Dalle case dei Beltrani e dei Messina al palazzo detto di Massa di fronte alla chiesa di S. Veneranda
Il 10 maggio 1665, per atto del notaio di Crotone Peleo Tiriolo, furono stesi i capitoli matrimoniali tra Joanne Franco ed Ippolita Monteleone. Nell’occasione Lucrezia Messina, sposata con Gio. Tommaso Cimino e madre di Ippolita, promise ai due futuri sposi “una mezza casa sita et posta dentro questa città nella parocchia di S.ta Vennera confine la casa d’Ippolita la Mazza”, con la condizione “che volendo la detta metà di casa, o alcuna d’esse parti, sia lecito venderla et vendendola li d(ett)i futuri sposi sia lecito del denaro farne compra per sicurtà di d(ett)e doti”. Oltre alla mezza casa, Lucrezia Messina aggiunse ducati 100 in panni e ducati 40 di contante.[i] Il 27 settembre dello stesso anno i coniugi Tommaso Cimino e Lucrezia Messina consegnarono ai novelli sposi Gio. de Franco e Ippolita Monteleone quanto promesso.
La casa di Lucrezia Messina e quella di Diego Massa
Alla fine del Seicento ritroviamo la casa di Lucrezia Messina. Infatti, tra i beni del beneficio senza altare e cappella di Santo Giacomo Apostolo, vi è un annuo censo di carlini cinque sopra la casa di Lucrezia Messina, situata in parrocchia di Santa Veneranda.[ii] Sempre in questi anni anche il Pio monte detto “L’Anime del Purgatorio” possedeva nella parrocchia di Santa Veneranda una casa. Essa confinante con quella di Diego Massa.[iii]
La casa palaziata dei Beltrani
Il 15 ottobre 1630 moriva la signora Lucretia Bonella e “si sepelli a S.to fran.co d’assisa”.[iv] Lucretia Bonella, moglie di Fabritio Bernale, era stata in precedenza sposata con il fu Jacopo Antonio Beltrano. Dal primo matrimonio essa aveva avuto i figli Carlo, Anna e Dorotea. L’otto novembre 1630 Carlo Beltrano, figlio ed erede universale della madre Lucretia Bonello, prendeva possesso delle case dove abitava la madre, situate in parrocchia di “S.tae Vennerae iux.a domos Cesaris Manfredi”, e dei beni alcuni dei quali erano conservati nel monastero di Santa Chiara, dove dimoravano le sue sorelle.[v]
Carlo Beltrano si unì con “Cornelia seu Luccia Longo”. Dall’unione nacque Fausto. Il 4 gennaio 1675 il vedovo Carlo Beltrano emancipava il figlio Fausto dalla patria potestà e, per “magis vivere et negotiare”, gli donava l’entrata di 28 salmate del territorio dotale il Piano di Nola.[vi] Carlo Beltrano continuò ad abitare in parrocchia di Santa Venere, e la sua casa confinava con quella di Cesare Pistoya della terra di Saracena. Cesare Pystoia, sposato con Elena Tramonte, il 19 luglio 1675 per atto del notaio Pelio Tiriolo, faceva testamento, lasciando i suoi beni ai figli Gio. Battista e Francesco. La sua casa confinava con la casa di Carlo Beltrani e con quella dotale di Ridolfo Cirillo.[vii]
Da un atto successivo dello stesso notaio sappiamo che la casa palaziata di Carlo Beltrano confinante con la casa del “q.m Thomae Cornisello”, e quella del “q.m heredum q.m Cesaris Pistoya”, era situata “in fronte spicio Parochialis Ecclesiae S.tae Venerae”.[viii] La casa palaziata in parrocchia di Santa Venera poi passò al figlio il chierico Fausto Beltrano, il quale la abitava alla fine del Seicento. La mensa vescovile esigeva sulla casa, che confinava allora con la casa di Elisabeitta Fernandes, un annuo censo enfiteutico di carlini due.[ix] La casa gravata dal censo di carlini due dovuti alla mensa vescovile, apparteneva ancora nel 1720 a Fausto Beltrano.[x] L’edificio conserverà ancora per molti anni il censo enfiteutico dovuto alla mensa vescovile, anche quando esso verrà incorporato al nuovo palazzo dei Massa.
La costruzione del palazzo di Annibale Berlingieri
In questi anni tra la fine del Seicento e nei primi anni del Settecento, l’aristocratico Annibale Berlingieri costruisce il palazzo di famiglia, modificando una parte del tessuto urbano davanti alla nuova costruzione. Il nobile per far piazza al suo palazzo, fa demolire alcune case davanti al portale ed altre ne compra. Negli atti della visita del vescovo di Crotone Marco Rama troviamo che, alla fine del Seicento, il tesorierato della cattedrale di Crotone esigeva alcuni censi: “Sopra la casa del q.m Gio. Tomaso Sillano, poi dell’heredi di Gio. Vincenzo Monteleone, hoggi di D. Anibale Berlingeri nella par.a di S.ta Veneranda, che diruta serva a far piazza al palazzo di d.o D. Anibale annui car.ni diece”; “Sopra un’altra casa fu della q.m Lucretia Mazza nella med.ma Parocchia, hoggi del prenom.to D. Anibale Berlingeri parim.te per far piazza al suo Palazzo annui car.ni diece”.[xi] Altre case vicine sono acquistate dal nobile per utilità del palazzo, come le “due case all’incontro del suo palazzo, una delle quali serva per il suo cocchiere e rimessa della sua carozza e l’altra inaffittata”.[xii] Con la costruzione del nuovo palazzo anche la vicina chiesa di Santa Veneranda è ricostruita e muta la sua posizione. Essa, infatti, è ricostruita appoggiata lateralmente al muro del suo palazzo, dirimpetto alla vecchia porta maggiore di detta chiesa, dove secondo il nuovo disegno dovrà far costruire il nuovo altare.
La casa di Diego Massa
Nei primi anni del Settecento anche Diego Massa, mastro del ceto della mastranza, ampliò la sua proprietà acquistando la confinante casa di Lucretia Messina. Negli atti della visita del vescovo di Crotone Anselmo de la Pena si trova che il beneficio di collazione pontificia sotto il titolo di S. Giacomo, esigeva nel 1720 un canone di annui carlini cinque “sopra la casa fu di Lucrezia Messina hoggi di Diego Massa nella parocchia di S.ta Veneranda”. La casa era “contigua alla casa del q.m Antonio Liotta”.[xiii] Diego Massa oltre che mastro, fu per molti anni regio artigliere,[xiv] ricoprendo anche la carica di capo artigliere della città e castello di Crotone.[xv] Alla sua morte ereditò il figlio Antonio, che troviamo in una lista di grandi proprietari di grano del primo agosto 1743. Durante la carestia di quell’anno, Antonio deve concorrere per l’annona della città di Reggio. Egli infatti deve fornire 300 tomoli di grano.[xvi]
Nel catasto onciario di quell’anno così è descritto: Antonio Massa cittadino massaro di anni 55, sposato con Prudenza Monteleone di anni 48. Figli: Paolo di anni 14 bracciale e Leonardo scolaro di anni 12. Figlie: Giulia di anni 18, Elisabetta di anni 16, Anna di anni10, Aurelia di anni 8, Laura di anni 6. Rosa Massa sorella di anni 34. Abita in casa propria in parrocchia di Santa Veneranda. Possiede un magazzino diviso in due in località le Furche. Ha numeroso bestiame: Bovi aratori n. 9, vacche n. 7, giovenchi indomiti n. 5, mazzoni d’ingrasso n. 3, una giumenta d’imbasto con stacca ed una somara.[xvii]
Da un atto notarile dell’anno seguente, sappiamo che le case di Antonio Massa erano situate davanti alla chiesa parrocchiale di Santa Veneranda e confinavano con le case dei Cirillo. Infatti, i fratelli e sorelle Cirillo, Antonio, sposato con Isabella Varano, Giacinto, Teresa e Antonia, avevano in comune ed indiviso “una continenza di case consistentino in cinque camere con loro rispettivi bassi e scala di pietra nella parrocchia di Santa Veneranda ed Anastasia, confine, ed attaccate d’una parte a due camere dotali che a conto delle sue doti furon promesse dal q.m Francesco Cirillo loro padre alli Sig.ri Sigismonda Cirillo ed Agostino Durante coniugi, e loro sorella e cognato respettive commorante in Soveria, e dall’altra parte alle case d’Antonio Massa, situate davanti detta parrocchial chiesa di S. Veneranda”.[xviii]
In questi anni della metà del Settecento di grande carestia, ma anche di ingenti guadagni, il massaro Antonio Massa trasforma le sue case in casa palaziata. L’undici agosto 1755, per atto del notaio Antonio Asturi, egli prende in prestito dal Capitolo ducati 100 al 6%, gravando i suoi magazzini e la casa palaziata, che possiede in parrocchia di Santa Veneranda.[xix] Anni dopo amplia la proprietà.
La casa palaziata di Gio. Paolo Massa e quella di Giacinto Cirillo
Nel giugno 1767 il mastro Pasquale Juzzolino ottiene, previo “Regio Assenso ottenuto a sua supplica dalla Real Camera di S. Chiara e parlamento formato dalli Sig.ri sindaci ed eletti della città”, un pezzo di terra nel luogo detto Li Furchi presso il magazzino del massaro Antonio Massa per costruire tre magazzini, impegnandosi a pagare un censo perpetuo annuo. Tre anni dopo ne rivende una piccola estensione al massaro Gio. Paolo Massa, figlio di Antonio, che costruisce un magazzino accanto a quello del padre Antonio, e si impegna a pagare la metà del censo.[xx]
Sempre in questi anni con atto del 18 maggio 1779, Giacinto Cirillo, figlio ed erede di Francesco e zio ex sorore di Maria Giuseppa Cirillo, proprietario della casa palaziata confinante, afferma che il 24 luglio 1770, promise in dote a Maria Giuseppa che andava sposa al napoletano Baldassarre Ricci, “due camere co’ loro rispettivi bassi, attaccate all’altre camere e bassi di esso D. Giacinto e proprio quelle che confinano all’altre case di Giovan Paolo Massa, coll’uscita e portone dirimpetto al palazzo del marchese D. Carlo Berlingieri”, in parrocchia di Santa Veneranda e Anastasia. Le camere con i bassi da usufruttuarseli solo dopo la morte senza figli di Sigismonda Cirillo, fu moglie di Agostino Durante. Essendo morta Sigismonda Cirillo, Giacinto dona ai coniugi Ricci Cirillo le camere con i bassi.[xxi]
A quel tempo Paolo Massa aveva già incorporato nel suo palazzo le case che erano state dei Beltrani, infatti nel 1780/1781 pagava alla mensa vescovile l’annuo censo di grana venti sopra le sue case che furono di Fausto Beltrani in par.a di S. Veneranda”.[xxii]
Il palazzo dei Massa
Morto Paolo Massa nel 1783, i beni passarono all’unico figlio maschio Antonio. Questi fu dichiarato erede universale col peso di dotare la sorella nubile Maria Giuseppa. L’altra sorella Laura aveva sposato Giuseppe Rizzuto. Dal catasto del 1793 sappiamo che gli eredi di Paolo Massa possedevano due magazzini, uno dei quali nel luogo “Le Forche”, una chiusa a “Lampus”, e locavano alcune case unite a quelle di loro abitazione, di cui una parte era del patrimonio sacro del sacerdote Leonardo Massa, cappuccino secolarizzato. Inoltre, avevano un capitale di ducati 2000 applicato con l’interesse del 6%.[xxiii] Sempre dal catasto apprendiamo che il marchese Cesare Berlingieri locava alcune casette alla strada detta di Paolo Massa. Antonio Massa ereditò i beni di Paolo Massa, tra i quali Il palazzo che, alla fine del Settecento, è descritto come situato “in distretto della Parocchia di S. Veneranda, e vicino alla stessa”.
Il 15 marzo 1798 Antonio Massa per testamento rogato dal notaio Nicola Partale, dopo aver istituito suo erede usufruttuario vita durante tantum lo zio paterno e sacerdote secolare Leonardo Massa, istituì eredi in ugual parte le due sorelle Laura Massa, sposata con Giuseppe Rizzuto, e Maria Giuseppa Massa, sposata col dottore fisico Gaetano Morelli, figlio del dottore fisico Gregorio. Tra le condizioni testamentarie vi era che le due sorelle non potessero dividersi per metà né la vigna detta Fiorinello, né il palazzo di sua abitazione, ma ad una andasse la vigna ed all’altra il palazzo. Antonio Massa morì il 9 maggio 1798, lo zio Leonardo lo seguì nel febbraio 1799.
Il 23 maggio 1799, per atto dello stesso notaio Nicola Partale, le due sorelle si dividevano i beni ereditati, consistenti nel palazzo, due case, metà di una casetta, un magazzino e la chiusa con vigna detta Fiorinello. A Maria Giuseppa Massa andò il palazzo, dove aveva abitato il fratello Antonio, “sito in distretto della Parochia di S. Veneranda, consistente in due quarti uno superiore e l’altro inferiore, bassi allo stesso corrispondenti”, il magazzino “diviso in due per uso di conserva di grani”, situato nella marina delle Forche, e la casa che era della q.m Anna Massa, attaccata alle case del q.m Felice Simina. Tre pesi gravavano la proprietà di Maria Giuseppa: ducati 5 annui per capitale di ducati 100 infissi sopra il palazzo a Giuseppe Messina, altri ducati 5 annui al capitolo della cattedrale, infissi sopra il palazzo e i magazzini, ed infine grana 20 annui infissi sopra il palazzo dovuti alla mensa vescovile. A Laura Massa toccò la chiusa con vigna di Fiorinello ed il resto.
Inventario del palazzo
Prima Camera. Un letto con travacca di ferro all’antica. Cortina di filato gialla molta usata. Matarazzi di lana n. 3 usati. Un paio di lensuoli di tela usati. Una coperta bianca. Sedie di paglia num. Sedici usate. Un canapè di legname vecchio. Una buffetta di legname tonda vecchia. Altra dell’istessa legname bislunga. Un boffettino di tavola ordinaria con tiratojo, e studiolo di sopra, con diversi libri di materie predicali, ed altre cose divote in tutto al n. di sessanta due. Una scopetta vecchia inservibile. Quadri grandi n. sette consistente la via Crucis con cornice di tavola neri. Quadretti piccoli con diverse effiggie n. sette. Due specchi all’antica con cornice di legname nera. Un crocefisso di cartapista a canto al letto. Un candaliere di ottone a due micci. Un trinboncino di rame. Due bicchieri di vetro, ed altro vasetto anche di vetro. Una chicchera di creta. Una cassa quadra di legname vecchia con un tappeto di sopra a più colori di calamo a seta. Entro la stessa si è trovato ciocche siegue. Una data quantità di bambace usata pettinata sufficiente per una imbottita. Carangà nuova in tocco canne quattro e mezo. Cammici di tela n. sette. Calzonetti di tela paja tre. Facci di coscini di tela n. due. Un pajo di calzetti di calamo bianchi. Un camice di tela con cingolo di filo, e due serpeluzze con pizzo tutte detta biancherie usate. Un cappotto di panno color moscato. Una veste lunga di scottino usata. Un missale. Quattro tremesti. Un diurno, e due altri simile libri tutti usati. Due giamberghe usate una di panno moscato, ed altra con giamberghino di pilone dello stesso colore. Un baullo piccolo di pella rossa cintrillato, vuoto. Un cassone di noce grande con entro. Una cutra bianca all’antica. Un panno, ed una fascia di drappo antico per battezare. Un pezzo di damasco nuovo color elemans canna una, e meza. Altro taglio di canne quattro rasone a più colori nuovo. Una coperta di bombace bianca lavorata usata. Altra fascia di ragazzi di amuerre giallo con gallone di oro usata. Cinque lensuoli di tela usati. Altro lensuolo nuovo di orletta con pizzo. Tre coperte di filato bianche usate. Quattro faccie di coscini di orletta con pizzo usate. Altro pajo di faccia di coscini di tela con punto nuovo. Altro pajo di coscini di orletta vecchi senza pizzo. Tovaglie di faccia nuove n. nove. Selvietti di tela n. diece, sette in tocco, e tre usati. Un misale di tavola usato. Due cortine di filato bianche usate. Una gonnelluccia di molla verde usata.
Altro cassone di noce antico vecchio con entro.Una cortina di damasco verde usata. Un tocco di tela cruda lavorata ad occhicello di canne venti per uso di cortina. Un tocco di tela fina di canne venti bianca. Altro taglio di tela bianca di canne cinque e meza. Altra cortina di filato bianca con punto nuovo. Altro tocco di selvietti, e tovaglie a piparello. Una gonnella di calamo a seta color rosa secca usata. Altra di amuerro di molla rigata ed ondata color rosa pallida con gallone di argento in piede. Una conduscia di amuerro fasciato a più colori. Altro simile di amuerro color celeste undato con frijillo di argento pure usato.
Un commodino di amuerro torchino vecchio. Un corpetto di donna di velluto nero in seta con gallone di argento alle maniche. Un cassettino di legname con entro cortelli con maniche di argento all’antica n. otto. Cocchiare e forchette n. diece, cioè cinque cocchiare e cinque forcine. Un piccolo cocchiarone di argento. Due tabacchiere di argento una più grande e l’altra più piccola usate. Un orologgio di argento ad una cassa. Una moschiera di argento. Una sonagliera di argento per ragazzi. Un pajo di fibbie di argento di scarpe grandi osate. Altro pajo per calzoni, ed altro pajo piccolo di scarpe per figlioli. Altro cassottino di ferola con entro le seguenti robbe d’oro. Due paja di orecchini con pietre rosse, o siano rubini. Altro pajo con pietre verdi, o siano smeraldi. Una crocetta grande simile a d.o orecchini. Altra più piccola anche di smeraldi. Quattro anelli con varie pietre, ed una verghetta di oro. Un cagnolino di avolio legato con nocca con piccole perle. Un pajo di Pater Noster con granatini, e migliuzzi di oro grandi, e piccoli con medaglia di argento a filo grana. Una piccola sotto coppa di argento.
Seconda Camera. Altro letto anche con travacca di ferro all’antica, e capizziera con quattro matarazzi di lana usati, ed una vecchia imbottita, ed una coperta di filo gialla. Un boffettino quadro di legname. Una scrivenia di legname vecchia all’antica, con un scarabattoletto di sopra. Un quadro coll’effiggie della B. V. del Capo con cornice indorata. Nove quadri vecchi con diverse effiggie. Due piccoli specchi con cornice di legno nero. Due tondini con cornice di oro. Un cassone di noce vecchio con dentro una cortina di filato color blò vecchia. Cammici n. due, e calzonetti pajo uno usati. Tre tovaglie di faccia usate. Lenzuoli n. quattro usati. Due burò vecchi all’antica vuoti. Un baulle di pella rossa cintrellato vecchio vuoto. Altro cassone di noce piccolo con entro una imbottita di tela di perzia usata. Una cutra bianca usata. Una cortina di filato bianca usata. Un casciabanco entro del quale non si è trovato altro, che una cistolina di paglia, dentro la quale due borzi di seta, ed in queste si sono trovate di moneta di argento Docati venti tre. Più una cambiale di firma del Sig.r Marchese D. Giuseppe Lucifero a suo favore della somma di Docati mille trecento settanta otto. Un biglietto di Doc.ti undeci, g.a cinquanta cinque ca.lli tre sopra il Proc.e del Capitolo Can.co Siniscalco. Una caldaja di rame, ed una sella vecchia.
Camera della Cocina. Cassarola con coperchio, e due braciere tutte usate. Una giarra per uso di acqua. Un cassone di noce grande vecchio vacuo. Una boffetta di tavola vecchia per uso di cocina. Altra giarra per uso di acqua. Altro boffettino quadro usato. Un alcontarano vecchio all’antica. Un burò con stipo di sopra usato.
Nella Cantina. Botti per uso di conserva di vino n. dodeci vuoti. Una carratella di c.a barili diece piena di vino. Damegiane di vetro n.tre. Fiaschi di creta n. quattro.”
Un mese dopo per atto del notaio Nicola Partale, il 24 giugno 1799, Maria Giuseppa Massa col consenso del marito vendeva per ducati 324 la casa ereditata, che era stata della zia Anna Massa, ai coniugi il mastro Domenico Rocca e Caterina Nicoletta. La casa vicina al palazzo, era costituita da tre camere superiori e due bassi ed era situata in parrocchia di Santa Veneranda, vicino alla chiesa parrocchiale ed attaccata alle case, che furono del q.m Felice Simina.
Note
[i] ASCZ, Busta 253, anno 1665, ff. 20v-21.
[ii] AVC, Acta Sanctae Visitationis ab Ill.mo ac R.mo D.no Episcopo D. Marco Rama, A. D. 1699 confecta, f. 146v.
[iii] AVC, Acta Sanctae Visitationis ab Ill.mo ac R.mo D.no Episcopo D. Marco Rama, A. D. 1699 confecta, f. 120v.
[iv] AVC, Libro dei Morti.
[v] ASCZ, Busta 49, anno 1630, f. 55.
[vi] ASCZ, Busta 253, anno 1675, ff. 4-5.
[vii] ASCZ, Busta 253, anno 1675, ff. 39v-40.
[viii] ASCZ, Busta 253, anno 1675, ff. 62-65.
[ix] AVC, Acta Sanctae Visitationis ab Ill.mo ac R.mo D.no Episcopo D. Marco Rama, A. D. 1699 confecta, ff. 70v, 144.
[x] AVC, Anselmus de la Pena, Visita, 1720, f. 58.
[xi] AVC, Acta Sanctae Visitationis ab Ill.mo ac R.mo D.no Episcopo D. Marco Rama, A. D. 1699 confecta, f. 136v.
[xii] ASN, Cam. Som., Catasto Onciario Cotrone, 1743, vol. 6955, f. 70.
[xiii] AVC, Anselmus de la Pena, Visita, 1720, f. 39v.
[xiv] ASCZ, Busta 611, anno 1713, f. 4.
[xv] ASCZ, Busta 664, anno 1734, f. 66.
[xvi] ASCZ, Busta 793, anno 1743, ff. 1-10.
[xvii] ASN, Cam. Som., Catasto Onciario Cotrone, 1743, vol. 6955, f. 3.
[xviii] ASCZ, Busta 1063, anno 1744, f. 27.
[xix] AVC, Platea Capitolo, 1758 e 1759.
[xx] ASCZ, Busta 917, anno 1771, f. 49.
[xxi] ASCZ, Busta 1774, anno 1779, ff. 33-34.
[xxii] AVC, Platea Mensa vescovile 1780/1781, f. 26.
[xxiii] AVC, Catasto Onciario Cotrone, 1793, f. 46.
Creato il 12 Marzo 2015. Ultima modifica: 31 Ottobre 2022.