La badia regia di S. Maria de Prothospatariis nella Pescheria di Crotone
Situata in vicinanza del quartiere “Piscaria”, la chiesa fu originariamente un semplice beneficio e fu così detta dal nome del fondatore della famiglia dei Prothospatari, che la costruì o la ricostruì e la dotò.[i] Tra il 1577 ed il 1579, la chiesa risulta già sotto giuspatronato regio; ciò favorì la nomina di rettori, non soggetti al potere vescovile, per lo più assenti, che delegarono ad un prete economo locale l’amministrazione dei beni della chiesa, costituiti da fondi rustici che venivano dati in fitto per bando pubblico ai coloni.
Durante il Cinquecento la cappella di Santa Maria risulta una delle dodici esistenti in città.[ii] Con la nuova organizzazione fatta dal vescovo Giovanni Lopez (1595-1598), il suo ambito territoriale venne ampliato, includendo anche quello della vicina soppressa chiesa di Sant’Angelo che era situata al centro del quartiere della Pescheria. La riduzione delle parrocchie da 12 a 5 fu causata dalla loro povertà, così facendo i cappellani delle stesse con l’unione delle loro rendite, avrebbero potuto in futuro sostenersi più decorosamente. Infatti, ognuna delle nuove parrocchie nella prima metà del Seicento, godeva di una rendita annua di quasi un centinaio di ducati; ed una di esse, la chiesa di presentazione regia di Santa Maria de Prothospatariis, poteva contare su una rendita di oltre 300 ducati.[iii]
Questa cappella o parrocchia, era conferita dallo stesso re, ed il candidato era esaminato ed approvato dal regio cappellano maggiore di Napoli.[iv] La “badia” conservò il regio patronato nel Settecento, anche se sulla natura e sui limiti di questa prerogativa vi furono varie liti con i vescovi della città.
Il parroco napoletano Giovanni Mellucci dapprima godette donazioni,[v] ma ben presto vide crescere l’ostilità dell’aristocrazia e fu perseguitato dal vescovo Marco de Rama (1690-1709), il quale appena giunto in città, nel 1691 lo imprigionò nelle carceri vescovili.[vi] Fatto oggetto di accuse infamanti[vii] e di amministrare male i beni della chiesa,[viii] cercò dapprima di opporsi portando testimonianze favorevoli, poi reclamò la regia giurisdizione ma invano. Con un editto datato 11 giugno 1695, la Congregazione dei Vescovi accoglieva le istanze del vescovo Rama, il quale poteva così affermare che, pur essendo la chiesa di Santa Maria de Prothospatariis di regia presentazione e che quindi, spettava al re delle Spagne inviare cedole reali all’eletto, al quale poi erano rilasciate le bolle della curia vescovile di Crotone, tutto ciò non limitava i diritti ed il potere vescovile, sia per quanto riguardava le visite, sia nella indagine contro lo stesso parroco nelle cause civili, criminali e miste.[ix]
Forte di queste prerogative il vescovo visitò la chiesa il 5 dicembre 1699, ma trovò che il rettore se ne era andato, lasciando la cura delle anime ad un economo, il sacerdote crotonese Leonardo Villaroja. Tuttavia, egli ispezionò l’edificio e fece compilare l’inventario dei beni che vi si trovavano. La chiesa era fornita di un calice con coppa d’argento e sua patena, un quadro con le tre generazioni divine, un armadio ed un confessionale nuovi, la campana grande, un campanello di bronzo e poche altre cose. Essa poteva contare sulle rendite provenienti dall’affitto di alcuni fondi rustici dell’estensione complessiva di 74 salme e da un piccolo censo su alcune case.[x]
Limitata quindi nelle sue libertà, durante il vescovato di Marco Rama nella chiesa non si conservavano i sacramenti[xi] e pur essendo di regia presentazione, il parroco in verità era costretto sotto la giurisdizione vescovile.[xii]
Morto il rettore-parroco D. Giovanni Mellucci, la “badia” fu amministrata per alcuni anni da un regio economo, il reverendo Giuseppe Gaudioso, cappellano d’onore della Real Cappella,[xiii] il quale svolgerà temporaneamente anche la carica di economo della Mensa vescovile, essendo la sede rimasta vacante per morte del vescovo Marco de Rama.[xiv]
Il nuovo regio cappellano, il crotonese Marco Codispoti, appena ne ebbe preso possesso, trovatola in stato precario e miserevole, vi convocò il 24 giugno 1713, il notaio Pelio Tirioli ed, in presenza di numerosi testimoni, fece compilare un atto in cui veniva attestato lo stato di degrado in cui versava “la regia cappella, sita dentro le mura e confinante con il palazzo di Domenico Suriano di Fabritio, le case del fu cantore Diego Leone, strada mediante avanti le due porte della cappella … Detta cappella have un calice, non abile per potersi celebrare per non esservi oro, un cammiso vecchio, quattro pianete, rossa, paunazza, verde e bianca, quasi lacere, un messale vecchio, un avant’altare bianco, tre tovaglie vecchie, et il quadro tutto roso dal tempo e senz’altri suppellettili necessarii per il santo sacrificio della messa, ma medesimamente così la porta maggiore, come la piccola della medesima disfatte in maniera che, così l’una, come l’altra hanno per chiudenda due pietre e le mura in più parti offese dal tempo e particolarmente il muro della porta piccola laterale di detta cappella sta quasi cadente e quello della tripona tiene bisogno d’acconcio per rinforzo essendo aperto”.[xv]
Dopo più di cinque anni di sede vacante fu eletto il nuovo vescovo Michele Guardia (1715- 1718) il quale, riprendendo l’uso del vescovo Rama, costrinse alla visita il rettore della chiesa ma questi si ribellò e protestò presso i regi tribunali e dopo aspra lite fu sentenziato dal preside della reale giurisdizione, Cajetano Argento, che la chiesa e l’abbate di S. Maria de Protopspathariis erano esenti dalla giurisdizione vescovile.
Così si praticò durante il vescovato di Michele Guardia e del suo successore Anselmo dela Pena (1719-1723).[xvi]
Il vescovo seguente Gaetano Costa (1723-1753) cercò di ripristinare i diritti della curia crotonese sulla cappella. Prendendo a pretesto che l’otto settembre 1731, giorno dedicato alla Natività della Beata Maria V. e festa patronale della chiesa, il rettore vi aveva eretto un trono decorato con un drappo per il regio governatore, citò ed interdisse il Codispoti, il quale fuggì a Napoli dove espose ai ministri regi che la “badia” era all’origine un semplice beneficio e che era stata in seguito gravata illecitamente dai vescovi di Crotone della cura delle anime.
Questa affermazione fu accolta ed il vescovo fu costretto a consegnare la chiave della cappella al regio governatore della città, affinché non vi si esercitasse più la cura delle anime, ed inoltre fu levata l’interdizione affissa contro il regio cappellano. Invano il vescovo ricorse al nunzio della Santa Sede di Napoli, mandando documenti da cui risultava che la chiesa non fu gravata della cura delle anime, ma che dal vescovo Giovanni Lopez erano stati aumentati i parrocchiani, aggiungendovi quelli della soppressa chiesa di Sant’Angelo.[xvii]
Stabilito che la chiesa di regia collazione era originariamente un semplice beneficio della famiglia Prothospatari, fu imposto che in futuro per nessun motivo si dovessero esercitare in questa chiesa le funzioni parrocchiali. Le chiese parrocchiali si ridussero quindi da cinque a quattro,[xviii] essendo la cappella di Santa Maria “dismessa”.[xix]
Perdurando questa situazione, durante il papato di Clemente XII, preso atto di ciò, il 28 novembre 1733 si invitava il vescovo ad unire i parrocchiani della chiesa di S. Maria de Prothospatariis alle rimanenti vicine parrocchie della città.[xx]
Così si procedette come risulta da un atto rogato nella primavera di tre anni dopo e riguardante la costruzione da parte di Leonardo di Cola, della chiesa di San Vincenzo Ferreri, edificata nel vicino luogo detto “il casaleno della Palma … dell’olim Parocchia di S. Maria Prothospatariis”, tra la chiesa di S. Maria, la casa detta la Palma, la casa del seminario ed il palazzo del decano Filippo Suriano.[xxi]
Morto l’abate Marco Codispoti, dal 1736 al 1739 la badia rimase vacante e fu amministrata dapprima dal regio governatore ed economo Leonardo de Mauro e poi, passato a miglior vita anche costui, dal marchese Francesco Cesare Berlingieri.[xxii]
Frattanto si era instaurato il nuovo governo borbonico ed il vescovo Costa, approfittando anche del fatto che la badia era vacante, fece presente sia lo stato di disagio della popolazione, sia che la chiesa era stata da tempo immemorabile parrocchiale.
Così nel 1738 egli supplicò il nuovo re, Carlo III di Borbone, affinché il beneficio di Santa Maria de Prothospatariis fosse restituito al suo primitivo stato di “benefizio curato”[xxiii] e dopo una lunga discussione in camera reale durata due anni, il sovrano si degnò di comandare che la chiesa ritornasse alle condizioni del passato, aggiungendo che, secondo il prescritto del Concilio Tridentino, il vescovo indicesse il concorso per il rettore e mandasse poi al re i nomi dei concorrenti più degni, in modo da poter egli scegliere quello che più gli accomodava.[xxiv]
Ma il nuovo regio abbate, il crotonese Gio. Paolo Pipino,[xxv] appena nominato accusò coloro che avevano amministrato durante la sede vacante, di avere commesso degli illeciti, affittando i territori e le gabelle della badia sotto prezzo ed a prestanome[xxvi] e, non solo non si prese cura delle anime, anzi oppose resistenza al vescovo, dichiarando che non riconosceva altro superiore che il cappellano maggiore del regno.
Tuttavia, il vescovo Costa riuscì ad ottenere che un sacerdote da lui approvato fosse aggiunto al rettore per amministrare il sacro e così ogni cosa tornò normale.[xxvii]
Alla metà del Settecento[xxviii] la chiesa di Santa Maria de Prothospatariis di regia collazione, era ritornata parrocchiale e solo essa tra le cappelle della città, aveva il privilegio di conservare i sacramenti e tutto ciò che per i medesimi era necessario, mentre le altre parrocchie, tutte di libera collazione, dovevano ancora, come per il passato, rifornirsi dalla cattedrale.[xxix]
Così è evidenziato il legame che intercorreva tra la cattedrale e le chiese parrocchiali della città in una relazione del vescovo del tempo, il crotonese Giuseppe Capocchiani (1774-1788): “In questa città di Crotone un perpetuo e antichissimo uso è sempre stato rispettato e cioè che i parroci, eccetto la messa, che sono tenuti a celebrare nelle domeniche e nei giorni festivi nelle loro parrocchie, i rimanenti sacramenti li assumono solamente dalla chiesa cattedrale e da essa essi prendono il santo viatico e l’olio degli infermi per gli ammalati, ed in essa anche si conserva nella sacrestia i libri parrocchiali dei battezzati, dei morti e dei matrimoni. A ragione quindi posso rettamente affermare che la cura vera e propria delle anime appartiene completamente alla cattedrale e le parrocchie in verità non sono altro se non cappelle dipendenti dalla stessa, erette solamente per la comodità del popolo, specie delle donne, per celebrarvi ed ascoltarvi il sacro nei giorni festivi. Perciò a Crotone i parroci non sono chiamati parroci ma cappellani e le chiese parrocchiali sono dette cappelle. In tali circostanze non è da prendere in considerazione se le cappelle o parrocchie manchino del sacramento dell’Eucarestia e dell’olio degli infermi ed ancora meno se i parroci o cappellani non siano soliti abitare entro i confini delle loro cappelle. È sufficiente che risiedano entro la città il cui centro è la chiesa cattedrale vera e propria parrocchia di tutti i cittadini la di cui cura si esercita dagli stessi cappellani.”[xxx]
Da tutto ciò risulta evidente il diverso rapporto con il vescovo che esisteva tra il rettore della badia regia di Santa Maria de Prothospatariis ed i parroci delle altre cappelle della città. Fu stabilito infatti che, quando la “badia” fosse rimasta vacante, per speciale delega reale, tramite l’organo del cappellano maggiore del regno, dall’ordinario si indicesse il concorso secondo le disposizioni del concilio tridentino. Gli atti autografi dei concorrenti, senza alcun giudizio né dello stesso ordinario né degli esaminatori sinodali, dovevano essere poi trasmessi a Napoli al predetto cappellano, il quale con i suoi teologi ed esaminatori, li avrebbe giudicati e, riferito del loro contenuto al re, quest’ultimo avrebbe concesso la provvigione regia ad uno dei concorrenti.[xxxi]
La chiesa confinava stretto mediante, con il palazzo di Antonia Suriano[xxxii] e, davanti alla sua porta, passava la strada pubblica[xxxiii] che la separava dalla chiesa filiale di San Vincenzo Ferreri.[xxxiv] In essa al tempo del parroco Vincenzo Greco, vi erano eretti due altari: uno dedicato a S. Gaetano e l’altro a S. Luigi Gonzaga, dove i parrocchiani per loro devozione nei giorni della festa dei santi, facevano dire delle messe cantate[xxxv] e al tempo della Cassa Sacra fu in buona parte rifatta.[xxxvi] La chiesa rimase parrocchiale[xxxvii] e mantenne il regio patronato per tutta la prima metà dell’Ottocento.[xxxviii]
Al suo interno all’inizio del vescovato di Leonardo Todisco Grande (1833-1849), oltre all’altare maggiore e alle due immagini della Beata Maria Vergine della Pietà e del Rosario, vi erano la fonte battesimale ed un altare eretto in onore della Beata Vergine dei Sette Dolori e di S. Gaetano.[xxxix]
Note
[i] Famiglia abitante a Crotone già nel sec. XV: “Jo. Antonio de Prothospatariis de Cotrone” partecipa ai lavori di fortificazione della città (ASN, Dip. Som. fasc. 196, f.li 1, 2 (1485-1486). All’inizio del Seicento, Perruccio Alfonso e Scipione Prothospatari, possedevano ancora una casa palaziata in parrocchia di S. Maria Prothospatariis (ASCZ, Busta 117, anno 1626, f. 128). Nel 1631 Mutio Prothospatario comprò da Francesco Campitello, la terra della Rocca di Neto di cui furono feudatari per un breve periodo (ASCZ, Busta 108, anno 1631, f. 147). Al tempo del Nola Molise risultavano tra le famiglie assenti dalla città (Nola Molise G. B., Cronica dell’antichissima e nobilissima città di Crotone, 1649, p. 204).
[ii] ASN, Dip. Som. fs. 196, 197; Dip. Som. 315/9, Conto del m.co Giulio Cesare de Leone,1570 et 1571.
[iii] ASV, Rel. lim. Crotonen. 1631, 1640.
[iv] ASV, Rel. Lim. Crotonen. 1670.
[v] Il barone di Apriglianello Diego Suriano, dona al parroco le entrate di una gabella col peso di celebrare alcune messe in suffragio del padre Dionisio, ma dopo alcuni mesi, sia perché non sono state celebrate le messe, sia per altri motivi, revoca la donazione. ASCZ, Busta 335, anno 1685, f. 1; Busta 335, anno 1687, ff. 13-14.
[vi] ASCZ, Busta 337, anno 1696, f. 12.
[vii] Il parroco è accusato di aver istigato una serva a rubare alcuni vestiti al suo padrone, e di averne poi fatto incetta. ASCZ, Busta 336, anno 1692, ff. 151-153.
[viii] Il massaro G. B. Lombardo attesta che nel 1692, “in tempo che li sementati erano maturi”, fu chiamato dal parroco Mellucci affinché andasse ad apprezzare il sementato di una gabella della parrocchia data in fitto a dei coloni. ASCZ, Busta 337, anno 1696, f. 79.
[ix] AVC, Acta Sanctae Visitationis ab Ill.mo ac R.mo D.no Episcopo D. Marco Rama, A. D. 1699 confecta, f. 12.
[x] AVC, Acta Sanctae Visitationis ab Ill.mo ac R.mo D.no Episcopo D. Marco Rama, A. D. 1699 confecta, ff. 113-114.
[xi] ASV, Rel. Lim. Crotonen. 1700, 1722, 1727.
[xii] ASV, Rel. Lim. Crotonen. 1706.
[xiii] ASN, Dip. Som. F. 532, Conto della abatia di S.ta Maria Protospadari (1710-1712).
[xiv] ASN, Dip. Som. F. 315, Conto mensa vescovile di Cotrone (1711-1712).
[xv] ASCZ, Busta 659, anno 1713, f. 9.
[xvi] AVC, Anselmus de la Pena, Visita, 1720, f. 10.
[xvii] ASV, Rel. Lim. Crotonen. 1733.
[xviii] “Exigua … ad quinq. animarum millia ascendens, in quatuor Parochias partitur”. ASV, Rel. Lim. Crotonen. 1735.
[xix] 25.5.1732. L. Petrolillo possiede un palazzo nella cappella dismessa sotto il titolo di S. Maria. ASCZ, Busta 664, anno 1732, f. 120.
[xx] ASV, Cod. Vat. Lat. 10713, ff. 74v-75.
[xxi] Il 25.3.1736 Michele del Castillo vende a Leonardo di Cola, un terreno detto il casaleno della Palma per costruirvi una chiesa. ASCZ, Busta 665, anno 1736, ff. 45-47.
[xxii] ASCZ, Busta 911, anno 1739, ff. 29-30.
[xxiii] Vaccaro A., Kroton, Ed. Mit 1965, Vol. I, p. 463.
[xxiv] ASV, Rel. Lim. Crotonen. 1738.
[xxv] Gio. Paolo Pipino era figlio di Dionisio Pipino e di Antonia Aragona. ASCZ, Busta 912, anno 1745, ff. 114-115.
[xxvi] Alcuni massari cercano di scagionare il marchese Berlingieri dichiarando che gli affitti dei territori della badia erano stati fatti “con incanti e subastazioni nella pubblica piazza … e si sono liberati alli maggiori offerenti”. ASCZ, Busta 911, anno 1739, ff. 29-30.
[xxvii] ASV, Rel. Lim. Crotonen. 1744.
[xxviii] Risulta regio parroco fin dal settembre 1746 Benedetto Avarelli, a cui seguirà Michele Villaroija. AVC, Liber in quo coniugati adnotantur regiae Ecclesiae S.tae Mariae Par.co D. Benedicto Avarelli et eius successore D. Michaele Villaroija, A. D. 1747.
[xxix] ASV, Rel. Lim. Crotonen. 1754.
[xxx] ASV, Rel. Lim. Crotonen. 1778.
[xxxi] ASV, Rel. Lim. Crotonen. 1775.
[xxxii] Il palazzo dal decano Filippo Suriano passò a Fabrizio Suriano che vi abitò con la famiglia e fu poi ereditato dalla figlia Antonia, moglie di Raffaele Suriano, che lo vendette nel 1773 a Marzio Messina. Al tempo della vendita al Messina, il palazzo era formato da due quarti, uno superiore e l’altro inferiore, composti da più e diverse camere e con più e diversi bassi a piano terra, in uno dei quali vi era un mulino centimulo. Aveva stalla, pozzo, cortile con scala di cantoni e un giardinello o vaglio scoperto. ASCZ, Busta 665, anno 1736, ff. 45-47; Busta 1344, anno 1773, f. 107.
[xxxiii] ASCZ, Busta 667, anno 1747, f. 56.
[xxxiv] ASCZ, Busta 665, anno 1736, ff. 45-47; Busta 911, anno 1740, ff. 42-43.
[xxxv] AVC, Nota delle chiese e luoghi pii ecclesiastici e secolari esistenti nel distretto della giurisdizione del regio governatore della città di Cotrone, Cotrone 18 febbraro 1777.
[xxxvi] Richiesta da parte del parroco regio della chiesa di S. Maria de Protospatariis di regio patronato del 31.8.1793. ASCZ, C. S.- Segr. Eccles. Cart. 43, fasc. 962 (Costruzione di S. Maria de Protospatariis).
[xxxvii] Dal 1793 era parroco Gabriele Messina che prima era stato parroco di S. Veneranda Russo F., Regesto XIII, 6. AVC, Elenco dei luoghi pii laicali, 1805; AVC, Stato delle chiese e benefici, 1807; Synodales Constitutiones et Decreta ab Illustrissimo et Reverendissimo Domino D. Leonardo Todisco Grande, Napoli 1846, p. 55.
[xxxviii] “La chiesa cattedrale è coadiutrice di quattro parrocchie, mentre di questa si sono servito sempre di sacramenti e sacramentali, eccetto quella della Reg.a parrocchia di S. Maria”. AVC, Stato delle chiese e benefici, 1807.
[xxxix] AVC, Todisco Grande L., Visita alla chiesa di S. Maria, 1834.
Creato il 10 Marzo 2015. Ultima modifica: 12 Ottobre 2022.