Il palazzo dei Motta Villegas nel largo della chiesa di S. Pietro a Crotone
Don Antonio dela Motta Villegas, o Vigliecas, spagnolo e castellano di Crotone, nei primi anni del Seicento esercitò anche la carica di soprintendente alla regia fortificazione della città e castello di Crotone, e alle nuove torri che si dovevano edificare nelle marine del Marchesato. Sposò la nobile crotonese Donna Eleonora Leone, figlia di Alfimatia Crescente e del capitano Fulvio Antonio Leone. Le sue figlie si accasarono con aristocratici crotonesi: Beatrice andò sposa a Decio o Detio Suriano, Anna a Fabio Pipino, Magdalena ad Orazio Lucifero. Il figlio Geronimo si unì con Beatrice Suriano. Antonio dela Motta Villegas morì il 10 maggio 1611 e fu sepolto nel monastero del Carmine.[i]
La vedova Eleonora Leone si risposò con il capitano spagnolo Juliano Rizon de la Cerda.[ii] Geronimo dela Motta Villegas, figlio di Antonio, abitò a Crotone in alcune case in parrocchia di San Pietro, vicino alle case del barone di Apriglianello Gio. Dionisio Suriano.[iii] Nel 1674 egli era ancora vivente, infatti lo troviamo come curatore di Antonio Suriano, figlio ed erede di Domenico Suriano.[iv] Tra i figli di Geronimo sono ricordati il chierico Carlo[v] ed il capitano Antonio;[vi] tra le figlie Livia e Caterina.[vii]
Il palazzo di Antonio dela Motta Villegas
Il capitano Antonio dela Motta Villegas[viii] sposò Clarice Pelusio, figlia di Gio. Francesco e di Laura Gerardina, che portò una dote del valore di ducati 2200, come risulta dai capitoli matrimoniali stipulati il 7 giugno 1670, per mano del notaio Tommaso Salviati, e dalla ricevuta delle doti, fatta dal notaio Antonino Varano il due giugno 1671. La dote di Clarice, che era composta da terreni e denaro, ritornerà tuttavia ai Pelusio, tranne una piccola parte, essendo morta senza figli. Rimarrà invece ad Antonio dela Motta Villegas il palazzo che egli aveva comprato per quattrocento ducati, dai fratelli di Clarice, Gennaro ed Isidoro Pelusio. Tale palazzo era pervenuto ai Pelusio da una permuta che avevano fatto con Geronimo Syllani, in cambio della gabella Ferrara.[ix]
Sul palazzo acquistato dai Pelusio e su alcune case appartenute a Cesare Presterà, Antonio dela Motta Villegas costruì il suo palazzo. Esso era situato tra la chiesa parrocchiale dei SS. Pietro e Paolo e la cattedrale. Le case, infatti, che andarono a far parte del nuovo palazzo, erano poste vicino alla chiesa parrocchiale dedicata ai SS. Pietro e Paolo, e proprio di fronte a due case “dirutae” di proprietà dell’arcidiaconato della cattedrale di Crotone che, a loro volta, erano davanti alla chiesa.[x]
Dai Villegas ai Palmieri
Il capitano dell’artiglieria della città Antonio della Motta Villegas fece parte della fazione aristocratica cittadina favorevole alla Spagna e al Papa. Ad essa aderivano anche i Barricellis e i De Castillo. Ai primi lo legavano la parentela, Caterina, una delle sue sorelle, aveva infatti sposato il vedovo Giovan Battista Barricellis; ai secondi la stessa origine e la parentela; lo spagnolo Didaco De Castillo era stato castellano di Crotone, mentre il figlio di costui, Antonio, aveva sposato Anna Barricellis, figlia di Gio. Battista e della sorella Caterina.
Durante la lunga guerra di successione di Spagna, nell’ottobre 1708, i congiurati in favore di Filippo V e di Clemente XI, capitanati da Antonio del Castillo, sono pronti ad entrare in azione. È infatti del primo ottobre un messaggio di Antonio del Castillo diretto al cardinale Paolucci, col quale egli invoca l’aiuto delle milizie pontificie, assicurando di aver predisposto una ampia rete di congiura. Ad un suo ordine, il popolo e gran parte dei nobili di Crotone e dei paesi vicini, insorgeranno e cacceranno i Tedeschi.[xi]
Morto senza lasciare figli nel 1710 Antonio dela Motta Villegas, per testamento rogato nel maggio di quello stesso anno dal notaio Francesco Antonio Tiriolo, fu nominata erede universale e particolare sopra tutti i beni mobili e stabili la sorella Livia. Questa, “dubitando che detta heredità li sia più dannosa che utile e fruttuosa”, decise di accettarla col beneficio dell’inventario. Per tale scopo incaricò il figlio, Carlo Mannarino di Rossano,[xii] il quale assieme al giudice Domenico Asturi ed al notaio Stefano Lipari, il due luglio dello stesso anno, si recò nel palazzo dove aveva abitato il Motta Villegas.
Tale palazzo era situato sempre in parrocchia dei SS. Pietro e Paolo, e confinava con le case degli eredi del fu Antonio Varano, le case di Giuseppe La Piccola, via pubblica ed altri confini.[xiii] Non passa molto tempo, che sul finire dello stesso anno, Livia dela Motta Villegas, che risiedeva a Rossano, lo vende ad Isabella Duarte,[xiv] vedova del dottor Gio. Domenico Palmieri di Cutro. Nell’atto di vendita il palazzo, o continenza di case, è descritto come “consistente in più e diversi membri superiori e inferiori, cortile coperto e scoperto, gisterna in esso, e scala di pietra”. Esso era situato “proprio nel largo” davanti alla chiesa parrocchiale dei SS. Pietro e Paolo e confinava da una parte, con le case del canonico Carlo Presterà e di Giuseppe La Piccola e dall’altra, con le case del fu notaio Antonino Varano, via pubblica ed altri confini.
Incaricato di trovare il compratore era stato il figlio di Livia, Carlo Mannarino, il quale, dopo aver “passato diverse diligenze”, era riuscito finalmente a trovare l’acquirente. Il prezzo di vendita del palazzo fu stabilito in ducati 650, dei quali ducati 250 la Duarte si impegnò a consegnare all’atto della stipula del contratto, e i rimanenti ducati 400 “nel dì della terza domenica di maggio dell’entrante 1711”. Non avendo tuttavia la Duarte nemmeno pronti i ducati 250 da dare in acconto, contrasse un prestito per quella cifra con il rettore e gli ufficiali del Monte dei Morti dell’Operarii Pii della città.[xv] Fu così che sulle sue proprietà, costituite da alcune vigne e da una gabella, alle quali si aggiunse il palazzo, Isabella Duarte pagherà ogni anno un censo di ducati 15 (6%) per il capitale di ducati 250 al Monte dei Pii Operaii.[xvi] Da Gio. Domenico Palmieri ed Isabella Duarte nacquero due figlie: Antonia, che andò sposa a Gio. Aloisio Soda, e Caterina, che si accasò con Pompeo Catalano di Catanzaro,[xvii] “sostituto cassiero delle seti” della città di Catanzaro,[xviii] portandogli in dote il palazzo.
Nel 1720, morta Isabella Duarte,[xix] il palazzo era già in possesso della figlia Caterina Palmieri.[xx] Il 17 maggio 1729, con atto del notaio Pelio Terioli, Caterina Palmieri rinegoziava il prestito col Monte dei Morti, impegnandosi a pagare sul capitale di ducati 250, un annuo censo di ducati 12 e mezzo (5%) sopra il suo palazzo, la vigna ed una gabella.[xxi]
Dai Palmieri ai Di Antico
In seguito, poiché già da tempo era andata a vivere a Catanzaro,[xxii] incaricò il marchese Francesco Cesare Berlingieri di vendere il palazzo. Dopo parecchio tempo il marchese riuscì finalmente a trovare degli acquirenti nei figli ed eredi di Antonio di Antico e della moglie Catarina Carranza, cioè i figli: il notaio Felice, il mercante Leonardo, applicato alla bottega di droghe e merci, il notaio Michele e le figlie Carmena, Anna Maria, Teresa, Elisabetta e Lucrezia.[xxiii]
Il 23 ottobre 1748 veniva stipulato presso il notaio Nicola Rotella, l’atto di vendita tra il marchese, come procuratore della Palmieri, ed il pubblico mercante di merci Leonardo di Antico, i fratelli Felice e Michele e le sorelle Anna Maria, Teresa, Elisabetta e Lucrezia. Caterina Palmieri cedeva ai Di Antico il suo palazzo dotale, situato in parrocchia dei SS. Pietro e Paolo. In tale atto esso è descritto confinante con le case di Nicodemo Puglise da una parte, e con quelle della Signora Laura Antenori dall’altra. Il suo valore fu stabilito in ducati 830. Parte della somma, precisamente ducati 250, tuttavia, fu trattenuta dagli acquirenti, in quanto sul palazzo gravava il vecchio annuo censo dovuto al Monte dei Morti. Il contratto di vendita verrà poi perfezionato il giorno 11 novembre 1748 con atto del notaio Antonio Varano, ed il 7 dicembre dello stesso anno con atto del notaio Nicola Rotella.[xxiv]
Il palazzo rimase di proprietà dei d’Antico che vi abitarono. Il 20 novembre 1752 il notaio Felice Antico ed i fratelli Leonardo e Michele, avendo bisogno di denaro, presero in prestito dai frati del convento dei minori conventuali di San Francesco di Crotone, un capitale di ducati 100, impegnandosi a pagare un annuo censo affrancabile di ducati 5 su tutti i loro beni ed in particolare, sul palazzo dove abitavano ed il giardino, ereditato dal padre, composto da vigne, alberi fruttiferi, terreno vacuo, torre di fabrica ed altre comodità, situato nel luogo detto Gesù e Maria di sopra la Pignera.[xxv] L’indebitamento dei Di Antico continuerà: un altro annuo canone di ducati 5 per capitale di ducati 100, verrà contratto sempre con il Monte dei Morti, con atto del 1759 del notaio Felice Antico. Nel 1769 il notaio Michele d’Antico, assieme ai fratelli e sorelle, possedeva ancora il palazzo, che era appartenuto a Caterina Palmieri. L’edificio in quell’anno risultava gravato dal vecchio annuo canone redimibile di ducati 12 e mezzo per capitale di ducati 250, a suo tempo rinnovato da Caterina Palmieri con il Monte dei Morti,[xxvi] al quale si erano aggiunti quelli di ducati cento al cinque per cento del 1752 con i conventuali, e quello dello stesso valore del 1759 con il Monte dei Morti.[xxvii] I canoni, che i Di Antico dovevano al Monte dei Morti, passarono nel 1769 a beneficio del capitolo della cattedrale di Crotone.
Gli eredi di Leonardo di Antico
Sul finire del Settecento Michele Lapiccola e Raffaele Antico risultano gli eredi di Leonardo Antico. Come tali essi devono pagare i vecchi censi sopra i beni che hanno ereditato, tra i quali ogni 20 novembre, annui ducati 5 al soppresso convento dei conventuali, ed ogni 15 agosto al soppresso convento dei Minimi di San Francesco di Paola, un canone sopra un vignale situato nel luogo detto il Piano del Ponte, di annui ducati sette e grana 54. Essendo i due conventi soppressi, esigeva i pagamenti la Cassa Sacra.[xxviii] La proprietà dei Di Antico aveva già cominciato a sfaldarsi.
Dal catasto onciario di Cotrone del 1793 risulta che Mazza Andrea, fu Domenico, di anni 38 possedeva due camere dotali che aveva comprato con Bruno Gustinello dagli eredi di Leonardo Antico.[xxix] Sempre nel catasto Raffaele Antico di 51 anni è descritto come miserabile. Possedeva una vigna o chiusa in località Gesù e Maria che era di Leonardo Antico.[xxx] Michele Lapiccola aveva 64 anni, viveva assieme al figlio ventiquattrenne Giuseppe ed al fratello Francesco, canonico di 80 anni. Locava alcuni bassi sotto la sua casa. Possedeva un mulino macinante e 800 ducati impiegati a negozio ed una vigna che era stata di Leonardo Antico. Pagava fra l’altro, ducati 5 al soppresso convento di San Francesco d’Assisi e per esso alla Cassa Sacra.[xxxi]
Don Antonio del Castillo al cardinale Paolucci, segretario di stato.
“Em.mo Sig.e P.ne
Ho compatito, et hora più che mai compatisco li travagli di N. S. Papa et del mio Invittiss.mo Filippo Quinto Dio S., che vengono inferiti dai Tedeschi, per lo che conviene giustam.te a Sua S.a non solo guardarsi il Suo, ma difendere fortemente il Stato Ecclesiastico e far tutto quanto conviene, forze chi sa, e Idio benedetto si moverà in compass.ne a togliere questo povero et angustiatiss.mo Regnio dal Arabo Comando de’ tedeschi; La onde Io, ritrovandomi in questo angolo di mondo, ben si di non poca consideratione al regnio di Napoli, col Sign.r Gio. Batt.a Barricellis mio socero, el Cap.n di questa Artiglieria S.r D. Antonio della Motta Villegas mio zio, son stato sempre con li medemi miei congionti carico di buon animo, non meno a favor del Invitt.mo Filippo Q° mio Sig.re, che di Sua Beatitudine, a spargervi sino all’ultima goccia del mio sangue, gia che Idio mi fè nascere Nobile di questa Città, però la sorte non mi ha permesso fin ora che io dimostri la veemenza del spirito mio e la fedeltà della mia Casa, per l’impossibilità accaduta e le scongiunture roverciate a danni universali per gli peccati della Christianità, e mercè ancora all’inumani e traditoreschi azzioni non men del popolo, che della Nobiltà Napolitana, che per la troppo volubilità della quale trovasi questo Regnio e il culto ecclesiastico in sì pessimi partiti; che però rappresentandomisi adesso congiontura rilevante per far conoscere a S.a Santità et all’Invitti.mo nostro Filippo Q. D. L., quanto sia stato grande, e sia l’animo mio, e del sudetto mio socero e zio, per servitio del nostro mal conosciuto monarca Filippo Q. D. L. e feliciti sempre. Sappia V.a Em.a che sin da un pezzo Io e detti miei stretti congionti habbiam machinato, e nudrito d’impadronirci di questa Città e fortezza di Cotrone, quale è la chiave di queste due Provincie e sostegnio di tutto il Regnio, e di far priggioniero il tenente coronello di cavalleria tedesca, con sua compagnia del Regimento di Carafa, che stà annidato dentro questa città in casa di D.n Anibale Berlingierio, usando con superbia stranezze già mai intese a questi cittadini e terre convicinate, e già per gratia di Dio S. N. habbiamo disposto le materie con tutto registro e segretezza, in maniera tale che ad ogni mio cenno sarò fedelmente assistito e ubedito, non solo da questo Popolo e da buona parte de Nobili miei cari congionti, ma parimente da alcune terre qui convicine, e si assicuri V.a Em.a che impadronendomi, come spero colla gratia di Dio, io con mio socero e zio di questa gran fortezza, sarebbe l’esterminio e calamità di questo Regnio, però Em.mo Sig.re primo di darsi da noi si passi cimentosi ed irettrattabili ne habbiano prevenito in Roma al S.r D. Dionisio Bunn mio cogniato, a finchè si fosse portato a suoi piedi e dell’Em.mo Cardinal della Tremovilla a farne partecipe all’Em.e loro, per prenderne gl’oracoli e le più certiere direttioni e tutto ciò metterà in esecutione detto S.r D. Dionisio subito che sarà riavuto dalla di lui indispositione, però è parso adesso a Noi raguagliarne a V.a E.a a drittura per magg.r mia sodisfatione acciò che mi ordinasse con celerita la dispositione di una si importante facenda …”. Cotrone p.ma ottobre 1708.
Note
[i] Nel monastero del Carmine troveranno sepoltura anche la figlia Giovanna Margherita della Motta Vigliecas (9.7.1611) ed il figlio Arrigo della Motta Vigliecas (24.6.1613). AVC, Libro dei Morti.
[ii] ASCZ, Busta 117, anno 1626, ff. 80-82.
[iii] L’abitazione del barone di Apriglianello, Gio. Dionisio Suriano, era situata in parrocchia di San Pietro, e confinava con le case di Geronimo della Motta Villegas e le case di Fabrizio Manfredi. ASCZ, Busta 229, anno 1655, f. 143.
[iv] ASCZ, Busta 334, anno 1674, f. 24.
[v] Nel 1654 Geronimo dela Motta Villegas dona al figlio, il chierico Carlo, una vigna che era stata a lui donata dal q.m chierico Francesco dela Motta Villegas. La vigna era composta da alcune viti da alberi e terre vuote e confinava con la Campitella. ASCZ, Busta 229, anno 1654, f. 122.
[vi] Il 30 agosto 1630 con atto del notaio Gio. Francesco Rigitano, Geronimo della Motta Villegas, Filippo della Motta Villegas, ed il capitano Fulvio Leone, prendono in prestito 150 ducati al tasso dell’8% dal monastero domenicano di Santa Maria della Grazia. Nel maggio 1666 Geronimo della Motta Villegas, presente anche il figlio Antonio, estingue il debito, ritornando il denaro al procuratore dei conventi soppressi. ASCZ, Busta 312, anno 1666, ff. 101-102.
[vii] Giovanni Battista Barricellis prima sposò Aloisia Pipino, rimasto vedovo si risposò con Caterina Motta Villegas. AVC, Acta Sanctae Visitationis ab Ill.mo ac R.mo D.no Episcopo D. Marco Rama Ordinis Eremit.rum S.ti Augustini, A. D. 1699 confectae, f. 55.
[viii] Nel 1687 il capitano Antonio dela Motta Villegas compra a Crotone per il dottor Carlo Blasco di Rossano, una turca bianca da Domenico Conula di Positano. ASCZ, Busta 335, anno 1687, ff. 13-16.
[ix] Da Gio Francesco Pelusio e Laura Gerardina, figlia di Agostino e di Orania Lucifero, nacquero numerosi figli: Clarice, Gennaro, Lucrezia, Isidoro, Auria e Dionisio. ASCZ, Busta 497, anno 1706, ff. 42-43.
[x] L’arcidiacono possiede “due case avanti la parrocchia de SS. Pietro e Paolo e le case di Cesare Presterà hoggi del cap.n D. Antonio Villegas fruttavano il canone d’annui carlini sei al p.nte è il suolo”. AVC, Acta Sanctae Visitationis ab Ill.mo ac R.mo D.no Episcopo D. Marco Rama Ordinis Eremit.rum S.ti Augustini, A. D. 1699 confectae, f. 133v.
[xi] ASV, Fondo Albani 56, 65.
[xii] Carlo Mannarino di Rossano fu rettore del beneficio con altare di Santa Maria delle Grazie, di iuspatronato della famiglia Lucifero del fu Muzio situata in cattedrale. AVC, Acta Sanctae Visitationis ab Ill.mo ac R.mo D.no Episcopo D. Marco Rama Ordinis Eremit.rum S.ti Augustini, A. D. 1699 confectae, ff. 6, 27v.
[xiii] ASCZ, Busta 611, anno 1710, f. 71.
[xiv] Isabella Duarte era figlia del tenente del castello Giovanni Duarte di Madrid, che aveva sposato Laura de Vite. ASCZ, Busta 229, anno 1651, f. 11.
[xv] ASCZ, Busta 497, anno 1710, f. 104.
[xvi] AVC, Anselmus de la Pena, Visita, 1720, f. 52v.
[xvii] Il 30 giugno 1717, su richiesta di Caterina ed Antonia Palmeri, il notaio Stefano Lipari presenta una cambiale già da tempo scaduta a Diego di Bona di Cutro, il quale si è obbligato a versare ducati 40 alle due sorelle. Ma il Di Bona rifiuta il pagamento. ASCZ, Busta 612, anno 1717, f. 142v.
[xviii] Al momento del conferimento della carica a Pompeo Catalano, a tutela dei governatori del Regio Arrendamento delle Seti della città di Napoli, si offersero in garanzia i beni di Gio. Loise Soda, tutti i beni stabili in Crotone ed in Catanzaro di Pompeo e Caterina Palmieri, ed i beni di Giovanni Duarte. ASCZ, Busta 662, anno 1724, ff. 113v-114r.
[xix] Il 12 novembre 1721 Gio. Aloisio Soda dichiara che il 7 febbraio 1709, comprò da Domenico Cherubino, commissario della Reverenda Fabrica Apostolica, un capitale di ducati 100 all’8% sopra la vigna della q.m Isabella Duarte, madre di Caterina Palmieri. Ora egli intende recedere il capitale a beneficio di Caterina Palmieri. ASCZ, Busta 661, anno 1721, f. 407.
[xx] L’arcidiacono possiede “due case avanti la parocchia di S. Pietro e Paolo e le case del q.m capitan Antonio Villegas, hoggi di D.a Caterina Palmieri, fruttavano il canone di annui carlini sette hoggi vi è il solo”. AVC, Anselmus de la Pena, Visita, 1720, f. 20.
[xxi] AVC, Beni e rendite assegnate al capitolo per decreto del vescovo Bartolomeo Amoroso, Napoli 12 giugno 1769.
[xxii] Nel luglio 1761 Caterina Palmieri era vedova di Pompeo Catalano di Catanzaro. ASCZ, Busta 915, anno 1761, ff. 63-64.
[xxiii] Nel 1743 il settantenne Antonio Antico abitava con la sua numerosa famiglia in casa propria, in parrocchia del SS.mo Salvatore, e possedeva una chiusa con viti ed alberi da frutto nel luogo detto Gesù e Maria, un cavallo e una puledra. ASN, Cam. Som., Catasto Onciario Cotrone, 1743, vol. 6955, f. 20.
[xxiv] ASCZ, Busta 1124, anno 1748, ff. 31v-32.
[xxv] ASCZ, Busta 913, anno 1752, ff. 173-175.
[xxvi] AVC, Beni e rendite assegnate al capitolo per decreto del vescovo Bartolomeo Amoroso, Napoli 12 giugno 1769.
[xxvii] AVC, Beni e rendite assegnate al capitolo per decreto del vescovo Bartolomeo Amoroso, Napoli 12 giugno 1769.
[xxviii] AVC, D. Aragona Reg. Amminis. Cotrone, Lista di Carico 1790, ff. 20v, 38v.
[xxix] AVC, Catasto Onciario Cotrone, 1793, f. 6.
[xxx] AVC, Catasto Onciario Cotrone, 1793, f. 117.
[xxxi] AVC, Catasto Onciario Cotrone, 1793, f. 102.
Creato il 6 Marzo 2015. Ultima modifica: 21 Ottobre 2022.