingegnere militare Ambrosio Attendolo nel maggio 1573: “Lo detto torrione seu belguardo terzo, sta in buono termine de fabrica pero ce manca lo cavaliero dessignato e comenciato nel mezo lo quale è importantissimo perche con esso alzandolo di piano di palmi venti sopra lo fatto coprerria la cortina che segue la quale è discoperta tutta da li monti sopradetti”.[viii]

Crotone, il baluardo Marchese.

La regia “monizione” della città

Tra i privilegi chiesti dall’università di Crotone e concessi dall’imperatore Carlo V il 22 marzo 1536, vi era anche la concessione di “pezze deche de arteglieria de metallo”, in modo che i cittadini potessero difendersi ed offendere i nemici, essendo la città esposta alla minaccia turca. Pertanto, all’inizio del Seicento, troviamo un nobile capitano cittadino che ha il governo di tutti i “tormentorum” della città e degli artiglieri addetti a sparare con i pezzi dell’artiglieria cittadina, situati sopra i baluardi e vicino alla porta. Essi erano “salariati per la Maestà sua per questo et per altri bisogni universali necessarii conforme s’usa et è solito farsi per essa città”.[ix] Se il capitano dell’artiglieria cittadina e gli artiglieri erano salariati regi, come pure regio era il rifornimento della regia monitione di guerra della città, l’università cittadina dall’altra, doveva fornire l’alloggio al capitano e sostenere le spese per la manutenzione dell’artiglieria.

Al servizio dell’artiglieria cittadina vi era infatti una regia monizione di guerra, dove erano conservate la polvere da sparo e le munizioni. Essa era situata nella torre Pignalosa, “vicino la Porta et le muraglie”, in quanto, in caso di improvviso pericolo, si poteva “subito aprire et pigliarsi la polvere necessaria”. Sempre in riferimento a questo uso, si utilizzò la lamia del baluardo Marchese, per fare il salnitro e la polvere da sparo. Questa attività, gestita da un mastro polveraro, è documentata durante la seconda metà del Seicento,[x]1 e nei primi decenni del Settecento.[xi]

Alla monizione di guerra della città, situata davanti la chiesa di San Francesco d’Assisi, di solito avevano accesso il capitano dell’artiglieria cittadina ed il mastrogiurato.[xii] Il mastrogiurato deteneva la chiave della monizione e quelle delle porte della città.[xiii] Tuttavia in casi particolari, soprattutto in tempo di guerra e di pericolo esterno, con l’arrivo in città di un capitano a guerra l’amministrazione della custodia della città passava a quest’ultimo,[xiv] il quale, quando se ne andava, riconsegnava le chiavi.[xv]

Numerose sono le proteste e le denunce per l’ammanco di materiale bellico, in quanto spesso veniva sottratto ed utilizzato per usi personali e pubblici, quali la caccia e le feste.[xvi] Altre volte l’amministrazione della regia monizione fu causa di conflitto tra le autorità locali, che ne rivendicavano la gestione, ed i comandanti delle guarnigioni, che venivano di presidio alla città.[xvii] Essa conteneva principalmente piombo, polvere, palle di ferro e di pietra, e miccia.[xviii]

Durante il viceregno austriaco le chiavi della monizione di guerra della città furono tre. Una fu detenuta dal sindaco dei nobili, una dal mastro giurato e la terza dal capitano di artiglieria.[xix] A quest’ultimo l’università versava ducati 60 annui, con i quali doveva pagarsi l’affitto di una casa e sostenere le spese di manutenzione ordinaria dell’artiglieria cittadina.[xx] Durante il Regno di Napoli, dalla munizione di guerra della città si estraggono polvere e palle di cannone, per dotare le due regie torri di guardia esistenti nel territorio cittadino: la torre di Nao detta il Mariello, e la torre di Scifo. Si fornisce polvere da sparo anche ai cinque cavallari che devono vigilare la marina.[xxi]

Crotone, il luogo in cui si sorgeva la torre Pignalosa.

Dalle mura e dal baluardo al casamento

Già all’inizio del Seicento sono segnalate alcune baracche ad uso di bottega, davanti al monastero dei conventuali di San Francesco d’Assisi presso le mura. Nel luglio 1612 Jacobo La Nocita ed il figlio Nicola vendevano per 15 ducati a Sanai Riczo una “apoteca seu bucceria”, costruita con tavole e coperta da tegole. La bucceria era situata in parrocchia di San Pietro “ante monasterium Sancti Francisci de Assisa … prope muros prae.ttae civitatis”, e confinava con la bucceria di Angelo de Squillace e Paulo Schipani.[xxii]

Tuttavia, bisognerà attendere la seconda metà del Settecento, quando porzioni, che facevano parte delle fortificazioni della città, cominciarono ad essere dismesse, per trovare abitazioni e botteghe sui suoli accanto alle mura ed ai baluardi. Furono edificate allora numerose baracche e botteghe sui suoli universali, che si appoggiavano alle regie mura. Per il carattere pubblico dei luoghi dove avveniva la costruzione, i costruttori dovettero munirsi della concessione dell’università, proprietaria dei suoli, e di alcuni edifici presso le mura, e del decreto d’expedit e del regio assenso, in quanto si appoggiavano alle mura o ai baluardi reali. Essi dovettero perciò pagare due censi annui; uno all’università cittadina ed uno al fisco regio.

Tale fenomeno è segnalato da un atto notarile già nel dicembre 1760, quando il mastro Rafaele di Perri era intento con proprio denaro a fabbricare su un suolo appartenente all’università ed appoggiando la costruzione alla real muraglia. Egli costruiva “una bottega di fabrica per uso di cafetteria nella strada mag(io)re di S. Francesco d’Assisi”.[xxiii] Il Di Perri, dopo aver completata la piccola bottega, ne costruirà accanto un’altra, sempre sul suolo universale ad attaccata alla regia muraglia della città. Le botteghe erano situate a man sinistra entrando dalla porta principale della città. Esse erano appoggiate alle regie mura e confineranno da una parte, con un vecchio edificio, utilizzato in passato per l’archivio dell’università,[xxiv] e dall’altra, con le tre botteghe addossate alle reali mura, che saranno edificate a fila dall’aristocratico Raffaele Suriano,[xxv] “dirimpetto la scala di fabrica della casa della corte”, dove abitano i governatori regi pro tempore, ed al portone del palazzo vescovile.[xxvi]

Dieci anni dopo, nel 1770, presso i notai di Crotone una decina tra mastri, notabili e nobili della città stipulò atti per l’occupazione del suolo accosto alle reali mura, obbligandosi a pagare al Real Fondo un annuo censo. Tra questi troviamo che, per costruire la loro bottega, il 12 ottobre 1770, per atto del notaio Gerardo Demeo, i mastri Antonio Brunello e Dionisio Lo Jaco si impegnarono a pagare un ducato e 50 grana, mentre per atto del notaio Vitaliano Pittò del 31 ottobre 1770, Vincenzo Cavarretta e Tommaso Marino si obbligarono allo stesso censo.

Alcuni atti notarili rogati in Crotone dal notaio Gerardo Demeo, ci mostrano come in pochi anni, parte del baluardo Marchese, detto anche “San Francesco”, venne privatizzato. Il 3 luglio 1772 i maestri sartori Antonello Brunello e Dionisio Lo Jacono da una parte, e dall’altra, il mastro crotonese Tommaso Marino, facevano presente che avevano avuto il permesso di costruire le loro rispettive botteghe “sopra la real muraglia dirimpetto al venerabile convento di S. Francesco d’Assisi … e propriam(en)te dietro la torretta di uso monizione”.

Poichè le loro botteghe erano vicine l’una con l’altra, i mastri avevano raggiunto l’accordo di poter ognuno di loro “alzare le mura delle loro respettive botteghe sino dove li piacerà e farci finestre e porte dirimpetto e corrispondenti l’una dall’altra bottega, senza che vi sia tra loro menoma discrepanza”.[xxvii] Il 27 marzo dell’anno dopo i mastri sartori dichiaravano che avevano edificato la loro bottega sopra le reali mura, dirimpetto al convento di S. Francesco d’Assisi, e che questa era attaccata ad un edificio antico, “volgarmente detto Torrazzo, o sia magazino antico”. Essi avevano chiesto di poterlo avere, offrendo di pagare una prestazione perpetua di ducati cinque annui all’università. I mastri avevano avuto il permesso, con la condizione di ottenere a loro spese anche il decreto d’expedit ed il regio assenso. Avuto l’assenso, veniva steso l’accordo definitivo tra gli amministratori della città, rappresentata dai sindaci e dagli eletti, ed i mastri.

Poiché il torrazzo apparteneva all’università e “non rende verun utile alla predetta università, anzi alla giornata va a demolirsi”, i mastri lo richiedevano in quanto attaccava alla loro nuova bottega e volevano “farne dell’uno e dell’altra un abitazione di casamento per loro commodo ed uso”, impegnandosi a fare il primo pagamento di ducati cinque il 27 marzo 1774 e così proseguire.[xxviii] Nel 1775 il genovese Carlo Luceti, in qualità di soprintendente generale della Separazione de’ Lucri Reali, fu incaricato a condurre un’inchiesta per verificare quanto doveva esigere il Real Fondo per l’occupazione delle mura e dei suoli di proprietà regia. Vennero pertanto riscontrate numerose frodi, e furono perciò innalzati gli estagli per le concessioni; quello dei mastri Antonio Brunello e Dionisio Lo Jacono da un ducato e 50 grana, passò ad un ducato e 75 grana, e quello di Vincenzo Cavarretta, essendo morto il Marino, passò da un ducato e cinquanta grana a due ducati.[xxix]

L’anno dopo, il 20 giugno 1776, la costruzione dei mastri sartori sarà nuovamente ispezionata dai mastri muratori Francesco Saverio Mazzei, Carlo Juzzolino e Giuseppe Gerace, su richiesta di Carlo Luceti, incaricato alla riscossione dei Lucri Reali. I mastri muratori apprezzarono e valutarono il sito della bottega, che sorgeva di rimpetto al convento di San Francesco d’Assisi, ed era “attaccata alla fabrica diruta chiamata la Torretta, o sia antica monizione”.

Essi dichiararono che la bottega e torretta era lunga palmi 40, alta palmi 24, e larga palmi 17, stimando che dovevano essere pagati annui ducati quattro a beneficio del Real Fondo, cioè carlini 17 per il sito della “fabrica” della bottega, e carlini 23 per il sito e “fabrica” della torretta.[xxx] Sempre su richiesta di Carlo Luceti verranno verificate dai pubblici mastri muratori anche le due botteghe vicine, edificate di recente dirimpetto al monastero dei conventuali, da Giuseppe Micilotto e da Annibale Montalcini. I mastri stimarono che i due proprietari dovevano pagare al Real Fondo solo 15 carlini annui ciascuno, in quanto il luogo, dove erano situate le due botteghe, era “stramano, non eminente come gli altri, ed altresì solitario”.[xxxi]

Crotone, l’ingresso della batteria del baluardo Marchese.

Il giardino di Zurlo e le nuove costruzioni

Sul finire del Settecento proseguiva l’occupazione del baluardo Marchese e dei suoli, accanto alle regie mura, tra il baluardo e la porta principale della città. Il 15 dicembre 1775 i pubblici massari dei campi Florio Schiavo e Domenico Mazzeo, su richiesta dell’incaricato del Real Fondo Carlo Luceti e del nobile Nicola Zurlo, si recavano sopra la reale muraglia dirimpetto al convento di S. Francesco d’Assisi, per valutare “un certo terreno inutile di circa un ottavo”.

Lo Zurlo intendeva averlo in concessione “per uso di giardino” e piantarvi “fiori, alboretti, ed altro consimile”. Gli esperti ritennero che il luogo non avesse molto valore. Esso, infatti, era composto da terreno sterile ed era inadatto alla costruzione, essendo “scomodo e solitario”. Anche se veniva utilizzato come giardino, poteva dare poco frutto, in quanto non vi era acqua. Stimarono perciò che lo Zurlo, per averlo in concessione, dovesse pagare in perpetuo solo dodici carlini annui.[xxxii]

Alcuni anni dopo, nel novembre 1787, l’aristocratico Bernardino Suriano raggiungeva un accordo con Salvatore Orsini, collettore incombenzato dalla Real Sovrintendenza Generale del Fondo della Separazione de’ Lucri. Con tale accordo il Suriano otteneva in concessione enfiteutica sia un luogo, largo palmi 11 e lungo palmi 38, presso la porta principale della città, a man sinistra entrando, sia un vasto spazio lungo palmi 132 e largo palmi 33 sul baluardo Marchese. Il nobile si impegnava a costruire a sue spese sul suolo, situato appena all’interno della porta della città ed accanto alle mura, un edificio per ospitare il corpo di guardia militare,[xxxiii] con la possibilità di innalzare l’edificio con la costruzione di alcune stanze fino all’altezza di quindici palmi. Se nel primo luogo il Suriano veniva incontro ad una esigenza dei militari addetti al corpo di guardia, sull’altro luogo, riguardante il baluardo Marchese, il nobile era libero di costruire quegli edifici e quelle costruzioni, “che a lui piacerà”. Il tutto dietro il pagamento annuo al Real Fondo di ducati undici, grana dieci e cavalli otto.[xxxiv]

Le strutture del baluardo Marchese e della cortina che l’univa alla porta della città, inglobate da costruzioni moderne.

Il baluardo San Francesco

Con il passare del tempo il baluardo Marchese muterà il suo nome. Già nella prima metà del Settecento lo troviamo indicato come “Baluardo Marchese detto San Francesco”, per la vicinanza al convento di S. Francesco di Assisi. In seguito, dopo la concessione allo Zurlo, durante il Decennio Francese, esso è designato come “Bastion de S. Francois maintenant jardin de Zurlo” e, successivamente, come “Bastione S. Francesco”.

Note

[i] Nel maggio 1542 si pagano i “carra et carretti che hanno fatigato in portare petra delo fosso et rebellino et dela petra che se sfrabicao delo mura dela tera et de la petra la quali si e comperata da particolari et arena allo spontone supraditto petro nigro”. ASN, Dip. Som., Fs. 196/5, f. 50.

[ii] Nell’ottobre 1546 i “perratore deroccano le mura vecchie delo fosso incomensando dalo muro delo labro delo fosso che se va dalo spontone ditto marchese et veni suso verso la porta et lo muro dela creta avanti S.to francesco lo novo”. ASN, Dip. Som., Fs. 197.

[iii] Nei primi giorni di gennaio 1543 i perratore sono alla “Capperrina”, dove “hanno fatigato per rumpere petra dela petra dele mura vecchie et turri che se sderropao per mali tempi”, demolendo “la turrri dela Capperrina et altri muragli vecchie de intorno la città”. ASN, Dip. Som., Fs. 196/5, ff. 278 sgg.

[iv] Nell’estate 1542 i perratore “con forza di spinnoli piconi et mazze di ferro”, sono intenti “ad sderropare li mura vecchi dela cortina de petro nigro la turri delo vento et santa sufia”. ASN, Dip. Som., 196/4, ff. 92, 109; Dip. Som., 196/5, f. 100.

[v] Nell’ottobre 1546 i “perratore deroccano le mura vecchie delo fosso delo rebellino de S.ta Clara et altre parti”. ASN, Dip. Som., Fs. 197.

[vi] Nella primavera e nell’estate del 1542 si lavora “alla palacciata de terzana intitulata villa franca”. ASN, Dip. Som. 196/5, f. 66.

[vii] ASN, Dip. Som., Fs. 196 e 197, ff. 78, 79, 80, 91, sgg.

[viii] AGS, E. 1065 -62, Relatione de la fortezza de la citta di Cotrone de Ambrosio Attendolo.

[ix] Il primo giugno 1613 il nobile Peleo Pipino, capitano dell’artiglieria della città, dichiara che essendo arrivato al porto il marchese di Santa Croce, generale delle galere di Napoli, con sette galere, dalla città furono sparate molte salve di artiglieria. Nell’occasione una mezza colubrina si crepò. Essa era situata sopra le mura vecchie, poste sopra il nuovo spontone detto de Miranda, ed aveva scolpite le armi della città, e vi era anche il dipinto il famoso Milone con un toro in mano. Risultava fabbricata nel 1535, durante il sindacato di Anselmo Berlingerio e Dionisio Gulli. ASCZ, Busta 108, anno 1613, f. 92.

[x] Il 13 giugno 1667, con atto del notaio Gio. Tomaso Salviati di Crotone, Jo. Baptista Cavarretta vendeva ad Antonio Ruggiero di Santa Severina, un concio per fare il salnitro e la polvere. Tale concio, che il Cavarretta aveva acquistato da Pietro Pisanelli, era situato dentro la lamia vicino al convento di S. Francesco d’Assisi. Il concio consisteva in “uno caccavo di rame posto sopra la fornace nel modo che si trova, tre cascie di tutta tavola, quattro tine, tre grandi et una piccola, doi mortari per farce detta polvere con suoi pistoni e pertiche, una maylla per sogranarce la polvere, doi cati, due pale, uno zappone, una quantità di terreno per far salinitro et doi crivi vecchi per servitio di detta polvere”. ASCZ, Busta 313, anno 1667, ff. 91v-92.

[xi] Il 25 ottobre 1712 il “mastro polveraro” di Crotone Pietro Giovanni Cimino, dichiarava che aveva commissionato al “mastro caldararo” Serafino di Lorenzo, abitante in Montespinello, la fattura di un caccavo di rame di libbre cento, da utilizzare per il suo mestiere di polveraro. Per l’inadempienza del “mastro caldararo”, che non gli aveva fornito il caccavo nei tempi prefissati, il Cimino “non puol complire col partitario et portarci il salinitro obligatosi portarci”. ASCZ, Busta 611, anno 1712, ff. 165-166.

[xii] Il mastrogiurato vigilava sull’ordine pubblico esercitando la polizia notturna; durante la fiera prendeva in consegna dal castellano lo stendardo reale e con guardie, lo custodiva giorno e notte, amministrando la giustizia. Faceva alloggiare i soldati delle compagnie che giungevano in città per presidiarla. Aveva in consegna le chiavi della città, e comandava i cavallari ed i terrazzani. Mentre durante il giorno i cavallari battevano le marine, alla sera, alzato il ponte levatoio e chiuse le porte, sedici terrazzani, in gruppi da quattro ed armati dall’armeria della città, vigilavano nella porta maggiore e nelle garitte dei baluardi, andando di ronda per la città. Se in città arrivava un capitano con la sua compagnia per presidiarla, il mastro giurato doveva consegnargli le chiavi che, prima di ripartire, il capitano doveva ridargli, in quanto al mastro giurato “spetta la guardia della città quando non vi è presidio”. ASN, Provv. caut. vol. 258, ff. 169-170; vol. 273, f. 297.

[xiii] Il 14 maggio 1645 il mastrogiurato Mutio Berlingerio consegna al capitano a guerra Francesco Messia, le chiavi della città, cioè le tre chiavi della porta maggiore e dei due rastelli, e le quattro chiavi della “porta delo soccorso seu dela piscaria et saracina”. Il capitano le riceve nello stesso modo che al mastro giurato erano state consegnate dal capitano a guerra Jo. Dome.co Munda il 6 ottobre 1642. ASCZ, Busta 119, anno 1643, f. 33.

[xiv] Il 12 marzo 1675 Il capitano dei cavalli Bartolomeo de Silva notificava agli amministratori della città che il vicerè, a causa della recente rivoluzione di Messina, oltre al governo della città gli aveva anche conferito il comando delle armi. Dovendo fare la guardia e la custodia della città, con la compagnia del battaglione venuto in città, e con altri soldati che sarebbero giunti, era necessario che avesse le chiavi delle porte della città. Il mastro giurato Felice Berlingerio consegna al capitano le chiavi delle porte “et li rinuncia la potestà che in virtù di amplissimi privileggi di S. Maestà concessi a detta città e suoi mastrogiurati pro tempore che li spettava al dar il nome militare alle guardie che disponeva per custodia dessa città. Il capitano si impegna a restituire le chiavi una volta cessato il suo comando (ASCZ, Busta 334, anno 1675, ff. 43v-44). Il 14 febbraio 1679 il mastro giurato Francesco Suriano, in esecuzione di ordini del vicerè, consegna ad Emmanuel de Castro, regio governatore e capitano a guerra della città, le quattro chiavi della porta maggiore, le tre chiavi della porta della Piscaria e la chiave della monizione di guerra della città. Tali chiavi il capitano si impegna a tenerle e custodirle ed ad riconsegnarle come finirà il suo ufficio (ASCZ, Busta 334, anno 1679, f. 24).

[xv] Il 28 marzo 1679, essendo tornata la pace, il capitano a guerra riconsegna le chiavi della città al mastrogiurato. ASCZ, Busta 334, anno 1679, ff. 43-44.

[xvi] Nel 1623 la vedova Dianora Petrolillo accusa Horatio Catizzone di aver “arrobata la Regia Monitione di detta citta et quella venduta a genti franzesi et venetiani” (ASCZ, Busta 117, anno 1623, f. 83). I sindaci della città protestano contro il capitano di artiglieria, Juan de Silva, il quale si è preso un barile di polvere della regia monizione per uso privato. Il capitano si difende affermando che nel mese di giugno, su richiesta dei governanti, con quella polvere sparò più volte per avvisare la gente di campagna, che c’era pericolo di barche nemiche, e che la protesta dei sindaci scaturiva dal fatto, che egli non aveva dato la polvere per fare la festa della SS. Concezione (ASCZ, Busta 229, anno 1651, f. 119).

[xvii] Nel dicembre 1715 il capitano di artiglieria della città, Muzio Manfredi, accusa i capitani del presidio tedesco Elmstorf e Boxbery, di aver più volte aperta la monizione estraendo barili di polvere, palle ed altri ordigni di guerra, usandoli a loro arbitrio. ASCZ, Busta 612, anno 1715, ff. 225-226.

[xviii] Il 17 luglio 1734 su istanza di Silvestro Pecoraro, ufficiale della regia cancelleria della provincia, si procede all’inventario della monizione di guerra della città, che risulta composta da 16 verghe di piombo, per un peso complessivo di cantara 18 e rotola 30, da 212 palle di pietra tra piccole e grandi, da 667 palle di ferro, da due piconi, da 40 pale di ferro, da 115 cantara di polvere e da 3 cantara di miccia. ASCZ, Busta 664, anno 1734, ff. 76v-78.

[xix] ASCZ, Busta 612, anno 1715, ff. 225-226.

[xx] Il 13 gennaio 1713 i regi artiglieri della città di Crotone: Marco Juzzolino, Diego Massa, Emanuele Terranova, Antonio Avarelli, Dionisio Simina e Antonio Tesoriero, affermano che “l’università di Cotrone da trenta anni a questa parte, e da che loro hanno servito di reggi artiglieri a S. M. in questa città sempre ha pagato in potere de capitani dell’artiglieria della città sud.ta pro tempore li soliti annui ducati 60”, dei quali 40 per comprare legname e ferro per accomodare le carrette dell’artiglieria, e ducati 20 per pagare l’affitto della casa del capitano dell’artiglieria. ASCZ, Busta 611, anno 1713, ff. 4-5.

[xxi] ASCZ, Busta 854, anno 1740, ff. 72-73.

[xxii] La bucceria venduta dai La Nocita al Riczo era composta da “una cammaretta, uno cippo, dove si taglia la carne, una mannara, uno squartatore, uno paro di bilancie di rame, uno rotulo, mezo rotulo, libra, meza libra di ferro”. ASCZ, Busta 108, anno 1612, ff. 71-72.

[xxiii] ASCZ, Busta 1411, anno 1761, f. 12.

[xxiv] Nell’ottobre 1773, munito del decreto d’expedit e del regio assenso, Rafaele di Perri otteneva dagli amministratori cittadini di poter utilizzare un piccolo edificio addossato alle regie mura, che era stato usato in passato come archivio universale. La “stanza terranea … fabricata ab antico, e di sopra voltata a lamia”, confinava dalla parte verso la porta della città con la piccola chiesa di San Giovanni Battista e dalla parte verso il baluardo Marchese, con le due botteghe costruite dal Di Perri. Per la sua concessione il richiedente si impegnò a versare all’università di Crotone cinque ducati annui perpetui. L’intento del costruttore era quello di unire le tre costruzioni e, utilizzando le regie mura, fare “un’abitazione di casamento”. ASCZ, Busta 1326, anno 1773, ff. 192-196.

[xxv] Il nobile Raffaele Suriano per la costruzione delle tre botteghe pagava al Real Fondo un estaglio annuo di tre ducati, come per obbligo del 20 ottobre 1770 fatto per mano del notaio Nicola Partale. ASCZ, Busta 1327, anno 1775, ff. 155-156.

[xxvi] Nel 1771 Raffaele di Perri vendeva la bottega più grande a Giuseppe Micilotto. ASCZ, Busta 1344, anno 1771, f. 95.

[xxvii] ASCZ, Busta 1326, anno 1772, ff. 104-105.

[xxviii] ASCZ, Busta 1326, anno 1773, ff. 69-71.

[xxix] Nota dei nuovi censi fattisi nella città di Cotrone. ASCZ, Busta 1327, anno 1775, ff. 152-155.

[xxx] ASCZ, Busta 1327, anno 1776, f. 194.

[xxxi] I mastri muratori Saverio Mazzeo, Carlo Juzzolino e Giuseppe Gerace, dichiararono che la bottega costruita di recente da Giuseppe Micilotto, misurava palmi 30 di lunghezza, palmi 30 di larghezza e palmi 42 di altezza, mentre quella confinante di Annibale Montalcini, era di palmi 44 di lunghezza, palmi 30 di larghezza, e palmi 42 di altezza. ASCZ, Busta 1327, anno 1776, ff. 34, 48.

[xxxii] ASCZ, Busta 1327, anno 1775, f. 245.

[xxxiii] Nell’agosto 1613 il mastro Nicolao Antonio de Vito ed i suoi soci Minico de Messina e Patrutio de Franco, come da ordine del regio ingegnere Giovanni Renaldini, sono intenti a costruire un pilastro appena dentro e vicino la porta della città, “sopra il quale se ce haveranno di fabricare alcune lamie per il corpo di guardia”. Le fondazioni del pilastro sono state scavate fra il muro ed il contramuro della città, “et proprio dove è il terrapieno solito mettersi per fortificatione delle muraglie”. Lo scavo si presenta difficile e pericoloso per la presenza di acqua e di pietre. ASCZ, Busta 108, anno 1613, ff. 120-121.

[xxxiv] Il luogo, che sarà destinato alla costruzione del Corpo di Guardia, era stato in precedenza concesso nel 1778 dalla Reale Soprintendenza a Vincenzo di Perri, il quale si era impegnato ad accomodare il vecchio Corpo di Guardia militare. Il Di Perri, tuttavia, non aveva proceduto né a riattare il vecchio Corpo di Guardia, né a costruire sul luogo concesso. Egli aveva ceduto il tutto ad alcuni nobili della città, i quali a loro volta, non trovando utile l’impresa, rivendettero la concessione al Suriano. Il Suriano, appena subentrato, subito si mise all’opera, per riparare il vecchio corpo di guardia per la sentinella militare. Poiché però stimò che il vecchio Corpo di Guardia non era molto comodo per svolgere tale funzione, ritenne di tenerselo e di fabbricare un nuovo edificio meglio adatto all’uso accanto al primo. ASCZ, Busta 1666, anno 1787, ff. 64-71.


Creato il 13 Marzo 2015. Ultima modifica: 22 Luglio 2024.

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