Una vita contrastata. Il Monte di Pietà di Crotone
“Essa poverissima, e piccola città vive senz’altra industria di seminare grani, et altre vettovaglie, e nella raccolta li poveri massari vendono il grano raccolto à mercanti per Napoli, et altri luoghi per esimersi dalli debiti contratti nell’inverno per vivere, e coltura del loro seminato, e quando li riesce fruttuosa la raccolta si ritengono parte del grano per la nuova semenza, e per il loro vitto, et alla maggior parte anche li manca questo, si che si vede chiaramente, che nel mese di Agosto il grano passa tutto in potere de’ Mercanti, e pochi ritengono il loro bisognevole”.[i]
Il vescovo Giovanni Lopez istituisce il Monte di Pietà
L’ultimo periodo del sec. XVI è caratterizzato da gravi epidemie e dalla decadenza economica della città. Dopo la siccità del 1590 segue la spaventosa carestia del 1591. Alla carestia segue l’epidemia del 1592 – 1593, quando “avvenne una mortalità così grande per tutta la provincia, che si fa calcolo esserne morta la terza parte delle genti”. La città, che nel passato contava oltre 1800 fuochi, viene tassata nel 1595 per soli 870. Gli ultimi anni del Cinquecento ed i primi del Seicento sono caratterizzati da continue e violente piogge torrenziali, da nevicate e gelate e da una epidemia che uccide un gran numero di “figlioli piccoli” di “morte subbitanea”.[ii]
Il domenicano Giovanni Lopez de Aragona (1595 – Nov. 1598), appena insediatosi, presa coscienza del continuo fallimento dei raccolti e della situazione di estrema penuria in cui versavano i coloni e la popolazione, decise di istituire un Monte di Pietà. Assieme al patrizio di Crotone e vescovo di Gallipoli Scipione Montalcino, coadiutore del vescovo di Isola Annibale Caracciolo, furono stese le costituzioni e rese pubbliche con un atto notarile.[iii]
Per dare forza alla sua opera pia, il vescovo Lopez lo dotò con ben cinquecento ducati di proprio denaro. L’intenzione era soprattutto quella di costituire subito una ragguardevole dote di semi, in modo da favorire i coloni ed i massari, sottraendoli al cappio dell’usura e dagli abusi praticati soprattutto con contratti capestro, al tempo della semina, dai nobili e dai mercanti.
Il monte, amministrato da deputati eletti, tra i quali uno scelto dal vicario pro tempore del convento domenicano di Santa Maria delle Grazie, è posto sotto la vigilanza del vescovo. In seguito, sarà governato, osservando le disposizioni dei sacri canoni stabiliti dal Concilio di Trento; tra le quali quelle di concedere prestiti di importo piccolo a tasso ridotto e con garanzia di pegno su beni mobili, in modo da permettere di coprire le spese di gestione e non fare diminuire la capacità di erogazione del monte.[iv]
Nel 1605 al tempo vescovo Thomas de Montibus (1599 – 8 dicembre 1608) e durante il successivo vescovo Carlo Catalano (1610 – 1622), le primitive costituzioni furono approvate ed in parte riformate dalla sede apostolica. Il monte ebbe allora tre amministratori eletti ogni anno, uno dai nobili, uno dagli onorati ed un sacerdote scelto dal capitolo della cattedrale. Ad essi spettava il compito della gestione e alla fine del loro mandato erano tenuti a presentare i conti al vescovo o al suo vicario.[v]
La recessione economica seicentesca
All’inizio del Seicento il monte era dotato di seicento tomoli di grano,[vi] ma Il prolungarsi delle sterili annate e delle epidemie, ben presto metterà in difficoltà la sua esistenza. La composizione degli stessi amministratori, che rappresentavano gli interessi della nobiltà, degli onorati e del clero, escludendo i coloni ed i massari, che dovevano essere i maggiori beneficiari, non poteva non determinare il depauperamento del monte.
Impotente a riscuotere al raccolto il grano prestato, più la piccola parte di utile da impiegare nella gestione, e a perseguire i debitori a causa di lunghe e costose liti giudiziarie, mentre dai pegni messi all’asta poco o nulla si ricavava, ben presto il monte si trovò ad affrontare il pericolo dell’estinzione. Per rilanciarne l’azione a favore dei coloni e dei massari, si decise di mutare la scelta degli amministratori, che furono eletti congiuntamente dal vescovo e dal priore del convento domenicano di Santa Maria delle Grazie.[vii] Questa composizione durò fino al 1652, quando il convento domenicano fu soppresso da Innocenzo X. Da allora la gestione del monte fu affidato ad un canonico scelto dal vescovo. Tuttavia, il monte non riuscì a risollevarsi. A causa del succedersi di cattive annate rovinate dalla siccità e dalle locuste, specie quelle dal 1678 al 1680, per l’incuria degli amministratori e per la resistenza dei debitori “mons evasit”.
Alla fine del Seicento il vescovo Marco Rama (1690 – 1709), preso atto della situazione, tentò di ripristinarlo. Egli perseguì i debitori e riuscì a mettere insieme duecento e otto moggi di frumento. Impose regole più rigide; affidò l’amministrazione ad un canonico di sua fiducia e ordinò, che il frumento fosse concesso, previa cauzione, solo ai coloni ed ai massari al tempo della semina. Al momento del raccolto i debitori dovevano consegnare il numero di moggi avuti, con l’aggiunta di una quarta parte di moggio per singola salma; con queste quarte parti e con l’aumento del prezzo del nuovo frumento conservato nei magazzini, venduto nel momento opportuno, si doveva procedere ad aumentare la provvista di grano, a pagare l’affitto del magazzino e far fronte alle spese per la conservazione e la gestione.
Per incrementare il monte egli ordinò al ministro del Monte di Pietà, il canonico D. Petro Paulo Venturo U.J.D., di sospendere temporaneamente il prestito e di procedere direttamente alla vendita del grano. Il ministro dovrà attendere e vendere il frumento solo quando nel mercato ci saranno i migliori prezzi e così dovrà agire anche in seguito, finché non sarà raggiunta la quota di seicento moggi, fondo primitivo del monte, fondato a suo tempo dal vescovo Giovanni Lopez.[viii] All’inizio del Settecento, seguendo queste istruzioni, il monte secondo il vescovo era in crescita.[ix]
Il nuovo fondatore
Non passerà molto tempo che, morto il vescovo Marco Rama (4 agosto 1709) e dopo il breve vescovato del napoletano Michele Guardia (4 febbraio 1715 – 9 ottobre 1718), il successore vescovo Anselmo dela Pena (1719 – 1723) troverà che del Monte di Pietà rimaneva solo il ricordo delle liti con i debitori.
Egli decise di ridotarlo e, imitando il suo antico predecessore, lo riportò alla stessa dimensione delle origini con cinquecento ducati di proprio denaro. Con pubblico atto del notaio crotonese Pelio Tiriolo ed in presenza di tutte le dignità del capitolo, egli scelse e consegnò i cinquecento ducati all’amministratore il canonico Giovanni Domenico Zurlo, il quale doveva gestire il monte assieme al padre, il nobile chierico coniugato Orazio Zurlo. Sempre agli stessi assegnò la lite per la riscossione di altri seicento quarantotto ducati, che doveva versare il precedente rettore, il canonico Domenico Suriano di Domenico, contro il quale erano state emesse già delle significatorie. Secondo il vescovo la dotazione del monte virtualmente raggiungeva quindi i 1148 ducati.[x]
Sempre da una relazione del maggio 1722 apprendiamo, che il vescovo aveva continuato ad accrescere la dotazione del fondo. Egli dopo una lunga lite nella Curia Romana, sostenuta sempre a sue spese, era riuscito a ricuperare altri denari, che aggiunse al monte.[xi]
L’amministrazione del monte fu esercitata dal canonico Gio. Domenico Zurlo, dalla raccolta del 1720 alla raccolta del 1722. Dei 500 ducati dotati all’istituzione dal vescovo Anselmo dela Pena, nel 1720 lo Zurlo ne applicò solo 297 nella compra di tomoli 300 di grani, a causa dei prezzi troppo alti. Trecento tomoli li diede ai poveri dai quali nel 1721, per ragione del quarto a salma, riuscì a riscuotere tomoli 312 e mezzo di grano. Nel 1721 lo Zurlo applicò i restanti 203 ducati acquistando 290 tomoli di grano, i quali aggiunti ai 312, fecero tomoli 602 e mezzo. Di quest’ultimi nel 1721 si diedero ai coloni tomoli 544, restando nel magazzino tomoli 58 e mezzo.
Da questi tomoli 544, si sarebbero dovuti ricevere nella raccolta del 1722, per la ragione del quarto, tomoli 566 e tre quarti. Tuttavia, per la scarsezza della raccolta, furono esatti solo tomoli 156 e un quarto, perciò, si dovevano ancora esigere dal monte altri tomoli 410 e mezzo. Alla fine della raccolta del 1722 nel magazzino del monte dovevano esserci i tomoli 58 e mezzo restati e i tomoli 156 e mezzo riscossi, a questi erano da aggiungersi altri tomoli 252, pervenuti al ministro del monte da D. Filippo Suriano di Domenico debitore del monte, che in tutto fanno la somma di tomoli 467.
Il vescovo La Pena sostituisce il rettore del monte
Crotone, 17 novembre 1722. Orazio Zurlo ed il figlio il canonico Gio. Domenico Zurlo, il 17 giugno 1720 ricevono dal vescovo Anselmo dela Pena ducati 500, per acquistare grano per il Monte di Pietà per poi distribuirlo alle persone “con l’avanzo di un quarto a salma”, alla condizione che, se il denaro fosse ritornato al monte, i 500 ducati sarebbero dovuti ritornare al vescovo, altrimenti il vescovo avrebbe avuto “il nome di nuovo fondatore di d.o monte e benefattore de poveri”.
A causa dei prezzi troppo elevati fu impegnata solo una parte del denaro, poi fu sospesa la compera e fu dismessa. “Essendono pervenute a detto monte somma di grano, e danari per altra strada si è avanzato detto monte nella facultà di tt.a 877 e mezzo tomoli di grano apparenti per obblighi veri, liquidi, e non esatti et esigibili de jure et de facto”. “Volendo detto Mons.r Vescovo al presente passare la rettoria di detto Monte in persona di detto molto Rev.do Cant.re D. Francesco Duarte per alcuni suoi fini”. Il canonico Gio. Domenico Zurlo, essendo nel frattempo morto il padre Orazio, e non potendo detto Gio. Domenico Zurlo “governar detto monte per l’occupationi ne’ proprii affari”, consegna al nuovo amministratore del Monte di Pietà la rettoria con i libri e le significatorie.[xii]
Tra debiti non riscossi e liti giudiziarie
I tentativi dei vescovi di mantenere operativo il Monte di Pietà, volgarmente detto Frumentario, insidiato dalla difficile riscossione del grano concesso, sono resi ancora più difficili per la perdita di antiche platee e documenti. Le continue visite dei vescovi, che si succederanno durante il periodo borbonico ed i propositi di riformarlo, non porteranno che a brevi e discontinui benefici.
All’arrivo del vescovo Cajetano Costa (30 novembre 1723 – 26 gennaio 1753) esso è governato ancora da un rettore ecclesiastico, scelto dalla curia vescovile. La massa del monte, che era stata nuovamente dotata dal vescovo La Pena, e portata a novecento moggi, volgarmente tomoli, di frumento, si stava quasi totalmente perdendo e dilapidando. Il vescovo, per non incorrere come nel passato nella diminuzione del monte, ordinò al rettore di procedere, “per viam juris”, a perseguire i debitori del monte, quindi, fece ammassare il frumento in un comodo magazzino, ben protetto dalle ingiurie del tempo, affinché né le piogge né l’umidità potessero deterioralo.
Egli ordinò di farlo curare da uomini pratici e di farlo di continuo ventilare, quindi, stabilì precise disposizioni per il rettore. Queste prevedevano che egli dovesse notare distintamente ciò che in futuro si sarebbe perso e quello che si sarebbe guadagnato. Il guadagno sarebbe servito ad aumentare la massa di grano nel magazzino e a pagare, detratte le spese, anche il lavoro del rettore, nel caso che quest’ultimo avesse agito per il meglio, e non nel caso che la quantità del frumento fosse diminuita, o del tutto dissipata e persa. Quando poi avvicinandosi il mese di maggio (quando il prezzo del grano è più elevato), il rettore avesse visto e conosciuto che, a causa dell’abbondanza delle messi, i coloni non sarebbero rincorsi al monte, avuto prima il permesso del vescovo, egli avrebbe messo all’asta il frumento, vendendolo al maggiore offerente, e non a credenza ma a denaro contante, custodendo subito quest’ultimo nell’Arca Depositi.
Venuto il tempo delle messi (quando il prezzo del grano è più basso), il rettore nuovamente avrebbe comprato il nuovo frumento, in modo da potere in caso di necessità aiutare i coloni. Nel concedere loro il frumento avrebbe preso in consegna i pegni, o la cauzione di una persona ecclesiastica, che potesse garantire e pagare. Nel caso il debitore non avesse saldato e fossero passati i giorni del pagamento, il rettore avrebbe dovuto costringere il fideiussore a saldare. I pegni, passati quattro mesi, come era stato previsto al tempo della fondazione del monte, nel caso i debitori ammoniti non avessero pienamente sodisfatto, sarebbero stati messi all’asta e venduti al maggiore offerente, mentre nel caso l’offerta fosse stata superiore al debito, il di più sarebbe stato restituito al padrone.
Nel caso che il rettore pro tempore fosse stato negligente, facendo diminuire il frumento, perché non lo aveva amministrato con le dovute cautele, egli sarebbe stato tenuto a risarcire il danno. Riguardo all’interesse, sarebbe stato esatto il quattro per cento sulla quantità di grano, così come fu prescritto al tempo della fondazione dalla Sacra Congregazione. Da parte del vescovo, si ammoniva ed esortava infine, che quelli che, da noi o dal nostro vicario generale, saranno destinati a questo incarico, non avrebbero dovuto presentare scuse, o frivoli pretesti, ma avrebbero dovuto pensare alla pietà delle opere e alle cose meritevoli, che essi compiono davanti a Dio ed a noi, in questa così tanto pia fatica.[xiii]
Le esortazioni del vescovo Costa a perseguire i debitori, dovranno ben presto scontrarsi con le complicità, che costoro godono all’interno della stessa curia vescovile. “Iter alia quae a Pastorali cura me torquent non ultimum locum habet locorum piorum administratio, Pauperras namque multorum, aliorum avantia ne dicam rapacitate, debitam ex censibus, legatis ecc. solutionem eisdem piis locis retardant; si censuitis coguntur Debitores vel parripendant vel ad jurisdictionem Regalem reclamant. Si laicos apud ministros, et Judices instrumenta incusantur, corruptis a debitoribus pecunia ministris, judicibusque praedictis nihil operatur, et quod magnus affert damnum, impietas est aliquorum, qui Plateas et antiquas Ecclesiarum tabulas deperditis originalibus instrumentis sine nebore vocant ecclesiasticorum commenta. Tandem cum ad tribunalia saecularia recuruntur aeternantur causa, multaque Advocatis et Procuratoribus insatialibus pecuniae persolvuntur et loca pia magis deteriorantur”.[xiv]
Il lento declino
Nella seconda metà del Settecento il monte sempre più deperisce, sia a causa delle cattive annate, specie quella del 1764, sia per l’incapacità di perseguire i morosi. I tentativi dei vescovi di trovare delle soluzioni risultano temporanee e inefficaci. “E circa il monte frumentario (le di cui entrate, quali derivano dal pagamento della vigesima quarta parte per ogni tomolo, che deve fare quegli, che riceve il grano e che servono per il mantenimento de ministri e per altre spese necessarie, promette pure (il vescovo Domenico Zicari, 1753 – 1757) di visitarlo, e di voler attendere à quella riforma, che potesse essere necessaria”.[xv]
Seguono i tentativi di riformarlo e di accrescerne la dotazione, come quella del vescovo Bartolomeo Amoroso (1766 – 1761) che, dopo la spaventosa carestia del 1764, donò al monte circa 1500 tomoli di grano. Nonostante questi interventi al suo arrivo il vescovo Giuseppe Capocchiani (28 agosto 1774 – 15 ottobre 1788), doveva constatare che nel magazzino degli originali circa mille tomoli di grano, ne rimanevano appena la metà.
“extat pius alter mons frumentarius nuncupatus. Possidet hic mons quandam frumentorum quantitatem, quem tempore hyemali pauperibus, praesertim agricolis, quotannis distribuit, accepto ab eis ad cautionem pignore in auro, argento, aeve, vel pannis, sub obligatione mutuatum frumentum restituendi aestate frugum recollitionis tempore cum augumento unius parvae mesurae pro quolibet modio, quae quidem mensura vigesima quarta pars est eiusdem modii, licitteque ultra sortem exigitur, quippequae erogatur, tum in pensionem horrei, ubi recollecta frumenta asservantur, tum in eorumdem frumentorum cributationem, atque culturam, tum etiam in mercedem Rectoris atque aestimatoris pignorum, iisque ad conservationem ipsiusmet Montis inservit. Rector autem, seu administrator unus est ex canonicis Ecclesiae Cathedralis, quia ab episcopo praeficitur, ac quotannis apud Curiam Episcopalem juris ordine reservato ipso Episcopo, sive eius Vicario Generali de sua administratione rationem reddit. Status huius montis non modium collapsus est. Antea in sui origine mille eoque amplius possidebat frumentarum modios. Hodie verò vix ad medietatem pertingit. Diminutio isthaec derivata est ex continua plurium annorum hisae (?) in partibus passa sterilitate, unde debitores effecti sunt morosi. Existunt quidem pignora, sed non pro omnibus debitoribus, nam aliqui ipsorum, qui sunt pauperiores et morosiores, non aliam elapsis sterilitatis annis monti praestiterunt cautionem, nisi per syngrapham eorum manu absignatam, eisque quadrat, quod vulgo dici solet inanis est ratio creditoris, quam excludit inopia debitoris. Verumtamen auxiliante deo, omnem meam curam impedere non desistam ut idem mons pristino statu ad pauperum levamen restituatur.”[xvi]
Il Monte Frumentario dopo il terremoto del 1783 non fu sequestrato dalla Cassa Sacra, ma fu affidato al vescovo Ludovico Ludovici (1792 – 1797). Tuttavia, a causa degli avvenimenti, dei novecento tomoli di grano, che dovevano essere nel magazzino, il vescovo ne trovò appena cento cinquanta.[xvii] Il vescovo non si perse d’animo e con quello che era rimasto, cercò di far fronte alla difficile situazione. “Varie erano le Confraternite tanto nobili, che di ceto inferiore, tutte furono soppresse, così ancora le altre opere pie de monti, tanto per doti che de pegni e frumentarii, e l’entrate de suddetti luoghi pii poste sotto sequestro, ed i fondi addetti alla Regia Amministrazione. Mons. Vescovo nel giungere al suo Vescovato, considerando il detrimento de Poveri, mancando a questi dei sussidi caritatevoli nelle di loro indigenze, procurò, che fossero restituiti i frutti sequestrati, e che si ritornassero i Fondi alli rispettivi luoghi Pii, ed ha ottenuto quanto bramava dalla Regia Amministrazione, e nelli scorsi anni sonosi potuto dotare varie zitelle e distribuire anche del grano a coloni, come prescrivano li Fondatori de succennati Luoghi Pii”.[xviii]
Il monte superò con difficoltà il Decennio Francese,[xix] rimanendo sotto la vigilanza vescovile anche nei primi anni del Regno delle Due Sicilie.[xx] In seguito, fu sottoposto alla vigilanza dello stato, con norme fissate dal regolamento organico del 19 novembre 1829, fra le quali la più importante era “che il genere distribuirsi per semina a tutto ottobre, al di là di qual mese si distribuisce per accredenzamento e col’aumento di due misure ossia due ventiquattresimi a tumolo”.[xxi]
Una circolare in data 15 ottobre 1841 inviata dall’intendente di Calabria Ulteriore Seconda, raccomandava ai comuni di istituire un Monte frumentario in ciascuno di essi, tuttavia, poiché i comuni erano in difficoltà finanziarie, faceva appello alla generosità dei benestanti per la dotazione, in parole povere i lupi avrebbero dovuto sfamare gli agnelli. “Dietro i voti espressi dal Consiglio provinciale di Principato Ulteriore, con Sovrano rescritto de’ 4 maggio corrente anno (1841) prescrisse agl’Intendenti per canale dell’eccellentissimo Ministro degli affari interni di dar mano perché un apposito Monte frumentario stabilito venisse in ciascun comune.”
Tuttavia, l’Intendente, Principe di Giardinelli, da Catanzaro il 15 ottobre 1841, preso atto che “le risorse de’ singoli comuni mal si prestano all’uopo, essendo desse bastevoli appena a far fronte non meno all’ordinarie loro obbligazioni”, faceva appello ai “ricchi proprietarii, ne’ di cui petti fervono i principi della più sentita filantropia”, e “alla generosità de’ Prelati, ed a quella delle autorità ed impiegati tutti, nonché de’ proprietari”.[xxii]
Una relazione del sindaco di Crotone della metà dell’Ottocento riassume un po’ la storia del Monte: “Fu fondato da un vescovo di Cotrone, il quale pressocchè nella metà del secolo decimosettimo ebbe con tal pia fondazione il pensiero di agevolare la classe dei coloni per la semina. Egli era appunto Monsignor Amoroso e vi assegnò circa tumola 1500 di grano. Il monte istesso nei tempi di sconvolgimenti politici subì varie tristi vicissitudini che ne diminuirono considerevolmente il capitale, in caso diverso avrebbe sofferto un accrescimento molto maggiore di quello che ora presenta. L’attual capitale è quello sopra indicato nella relativa colonna. Non posson poi fornirsi altre nozioni più minute. Cotrone 17 Dicembre 1856. Il Sindaco Albani (?). Dotazione primitiva generi 300/ dotazione attuale generi 1775 alli 4% — grano 1775 alli 4%.”[xxiii]
Note
[i] ASN, Prov. Caut. Vol. 328, ff. 62-63 (1709).
[ii] Pesavento A., La Città immaginaria. Crotone nel Viceregno, Graf. Basso 1985, pp. 14 – 15.
[iii] Synodales Constitutiones, et Decreta, ab Illustriss. Et Reverendiss. Domino D.F. Cajetano Costa de Portu Episcopo Crotonen., In Dioecesana Synodo, celebrata quinta die Junii, et duobus sequentibus Anno Domini MDCCXXIX, Roma MDCCXXXII, p. 123.
[iv] “Sunt praeterea in civitate Crotonjen Mons pietatis et hospitale in pauperum beneficium et utilitatem in quorum administratione servabitur dispositiones sacrorum canonum”. SCC. Relationes Cotronen., 1597.
[v] “Extat etiam in Civitate locum pium sub Tit.o Montis Pietatis superioribus annis erectum, cuius sors principalis in 500 duc.ti consistit pro commoditate Civium, eliguntur in eo soliti officiales, et administratores n. 3, nobilium unus, alter Civium Honoratorum, ac unus Presb. a Capitolo deputatus et quolibet anno tenentur presente episcopo sive eius vicario generali reddere rationem administrationis et pecuniarum”. SCC. Relationes Crotonen., 1603.
[vi] “Adsunt duo Montes pii quorum unus habet d.tos quingentos fundatus elemosisis piorum, Alter vero tumulos sexcentum tritici fundatus à Predecessore episcopo Fr.e Jo.e Lopes Hispano qui mutuantur Pauperibus et administratores singulis annis reddunt rationem ordinario ad prescriptum Sacro Sancti Cons. Trid. et instructionum sacrae Congregationis”. SCC. Relationes Crotonen., Nicephorus Melissenus et Comnenus, 1631.
[vii] “Item adsunt duo montes pii, quorum unus habet ducatos quingentos, alter vero tumulos sexcentos tritici, qui mutuantur gratis pauperibus ad certum tempus sub pignoribus, sevata forma constitutionum et capitolorum eorum de montium, confirmatorum authoritate Sacrae Congregationis et Administrationies eorumdem montium reddunt rattiones singulis annis episcopo pro tempore existenti quorum montium eligunt quot annis duo mag. ti unus praesbiter et alter laicus verum electio magistrorum montis pecuniae spectat ad paulum episcopum electio mag.rum montis tritici pertinet coniuctim ad episcopum et ad Priorem Ven. Conv.tus S.tae Mariae gratiarum huius Civitatis quem admodum institutum fuit per Bo. Me. Episcopum frem Joannem Lopes Predecessorem fondatorem pred.ti montis.” SCC. Relationem Crotonem 1640.
[viii] “Mons sub titulo Pietatis. Ill.me D.ne Montis huius fundamenta iecit Ill.mus et R.mus Joannes Lopez E.pus Crotonen. ad evitandos nonnullos usurarios contractus, et abusus scandalosos, qui in mutuis, et commodatis irrepserant, certas q.s regulas inscripsit, seu constitutiones approbatas deinde, et partim reformatas à Sede Ap.la. Fundamenta Montis erant in tritico, et nummis attamen decursu temporis, sive incuria Officialium, sive renitentia debitorum depauperatus est fundus, et mons evasit. Post accessum verò Domini tuae Ill.mae ad hanc Cathedram Ep.lem, nutu tuo compulsi sunt quidam debitores, qui extabant, et quo. memoria erat adsolvendum debitum, unde coacervati sunt tot fructus, ut in presenti mons habeat ducentos, et octo modios frumenti.Et Ill.mus D.nus interrogavit de Regulis, seu constitutionibus. Responderunt. Regulae, Constitutiones sunt strictim, ut hoc frumentum mutuetur pauperibus colonis vulgò massari huius Civitatis, qui cautione data, tempore recolllectionis messis restituere debent numerum modiorum perceptorum cum additamento quartae partis modii in singulas salmas, ex quibus quartis partibus, et ex augumento, quod reddet novum frumentum in horreis persolvitur provisio montis, locatio horrei, et exercitium conservationis frumenti Et interrogavit Ill.mus D.nus an hoc plus, quod annuatim perciitur, et augumentum sufficiant ad augendam quantitatem modiorum fundi. Responderunt nullatenus sufficere possusimo prudentialiter timendum, quod aliquo Anno detrahi debeat a parte principali, seu a fundo, ut persolvantur expensae horres, ministri et custodiae. Et interrogavit Ill.mus D.nus quid esset agendum ut mons in suo robore perseveret. Responderunt, viam perseverarantur montis esse, quod cesset a mutuatione frumenti, et frumentum vendatur melioribus pretiis, quibus fiat nova emptio tempore recollectionis, quo pretia frumentorum sunt dulciora, et sic usquedum perventum erit ad summam sexcentorum modiorum, qui erant primus fundus montis, ut ex erextione praenom. Q.m Ill.mi et R.mi Lopez anno D.ni 1605 (vescovo Thomas de Montibus 1599 – 1608), et tunc ex redditibus, et maioribus augmentis posse plene satisfaceri amnibus oneribus montis ipso illaeso. Ill.mus D.nus his auditis cum voto D.norum astantium ita pronunciavit.Nos Visitante mandamus Rev. Can.co D. Petro Paulo Venturo U.J.D. ad praesens Ministro Montis Pietatis ne ipsum frumentum mutuet ad finem illud vendendi, et ex pretio maiorem summam einendi tempore recollectionis, vel alio, quo pretio frumentorum sunt dulciora asquedum cumuletur summa modiorum sexcentorum, et ita.” AVC, Acta Sanctae Visitationis ab Ill.mo ac R.mo D.no Episcopo D. Marco Rama Ordinis Eremit.rum S.ti Augustini, A. D. 1699 confectae, ff. 61 – 62.
[ix] “Pii montes sex, quorum quatuor pro maritandis puellis, unus pro egenis, qui deperditur incuria ministrorum, à me fuit restitutus, et in dies augetur. Unus eundem pro anibus Purgatorii”. SCC, Relationes, Marco Rama, 1703.
[x] “At cum tempore visitationis recolendae memoriae Ill.mi D. Marco Rama eius decreto ditis sine rationali causa talis mutuatio cessavit, in primordiis tamen praesulatus Dominationis tuae Ill.mae denuò decurrere coepit, et uberius quidem, quandoquidem tuae iil.mae domine pietatem praelaudati predecessoris imitatus in dotis augmentum alios quingentos aurets Dominat. tuae Ill.mae proprios contulisti, mediante publico instrumento rogato manu Notarii Pelii Tiriolo Crotonen., eligendo ad mutrus Rectoris obeundum ad. Rev.m Can.m Joannem Dom.um Zurlo, qui una cum eius patre magnifico Horatio Zurlo Cl.co coniugato praefatam summam simul recipiendo coram ad.m R.R. Archidiacono Petro Paulo Venturi, Decani Joanne Bapta Sisca, cantore felice suriano, thesaurario fran.co duarte, archipres.ro antonio puglise et primicerio dom.co hier.mo suriano pro testibus presentibus in ipso actu enumerationis praed.tae summa ducatorum quingentum una cum aliis sexcentum quadraginta octo debitis eidem monti per ad. R.m can.m dominicum suriano de domenico alios Rect.m prout ex significatoriis contra ipsum, conflat summam ducatorum 1148, quibus pro dote dictus mons fruitur.” AVC, Anselmus de la Pena Ordinis S. Benedicti, Visita 1720, f. 54.
[xi] “Adsunt in hac Civitate sex pii Montes, nempe Mons Piorum Operariorum pro defunctis, alius dictus de Misciascio, Mons de Fam.a Surianorum Ralles, Mons de Mazzulla, Mons de Petrolillo pro virginibus Puellis maritandis, et alius Mons sub tit.o SS.ae Pietatis de mutuando pauperibus terrae cultoribus triticum. Qui mons cum defecisset ob temporum incidentia, eum de mea pecunia restitui, illum redotando in ducatos quingentum; ac deo adiuvante post longam litem in Romana Curia meis expensis substentatam ad hoc ut plurimas de deperditis quantitatibus recuperavi possit, easdem acquisivi, et doti, et supra quam dedi, dicto monti univi”. SCC. Relationes Anselmus de la Pena, maggio 1722.
[xii] ASCZ, Not. Pelio Tirioli, Busta 661, f.lo 1722, ff. 264 – 266.
[xiii] Synodales Constitutiones, et Decreta, ab Illustriss. Et Reverendiss. Domino D.F. Cajetano Costa de Portu Episcopo Crotonen., In Dioecesana Synodo, celebrata quinta die Junii, et duobus sequentibus Anno Domini MDCCXXIX, Roma MDCCXXXII, pp. 123 – 126.
[xiv] SCC. Relationes Crotonen., Cajetano Costa, 1733.
[xv] “Montem frumentarium nondum visitavi, cuius redditus provenientes a solutione vigesimae quartae partis pro unoquoque tumulo facienda ab eo, qui frumentum recepit, substentationi Ministrorum, aliisque necessariis expensis cedunt. Cui Monti si opus fuerit reformatione, cum eum visitavero, etiam reformabo” (SCC. Relationes Crotonen., Domenico Zicari, 1754). “Est hic mons pietatis, vulgo frumentarius, a quo exiguntur quatuor pro quolibet centinario, ministrorum mercedi,aliisque indigentiis eroganda; et quia quaedam superesse adverti inter usurium plurium annorum, debitoribus relaxanda mandavi” (SCC. Relationes Crotonen., Domenico Zicari, 1756).
[xvi] SCC. Relationes Crotonen., Giuseppe Capocchiani, 1774. Crotone 18 febbraio 1777. “Il terzo chiamato frumentario perché in tempo d’inverno somministra del frumento alli poveri, ed è parimente di natura sua ecclesiastica e vien governato da Monsignor Vescovo di cui n’è rettore il R. Canonico D. Cristofaro Giaquinta.” AVC, Nota delle Chiese e Luoghi pii Ecclesiastici e secolari, s.c.
[xvii] “Mons Frumentarius a clarissimis praedecessoribus meis Frate Ioanne Lopez et Domino Anselmo Penna erectus et restauratus, ne pauperes coloni huius Civitatis ab usuris exiccarentur, plura frumenti modia seminationis tempore ipsis tradit per ecclesiasticum rectorem, accepto ab eis aequivalenti pignore, vel securi fidejussoris chyrographo, et cantumdem frumenti recipit primu messe cum cautione vigesimae quarta partis, quae pro incolumitate montis, et necessariis expensis annuis statuta fuit. Solus hic inter reliquos enunciatos montes anno 1783 sub sequestro positus non fuit, et a mea jurisdictione ablatus, aut in futurum prohibitus sicut Monti Purgatorii accidit, sed ita ipsum diminutum inveni ex improba dilatione restituentibus concessa, ut quum nonigenta modia in horreo esse deberet, vix centum quinquaginta extabant … Adplicatis paritere diminutione montis frumentarii opportunis remediis, et antiquis pignoribus partim venditis, partim ab eorum propetariis redemptis, nec amplius indebita dilatione admissa, jam hoc anno fuerunt in horreo septingenta, et quattordecim frumenti modia, quae praeteriti octobris mense ab ipsius montis rectore, et consueto ordine servato indigentibus colonis fuerunt distributa.” SCC Relationes Ludovico de Ludovico, dicembre 1795.
[xviii] SCC. Relationes Crotonen., Ludovico de Ludovici, 1796.
[xix] “I monti frumentari anticipavano agli agricoltori il grano occorrente per la semina, che veniva poi restituito con una pattuita quantità in più. Smunti per la sussistenza militare ed esautorati dal ribasso del grano nel 1806, ben pochi sopravvissero; in Calabria Ultra rimasero a Crotone, Policastro”. Caldora U., Calabria napoleonica, Cosenza, 1985, p. 363.
[xx] “de montibus Pietatis, et frumentario de valetudinariis, de clausura monalium et extraordinario eurumdem Confessario, de moribus, ac religione populi, de pravitatibus, ac corruptelis … Romae 25 Feb.ii 1826”. Relazione del vescovo di Crotone Domenico Feudale (1818 – 1828).
[xxi] Intendenza della Calabria Ulteriore Seconda, Per la istallazione di un Monte frumentario in ciascun comune, Catanzaro li 15 Ottobre 1841.
[xxii] Intendenza della Calabria Ulteriore Seconda, Per la istallazione di un Monte frumentario in ciascun comune, Catanzaro li 15 Ottobre 1841.
[xxiii] Tavola Sinottica Dei Monti Frumentarii de’ Comuni della Provincia della Calabria Ulteriore a tutto il 1856. ASCZ, Intendenza, Monte frumentario, Busta 43, F. 654.
Creato il 4 Novembre 2023. Ultima modifica: 10 Novembre 2023.